fbpx
Home / Posts Tagged "itinerari"

La manifestazione ferragostana Trasiremando è giunta alla sua ottava edizione e anche quest’anno ha attratto a Passignano sul Trasimeno un gran numero di imbarcazioni a remi di tutti i tipi, in un raduno non competitivo dedicato agli amanti della natura e delle attività outdoor.

Quando Matteo dall’Isola, precettore e letterato lacustre del XVI secolo, nel suo poema mitologico La Trasimenide descrive dettagliatamente le barche in uso sul lago Trasimeno in quegli anni, correda le parole con dei disegni e così ci ha tramandato una serie di importantissime informazioni storiche sulla pesca, i suoi metodi e le attrezzature utilizzate. Sulle barche, in particolare, racconta che erano tutte costruite attorno a una zattera centrale detta uscio, dalla quale prendevano forma tutte le tipiche imbarcazioni in legno del Trasimeno.
La particolarità che ha dato origine alla remata tipica del Trasimeno è la posizione degli scalmi o cavijoni – lo scalmo rappresenta l’elemento di appoggio del remo sull’imbarcazione. Troviamo uno scalmo a destra verso la poppa (parte posteriore), che serve per spingere e direzionare la barca, e uno centrale a sinistra, utilizzato solo per spingere. Nelle imbarcazioni di Passignano e Isola Maggiore, gli scalmi si trovano a specchio rispetto alle barche delle altre zone del lago.

 

Le barche di Trasiremando

 

Matteo dall’Isola ci racconta di una serie di barche utili per la pesca, così come ha scritto anche Giannantonio de Theolis, detto Il Campano, nella sua Thrasimeni descriptio del XV secolo, dove i nomi barchino, barca, barchetto, barcone, navigiolo e nave ci fanno capire quanti tipi di imbarcazioni venissero usate e che gran traffico navale ci fosse in quel periodo sul lago.
Anche in quest’ultimo ferragosto c’è stato un gran via vai di barche sul lago, esattamente a Passignano sul Trasimeno: nei pressi del vecchio pontile ce n’erano alcune tipiche del Trasimeno, simili a quelle descritte da Matteo dall’isola e da Giannantonio il Campano. A queste se ne sono aggiunte molte altre, tipo kayak, sup, canoe, canotti gonfiabili che, tutte insieme, all’esplodere di un potente mortaretto, hanno dato inizio alla Trasiremando 2019. Si tratta di un raduno non competitivo aperto a tutte le imbarcazioni a remi, che si svolge ogni anno il 15 agosto sul lago Trasimeno.
In questa edizione si sono iscritti più di cento tra mono e pluri equipaggi, di svariata provenienza e tipologia. Ha fatto scalpore la presenza di un partecipante in canoa munito di un elmo da antico romano, un vezzo distintivo del maturo e simpatico rematore. Non ci sono ambizioni agonistiche durante il raduno, come previsto da programma, ma, nel prepartenza, tra stesse tipologie di galleggianti è nato un silente e spontaneo gareggiamento per chi avesse spinto più forte. In aggiunta si è notata qualche canzonatura, che rimbalzava non solo tra differenti equipaggi, ma anche all’interno dello stesso: come avviene di consueto in ogni manifestazione non agonistica… in attesa del via. Anche questo rende tipica la Trasiremando.

 

Partenza. Via!

