ยซPulchra sabina Preces Prisca chirurgis patriaยป (Preci, il bel castello sabino, antica patria dei chirurghi).
Cosรฌ esordisce nel Subsidium medicinae Durante Scacchi, capostipite e antesignano della secolare scuola chirurgica preciana.
Un passato controverso quello castoriano, che riecheggia tra le pievi e i santuari di una valle dal fascino arcano; terra di eremiti, percorsa dallโenergia primordiale dei Monti Sibillini che, nel culto dei dioscuri Castore e Polluce – patroni della medicina classica – cela echi di gloriose vestigia pagane. ร lecito chiedersi il perchรฉ, nel cuore della Valnerina, sorse una tradizione chirurgia senza eguali in Europa: basti pensare che nel 1700 Durante Scacchi liberรฒ dal tormento della cataratta sua maestร Elisabetta I, regina di Inghilterra.
La scuola preciana
Tuttavia attribuire alla genesi della scuola preciana allโevangelizzazione anacoretica operata dagli eremiti siriani in Valnerina equivarrebbe a collocare le origini della tecnica chirurgica in un contesto storico-antropologico troppo lontano nel tempo. Appare dunque logico ricollegare sviluppo e decadenza dalla scuola preciana allโascesa, e parallelamente, al declino, della vicina Abbazia di SantโEutizio, roccaforte anacoretica in cui a veleggiare furono i vessilli di Benedetto da Norcia, patrono dโEuropa.
Perchรฉ la tecnica chirurgica conobbe in Preci e nella Valle Castoriana un fertile terreno su cui svilupparsi? La risposta va individuata nel tessuto socio-antropologico del luogo e nella specializzazione dei preciani nella mattazione del maiale, da cui ne derivarono profonde competenze anatomiche, tradotte successivamente nellโasportazione di cisti e calcoli.
Museo della Scuola chirurgica di Preci
Eppure nel percorrere questo viaggio nella storia della chirurgia preciana occorre distinguere nettamente i due orientamenti in cui si articolava la celebre corporazione dei chirurghi: se da una parte campeggiava il pensiero empirico โ che trovava supporto in chirurghi provetti che tornavano allโamata Preci dai borghi di tutta Europa in cui dispensavano la secolare sapienza umbraย โ dallโaltra spiccano austeri profili di chirurghi di professione, figli dellโรฉlite cittadina e dellโerudizione accademica. Particolare menzione, nella disputa tra gli empirici e i professionisti della chirurgia, merita una citazione del Durante Scacchi, sostenitore del pragmatismo scientifico e dellโapplicazione tecnica: ยซLa dottrina cederร alla dotta manoยป.
La nascita del ciarlatano
Ed รจ proprio allโinterno di questo scenario socio-antropologico che la figura del chirurgo preciano entra inevitabilmente in collisione con uno dei personaggi piรน dibattuti ed enigmatici del suo tempo: il ciarlatano, da cerretano: abitante di Cerreto di Spoleto che la Treccani definisce letteralmente come colui il quale cavava sulla pubblica piazza i denti o vendeva rimedi che decantava miracolosi.
In seguito ai numerosi abusi empirici di chirurghi ambulanti, provenienti perlopiรน dal contado di Cerreto di Spoleto, fu richiesta a coloro che esercitavano la professione la Patente di Mezza Chirurgia, vale a dire una rudimentale abilitazione che autorizzava chi ne era in possesso a procedere chirurgicamente sui pazienti.
Museo della Scuola chirurgica di Preci
Il chirurgo di Cerreto di Spoleto
La figura di Durante Scacchi, divenuto celebre per lโutilizzo del rasoio cauterizzatore, che limitava le emorragie, trovรฒ in BaronioVincenzo, illustre medico e chirurgo di Foligno nonchรฉ marito dellโaristocratica Delia Nobili da Cerreto di Spoleto, un degno successore. A Borgo Cerreto, crocevia di itinerari e viandanti, costui fece erigere un ambulatorio ospedaliero in cui esercitรฒ per decenni la nobile professione di chirurgo e, successivamente, commissionรฒ la realizzazione della Chiesa di Gesรน e Maria, divenuta mausoleo della famiglia Vincenzi. Nella cripta del santuario sono state recuperate importanti testimonianze degli interventi effettuati dal Vincenzi: trattasi di crani che esibiscono tracce di perforazioni chirurgiche, praticate verosimilmente come esperimenti, uno dei quali mostra visibili segni di rimarginazione, comprovando lโipotesi che il paziente sopravvisse a lungo grazie alla buona riuscita dellโintervento.
ยซLa cittadina si presenta solenne e poderosa, con quella sua porta, il corso e la chiesa di San Francescoยป (M. Tabarrini)
Storia
Posto su un colle lungo la valle del fiume Corno, Monteleone
di Spoleto รจ tra i borghi piรน belli e caratteristici della Valnerina.
Nei secoli, grazie alla sua posizione, ha guadagnato lโappellativo di Leone
degli Appennini. Il suo territorio รจ inserito in uno degli angoli
naturalistici e paesaggistici piรน gradevoli e incontaminati dellโAppennino
centrale.
La cittร รจ come un piccolo
scrigno che custodisce da secoli preziosi oggetti di storia, arte e
architettura: vanta,
infatti, antichissime origini, come testimoniano le numerose tombe ritrovate
nei dintorni. Delle passate epoche di guerre e assedi
rimangono numerose testimonianze, di cui la piรน celebre รจ la biga del VI secolo a.C.,
qui ritrovata nei primi anni del Novecento, e della quale si conserva nel museo
– allโinterno della Chiesa di San Francesco – una splendida copia.
Lโoriginale รจ invece esposto al Metropolitan Museum of Art di New York.
La cittadina, fin dallโantichitร , appare al visitatore solenne in tutta la sua maestositร ; testimone delle sue antiche vestigia, Monteleone ostenta al viandante tutta la fierezza della sua storia. Il paese infatti, isolato tra le brulle montagne dellโAppennino, รจ ricco di simboli e significati. Curioso รจ il ripetersi di certi numeri: tre sono le cintemurarie e, ognuna di esse, รจ provvista di tre porte, sei le torri e otto i baluardi della cittร . Il castello, cinto da solide mura, torri di vedetta e porte, conserva al suo interno la tipicaย urbanistica medievale e rinascimentaleย con case, chiese e palazzi gentilizi che si affacciano su vicoli e piazzette. Elemento caratteristico di tutto il paese รจ la roccia locale bianca e rossa, che rende la sua architettura unica, capace di richiamare la magica bicromia degli antichi ordini cavallereschi. Il territorio conta quattro nuclei abitativi (Ruscio, Rescia, Trivio e Butino), i quali erano legati principalmenteย allโattivitร agricola e pastorale e a celebri attivitร industriali, come leย miniere di lignite di Ruscio e quelle di ferro, dalle quali, secondo la tradizione, fu estratta la materia prima per i cancelli del Pantheon a Roma.
