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Alcune ricette tipiche sono parte integrante, a mio avviso, nel processo di โ€œbevagnizzazioneโ€ e, soprattutto chi รจ abituato a sapori decisi, di fronte a certi piatti non sa proprio dir di no!

Bevanate da poco tempo

Avevo giร  raccontato, nell’articolo Son pistoiese, ma grazie a Dante diverrรฒ umbro, le motivazioni che mi hanno spinto a scegliere l’Umbria dove vivere ed essere felice. Sono toscano, per metร  pistoiese e per metร  fiorentino, un po’ guelfo e un po’ ghibellino. Ho convinto anche mia moglie, per metร  livornese e per metร  pisana a lasciar Pistoia come degna tana. L’indecisione su dove mettere residenza era circoscritta ai paesi di Spello, Trevi e Montefalco, ma poi ho scoperto Bevagna ed รจ stato amore a prima vista. Sono ormai passati piรน di due anni, e mai scelta fu piรน azzeccata! Siamo due tasselli di un puzzle mozzafiato, siamo due pedine nel costante processo di bevagnizzazione, neologismo che sta a indicare un modello di vita elegante e al tempo stesso genuino, armonioso e sereno proprio di questo borgo.

 

Chiesa di San Silvestro, foto di Enrico Mezzasoma

Bevagna in poche parole

Descrivere Bevagna in poche parole รจ impresa ardua, il rischio รจ quello di non riconoscere appieno la bellezza e la storia che si respira in ogni vicolo e in ogni piazza. Mi limiterรฒ a suggerirvi di visitare la Cinta muraria (XIII e XIV secolo) con le sue porte e le sue torri, il Palazzo dei Consoli la cui costruzione risale al 1270, la Chiesa di San Michele del 1070, a mio avviso straordinaria, la Chiesa di San Silvestro, notevole esempio di architettura romanica, la Pinacoteca Comunale, tappa imperdibile per gli appassionati di arte religiosa, l’Accolta o lavatoio pubblico, realizzato in un invaso in cui confluiscono le acque del fiume Clitunno che fuoriescono formando una cascata. Piazza Garibaldi, appena entrati da porta San Giovanni, in questo periodo in fase di restauro, รจ destinata a diventare una delle piazze piรน belle dell’Umbria. E poi c’รจ il Mercato delle Gaite, incredibile festa di stampo medievale dove tutta la cittร  viene coinvolta nella rivisitazione della vita a Bevagna tra il 1250 e il 1350.

Abituati ai sapori forti

Da buoni toscani non abbiamo peli sulla lingua, talvolta parliamo con una schiettezza che rasenta la brutalitร . Il parlare con la C aspirata, con il nostro tipico intercalare e con la nostra schiettezza non sempre ci porta a essere simpatici, ma i toscani sono fatti cosรฌ, o si amano o si odiano. I peli non li abbiamo sulla lingua, ma nemmeno sullo stomaco, infatti spesso siamo privi di scrupoli, specialmente in cucina dove non ci preoccupiamo delle conseguenze di fronte a un piatto ignorante.
Siamo abituati fin da piccoli ai sapori forti, a piatti da delinquenti come il carcerato di Pistoia, tipica zuppa a base di interiora, pane raffermo e pepe. Siamo cresciuti a suon di ribollita (zuppa di pane e verdure), lampredotto (abomaso di vitello, quarto stomaco di vitello), buzzini di baccalร  (la trippa del baccalร ) e il cibreo tipica ricetta fiorentina fatta con rigaglie di pollo.
A Livorno e Pisa i ragazzi crescono a padellate di Cacciucco (irriverente zuppa di pesce) e a fette generose di torta co’bischeri (dolce con abbondante cacao). Detto ciรฒ, quando ci siamo trasferiti in Umbria siamo andati alla ricerca di piatti forti e tipici regionali e ce ne sono tre, tutti bevanati, a cui non so dir di no!

 

Baccalร 

I piatti a cui non si dice mai di no!

Il primo รจ il baccalร  con le pacche secche. Ricetta agrodolce da preparare per la vigilia di Pasqua, ma va bene per tutto l’anno.

