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Il sangue della Croce

Inaspettatamente, nella Valnerina dipinta dal genius loci, la bussola che orienta questo viaggio incrocia sentieri e percorsi dominati dai colori e dalle asprezze del selvaggio Appennino, una terra primordiale in cui tramonti infuocati incendiano arcani campanili e torri di pietra.

Non a caso, proprio sui sentieri nasce la geografia dell’uomo: camminare per conoscere, perdersi per ritrovarsi tra ragnatele di fughe e di ritorni. Per questo ogni strada che nasce conduce a se stessi, ogni passo che traccia il sentiero aggiunge altri segni, altre storie. Così come nessuna strada nasce solo per andare, perché il primo passo è giù un passo verso il ritorno, anche questi sentieri hanno conosciuto la stanchezza del viaggiatore, la nostalgia del ricordo e la speranza del traguardo. Il pastore, l’escursionista, il pellegrino e il cacciatore in questo angolo di Umbria tormentano la stessa polvere, scrutano lo stesso cielo, bevono a mani giunte dalla stessa sorgente, eppure sono così diverse le orme dei loro passi. Sentieri e percorsi che risalando da Santa Anatolia di Narco, lungo l’antico itinerario montano che porta a Monteleone di Spoleto, scivolano nei pensieri del viaggiatore, come si scivola sui ciottoli del Nera che a valle ruggisce fragoroso nel respiro del vento.

Un luogo da scoprire

Issato sulla volta del cielo da funi di roccia e granito, Gavelli, castello ammainato tra i rovi di sentieri campestri fioriti nei giardini perduti della Valnerina, inquadra, dalle spoglie del cassero morente, simulacri e lineamenti di un antico santuario di montagna che, dal trono lapideo delle torre campanaria, contende agli spiriti arcani del vento e delle stelle misteri e silenzi dell’eterno. Deposto su un letto d’arenaria, il Tempio consacrato all’Arcangelo San Michele, circoscrive lo sguardo del viaggiatore in cinque nicchie quattrocentesche, numero che il fonosimbolismo ebraico sintetizza nella formula he, il soffio divino che, archetipicamente, è ciò che viene insufflato e che dà origine all’uomo e che, tra gli affreschi sanguinanti della Passione, eleva l’animo all’apoteosi della grazia artistica indicando ai fuochi fatui della mente l’asse cartesiano che conduce alla dimensione eterea dello spirito. 

 

La resurrezione di Cristo

La resurrezione

Il Cristo, ridestatosi dal torpore del trapasso, riemerge dalla pietra nuda del sepolcro. Il capo è reclinato; lo sguardo, è celato da palpebre cucite dal dolore; le braccia, scarcerate dalla stretta infausta del sudario, si discostano appena dal corpo mentre il sangue fluisce dalle piaghe e sulla testa è ancora infissa la corona di spine, ricavata da un albero di acacia che nella perennità del legno preserva il trionfo della vita sulla morte. Gli strumenti disposti accanto al sepolcro, richiamano con intento didattico i momenti salienti della Passione: la croce con i chiodi insanguinati, la colonna infame con la corda e i flagelli, l’asta che reca la spugna imbevuta d’aceto divengono immagini del Sommo Sacrificio.
Sul bordo del sepolcro risuona il tragico canto del gallo che annuncia dal podio marmoreo del Golgota il tradimento eretico dell’apostolo Pietro ma che, nel ciclo pittorico, diviene nunzio dell’aurora, araldo a cui il pittore affida il compito salvifico di celebrare la vita eterna conquistata dal Redentore sul patibolo dei chiodi e della croce. Accanto alla mano pietosa della donna che, premonendo l’apoteosi del Maestro versa il balsamo odoroso ai piedi del Redentore, il palmo di chi ha pagato le monete del tradimento versando il tributo della redenzione.