Eccellenze a Monteleone di Spoleto
A rendere Monteleone di Spoleto una cittadina ancora piรน meravigliosa รจ il colore ambrato che contraddistingue i suoi terreni: il farro di Monteleone รจ tra le eccellenze dโItalia, tanto che, grazie allโimpegno dei produttori locali, รจ stato possibile richiedere e ottenere il marchio D.O.P (Denominazione di Origine Protetta).
Chiesa di San Francesco
Varcate
le mura della cittร , รจ possibile scoprire, attraverso piacevoli percorsi,
importanti ricchezze storiche e artistiche, come la Chiesa di San Francesco,
costruita tra XIV-XV secolo. La chiesa รจ lโopera piรน appariscente e suggestiva
per complessitร di storia, sviluppo, arte e fede. ร un libro con santi e
simbologie da scrutare e leggere con cura. Il titolo della
chiesa รจ in realtร quello di S. Maria o meglio Madonna dellโAssunta, ma รจ
comunemente nota col nome del poverello dโAssisi da quando intorno al 1280 vi
sโinsediarono i primi francescani. Infatti, fino alla soppressione del
convento, lโordine francescano in Monteleone utilizzรฒ sempre e in ogni atto
ufficiale un sigillo recante lโemblema dellโordine sovrastato dallโimmagine
dellโAssunta rapita in cielo con le iniziali S(anctae) M(ariae). Vari affreschi
decorano le pareti della chiesa con immagini devozionali fatte eseguire
probabilmente da pittori della scuola umbra del sec. XIV.
Chiesa di San Nicola
La chiesa
รจ posta nel punto piรน alto del centro storico; ha origine altomedievale, infatti
i primi documenti risalgono al 1310. Presenta una pianta disposta su unโunica
navata provvista di dieci cappelle con propri altari. Il soffitto รจ a cassettoni e ricoperto da una tela dipinta a
tempera con motivi floreali. Tra le diverse opere di notevole pregio citiamo
La decollazione di S. Giovanni Battista fra S. Antonio da Padova, S. Isidoro
e la Maddalena, attribuita al pittore Giuseppe Ghezzi e lโAnnunciazione,
probabilmente opera di Agostino Masucci.
Chiesa di Santa Caterina
Nel 1310 cinque monache agostiniane, provenienti dal Monastero di S. Caterina a Norcia, chiesero al Capitolo di S. Nicola una chiesetta e una casa nella parte bassa di Monteleone per edificarvi un monastero. Sia la casa sia la chiesa erano fuori la cerchia delle mura, costruite nel 1265. Le monache rimasero lรฌ per quasi cinque anni. Della stupenda chiesa settecentesca, restano soltanto le mura perimetrali.
Chiesa di Santa Maria de Equo
Lโambiente interno della chiesa รจ tipico delle pievi campestri: al centro della chiesa รจ posto un altare settecentesco, ornato da una statua lignea della Madonna con Bambino; ai lati, allโinterno di due nicchie, ci sono le statue lignee di S. Pietro e S. Paolo. Lungo la parete di sinistra รจ raffigurato il venerabile Gilberto o Liberto, eremita qui vissuto per molti anni.
Bibliografia:
LโUmbria si
racconta. Dizionario E-O, Foligno 1982 di Mario Tabarrini.
ยซDefinire รจ limitareยป sosteneva Oscar Wilde tracciando il profilo di un Dorian Gray, tanto dannato quanto reale. Cristallizzare in una sterile definizione ciรฒ che i sensi riescono a percepire, equivale a svuotare la realtร della sua essenza prima, quel fondamento ontologico inteso nella sua piรน profonda accezione filosofica.
Eppure,
sin dai primordi della specie, lโessere umano ha sempre avvertito il
bisogno di definire, di fissare. Dopo migliaia di anni tutto ha un nome.
Un nome statico, che difficilmente cambierร . Eppure questa castrante
catalogazione affonda le sue aride radici nel timore piรน grande che
atterrisce lโanimo umano, la paura per ciรฒ che egli non riesce a
definire e dunque comprendere. Definizioni di carta, nel vero senso
della parola. Ma ci sono luoghi e visioni che si sottraggono a questa
dura legge definitoria, luoghi che sembrano nascondersi e poi riapparire
tra queste nebbie tanto fitte quanto rivelatrici. Ed รจ proprio da un
luogo chiave del peregrinare umano che inizia la traversata: da uno stazzo, porto alpestre che da luogo di sosta diventa arrivo e partenza di nuove rotte, in un mare di nebbia che nasconde una terra ricca e sconfinata, abitata da abili contadini e celebri artigiani: la Piana di Santa Scolastica.
Delineare cosa sia uno stazzo nel
suo aspetto fenomenico non รจ difficile. Linee semplici che celebrano il
trionfo della funzionalitร sullโestetica, in quegli ambienti tanto
spartani quanto vissuti. Ma nessuno si รจ mai soffermato su cosa
rappresenti realmente, su quelfondamento ontologicoche tutti schivano perchรฉ incapaci di comprendere. Lo stazzo: epopea di una civiltร senza tempo. Definizione straordinariamente calzante che richiama alla memorialโeroico peregrinare diUlisse. Stazzi sorti in luoghi estremi, che non sono i luoghi dellโabitare,
ma invitano lโuomo alla contemplazione del creato. Visioni che qui si
manifestano con una forza quasi titanica, con una chiarezza che sembra
rendere vano non solo ogni tentativo di definizione da parte dellโuomo, ma anche la sua stessa presenza.
Eretta su fondamenta di sangue di sudore la chiesa Madonna della Neve – rudere diCastel Santa Maria e vittima dellโatroce terremoto del 1979 – sembra quasi capitolare sotto i colpi dโascia di un laconico silenzio. Una grandiositร tanto imponente quanto muta, dove i volumi ispiranosoggezione. Una pianta ottagonale in cui lโotto รจ universalmente considerato espressione dellโequilibrio cosmicoe al tempo stesso simbolo dellโinfinito, se ruotato di novanta gradi. Cicli pittorici di bramantesca ispirazione sembrano supplicare il piccolo uomo di non lasciarli nella solitudine muta dellโuniverso, di non abbandonarli in quei giorni di metร ottobre che annunciano lโarrivo dellโinverno.