Ingredienti per 6 persone: 700 gr di filetto di baccalร , sedano, carota, cipolla, un barattolo di polpa di pomodoro, 100 g di uva passa, 200 g di prugne, pinoli e abbondanti spicchi di mela essiccata. Per la mela consiglio di utilizzare la meletta roscia ‘nco, frutto autoctono che si puรฒ reperire, da ottobre in poi, presso il laboratorio vivaio lungo le mura di Bevagna.

Procedimento: dopo aver tenuto il baccalร  per 2 giorni in ammollo, cambiando frequentemente l’acqua, lo si taglia a strisce lunghe 5 centimetri. Far soffriggere in olio extra vergine di oliva cipolla, carota e sedano tritati. Una volta appassiti, aggiungere il baccalร , prugne, uva passa, spicchi di meletta roscia ‘nco essiccati e pinoli. Dopo qualche minuto versare la polpa di pomodoro e continuare la cottura per una quindicina di minuti. Personalmente lo preferisco in bianco, senza l’aggiunta di pomodoro e per rendere la ricetta un po’ piรน teppista lascio 2 o 3 filetti di baccalร  in padella a fuoco vivacissimo fintanto che non si forma una crosticina bronzata. L’accompagno volentieri con un rosato IGP di Montefalco.

 

Il secondo piatto sono le lumache al tegame. Gli antichi Romani apprezzavano molto le lumache, pensavano che avessero proprietร  medicinali e afrodisiache.

Ingredienti per 6 persone: 1 kg di lumache, un ciuffetto di mentuccia, prezzemolo, 5 spicchi d’aglio, 5 alici, 250 g di polpa di pomodoro (di quella buona mi raccomando), ยฝ bicchiere di vino bianco.

Procedimento: le lumache vanno fatte spurgare per parecchi giorni e poi lavate accuratamente in acqua corrente. Messe a lessare, con il loro guscio, con la mentuccia, sale e 2 spicchi d’aglio, vanno fatte cuocere una mezz’ora dopo il punto di bollitura. Preparare a parte un pesto di aglio, prezzemolo e alici e versarlo in una casseruola insieme alle lumache lessate e scolate, con generoso olio extra vergine di oliva. Quando si sono ben insaporite aggiungere la polpa di pomodoro, cuocere ancora un po’ prima di aggiungere il vino bianco. Evaporato il vino ancora 2 minuti e il piatto รจ pronto. Le lumache vanno mangiate belle calde. Ci sono delle simpatiche forchettine per lumache ma noi le preferiamo acciuffarle con il classico stuzzicadenti di legno. A mio parere qui ci vuole un doppio calice per un doppio abbinamento di vino. Se alle lumache si abbina anche una bella fetta di pane abbruschettato e agliato ci vedo bene un rosso di Montefalco, se mangiate in semplicitร  un grechetto ci sta piรน che bene.

 

prodotti tipici umbri

Roveja

 

Il terzo piatto รจ la zuppa di roveja con salsiccia. Cos’รจ la roveja? รˆ un legume di antichissima tradizione e si dice uno degli alimenti portanti della dieta preistorica. Conosciuto anche come pisello di campo si presenta sotto forma di piccole sfere dal colore marrone. Solo pochissime aziende, soprattutto a Castelluccio di Norcia e a Colfiorito, hanno rimesso in coltura questo legume dopo anni di disuso. รˆ un piatto tipico di Bevagna anche perchรฉ facilitati nell’acquistarlo nel tipico negozio specializzato in legumi nei pressi di Porta Cannara (o Porta San Giovanni). La roveja ha bisogno di almeno 24/36 ore di ammollo.

Ingredienti per 6 persone: 500 g di roveja, carota, sedano e cipolla, olio, aglio, timo, alloro, polpa di pomodoro e 4 salsicce (preferibilmente quelle di Norcia).

Il procedimento รจ molto semplice: in una casseruola bella capiente far soffriggere un battuto di carota, sedano e cipolla in olio extra vergine di oliva. Aggiungere la salsiccia a pezzetti e sfumare con vino bianco, quindi mettere uno spicchio di aglio, il timo e l’alloro. Contate fino a venti e versate la polpa di pomodoro e la roveja reidratata dalle ore di ammollo. Salare e pepare quanto basta e continuare la cottura, aggiungendo dell’acqua, fintanto che questo incredibile legume non sarร  abbastanza tenero. Si consiglia di passare un po’ di questo legume nel passaverdure per rendere la zuppa piรน gustosa. Per questa zuppa vedo ben abbinata una birra artigianale decisamente strutturata e aromatizzata, in Umbria c’รจ l’imbarazzo della scelta, di birrifici artigianali ce ne sono a volontร .