Boom! Partiti! Meraviglioso vedere oltre cento equipaggi lanciarsi dalla stessa linea di partenza, tutti diretti verso l’Isola Maggiore, taluni scegliendo il percorso di 10 chilometri, altri quello di 22. Chi è partito di gran carriera, chi secondo le proprie forze e chi ancora si sta attardando, mentre si fa un selfie; l’antico romano è partito di buona lena.
Tutto meravigliosamente vero! La quasi totalità dei partecipanti ha scelto il percorso da 10 chilometri e si è notato quando in lontananza gli equipaggi sono spariti alla vista, coperti dal sinuoso profilo dell’Isola Maggiore. Dopo aver compiuto mezzo giro intorno a essa, hanno fatto capolino dal lato di uscita e hanno decisamente puntato, come fossero una flotta di cannoniere da guerra, verso Passignano e non verso San Feliciano, tappa obbligata per il percorso più lungo. Tutti bravi e simbolicamente tutti vincitori! A dir la verità c’è stato anche chi ha vinto concretamente: una bella canoa in premio, sorteggiata tra i soli iscritti! Gli esperti che l’hanno vista, hanno confidato – con leggera e sana invidia – che è di ottima qualità!
A dare il via è stata la vicesindaco di Passignano, Paola Cipolloni, che ha dichiarato: «La Trasiremando si conferma una manifestazione rappresentativa per la promozione del territorio e del turismo in genere, in una sana e amichevole compagnia tra i partecipanti e in onore di un’impegnativa prestazione sportiva anche se non agonistica; l’evento viene accolto con curiosità partecipativa da chi è visitatore o iscritto al raduno».

 

 

Al termine della remata, gli organizzatori hanno previsto un momento conviviale che è sfociato in un gustoso e simpatico pranzo di Ferragosto, con tutti i partecipanti e i loro accompagnatori.
La manifestazione è nata qualche anno fa da un’idea di Luca Briziarelli, Marco Martinelli, Alessandro Bigerna e Daniele Giappichelli. L’organizzazione dell’evento è affidata all’A.s.d. Centro Rematori Passignano con la collaborazione del Circolo Rematori di San Feliciano, che la sera prima, sul lungolago felizianese, ha dato il via all’anteprima di Trasiremando con una buonissima e allegra Cena sotto le stelle e la presentazione del romanzo giallo La ragazza del canneto, scritto dal vostro inviato lacustre ed edito da Armando Editore.
È successo tutto sotto il buon occhio del generoso Tarsminass, il nome etrusco del benamato lago, mentre ci è sembrato di sentire Matteo dall’Isola che ci raccontasse, leggendo un passo della sua Trasimenide, la struggente storia d’amore del principe etrusco Trasimeno con la bellissima ninfa Agilla.

L’Italia è considerata dall’UNESCO un museo a cielo aperto. Chiese, palazzi, antichità romane, greche, etrusche, arabe, longobarde, ponti, quadri, affreschi, statue. In Italia tutto è arte.

L’Italia nasconde un patrimonio artistico che pochi conoscono e che riassume in sé le storie di ogni epoca: le pietre. Le pietre sono ovviamente di pietra, non si muovono, ma parlano in silenzio. A modo loro narrano storie di viaggi, di tradimenti, di amori e di curiosità. Ci sono pietre lisce o scalpellinate e pietre con iscrizioni o ancora meglio con bassorilievi; pietre importate e pietre di spoglio e pietre su pietre. Poi c’è il colore, la grana e la tessitura. Insomma, quella che sembra un semplice pezzo di costruzione racchiude in sé una storia infinita.

Il colore delle pietre

Arroccate in cima alle colline del centro Italia, si vedono montagne di pietra a forma di paese e di città. Ogni regione ha un colore diverso. Si parte dal grigio della pietra serena in Toscana per arrivare al marrone del tufo nell’Etruria. Assisi è rosa come la pietra del Subasio che la sovrasta e anche l’altopiano di San Terenziano ha la sua pietra rosa. Poi, scendendo, c’è il travertino laziale e la bianca pietra leccese e così via. Semplice, basta sapere qual è la pietra della zona e non c’è altro da vedere. Non è così, questo è solo l’inizio.