Eppure
nonostante i terremoti questa รจ un terra nella quale si riconosce una
netta impronta del passato, un distacco abissale da una modernitร che da
queste parti viene quasi esorcizzata. E allora viene istintivo pensare a
quel borgo medievale in cui architettura e memoria diventano i termini
imprescindibili che ne forniscono una precisa connotazione spazio-temporale, a quel paese addormentato che prende il nome di San Marco. ยซPax tibi Marce evangelista meusยป,
recita il libro che, nellโiconografia tradizionale, il santo sembra
difendere a spada tratta. Una pace che riecheggia forte tra queste
antiche mura, tonante come il ruggito del leone che lo rappresenta.
Immobile nella sua monumentalitร , la cinta muraria del paese sembra quasi dissuadere lo straniero dallโespugnarla e invitare chi la osserva a
scavalcare questi muri di medioevale memoria. Ed รจ proprio questo
lโatteggiamento migliore, quello di aprirsi allโinaspettato, a
sensazioni nascoste dietro ostacoli che non ne precludono la visione, ma la proteggono da sguardi indiscreti. Sentieri che si arrampicano tra questi colli, ma dove portano? Charles Peguy rispondeva con una domanda ยซChe senso ha una strada se non porta ad una Chiesa?ยปโฏGiร , perchรฉ quella stradina conduce proprio a un santuario, quella di Santa Maria Annunziata, tempio mariano immerso in un laconico silenzio, tra muretti a secco e querce brulicanti di formiche.
Rappresentazioni sacre che si mescolano a elementi architettonici di
altissimo spessore, in un santuario che ispira beatitudine; una beatitudine che non รจ semplice assenza del dolore,
ma consapevolezza di una vita eterna, che trascende una realtร che
sembra ancorarci a terra. Ma il nostro viaggio non si ferma di certo a San Marco: ricomincia proprio da quelle campagne in cui รจ fiorita la regola benedettina dellโora et labora .
Proprio lasciandoci alle spalle il paese di San Marco sembra quasi che nella mente tuoni lโaddio ai monti di Lucia, un addio che perรฒ รจ piรน un arrivederci. Perchรฉ lโanimo umano avverte il bisogno di tornare su quei passi, di dare continuitร a quelle esperienze che lo hanno delicatamente scosso, di respirare nuovamente lโessenza di questa terra, di una natura che sa essere diversa in contesti differenti. Verosimilmente la forma armonica della cittร di Norciarivive in quella perfezione geometrica di campi fortificati da siepi e querce, nellโeleganza lineare di chiese e palazzi che connotaquel mosaico di paesi sparsi nella campagna e uniti tra loro da un comune passato;un filo sottile che non รจ astensione dal futuro, ma consapevolezza della propria storia. Paesi in cui storie di vergini e santi si mescolano a sinistre manifestazioni di esseri demoniaci che la tradizione ritrae in prossimitร di una quercia secolare, quella di Nottoria, a cui la comunitร del posto deve la propria fama. Eppure in pochi conoscono ciรฒ che si nasconde sotto questa terra, quel fondamento ontologico inteso nella sua piรน stretta accezione materiale che qui assume la forma di unโantica necropoli, luogo che trasuda unโeternitร vissuta in maniera diversa, ma che conserva la sua connotazione piรน intima. Necropoli e cimiteri, archรจ e telos dellโinvestigare umano, di quel continuo porsi domande che accompagnerร lโuomo fino alla fine dei tempi. E forse anche oltre.
L’itinerario tra i sapori e gli aromi della Valnerina prosegue con altri prodotti di questa terra.
Dopo aver assaporato le lenticchie, il miele e la trota del Nera, il viaggio prosegue con altre prelibatezze nostrane.
Roveja
Questa รจย la storia di alcuni piccoli semi colorati, di due donne tenaci e di un barattolo di vetro. Umbria, Civita di Cascia 1998: Silvana e Geltrude, mentre riordinano la cantina della casa ricostruita dopo il terremoto del ’79, trovano un polveroso barattolo di vetro pieno di semi colorati. Sono rossi, verdi, marroni e neri, insieme a un foglietto sbiadito dal tempo con scritto a matita un nome misterioso: roveja. Trattasi di un legume che sboccia sulle alture dellโAppennino Centrale, tra i proverbi degli alberi e i misteri della montagna, per unirsi senza indugio al bouquet delle eccellenze gastronomiche umbre. Ed รจ proprio lo spirito selvaggio a rendere ancora piรน accattivante la roveja, piccolo ed eroico legume divenuto Presidio Slow Food e sopravvissuto grazie a Silvana e Geltrude allo scorrere del tempo. Cosรฌ nel 2006 la roveja, antico pisello selvatico, considerato quasi erba infestante, torna a fiorire in Valnerina. O forse non aveva mai smesso.
Norcinerie
Cโรจ un mestiere, nel cuore della Valnerina, che custodisce tra le epigrafi della sapienza umbra lโidentitร di un territorio dal sapore speziato, un atlante le cui pagine invecchiano sotto archi e volte di pietra scavate dal vento, tra gli echi cinerei della tradizione e della memoria: il Norcino, poeta di unโUmbria arcaica celebrata nei templi sacri dei sapori italici, tra orchestre di incensi dagli aromi primordiali. Un sentimento, quello tra uomo e suino, che da elemento antropologico diventa orizzonte culturale e identitario di una cosmologia di artigiani e scultori che conserva nella ritualitร di antichi costumi il ricordo una civiltร rurale germogliata tra i sussurri del Tempo. Lโuccisione del maiale,ย cerimoniale arcaico sbocciato le ceneri del Paganesimo, segna nel lunario contadino lโacme della ritualitร agraria consegnando allโeternitร della memoria popolare ย pagine acri di una drammaturgia proiettata sugli orizzonti di una civiltร rurale che evoca, nello svolgimento della macellazione, fantasmi e torri di fumo appartenuti alla mitologia greca e riconducibili al culto dellโancella Maia, divinitร consacrata allโagricoltura sui cui altari scorreva il sangue dei maiali immolati in suo onore. Perpetuata con sacralitร e mistica devozione la lavorazione del maiale, trionfo di sapori e di antichi sentimenti, in Umbria diventa anfiteatro di unโimpenetrabile tradizione magico-superstiziosa che individuava in alcune caratteristiche delle interiora della bestia visioni profetiche e rivelatrici.
