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Buone e saporite, le erbe aromatiche, da usare fresche o essiccate, sono ingredienti che non devono mai mancare in cucina. Ma le loro proprietà le rendono utili anche in ambito terapeutico, sotto forma di tisane, tinture od oli essenziali. Infatti, sono ricche di sali minerali e vitamine e apportano numerosi benefici alla nostra salute.

 

Le erbe aromatiche, così come le spezie, sono alleate preziose in cucina, ma non solo. Infatti, sono piante utilizzate e apprezzate per le loro caratteristiche aromatiche, ma anche curative. Quindi, in cucina insaporiscono i nostri piatti, limitando anche l’uso del sale, responsabile di varie patologie legate alla circolazione sanguigna, senza rinunciare al gusto. Ma sono anche salutari, poiché ricche di vitamine e sali minerali. Non solo, stimolano la digestione e hanno un’azione antinfiammatoria, antiossidante e antibatterica, solo per citarne alcune. Però, in cucina, è preferibile consumarle fresche, aggiungendole solo all’ultimo al nostro piatto, poiché gli oli essenziali che racchiudono sono sensibili al calore che ne annulla le proprietà benefiche. Quindi è importante conoscerle per imparare a usarle correttamente e sfruttare al meglio le loro caratteristiche.

Erbe aromatiche: classificazione e differenze

Si parla per la prima volta di piante officinali nel 1931, riferendosi all’uso farmaceutico e alle diverse lavorazioni per sfruttare al meglio le loro proprietà: essiccazione, macerazione, estrazione e distillazione.

Secondo la normativa, per piante officinali si intendono le piante medicinali, aromatiche e da profumo da impiegare soprattutto in alimentazione, cosmesi e prodotti veterinari.

 

Le principali differenze

Piante medicinali

Rientrano nella macrocategoria delle piante officinali. Secondo l’OMS, sono organismi vegetali che contengono sostanze da usare in ambito terapeutico per le loro capacità curative e medicamentose.

Piante aromatiche

Possiedono una o più sostanze odorose, di sapore gradevole. Sono adoperate nei profumi, nei cosmetici o nell’alimentazione. Si classificano in annuali, biennali o perenni, in base alle modalità di coltivazione. Robuste, ricche di sapore, usate generalmente da sole e resistenti alla cottura (come rosmarino, timo, salvia e aglio), sono adatte a piatti come arrosti, brasati o cottura alla griglia. Sono fini, vale a dire che si mescolano facilmente con altre erbe e nella cottura risultano più morbide (come il basilico, il prezzemolo e l’aneto). Si consumano prevalentemente a crudo nelle insalate.

Non solo le comuni erbe..

Durante i miei viaggi e le mie esperienze, ho avuto il piacere di scoprire così tante varietà di erbe che non ne conoscevo nemmeno l’esistenza e tutt’oggi sono alla costante ricerca di nuove scoperte. Da qualche tempo mi sono avvicinato a un biologo/chimico di nome Oliver, fondatore e proprietario della Miniaturae una piccola realtà che coltiva passione oltre che erbe! I Micro-Vegetali Miniaturae rappresentano una nuova categoria di alimenti. Una nuova esperienza organolettica ottenuta da semi di varie specie di ortaggi, colture erbacee, aromatiche, cereali o piante spontanee nelle fasi iniziali di crescita. Prodotti 100% naturali, i micro vegetali agiscono come esaltatori di sapidità con alto valore nutritivo e possono facilmente sostituire i condimenti. La particolarità è di commercializzare alimenti vegetali vivi, ovvero non tagliati e non contaminati da processi di lavorazione industriali, cioè artificiali, innaturali. Unico prodotto vivo che potrete adoperare in cucina.

Lugnano in Teverina sorge su un colle roccioso a forma di luna appartenente al complesso dei Monti Amerini e, dall’alto delle sue mura, si gode di uno splendido panorama che spazia sulla valle del Tevere, il fiume che gli dà il nome bagnandone le terre.

Il territorio collinare è il luogo ideale per coltivazioni cerealicole, per vigneti e oliveti dai quali si estrae un olio extravergine di alta qualità (Lugnano appartiene alla rete delle Città dell’Olio); l’aria sana e il clima sempre mite lo rendono un luogo ameno. Il suo primo nome documentato (nel 1290) è Lugnanum Tyburinae: l’ipotesi è che il borgo sia sorto a opera degli abitanti della sottostante valle del Tevere (Teverina) spostatisi per sfuggire alla malaria intorno al VI sec. d.C.
Il termine Lugnano potrebbe derivare da Lucus Jani, bosco di Giano, il cui corrispondente femminile è la luna, presente sullo stemma comunale.