 

Gualdo Cattaneo

La chiesa Madre

Cinema e tivù ci hanno fatto conoscere la Casa nella prateria o le villette americane a schiera rigorosamente fatte di legno, spazzate via dagli uragani o bruciate da cima a fondo. L’Italia, invece ha marmi e pietre che non bruciano, che non volano, che sono ancora in piedi da 2.000 anni e che sono state rimescolate e distribuite come un mazzo di carte. Per imparare a guardare e capire, è meglio iniziare da un paese piccolo come Gualdo Cattaneo, che si affaccia sulla valle del Puglia e spazia sulla valle Umbra. Dal mastio si vede Spello, Foligno e anche la rocca di Spoleto. Se vedi, sei visto – quindi sei ambito. Gualdo Cattaneo è stato l’oggetto del desiderio delle città guerriere della zona, e papa Alessandro VI Borgia l’ha acquistata per costruire la rocca. Punto forte, imprendibile dai temibili perugini. La salita, il mastio e poi la piazza e la chiesa Madre: il centro del paese è raggiunto.
Si inizia dalla chiesa, anzi dalle fondamenta della chiesa, che sono visibili dalla strada dietro l’abside. La chiesa posa su pietre gigantesche e pesantissime, portate lì dai mitici Ciclopi, così salde che nessun terremoto le ha abbattute. Difficile trovare fondamenta più solide. Erano le mura antichissime di Gualdo. Perché hanno edificato una chiesa sulle antiche mura? Perché non si butta via niente e perché se è solido e già pronto, lo si usa. Se è bello e decorativo, lo si sposta in altro luogo. Sulla facciata della chiesa si vedono i simboli dei quattro evangelisti. Due sono bianchi e due rosa. Tutta pietra importata: rosa da San Terenziano e bianca da Giano. Poi si entra in chiesa e si scende nella cripta.
La cripta, come quasi tutte, è costruita con materiale di spoglio. Colonne e capitelli che giacevano da qualche parte abbandonati, resti delle imponenti costruzioni di epoca romana ormai in rovina, sono stati riutilizzati lì sotto. Questo è il riuso migliore, perché i marmi romani, anche quelli imperiali, furono fusi per farne mattoni.

Un tour tra le pietre

Povertà e religiosità fondamentalista hanno fatto dei danni incalcolabili. Abbiamo perso un numero infinito di opere d’arte, ma ne abbiamo ancora alcune, anche se smembrate. Lasciata la chiesa, si gira per il paese, guardando in alto e in basso. Si vedono finestre gotiche murate o modificate. Si vedono travertini, esistenti solo altrove – magari a Giano – inseriti come punto di sostegno nei palazzi. Qui e là si trovano pietre con iscrizioni di ogni epoca, da quella romana in poi, inserite perché mancava un mattone o semplicemente perché erano decorative; oppure perché erano il ricordo di un avvenimento. Si scoprono porte murate a un metro e mezzo dal suolo, ma con il piano di calpestio invariato. La paura dei topi faceva costruire in sicurezza. Si usciva scendendo da una scaletta di legno volante, che la sera si ritirava in casa. Un po’ come facevano i Walser, che abitavano le Alpi, e costruivano le loro case di legno su funghi di pietra.
Se volete avventurarvi in mezzo alle pietre, e saperne di più, vi potete rivolgere al comune di Gualdo Cattaneo, che organizza delle visite guidate sotto la supervisione del dottor Andrea Peruzzi, un vero esperto di arte lapidaria e di epigrafia. Vi divertirete!

Parlando di recente con una mia cara amica che ha deciso di trascorrere le sue vacanze in Umbria, mi sono trovata a dare consigli su itinerari locali a tema design! Pensando a quali tappe potessero essere più curiose e interessanti, non ho potuto far a meno di mescolare il design all’artigianato e all’architettura, sfaccettature di un unico grande ambito fatto di manualità, progettualità e creatività che caratterizza fortemente il territorio umbro.

Uno scorcio di piazza Nuova

 

Durante la nostra chiacchierata, la mia amica è rimasta piacevolmente sorpresa dalla quantità di piccole e grandi realtà che operano in questi ambiti, ma, a dir la verità, ciò che ha trovato più interessante – specie per sua deformazione professionale! – è stata la figura di Aldo Rossi, architetto e designer che ha lavorato a Perugia redigendo, negli anni Ottanta, il progetto per la riqualificazione del quartiere Fontivegge, disegnando un nuovo volto per la ex Piazza del Bacio, oggi Piazza Nuova.
Racconto anche a voi ciò che ho raccontato a lei pochi giorni fa e vi lascio qualche indicazione per una breve escursione attraverso questa opera di architettura, la più importante della Perugia del Novecento.