Lo Zafferano
Lโarcano mistero che avvolge lโetimologia della parola CrocusSativus,ย denominazione scientifica con cui viene comunemente indicato lo Zafferano, si perde nella leggenda del fanciullo Crocco che, avvolto nellโaurea letteraria delleMetamorfosi di Ovidio, si innamorรฒ mortalmente della ninfa Smilace,ย per poi essere tramutato in un biondo fiore diย zafferano. Simbolo di augurio e prosperitร coniugale ancora oggi, in Oriente,il Crocus Sativus viene regalato come auspicio di lunga vita in virtรน delle proprietร terapeutiche e afrodisiacheย con cui esalta il corpo . Impiegato nel corso dei secoli per ottenere il colore giallo nella preparazione delle tonalitร pastello destinate agli affreschi e per tingere vesti e tessuti, allo Zafferanoย vengono attribuite nobili proprietร cosmetiche e officinali. La coltivazione dello Zafferano, espressione identitaria della storia e dei costumi umbri, attinge alle esperienze di un passato importante inteso come patrimonio prezioso dal quale trarre ispirazione. Un lavoro in cui lโelemento umano รจ esclusivo: dalla preparazione delย terreno,alla scelta dei bulbiย passando per il momento della sfioratura fino al confezionamento del prodotto finaleย a fare da cornice a questo arcaico cerimoniale liturgico spetta a montagne dai sapori forti, anfiteatri di roccia e calcare che potenti si stagliano allโorizzonte.
Henry James, visitando lโUmbria, scriveva: ยซLa sua [del visitatore] prima cura sarร di non aver fretta nel camminare dappertutto molto lentamente e senza meta conservando tutto quel che i suoi occhi incontrerannoยป.
Un pugno di parole quello che ha ispirato questo itinerario tra i sapori e gli aromi della Valnerina, tasselli di un mosaico antico, quello della tradizione umbra, che vuole raccontare la sua storia. Un viaggio per riappropiarsi del proprio tempo, nel cuore di unโUmbria che non conosce fast food. Ci sono passato, presente e futuro racchiusi nei sapori della Valnerina, terra in cui gli antichi Romani prima e i Longobardi poi hanno innalzato torri e santuari e dove, per secoli, la vita laica e quella religiosa hanno dipinto tele di borghi e cittร medioevali. ย Sapori e tradizioni autentiche che riprendono vita in un gioco di valli e altopiani, luoghi in cui รจ custodito il genio dellโuomo; luoghi in cui tradizione, sapienza e ruralitร si intrecciano con intense passioni, ispirazione pura e stupefacente grandezza. Percepire tutto lo stupore del viaggiatore racchiuso in un solo luogo, sentirsi avvolgere dalle meraviglie del Creato in un solo sguardo, scoprire il mistero dellโispirazione piรน pura, conoscere il desiderio delle genti umbre di riflettere, a tavola, la ricchezza della loro terra: ecco perchรฉ compiere questo viaggio nei sapori della Valnerina.
La trota del Nera
Affidare il percorso dei propri passi ai sussurri del Nera significa aggiungere allโatlante che ispira questo viaggio nellโUmbria sacra pagine di una geografia lontana dal tempo, in cui la genialitร dellโuomo ha saputo inchinarsi al cospetto del fiume sacro, traย i canti e le preghiere di eremi e santi che, tra le rocce dellโAppennino piรน selvaggio, hanno consegnato allโeternitร degli altari ceneri di esperienze straordinarie. Uno scorrere primitivo, che da millenni tormentaย il sonno di questi antichi ponti di pietra e che ha modellato, al ritmo che scandisce la contesa tra il sole e la luna,ย un paesaggio superbo, unendo il suo nome a territorio divenuto icona impareggiabile dellโUmbria fluviale. Valnerina, luogo in cui la biodiversitร resiste ai colpi dโascia delle catene agroalimentari che seppelliscono nei cimiteri della tradizione storie di lenze pescatori, uomini dai volti consunti dal Nera e della sua brezza, ultimo respiro di un fiume che rivendica la sua libertร . Ed รจ proprio nei silenzi armonici che il fiume trascina a valle che dimora la trota della Valnerina, ambito trofeo di pescatori provenienti da ogni dove.
Il miele
In Valnerina, il viaggio nelle terre del sapore puรฒ iniziare da uno dei tanti valichi e confini e proseguire secondo un filo logico, o semplicemente lasciare alla casualitร quale borgo o scorcio toccare di volta in volta, trovando anime diverse e aromi inaspettati. Andare per le aziende produttrici di antichi sapori, quale il miele, permette di incontrare persone, volti e storie. Acquistare direttamente dai produttori, a km zero, non garantisce soltanto la sicurezza della qualitร , ma anche il confronto con chi, dallโamara fatica del quotidiano, ricava quanto di piรน dolce possa offrire la tavola umbra. Significa percorrere un itinerario lungo i sentieri di un paesaggio spesso incontaminato, in un presente che sa rispettare il suo passato, nelle piccole storie e, attraverso esse, nella grande Storia. Una vocazione, quella della terra umbra per questo nobile nettare, tanto prezioso quanto apprezzato, che รจ rifiorita, con rinnovato e vivace entusiasmo, attingendo alla fonte di una tradizione antica, come fosse una visione dalla quale trarre ispirazione. Il miele: essenza di un territorio dal passato antico, eccellenza gastronomica ricca di fascino che piรน di nessunโaltra sa esaltare il concetto di una tradizione in cui รจ la qualitร a prevalere sulla quantitร . Una sfida delicata e appassionante, quella dellโapicoltore, il cui lavoro diventa attenta e costante premura e dove le mani si fanno lievi, quasi impalpabili.
La lenticchia IGP di Castelluccio
Se esistesse una notte degliย Oscarย gastronomica, sul red carpet del gusto e della tradizione le eccellenze umbre si aggiudicherebbero piรน di una nomination: dallโaroma piรน intenso alla piรน antica ricetta non protagonista, fino ai migliori effetti speciali. Ma se cโรจ unaย nominationย che di certo non puรฒ mancare รจ quella per la scenografia:ย Castelluccio di Norcia, palcoscenico in cui a esibirsi sono sapori arcaici, dal fascino straordinariamente attuale. La ricerca delle genuinitร , come nel caso della lenticchia DOP, puรฒ essere condotta solamente percorrendo lo stesso set in cui รจ la regia della tradizione umbra a girare le riprese: un sipario che si apre sul cuore verde dโItalia, in cui la sapienza e la creativitร delle genti umbre hanno saputo mettere in scena il migliore tra i copioni. Castelluccio di Norcia, una terra povera dai prodotti sani, sarebbe forse questo il titolo di coda migliore con cui chiudere questo cortometraggio nellโUmbria della genuinitร . Nel casting della tradizione il ruolo di protagonista spetta proprio alla celebre lenticchia, leguminosa che nel freddo dellโinverno appenninico riesce a custodire una qualitร ineguagliabile. Un alimento orgogliosamente made in Valnerinaย che, nella timidezza di un seme straordinariamente piccolo, nasconde un sapore infinitamente grande. Tenacia, creativitร e sapienza hanno scritto la sceneggiatura di una terra che resiste: tenacia e sapienza perchรฉ, nonostante un territorio selvaggio per condizioni climatiche, hanno saputo conservare incorrotte le attivitร agricole tradizionali; la creativitร perchรฉ ha dato un tocco di genialitร alla reinterpretazione culinaria di questi sapori.