 

Veduta di Lugnano in Teverina

 

Fin dall’epoca romana ha fatto parte del territorio amerino, come testimoniano importanti ritrovamenti archeologici nel sito di Poggio Gramignano. Il suo sviluppo sociale ed economico però avviene nel Medioevo, e culmina nella trasformazione in Comune intorno all’anno 1000. Dal XI al XIV secolo Lugnano è soggetto a vari nobili che si contendono il territorio, incaricati dai Papi della difesa di un’area che apparteneva allo Stato Pontificio. Nel 1449, su ordine di Pio II, vengono restaurate le mura e nel 1508 – in seguito ai soprusi da parte dei signori delle città circostanti – i lugnanesi istituiscono lo Statuto della Terra di Lugnano con il quale regolano ogni aspetto della vita sociale e delle relazioni tra i membri della comunità. Nel 1650 viene costruito Palazzo Pennone, dimora del governatore della Sede Apostolica fino al XVIII secolo e ora sede del Comune: la costruzione ricorda l’immagine suggestiva del pennone di una nave e svetta imponente sul borgo. Lugnano ancora oggi è racchiuso all’interno delle mura difensive, risalenti al IX secolo; tra i suoi torrioni si può ammirare integra la Torre Palombara che, con la sua colomba bianca, ricorda che questo era il borgo dei piccioni viaggiatori.
Entrando da Porta Sant’Antonio si raggiunge il centro e piazza Santa Maria (già Platea S. Maria) dove si affaccia la Chiesa omonima, considerata oggi monumento d’importanza nazionale: un gioiello d’arte romanica che già da solo vale il viaggio a Lugnano. La tradizione vuole che sia stata costruita sopra una precedente chiesa eretta da Desiderio, re dei Longobardi.
Girovagando per il borgo ci si perde in vicoli, archi, scalinate e piazzette, come quella di Campo dei Fiori. Da vedere anche le Chiese di Sant’Andrea e Santa Chiara, i Conventi di Sant’Antonio da Padova e di San Francesco e la Chiesetta di Santa Maria del Ramo o di Ramici che, isolata su un poggio, è un luogo mistico costruito agli inizi del Quattrocento.

 

cosa vedere in umbria

Alcuni ritrovamente provenienti dalla necropoli di Poggio Grammignano

 

Infine, da non perdere è l’Antiquarium Comunale, che raccoglie i materiali archeologici rinvenuti negli scavi della villa romana (I sec. a.C.) di Poggio Gramignano: mosaici, vetri, utensili di bronzo, ceramiche e anfore, alcune delle quali usate come sepoltura di bambini, ne sono stati ritrovati ben 47. La villa fu infatti riutilizzata nel V secolo come necropoli.
Un ultimo suggerimento: assaggiate il bocconcello di San Francesco, una ciambella al formaggio a cui è dedicata una sagra (a ottobre); nel periodo della vendemmia da provare è invece il tipico pane col mosto, mentre nel corso dell’Estate Lugnanese (luglio-agosto) il borgo si anima con manifestazioni culturali e gastronomiche. Alla fine di ottobre non perdete Andar per Frantoi e Mercatini con degustazioni e vendita di olio extravergine prodotto nei frantoi locali.

 


Per saperne di più

Alcune ricette tipiche sono parte integrante, a mio avviso, nel processo di “bevagnizzazione” e, soprattutto chi è abituato a sapori decisi, di fronte a certi piatti non sa proprio dir di no!

Bevanate da poco tempo

Avevo già raccontato, nell’articolo Son pistoiese, ma grazie a Dante diverrò umbro, le motivazioni che mi hanno spinto a scegliere l’Umbria dove vivere ed essere felice. Sono toscano, per metà pistoiese e per metà fiorentino, un po’ guelfo e un po’ ghibellino. Ho convinto anche mia moglie, per metà livornese e per metà pisana a lasciar Pistoia come degna tana. L’indecisione su dove mettere residenza era circoscritta ai paesi di Spello, Trevi e Montefalco, ma poi ho scoperto Bevagna ed è stato amore a prima vista. Sono ormai passati più di due anni, e mai scelta fu più azzeccata! Siamo due tasselli di un puzzle mozzafiato, siamo due pedine nel costante processo di bevagnizzazione, neologismo che sta a indicare un modello di vita elegante e al tempo stesso genuino, armonioso e sereno proprio di questo borgo.

 

Chiesa di San Silvestro, foto di Enrico Mezzasoma

Bevagna in poche parole

Descrivere Bevagna in poche parole è impresa ardua, il rischio è quello di non riconoscere appieno la bellezza e la storia che si respira in ogni vicolo e in ogni piazza. Mi limiterò a suggerirvi di visitare la Cinta muraria (XIII e XIV secolo) con le sue porte e le sue torri, il Palazzo dei Consoli la cui costruzione risale al 1270, la Chiesa di San Michele del 1070, a mio avviso straordinaria, la Chiesa di San Silvestro, notevole esempio di architettura romanica, la Pinacoteca Comunale, tappa imperdibile per gli appassionati di arte religiosa, l’Accolta o lavatoio pubblico, realizzato in un invaso in cui confluiscono le acque del fiume Clitunno che fuoriescono formando una cascata. Piazza Garibaldi, appena entrati da porta San Giovanni, in questo periodo in fase di restauro, è destinata a diventare una delle piazze più belle dell’Umbria. E poi c’è il Mercato delle Gaite, incredibile festa di stampo medievale dove tutta la città viene coinvolta nella rivisitazione della vita a Bevagna tra il 1250 e il 1350.