L’itinerario

Lasciando l’automobile a Pian di Massiano e usufruendo del trasporto in Minimetrò, si può facilmente raggiungere il quartiere di Fontivegge che, a pochi passi dalla stazione ferroviaria, ospita il complesso di edifici a uso direzionale e residenziale che abbracciano lo spazio della piazza.
Arrivando dalla stazione, si accede a questo spazio superando un’ampia scalinata; appena saliti, la sensazione che si prova è quella di essere estremamente piccoli, data l’imponenza delle costruzioni che circondano tale spazio urbano. L’occhio è subito rapito dall’edificio principale, un moderno tempio con orologio, caratterizzato da un massiccio colonnato con scalinata che, come una fortezza, domina l’area; ai lati, due altri edifici dal carattere fortemente razionale. Al centro della piazza troneggia una fontana dalle linee rette e dall’aspetto monolitico, oggi – ahimè – senza acqua. Completano la moderna acropoli altri edifici a uso residenziale e commerciale.
L’architetto accetta l’incarico nel 1983, progettando il tanto atteso centro direzionale. Nel decennio precedente era stato infatti annullato il concorso internazionale bandito dall’amministrazione comunale, poiché il progetto vincitore era sovradimensionato e oneroso per i tempi di crisi che correvano negli anni Settanta.

 

Ex piazza del Bacio e le ciminiere della vecchia Perugina

Le forme dell’architettura

Rossi, che è stato il primo italiano a vincere il Premio Pritzker per l’architettura, progetta una lunga piazza pedonale lastricata di mattoni che segue la pendenza naturale del terreno, caratteristica di molte piazze di centri storici umbri, con una fontana al centro. Cercando un dialogo e un’integrazione con il passato, Aldo Rossi – in questo come in molti altri progetti – fa uso di archetipi, forme geometriche elementari ricorrenti nella storia dell’architettura, facilmente riconoscibili e capaci di rendere il progetto sorprendentemente innovativo e tradizionale allo stesso tempo.
A tale proposito c’è chi ha voluto vedere in Piazza Nuova la riproposizione in chiave moderna di Piazza IV Novembre con la gradinata di San Lorenzo, Palazzo dei Priori e la Fontana Maggiore.
Le geometrie pure ed essenziali sono ricorrenti anche nei suoi progetti da designer; all’inizio degli anni Ottanta, Rossi si dedica a questo tipo di attività progettando per Alessi delle architetture in miniatura, realizzando poetici paesaggi domestici in piccola scala; il progetto Tea&Coffee Piazza è la concretizzazione di tale definizione.

Intrecci di storie, attività e progetti

Una storia ricca di contaminazioni, quindi. Vi lascio con un’ultima nota degna di attenzione: passeggiando verso il parco in quello che altro non è che un luogo di transito per molti dipendenti degli uffici della Regione Umbria, si nota una curiosa struttura conica a mattoncini risalente agli anni Venti, che ne spezza il rigore. È la testimonianza del suo originario utilizzo, destinato a una delle più importanti attività del perugino; questa torre a mattoncini è infatti un reperto di archeologia industriale: si tratta di una delle vecchie ciminiere della fabbrica di confetti e cioccolatini Perugina che occupò questo luogo dal 1915 (anno in cui, oltre alla produzione di confetti, entrano in funzione la linea di produzione del cacao in polvere e del burro di cacao) fino al 1965, anno del trasferimento al nuovo stabilimento industriale di San Sisto.
Il progetto originario, che comprendeva anche la costruzione di un teatro, non è mai stato completato e la Piazza Nuova di Rossi non ha mai ricoperto quel ruolo di moderna acropoli auspicato dai più all’epoca del progetto. Conserva però intatto il fascino di monumento.
«Ho sempre pensato all’architettura come monumento…solo quando essa si realizza come monumento costituisce un luogo». A. Rossi
Anche la Piazza Nuova di Rossi è destinata ad avere una nuova riqualificazione; proprio in questi giorni sono iniziati i lavori per l’attuazione di un progetto presentato dall’amministrazione comunale. Chissà se finalmente questo luogo riuscirà ad avere il tanto atteso ruolo sociale e urbano pensato da Rossi?