Inaspettatamente, nella Valnerina dipinta dal genius loci, la bussola che orienta questo viaggio incrocia sentieri e percorsi dominati dai colori e dalle asprezze del selvaggio Appennino, una terra primordiale in cui tramonti infuocati incendiano arcani campanili e torri di pietra.
Non a caso, proprio sui sentieri nasce la geografia dellโuomo: camminare per conoscere, perdersi per ritrovarsi tra ragnatele di fughe e di ritorni. Per questo ogni strada che nasce conduce a se stessi, ogni passo che traccia il sentiero aggiunge altri segni, altre storie. Cosรฌ come nessuna strada nasce solo per andare, perchรฉ il primo passo รจ giรน un passo verso il ritorno, anche questi sentieri hanno conosciuto la stanchezza del viaggiatore, la nostalgia del ricordo e la speranza del traguardo. Il pastore, lโescursionista, il pellegrino e il cacciatore in questo angolo di Umbria tormentano la stessa polvere, scrutano lo stesso cielo, bevono a mani giunte dalla stessa sorgente, eppure sono cosรฌ diverse le orme dei loro passi. Sentieri e percorsi che risalando da Santa Anatolia di Narco, lungo lโantico itinerario montano che porta a Monteleone di Spoleto, scivolano nei pensieri del viaggiatore, come si scivola sui ciottoli del Nera che a valle ruggisce fragoroso nel respiro del vento.
Un luogo da scoprire
Issato sulla volta del cielo da funi di roccia e granito, Gavelli, castello ammainato tra i rovi di sentieri campestri fioriti nei giardini perduti della Valnerina, inquadra, dalle spoglie del cassero morente, simulacri e lineamenti di un antico santuario di montagna che, dal trono lapideo delle torre campanaria, contende agli spiriti arcani del vento e delle stelle misteri e silenzi dellโeterno. Deposto su un letto dโarenaria, il Tempioconsacrato allโArcangelo San Michele,circoscrive lo sguardo del viaggiatore in cinque nicchie quattrocentesche, numero che il fonosimbolismo ebraico sintetizza nella formula he, il soffio divino che, archetipicamente, รจ ciรฒ che viene insufflato e che dร origine allโuomo e che, tra gli affreschi sanguinanti della Passione, eleva lโanimo allโapoteosi della grazia artistica indicando ai fuochi fatui della mente lโasse cartesiano che conduce alla dimensione eterea dello spirito.ย
La resurrezione di Cristo
La resurrezione
Il Cristo, ridestatosi dal torpore del trapasso, riemerge dalla pietra nuda del sepolcro. Il capo รจ reclinato; lo sguardo, รจ celato da palpebre cucite dal dolore; le braccia, scarcerate dalla stretta infausta del sudario, si discostano appena dal corpo mentre il sangue fluisce dalle piaghe e sulla testa รจ ancora infissa la corona di spine, ricavata da un albero di acacia che nella perennitร del legno preserva il trionfo della vita sulla morte. Gli strumenti disposti accanto al sepolcro, richiamano con intento didattico i momenti salienti della Passione: la croce con i chiodi insanguinati, la colonna infame con la corda e i flagelli, lโasta che reca la spugna imbevuta dโaceto divengono immagini del Sommo Sacrificio.
Sul bordo del sepolcro risuona il tragico canto del gallo che annuncia dal podio marmoreo del Golgotaย il tradimento eretico dellโapostolo Pietro ma che, nel ciclo pittorico, diviene nunzio dellโaurora, araldo a cui il pittore affida il compito salvifico di celebrare la vita eterna conquistata dal Redentore sul patibolo dei chiodi e della croce. Accanto alla mano pietosa della donna che, premonendo lโapoteosi del Maestro versa il balsamo odoroso ai piedi del Redentore, il palmo di chi ha pagato le monete del tradimento versando ilย tributo della redenzione.
ยซLasciatevi incantare da uno dei borghi piรน belli dโItalia, Vallo di Nera, e concedetevi, tra torri medioevali ed echi di antichi cantori, lโassaggio di pregiati formaggiยป.
Fior di Cacio
La Valnerina piรน ricca, quella piรน antica e autentica, dove รจ fiorita la millenaria sapienza umbra e nel cui ventre sbocciano aromi apprezzati a ogni latitudine; ma anche la Valnerina piรน impervia e selvaggia laddove osano le aquile e si nasconde il lupo. Sapori arcaici e autentica ruralitร che storicamente caratterizzano questo idillio bucolico e che tenteremo di raccontarvi in un itinerario il quale, nonostante lโambizioso titolo, racchiude frammenti di una quotidianitร sepolta tra la polvere della memoria. E allora lasciatevi incantare da uno dei Borghi piรน Belli dโItalia, Vallo di Nera, e concedetevi, tra torri medioevali ed echi di antichi cantori, lโassaggio di pregiati formaggi. Perchรฉ questo รจ quello che agli Umbri piace, perchรฉ questa รจ la nostra cultura.
Un prodotto antico
Nel ricomporre le tarsie di quellโantico mosaico sepolto lungo lโargine del tempo, che รจ la storia del formaggio, laย bussola che orienta la ricerca dei food lovers punta con straordinaria fermezza il Medio Oriente e la leggenda di quel pastore arabo che, attraversando il deserto, conservรฒ del latte di capra in un otre ignorando il processo di stagionatura che avrebbe invece notato giunto al termine della traversata. Dischiusa dalla mitologia araba e sfiorata dal respiro mediterraneo del greco antico, lโetimologia della parola formaggio si intreccia inesorabilmente tra i vimini dellโantico paniere in cui veniva depositato il latte cagliato, formos per lโappunto, divenuto successivamente fromage per le popolazioni galliche e forma per gli antichi abitanti dellโUrbe.ย Un atlante, quello del formaggio, in cui punti cardinali e coordinate geografiche lasciano spazio a unaย geografia di scenari alpestri e pastori che a Vallo di Nera, il borgo-castello della Valnerina, resiste eroicamente tra frammenti di memoria pastorale e tradizioni millenarie.