Per finire un vinum dulcis

Sto parlando dell’ippocrasso, quel vino dolce e speziato attribuito al padre della medicina moderna Ippocrate di Kos. Io di fronte all’ippocrasso mi comporto esattamente come un tedesco o un inglese quando ordina un cappuccino dopo gli spaghetti alle vongole o alla pizza capperi e acciughe. Lo berrei sempre, in qualsiasi situazione e il fatto che viene consigliato come aperitivo particolare o come digestivo a fine pasto mi consola un po’!

Ingredienti: 1 litro di vino rosso, 100 gr di miele, 3 bastoncini di cannella, 1 cucchiaio di zucchero, 3 chiodi di garofano e un pizzico di noce moscata.

Il procedimento prevede tre passaggi: 1) Pestare le spezie in un mortaio, 2) Versare il vino, il miele e le spezie in un recipiente a chiusura ermetica e lasciate riposare per 24 ore, 3) Filtrare con una garza per ottenere un prodotto limpido.

 

Buon appetito a tutti!

Giulio Gigli, giovane chef di successo che dellโ€™uso della materia prima, della stagionalitร  e dei prodotti tipici del territorio, ha fatto il suo credo: la tradizione viene abbinata alle sapienti tecniche culinarie apprese durante le sue importanti esperienze fatte in ristoranti stellati internazionali e in varie parti del mondo.

Aglione, foto di Andrea Di Lorenzo

Qualche tempo fa ho incontrato Giulio a casa mia e, durante unโ€™amabile chiacchierata sullโ€™aglione, ce ne siamo raccontate sui pregi e sulle caratteristiche di questa eccellenza da poco riconosciuta come risorsa genetica autoctona di interesse agrario inscritta nel registro della Regione Umbria, grazie alle pratiche istruite dal Parco 3A-PTA, in particolare dallโ€™ufficio gestito da Luciano Concezzi, con protagoniste Livia Polegri e Marta Gianpiccolo che hanno istruito la domanda di richiesta, in aggiunta a un contributo del vostro inviato lacustre, che รจ stato coinvolto in merito.
La premessa รจ dovuta, anche perchรฉ la chef nonchรฉ produttrice di grani antichi Valentina Dugo, ha innescato il contatto con Giulio Gigli, a proposito dellโ€™aglione. E da qui nasce lโ€™interesse di chef Giulio, che venne a casa mia prima di andare in Slovenia per una sua consulenza destinata a un noto ristorante stellato, dove portรฒ anche lโ€™aglione come prodotto tipico da utilizzare in quel luogo. Per dare un seguito e condivisione al nostro incontro, preparai a Giulio la mia ricetta della pasta allโ€™aglione, che ha molto apprezzato e non solo a parole.
Successivamente ci sono stati altri incontri, dove Giulio mi fece degustare una bontร  unica, quella dei fiori dโ€™aglione preparati secondo la sua tradizione familiareโ€ฆ una squisitezza.
Giulio, durante le nostre amabili conversazioni, mi ha raccontato del suo progetto, della sua filosofia di proporre piatti della tradizione con lโ€™innovazione a fargli da spalla e di realizzare un orto per la stagionalitร  dei prodotti da usare nelle sue ricette.

Tutto molto bello e suggestivoโ€ฆ e Giulio ce lโ€™ha fatta! Bravo! Lโ€™uso dellโ€™aglione, della roveja, della fagiolina del lago Trasimeno, del sambuco viene affiancato dai frutti della terra del periodo che produce il suo orto, che Giulio ha realizzato negli spazi adiacenti il suo ristorante che apre alla stagionalitร , tipicitร , unicitร  dei prodotti che, dal vicino campo, porta in tavola. Il tutto arricchito dalle tecniche culinarie che lui utilizza con gran maestria, dopo averle fatte sue dalle cucine dei ristoranti famosi e stellati dove ha lavorato.