 

Inaspettatamente, nella Valnerina dipinta dal genius loci, la bussola che orienta questo viaggio incrocia sentieri e percorsi dominati dai colori e dalle asprezze del selvaggio Appennino, una terra primordiale in cui tramonti infuocati incendiano arcani campanili e torri di pietra.

Non a caso, proprio sui sentieri nasce la geografia dell’uomo: camminare per conoscere, perdersi per ritrovarsi tra ragnatele di fughe e di ritorni. Per questo ogni strada che nasce conduce a se stessi, ogni passo che traccia il sentiero aggiunge altri segni, altre storie. Così come nessuna strada nasce solo per andare, perché il primo passo è giù un passo verso il ritorno, anche questi sentieri hanno conosciuto la stanchezza del viaggiatore, la nostalgia del ricordo e la speranza del traguardo. Il pastore, l’escursionista, il pellegrino e il cacciatore in questo angolo di Umbria tormentano la stessa polvere, scrutano lo stesso cielo, bevono a mani giunte dalla stessa sorgente, eppure sono così diverse le orme dei loro passi. Sentieri e percorsi che risalando da Santa Anatolia di Narco, lungo l’antico itinerario montano che porta a Monteleone di Spoleto, scivolano nei pensieri del viaggiatore, come si scivola sui ciottoli del Nera che a valle ruggisce fragoroso nel respiro del vento.

Un luogo da scoprire

Issato sulla volta del cielo da funi di roccia e granito, Gavelli, castello ammainato tra i rovi di sentieri campestri fioriti nei giardini perduti della Valnerina, inquadra, dalle spoglie del cassero morente, simulacri e lineamenti di un antico santuario di montagna che, dal trono lapideo delle torre campanaria, contende agli spiriti arcani del vento e delle stelle misteri e silenzi dell’eterno. Deposto su un letto d’arenaria, il Tempio consacrato all’Arcangelo San Michele, circoscrive lo sguardo del viaggiatore in cinque nicchie quattrocentesche, numero che il fonosimbolismo ebraico sintetizza nella formula he, il soffio divino che, archetipicamente, è ciò che viene insufflato e che dà origine all’uomo e che, tra gli affreschi sanguinanti della Passione, eleva l’animo all’apoteosi della grazia artistica indicando ai fuochi fatui della mente l’asse cartesiano che conduce alla dimensione eterea dello spirito. 

 

La resurrezione di Cristo

La resurrezione

Il Cristo, ridestatosi dal torpore del trapasso, riemerge dalla pietra nuda del sepolcro. Il capo è reclinato; lo sguardo, è celato da palpebre cucite dal dolore; le braccia, scarcerate dalla stretta infausta del sudario, si discostano appena dal corpo mentre il sangue fluisce dalle piaghe e sulla testa è ancora infissa la corona di spine, ricavata da un albero di acacia che nella perennità del legno preserva il trionfo della vita sulla morte. Gli strumenti disposti accanto al sepolcro, richiamano con intento didattico i momenti salienti della Passione: la croce con i chiodi insanguinati, la colonna infame con la corda e i flagelli, l’asta che reca la spugna imbevuta d’aceto divengono immagini del Sommo Sacrificio.
Sul bordo del sepolcro risuona il tragico canto del gallo che annuncia dal podio marmoreo del Golgota il tradimento eretico dell’apostolo Pietro ma che, nel ciclo pittorico, diviene nunzio dell’aurora, araldo a cui il pittore affida il compito salvifico di celebrare la vita eterna conquistata dal Redentore sul patibolo dei chiodi e della croce. Accanto alla mano pietosa della donna che, premonendo l’apoteosi del Maestro versa il balsamo odoroso ai piedi del Redentore, il palmo di chi ha pagato le monete del tradimento versando il tributo della redenzione.