Vallo di Nera e Fior di Cacio
Imbrigliata dallo sguardo marmoreo dellโimponente cassero medioevale Vallo di Nera, avamposto della civiltร contadina e Presidio Slow Food, appare sospesa nel vuoto cosmico di una clessidra i cui granelli di sabbia diventano gocce di memoria di greggi e pastori, custodi di unโantica tradizione casearia che, in questo coriandolo di Umbria, viene omaggiata da unโannuale mostra mercato, Fior di Cacio. La civiltร pastorale, i cui echi appaiano scolpiti in bassorilievi di sentieri e tratturi, a Vallo di Nera diventa depositaria di una ricca tradizione orale, fiorita lungo le rotte della transumanza per opera di aedi pastori che rispondevano agli echi della natura improvvisando canti e narrazioni. Oggi quel passato รจ documentato dalla Casa dei Racconti, teatro in cui a esibirsi รจ una memoria popolare fatta di voci in metrica attraverso la quale recuperare lโidentitร culturale di una quotidianitร remota eretta tra macerie del tempo.
Per gustarlo al meglio
Vademecum per abbinare in tavola i formaggi della Valnerina non esistono. Tuttavia รจ possibile accompagnare lโabbinamento secondo prelibati suggerimenti, nonostante i grandi formaggi vadano degustati abbinati a prodotti semplici che ne esaltino pastositร e fragranza, come buon pane e confetture di cui la Valnerina vanta un ricco catalogo. Declinato in tutte le sue vesti il formaggio della Valnerina esalta palati e papille dei commensali se abbinato per contrasto o per similitudine ai vini tipici della Verde Umbria,ย in un trionfo enogastronomico di aromi e sapori arcaici. Per gli amanti dellโautenticitร ย la birra, che attraverso il brio del luppolo annulla la corpositร del formaggio, e le pregiate confetture che il fiume Nera matura allโombra di pioppi dalle fronde sottili rappresentano eccellenti partnerย per questo viaggio nella Terra dei Pastori, enciclopedia del gusto e della tradizione.
Lโimpiccato, il gobbo Severino, la Sor Aurelia e due cinesi. Sono solo alcune delle mummie che si possono conoscere nel Museo di Ferentillo, in provincia di Terni. Il paese si trova in una posizione molto particolare: alla confluenza di due crinali rocciosi che quasi si congiungono, chiudendo la Valle del Nera. Due sono i borghi che lo compongono: Mattarella e Precetto, posti sulle due sponde del fiume.
Mummie di Ferentillo
Precetto ha un assetto urbano duecentesco e un sistema di fortificazioni ben sviluppato: di esso si sono conservate le mura merlate, che corrono sul crinale del monte, e le poderose torri. La parte del paese che si รจ sviluppata nella parte pianeggiante รจ, invece, di formazione piรน recente, risalendo al XV secolo. Questa riorganizzazione fu voluta dai nobili Lorenzo e Francesco Cybo, i quali avevano progettato lโedificazione di nuove chiese in tutto il territorio. Nello specifico una doveva essere dedicata a Santo Stefano, e doveva essere costruita nellโarea in cui giร sorgeva una chiesa di origine medievale (XIII secolo). Questa non venne demolita, ma fu utilizzata come base per le fondamenta delle nuove costruzioni. Gli spazi modificati resero possibile un utilizzo alternativo della chiesa che, inglobata dalla nuova struttura, fu riadattata a cripta sepolcrale della chiesa superiore.
La cripta
Questo spazio fu riempito con della terra (probabilmente materiali di scarto della lavorazione della pietra utilizzata per edificare la chiesa superiore) che andรฒ a modificare il livello del pavimento originario. Lunga ventiquattro metri, larga nove e alta due, la cripta presenta ancora oggi elementi architettonici e artistici risalenti alla fase della chiesa medievale del XIII secolo, come lโantico portale e i resti dellโabside. In questo luogo, dal XVI secolo in poi, vennero inumati tutti i morti del borgo di Precetto fino al 1806, quando fu esteso allโItalia lโeditto napoleonico di Saint Cloud, Dรฉcret Impรฉrial sur les Sรฉpultures, che vietava la sepoltura allโinterno delle mura cittadine e che impose la costruzione dei cimiteri extraurbani. Oltre a vietare la sepoltura, lโeditto ordinรฒ anche la riesumazione dei corpi e cosรฌ ci si accorse della perfetta mummificazione di alcuni di essi.
Il museo
Dal momento della scoperta (specialmente dal XIX secolo) questo luogo รจ divenuto famoso per la collezione di questi corpi mummificati, tanto da suscitare l’interesse di numerosi studiosi e di moltissimi visitatori. Proprio per questo grande interesse, nel 1992, si รจ deciso di dar vita a una nuova musealizzazione, utilizzando nuove teche espositive per la conservazione dei corpi e accogliendo i visitatori con questa incisione sopra alla porta di ingresso del museo: ยซOggi a me, domani a te, io fui quel che tu sei, tu sarai quel che io sono. Pensa mortal che il tuo fine รจ questo e pensa pur che ciรฒ sarร ben prestoยป.
Le mummie
Ad oggi sono 21 tra uomini, donne e bambini, le mummie esposte al Museo. Ci sono poi 10 teste, 270 teschi, una bara ancora sigillata e due volatili mummificati (uno dei quali รจ unโaquila). Inoltre, durante gli ultimi interventi di pulitura e manutenzione della cripta sono state rinvenute delle sepolture nella sala antecedente a questa, forse destinate ai non battezzati. La particolaritร di questo Museo, oltre allo straordinario stato di conservazione dei defunti, sta nel fatto che possiamo realmente conoscere la mummia che ci troviamo davanti. Di alcune di esse, infatti, si conosce la storia, che continua a essere tramandata oralmente o si ritrova negli archivi ecclesiastici.
I cinesi
I cinesi
Una particolare ricostruzione riguarda le mummie di due asiatici (riconoscibili dalla caratteristica fisionomia). Le leggende narrano di un ricco uomo e della sua sposa, probabilmente cinesi, in viaggio di nozze a Venezia. ยซDopo un lungo e felice viaggio i due giovani giunsero nella Serenissima [โฆ] Essendo cattolica, Fiore dโEstate volle pure visitare la cittร di San Pietro. Cosรฌ giunsero a Roma. Cโera molta gente in cittร . Capitavano durante lโAnno Santo straordinario (1750). E qui i due giovani furono colpiti da un male terribile: il colera. Fuggirono dalla cittร santa e si spinsero nellโentroterra umbro, forse per recarsi a Triponzo dove le fonti termali potevano far sperare nel miracolo della guarigione. Era un giorno molto caldo. I sintomi del male erano evidenti in Fiore dโEstate [โฆ] Furono trovati allโalba sui gradini della chiesa di Santo Stefano. Fiore dโEstate teneva stretto in mano il piccolo crocefisso dโoro regalatole dal suo A-Tuan[1]ยป. La leggenda รจ supportata dalla presenza dei loro abiti, in buona condizione fino agliย anni Settanta.