Lo chef Giulio Gigli, foto di Andrea Di Lorenzo

La sua nuova fucina culinaria si trova a Capodacqua di Foligno, รจ il ristorante UNE, un antico mulino ad acqua del Quattrocento, la sua struttura รจ visibile allโ€™interno dei locali, ristrutturato in modo molto capace e accogliente che fa sentire subito a proprio agio e captare il messaggio che Giulio con il suo progetto, ha voluto imprimere e donare ai suoi visitatori/degustatori. Infatti UNE significa acqua in antico umbro e qui di acque ne siamo circondati oltre che di sapori, profumi, tradizione e innovazione.
Il progetto di Giulio Gigli, chef dโ€™avanguardia in nome della tradizione, ha come mission quella di deliziare nel palato e nella mente i degustatori che vorranno apprezzare i prodotti tipici stagionali trattati con eccellenti tecniche culinarie stellate. Unโ€™ottima scelta di vini da abbinare ai piatti, completa lโ€™intrigante offerta gustativa.
La mia visita presso il ristorante di Giulio, ben conferma quanto scritto. Vale la pena andare a Capodacqua di Foligno, al ristorante UNE, dove le stagionalitร  dei prodotti alimentari vi aspettano sui tavoli del ristorante, provenienti direttamente dallโ€™orto di Giulio Gigli, chef di successo, che parla con nuovi e incantevoli linguaggi dโ€™arte culinari, tutti da percorrere per straordinarie e indimenticabili esperienze di gusto!

Ingredienti:

  • 400 g di farina di roveja
  • 2 l di acqua salata
  • 5 filetti dโ€™acciuga sottโ€™olio, piรน altri per decorare
  • 2 spicchi dโ€™aglio
  • olio EVO q.b.

 

Preparazione:

Mettete sul fuoco la pentola con lโ€™acqua salata. Appena lโ€™acqua arriva a ebollizione, versatevi la farina di roveja a pioggia e mescolate energicamente con una frusta per evitare che si formino grumi. Mantenendo un fuoco lento, continuate a girare la polenta con un mestolo di legno per circa 40 minuti. Mentre la Farecchiata cuoce, in una padella antiaderente scaldate lโ€™olio extravergine con gli specchi di aglio interi; quando saranno dorati rimuoveteli e inserite i filetti di acciughe, lasciandoli sciogliere lentamente a fuoco lento. Raggiunta la cottura della polenta rimuovetela dal fuoco, versatela nei piatti e condite con lโ€™olio insaporito che avete preparato; fatela riposare un minuto, poi servitela con un filetto di acciuga arrotolato al centro del piatto. La vostra Farecchiata di Roveja รจ finalmente pronta per essere gustata.
Una variante stuzzicante: per rendere piรน croccante la vostra Farecchiata, tagliatela a fette, friggetela e servitela con un filetto di acciuga.

 


La Farecchiata, (o polenta con farina di Roveja), รจ una polenta tipica dal gusto delicato e lievemente amarognolo che viene preparata in diverse zone delle Marche, ma soprattutto nella zona di Castelluccio di Norcia, in Umbria. Si tratta di un piatto antichissimo della tradizione pastorale castellucciana: un’importante fonte di sostentamento
ย per le famiglie di pastori e contadini dei Monti Sibillini. Un piatto molto povero ma che si mantiene nel tempo, ragion per cui in passato fungeva da colazione proprio per i pastori della zona. L’ingrediente principale รจ la Roveja, un piccolo e saporito legume di colore marroncino, simile ai ceci ma dal sapore piรน forte. Conosciuta anche come pisello dei campi, robiglio o corbello, la roveja รจ un legume antico, che rischia di scomparire a causa delle difficoltร  legate alle condizioni impervie del territorio e alla morfologia della pianta. Ad oggi, infatti, sopravvive soltanto in una zona circoscritta della Valnerina grazie all’impegno di alcuni agricoltori che operano nella localitร  di Preci (Cascia), dove si trova anche un’antica fonte chiamata dei rovegliari. Estremamente nutriente, con un elevato apporto di proteine, fosforo, carboidrati e un ridotto contenuto di grassi, la roveja รจ oggi Presidio Slow Food.

L’itinerario tra i sapori e gli aromi della Valnerina prosegue con altri prodotti di questa terra.

Dopo aver assaporato le lenticchie, il miele e la trota del Nera, il viaggio prosegue con altre prelibatezze nostrane.

