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Santa Anatolia di Narco, acquerello dalle venature arcadiche dipinto sullโ€™antica tela della Valnerina, nasconde, tra le voci dei mulinelli dโ€™acqua che il Nera ricama in gocce di rugiada e ciottoli dโ€™arenaria, la memoria del Fiume Sacro e della sua gente.

Una discendenza di uomini e tessitori che, scolpiti sui tramonti infuocati che in Val di Narco annunciano lโ€™arrivo dellโ€™inverno, abbandonava nella polvere acre dei solchi gioghi e aratri per impugnare telai e fusi di frassino, violini tormentati da mani nodose le cui corde raccontano di un territorio dal volto millenario che, nella lavorazione della canapa, custodisce la genesi della secolare sapienza umbra.

 

Santa Anatolia di Narco, foto di Enrico Mezzasoma

 

Un territorio, la Val di Narco, che racconta storie di antichi mestieri e di ruvidi telai, esperienze agresti a cui il Nera affida il compito di tracciare la rotta errante del viaggiatore, funambolo romantico dallo zaino in spalla allโ€™incessante ricerca di meridiani e paralleli interiori, in bilico sul filo sottile ed etereo del veleggiare umano. Stelle polari puntate sul sipario della storia indicano a chi sceglie questo petalo di Valnerina una visione scarcerata da orizzonti e confini, che riaffiora limpida tra le increspature del tempo e della memoria, ai piedi di alberi maestri su cui fioriscono le vele della civiltร  umbra.

 

 

Il Museo della Canapa, foto di Officine Creative Italiane

Il Museo della Canapa

Azimut e zenit, costellazioni e punti cardinali che, varcata la soia del Museo della Canapa, assumono i contorni di telai e fusi di frassino, rose dei venti che ripercorrono le vicende di un territorio antico in cui il tempo si traduce in tradizione per poi perdersi nellโ€™alba della storia.
Mestieri dal fascino arcaico che si materializzano nella ricostruzione museale di antichi laboratori tessili e di percorsi didattici che conservano idilli e frammenti di una civiltร  secolare, quella umbra.

 

Il Museo della Canapa, foto di Officine Creative Italiane

 

Un museo che non รจ solamente spazio espositivo, ma luogo della memoria, dove convivono e si intrecciano le trame di una storia antica, mani di tessitori e tessitrici le cui voci risuonano lapidee tra le latitudini del tempo. Esperienze del passato proiettate nel futuro, ecco il motivo migliore per cui scegliere il Museo della Canapa. A suggerirci questa interpretazione รจ unโ€™opera dโ€™arte esposta nella sede del museo e divenuta a tutti gli effetti unโ€™icona – Spinning Dolls dellโ€™artista inglese Liliane Lijn –ย  una riproduzione in chiave contemporanea del mondo femminile e del suo antico legame con la tessitura.
E allora lโ€™immaginazione torna a indugiare sui passi compiuti dal protagonista di questa Umbria inattesa, il tessitore, chino sullโ€™anima del telaio fra i mormorii inquieti di ombre e fantasmi che accompagnano gli echi di una civiltร  rurale indimenticata e indimenticabile. Un mestiere arcaico nato tra le luci soffuse di antiche lampade a olio, una lavorazione che diviene inesorabilmente liturgia figlia del tempo, imprigionata per sempre fra le trame della tradizione popolare.

 

Il Museo della Canapa, foto di Officine Creative Italiane

ยซAnche il piรน lungo dei viaggi inizia con un passoยป, recitava quel polveroso aforisma orientale che sembra esorti lโ€™animo umano a immolarsi oltre la piรน ardua delle salite,ย oltre quelle torri di fumo che segnano il confine tra ciรฒ che la ragione rifugge e il cuore rivendica.

Yin e Yang, entitร  tanto complementari quanto antiteticheย che qui assumono la connotazione di Terra e Cielo, congiunzione ancestrale di quellโ€™ordine cosmico che qui si manifestaย in idilli di valli soggiogate da rocche e castelli, fortificazioni dellโ€™animo e della mente.

 

Foto by I luoghi del silenzio

La valle dei viandanti

Non a caso il nostro viaggio inizia proprio da una valle, quella di Narco, e dal suo fiume che qui si rivela metafora di un percorso interiore dallโ€™incedere ciclico capace di restituire allโ€™animo umanoย i gradi di marinaio e naufrago. E allora sorge spontaneo pensare a quellโ€™uomo senza volto, a quellโ€™eroe romantico simboleggiato dal dipinto di Friedrich[1]. Un viandante che porta nel suo nomeย lโ€™idea del percorso, di un peregrinare senza sosta, di una ricerca infinita che si perde nei misteri della vita.
Issata sulla volta del cielo da funi di roccia e granito, laย Val di Narcoย abbraccia il viaggiatore nellโ€™ampio respiro del suo ventre iniziandolo a unโ€™esperienza dai contorni onirici,ย in cui gocce dโ€™acqua e di memoria infinitamente piccole celano ciรฒ che รจ infinitamente grande ed eterno. Acqua che quindi รจ armonia ed equilibrium,ย espressione del creazionismo cosmicoย che si eleva al cielo in localitร ย Santa Anatolia di Narco, dove il Nera bagnaย lโ€™Abbazia dei Santi Felice e Mauro, santuario ancestrale che contende agli spiriti arcani del vento e delle stelle i misteri e i silenzi dellโ€™eterno.

 

Rosone a doppia corolla

Lโ€™abbazia

Consacrata ai due monaci siriani che intorno al V secolo a.C. si insediarono in Val di Narco, lโ€™Abbazia dei Santi Felice e Mauro, vestibolo di ingresso nella contemplazione dello spirito, narra nella polvere acre dei bassorilievi cheย la cingono le vicende dei santi uccisori del drago, nel cui mito si cela la bonifica della valle che le esondazioni del Nera rendevano insalubre. Svestito il saio, quei monaci schivi venuti dalla lontana Siria indossarono le vesti pagane dellโ€™homo faber, trionfo della tecnica e della sapienza umana, sinonimo di una spiritualitร  che qui rifiuta il possesso prometeico della natura perchรฉ rappresentazione di quel motore immobile da cui tutto ha origine e in cui tutto si risolve.
La facciata, ode dagli echi marmorei che celebra la plasticitร  del romanico spoletino, tesse tra i cinerei mormorii del Nera pentagrammi di mosaici e affreschi che consacrano alla gloria degli altari le gesta dei santi uccisori del drago. Ammainato tra i rovi di antichi sentieri campestri fioriti nei giardini perduti della Valnerina, il rosone a doppia corolla narra, nel fregio che lo sorregge, le epiche gesta del santo Felice, elemento ornamentale che qui si rivela allegoria dellโ€™esperienza umana, monito scultoreo dallโ€™effetto bipolare a cui lโ€™artista affida il compito di elevare lo spirito di chi lo contempla per poi ancorarlo al suolo, su quel letto dโ€™arenaria su cui giace la leggenda dei santi sauroctoni, cioรจ uccisori di draghi.

 

Presbiterio, foto di La Valnerina

 


[1] Si veda Viandante su mare di nebbia, Caspar David Friedrich, olio su tela, 1818, Hamburger Kunsthalle Amburgo.โ‡‘