Lโavvocato
Altra curiositร riguarda il corpo custodito nell’unica bara ancora chiusa presente nella cripta. Si tratta di un avvocato del luogo ucciso da numerose pugnalate la cui mummia non viene esposta per rispetto nei riguardi dei discendenti dell’uomo ancora viventi e residenti a Ferentillo. Anche uno degli assalitori rimase ucciso durante l’omicidio, e il suo corpo รจ esposto in una delle teche del museo. ยซ[โฆ] Lโavvocato sedeva nel suo studio ancora indaffarato nel disbrigo di alcune pratiche. Preso il lume si affrettรฒ ad aprire. Riconobbe subito un suo amico. Era venuto per avvertirlo che un gregge stava distruggendo il suo oliveto [โฆ] Giunti allโincrocio con il sentiero del piano, ecco allโimprovviso spuntare dalla grande quercia due individui, che, con il coltellaccio alla mano li assalirono. Lโamico, falso e traditore, si unรฌ a quelli e giรน colpรฌ alla cieca. Lโavvocato, nonostante che fosse stato colto alla sprovvista, siccome era aitante e coraggioso trasse di tasca il coltello, inseparabile compagno in quei tempi, e cominciรฒ a difendersi energicamente. Colpito a morte dai tre, ebbe tuttavia la forza, prima di cadere esanime, di uccidere il traditore che ora giace con lui per sempre[2]ยป.
Lโingordo messere
ยซ[โฆ] Mangiava di tutto e andava pazzo per quelle ciambelle allโanice che si distribuiscono ai popolani nella ricorrenza di SantโAntonio Abate [โฆ] Era diventato ormai la Favola del paese. Lo sbeffeggiavano tutti ma non in sua presenza perchรฉ ne temevano lโira. Ricco assai, poteva permettersi qualsiasi stravaganza e vendetta [โฆ] A sera, mentre il messere era intento a sgranocchiarsi un bel coscio di tacchino, bussarono ripetutamente al suo portone. Era una povera vecchia, ricoperta di pochi stracci che supplicava per avere un pezzo di pane [โฆ] Messere Francesco urlรฒ ai servi di cacciarla. La donna disperata e umiliata, con tutto lโodio inveรฌ contro di lui: โ[โฆ] Verrร il giorno che il tuo corpo non reggerร al peso del pane che hai mangiato e la tua bocca stessa non riuscirร piรน a mangiarneโ. Lโanatema dovette sortire il suo effetto dato che il messere fu colpito da un male incurabile che gli deformรฒ la bocca e impedendogli di nutrirsi, di lรฌ a poco lo condusse alla morte[3].
Sono presenti anche le mummie di una giovane donna morta di parto sepolta insieme al feto nato morto, di Sora Aurelia, una vecchia contadina con gli abiti ancora intatti, di un campanaro, di un impiccato e del gobbo Severino.
Sor Aurelia
La mummificazione
Nel 1887 l’Accademia dei Lincei pubblicรฒ uno studio dettagliato sul curioso fenomeno della mummificazione dei corpi. Gli studiosi Carlo Maggiorani e Aliprando Moriggia, professori universitari, supportati dal chimico Vincenzo Latini, si dichiararono convinti che la mummificazione fosse da imputarsi al tipo di terreno, ricco di silicati di ferro e di allumina, di solfato e nitrati di calcio di magnesio e ammoniaca, alla ventilazione del locale e alla presenza sulla pelle delle mummie di microrganismi che, nutrendosi delle materie decomponibili dei cadaveri, li fecero essiccare velocemente. In seguito il terreno della cripta รจ stato analizzato nel tentativo di ricavare dati certi per consolidare le ipotesi giร formulate, ma la ragione certanon รจ stata individuata. Seguirono perรฒ tentativi di mummificazione con corpi di animali, che rivelarono la rapiditร del processo grazie al terreno della cripta. Sembra comunque probabile che a mummificare le salme sia un battere che disidrata i corpi.
I teschi
Orari del museo:
1 APRILE – 30 SETTEMBRE Aperto tutti i giorni
Mattina: 10 – 13ย Pomeriggio: 15 – 19
1 OTTOBRE – 31 OTTOBRE Aperto tutti i giorni
Mattina: 10 – 13 ย ย Pomeriggio: 15 -18
1 NOVEMBRE – 28 FEBBRAIO Aperto tutti i giorni
Mattina: 10 – 13 ย Pomeriggio: 15 – 17
1 MARZO – 31 MARZO Aperto tutti i giorni
Mattina: 10 -13 ย Pomeriggio: 15 -18
L’ingresso al museo รจ consentito fino a 15 minuti prima della chiusura.
INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI tel: 328 6864226 โ 335 6543008
Negli ultimi 20-30 anni รจ maturato un rinnovato interesse per il cibo sano e di qualitร , e lโUmbria si trova proprio nel bel mezzo di questo Rinascimento, che include sia antiche qualitร di prodotti sia cibo biodinamico e biologico.
Sapori antichi
Gli alimenti antichi o โdi una voltaโ fanno riferimento a colture che sono state riscoperte dopo anni di scarso utilizzo o addirittura di inutilizzo. ร stato ricostruito lโalbero genealogico delle sementi per piantare prodotti vegetali che sembravano ormai perduti, rimpiazzati da nuove varietร o da ibridi. Molto spesso, non รจ possibile trovare questi prodotti nemmeno nei punti vendita. Alcuni di essi possono non essere esteticamente attraenti come i loro alter ego moderni, ma possiedono un gusto unico e delizioso.
Per piรน di trentโanni, alcuni coltivatori nei pressi di Cittร di Castello sono andati alla ricerca di antiche varietร di alberi da frutto, e ora il loro frutteto include meli, peri, ciliegi, susini, alberi di fichi e di mandorle. Tutti gli esemplari sono stati catalogati e i loro semi vengono conservati. Proprio per promuovere i frutti โdi una voltaโ, i coltivatori hanno messo in vendita i loro alberi storici tramite lโAzienda Agricola Archeologia Arborea, rendendoli disponibili anche al grande pubblico.
Osserviamo le stelle
Il metodo biodinamico, dal canto suo, si riferisce ad un tipo di agricoltura basata sullo stretto rapporto con i ritmi della natura. Seguendo i principi elaborati da Rudolf Steiner negli anni Venti del Novecento, ha come obiettivo quello di restaurare, mantenere e potenziare la sinergia con lโambiente. Gli agricoltori piรน importanti cercano altresรฌ di differenziare le colture, di usarne altre complementari – come quella del trifoglio o dellโorzo per reintrodurre azoto nel terreno – e di ruotarle frequentemente, ma anche di tenere in considerazione la posizione della luna e delle stelle nel momento della semina e del raccolto.