Roveja

Questa รจย la storia di alcuni piccoli semi colorati, di due donne tenaci e di un barattolo di vetro. Umbria, Civita di Cascia 1998: Silvana e Geltrude, mentre riordinano la cantina della casa ricostruita dopo il terremoto del ’79, trovano un polveroso barattolo di vetro pieno di semi colorati. Sono rossi, verdi, marroni e neri, insieme a un foglietto sbiadito dal tempo con scritto a matita un nome misterioso: roveja. Trattasi di un legume che sboccia sulle alture dellโ€™Appennino Centrale, tra i proverbi degli alberi e i misteri della montagna, per unirsi senza indugio al bouquet delle eccellenze gastronomiche umbre. Ed รจ proprio lo spirito selvaggio a rendere ancora piรน accattivante la roveja, piccolo ed eroico legume divenuto Presidio Slow Food e sopravvissuto grazie a Silvana e Geltrude allo scorrere del tempo. Cosรฌ nel 2006 la roveja, antico pisello selvatico, considerato quasi erba infestante, torna a fiorire in Valnerina. O forse non aveva mai smesso.

Le norcinerie della Valnerina, foto by Officine Creative Italiane

Norcinerie

Cโ€™รจ un mestiere, nel cuore della Valnerina, che custodisce tra le epigrafi della sapienza umbra lโ€™identitร  di un territorio dal sapore speziato, un atlante le cui pagine invecchiano sotto archi e volte di pietra scavate dal vento, tra gli echi cinerei della tradizione e della memoria: il Norcino, poeta di unโ€™Umbria arcaica celebrata nei templi sacri dei sapori italici, tra orchestre di incensi dagli aromi primordiali. Un sentimento, quello tra uomo e suino, che da elemento antropologico diventa orizzonte culturale e identitario di una cosmologia di artigiani e scultori che conserva nella ritualitร  di antichi costumi il ricordo una civiltร  rurale germogliata tra i sussurri del Tempo. Lโ€™uccisione del maiale,ย cerimoniale arcaico sbocciato le ceneri del Paganesimo, segna nel lunario contadino lโ€™acme della ritualitร  agraria consegnando allโ€™eternitร  della memoria popolare ย pagine acri di una drammaturgia proiettata sugli orizzonti di una civiltร  rurale che evoca, nello svolgimento della macellazione, fantasmi e torri di fumo appartenuti alla mitologia greca e riconducibili al culto dellโ€™ancella Maia, divinitร  consacrata allโ€™agricoltura sui cui altari scorreva il sangue dei maiali immolati in suo onore. Perpetuata con sacralitร  e mistica devozione la lavorazione del maiale, trionfo di sapori e di antichi sentimenti, in Umbria diventa anfiteatro di unโ€™impenetrabile tradizione magico-superstiziosa che individuava in alcune caratteristiche delle interiora della bestia visioni profetiche e rivelatrici.

Zafferano, foto by Officine Creative Italiane

Lo Zafferano

Lโ€™arcano mistero che avvolge lโ€™etimologia della parola Crocus Sativus,ย denominazione scientifica con cui viene comunemente indicato lo Zafferano, si perde nella leggenda del fanciullo Crocco che, avvolto nellโ€™aurea letteraria delle Metamorfosi di Ovidio, si innamorรฒ mortalmente della ninfa Smilace,ย per poi essere tramutato in un biondo fiore diย  zafferano. Simbolo di augurio e prosperitร  coniugale ancora oggi, in Oriente,il Crocus Sativus viene regalato come auspicio di lunga vita in virtรน delle proprietร  terapeutiche e afrodisiacheย con cui esalta il corpo . Impiegato nel corso dei secoli per ottenere il colore giallo nella preparazione delle tonalitร  pastello destinate agli affreschi e per tingere vesti e tessuti, allo Zafferanoย vengono attribuite nobili proprietร  cosmetiche e officinali. La coltivazione dello Zafferano, espressione identitaria della storia e dei costumi umbri, attinge alle esperienze di un passato importante inteso come patrimonio prezioso dal quale trarre ispirazione. Un lavoro in cui lโ€™elemento umano รจ esclusivo: dalla preparazione delย  terreno,alla scelta dei bulbiย passando per il momento della sfioratura fino al confezionamento del prodotto finaleย a fare da cornice a questo arcaico cerimoniale liturgico spetta a montagne dai sapori forti, anfiteatri di roccia e calcare che potenti si stagliano allโ€™orizzonte.


La prima parte