In Umbria si possono trovare diversi prodotti di questo tipo, come il vino dellโAzienda Fonteseccadi Cittร della Pieve, quello della Fattoria Mani di LunaTorgiano, o di Raรฌna, il cui quartier generale si trova a Montefalco. Allo stesso modo, tra le offerte di alcune aziende si annoverano olio biodinamico โ come nel caso dellโAzienda Agraria Hispellum di Spello o di Fonte Verginedi Terni โ o cereali, come nel caso dell’Azienda Biodinamica Conca dโOrodi Gubbio o Torre Colombaiadi San Biagio della Valle (una frazione di Marsciano). Alcuni caseifici locali producono formaggi con il latte di ovini allevati secondo i principi della biodinamica, come per esempio la Fattoria Il Secondo Altopianodi Orvieto.
Ci si puรฒ associare a diverse organizzazioni di produttori biodinamici, delle quali Demeterรจ riconosciuta a livello globale, mentre lโAssociazione Nazionale per lโAgricoltura Biodinamica, gruppo diffuso a livello nazionale, ha il suo distaccamento umbro proprio a Spello.
La questione del biologico
โBiologicoโ รจ forse la piรน controllata โsebbene fraintesa- nomenclatura che possiamo trovare oggi sulle nostre tavole. Solo una decina di anni fa, il termine era usato in maniera piuttosto approssimativa e senza alcuna certificazione preventiva; adesso invece, attenersi ai severi prerequisiti richiesti dalle etichette significa avere avuto lโautorizzazione ad usare la parola โbiologicoโ da parte di alcune agenzie governative. Lโaccettazione allโinterno di questa rete implica severi controlli delle quantitร e delle tipologie di fertilizzanti usate, il divieto di usare pesticidi e erbicidi, e dichiarazioni sul trattamento sporadico delle colture โ soltanto quando la pioggia o i cambiamenti climatici ne rendono necessario lโuso.
La famosa Foglia Verde รจ garanzia di biologico e indica che il prodotto รจ stato soggetto ad una serie di controlli europei operati sulle direttive della legge 834/2007. In Umbria ci sono una serie di enti che possono conferire la foglia verde, tra cui ICEA, Ecocert (un ente di origine francese), Suolo e Salute, Bioagricert.
Un processo delicato
Per essere riconosciuto come biologico, un prodotto deve essere raccolto o lavorato attraverso strumenti certificati.
Nel caso dei cereali, il coltivatore deve inviare il proprio raccolto ad un molino certificato, come per esempio il Molino Silvestridi Torgiano, che macina e rivende la farine ottenute sia a privati, sia a ristoranti umbri e toscani.
Allo stesso modo, per produrre ad esempio un olio che sia biologico, la spremitura delle olive deve avvenire in un frantoio che abbia ottenuto una certificazione in tal senso. Il momento migliore per macinare รจ la mattina, quando ancora cโรจ la possibilitร di utilizzare macchinari puliti, senza residui di prodotti non biologici.
ยซAnche il piรน lungo dei viaggi inizia con un passoยป, recitava quel polveroso aforisma orientale che sembra esorti lโanimo umano a immolarsi oltre la piรน ardua delle salite,ย oltre quelle torri di fumo che segnano il confine tra ciรฒ che la ragione rifugge e il cuore rivendica.
Yin e Yang, entitร tanto complementari quanto antiteticheย che qui assumono la connotazione di Terra e Cielo, congiunzione ancestrale di quellโordine cosmico che qui si manifestaย in idilli di valli soggiogate da rocche e castelli, fortificazioni dellโanimo e della mente.
Foto by I luoghi del silenzio
La valle dei viandanti
Non a caso il nostro viaggio inizia proprio da una valle, quella di Narco, e dal suo fiume che qui si rivela metafora di un percorso interiore dallโincedere ciclico capace di restituire allโanimo umanoย i gradi di marinaio e naufrago. E allora sorge spontaneo pensare a quellโuomo senza volto, a quellโeroe romantico simboleggiato dal dipinto di Friedrich[1]. Un viandante che porta nel suo nomeย lโidea del percorso, di un peregrinare senza sosta, di una ricerca infinita che si perde nei misteri della vita.
Issata sulla volta del cielo da funi di roccia e granito, laย Val di Narcoย abbraccia il viaggiatore nellโampio respiro del suo ventre iniziandolo a unโesperienza dai contorni onirici,ย in cui gocce dโacqua e di memoria infinitamente piccole celano ciรฒ che รจ infinitamente grande ed eterno. Acqua che quindi รจ armonia ed equilibrium,ย espressione del creazionismo cosmicoย che si eleva al cielo in localitร ย Santa Anatolia di Narco, dove il Nera bagnaย lโAbbazia dei Santi Felice e Mauro, santuario ancestrale che contende agli spiriti arcani del vento e delle stelle i misteri e i silenzi dellโeterno.
Rosone a doppia corolla
Lโabbazia
Consacrata ai due monaci siriani che intorno al V secolo a.C. si insediarono in Val di Narco, lโAbbazia dei Santi Felice e Mauro, vestibolo di ingresso nella contemplazione dello spirito, narra nella polvere acre dei bassorilievi cheย la cingono le vicende dei santi uccisori del drago, nel cui mito si cela la bonifica della valle che le esondazioni del Nera rendevano insalubre. Svestito il saio, quei monaci schivi venuti dalla lontana Siria indossarono le vesti pagane dellโhomo faber, trionfo della tecnica e della sapienza umana, sinonimo di una spiritualitร che qui rifiuta il possesso prometeico della natura perchรฉ rappresentazione di quel motore immobile da cui tutto ha origine e in cui tutto si risolve.
La facciata, ode dagli echi marmorei che celebra la plasticitร del romanico spoletino, tesse tra i cinerei mormorii del Nera pentagrammi di mosaicie affreschi che consacrano alla gloria degli altari le gesta dei santi uccisori del drago. Ammainato tra i rovi di antichi sentieri campestri fioriti nei giardini perduti della Valnerina, il rosone a doppia corolla narra, nel fregio che lo sorregge, le epiche gesta del santo Felice, elemento ornamentale che qui si rivela allegoria dellโesperienza umana, monito scultoreo dallโeffetto bipolare a cui lโartista affida il compito di elevare lo spirito di chi lo contempla per poi ancorarlo al suolo, su quel letto dโarenaria su cui giace la leggenda dei santi sauroctoni, cioรจ uccisori di draghi.
Presbiterio, foto di La Valnerina
[1] Si veda Viandante su mare di nebbia, Caspar David Friedrich, olio su tela, 1818, Hamburger Kunsthalle Amburgo.โ