Abituati ai sapori forti

Da buoni toscani non abbiamo peli sulla lingua, talvolta parliamo con una schiettezza che rasenta la brutalità. Il parlare con la C aspirata, con il nostro tipico intercalare e con la nostra schiettezza non sempre ci porta a essere simpatici, ma i toscani sono fatti così, o si amano o si odiano. I peli non li abbiamo sulla lingua, ma nemmeno sullo stomaco, infatti spesso siamo privi di scrupoli, specialmente in cucina dove non ci preoccupiamo delle conseguenze di fronte a un piatto ignorante.
Siamo abituati fin da piccoli ai sapori forti, a piatti da delinquenti come il carcerato di Pistoia, tipica zuppa a base di interiora, pane raffermo e pepe. Siamo cresciuti a suon di ribollita (zuppa di pane e verdure), lampredotto (abomaso di vitello, quarto stomaco di vitello), buzzini di baccalà (la trippa del baccalà) e il cibreo tipica ricetta fiorentina fatta con rigaglie di pollo.
A Livorno e Pisa i ragazzi crescono a padellate di Cacciucco (irriverente zuppa di pesce) e a fette generose di torta co’bischeri (dolce con abbondante cacao). Detto ciò, quando ci siamo trasferiti in Umbria siamo andati alla ricerca di piatti forti e tipici regionali e ce ne sono tre, tutti bevanati, a cui non so dir di no!

 

Baccalà

I piatti a cui non si dice mai di no!

Il primo è il baccalà con le pacche secche. Ricetta agrodolce da preparare per la vigilia di Pasqua, ma va bene per tutto l’anno.

Ingredienti per 6 persone: 700 gr di filetto di baccalà, sedano, carota, cipolla, un barattolo di polpa di pomodoro, 100 g di uva passa, 200 g di prugne, pinoli e abbondanti spicchi di mela essiccata. Per la mela consiglio di utilizzare la meletta roscia ‘nco, frutto autoctono che si può reperire, da ottobre in poi, presso il laboratorio vivaio lungo le mura di Bevagna.

Procedimento: dopo aver tenuto il baccalà per 2 giorni in ammollo, cambiando frequentemente l’acqua, lo si taglia a strisce lunghe 5 centimetri. Far soffriggere in olio extra vergine di oliva cipolla, carota e sedano tritati. Una volta appassiti, aggiungere il baccalà, prugne, uva passa, spicchi di meletta roscia ‘nco essiccati e pinoli. Dopo qualche minuto versare la polpa di pomodoro e continuare la cottura per una quindicina di minuti. Personalmente lo preferisco in bianco, senza l’aggiunta di pomodoro e per rendere la ricetta un po’ più teppista lascio 2 o 3 filetti di baccalà in padella a fuoco vivacissimo fintanto che non si forma una crosticina bronzata. L’accompagno volentieri con un rosato IGP di Montefalco.

 

Il secondo piatto sono le lumache al tegame. Gli antichi Romani apprezzavano molto le lumache, pensavano che avessero proprietà medicinali e afrodisiache.

Ingredienti per 6 persone: 1 kg di lumache, un ciuffetto di mentuccia, prezzemolo, 5 spicchi d’aglio, 5 alici, 250 g di polpa di pomodoro (di quella buona mi raccomando), ½ bicchiere di vino bianco.

Procedimento: le lumache vanno fatte spurgare per parecchi giorni e poi lavate accuratamente in acqua corrente. Messe a lessare, con il loro guscio, con la mentuccia, sale e 2 spicchi d’aglio, vanno fatte cuocere una mezz’ora dopo il punto di bollitura. Preparare a parte un pesto di aglio, prezzemolo e alici e versarlo in una casseruola insieme alle lumache lessate e scolate, con generoso olio extra vergine di oliva. Quando si sono ben insaporite aggiungere la polpa di pomodoro, cuocere ancora un po’ prima di aggiungere il vino bianco. Evaporato il vino ancora 2 minuti e il piatto è pronto. Le lumache vanno mangiate belle calde. Ci sono delle simpatiche forchettine per lumache ma noi le preferiamo acciuffarle con il classico stuzzicadenti di legno. A mio parere qui ci vuole un doppio calice per un doppio abbinamento di vino. Se alle lumache si abbina anche una bella fetta di pane abbruschettato e agliato ci vedo bene un rosso di Montefalco, se mangiate in semplicità un grechetto ci sta più che bene.

 

prodotti tipici umbri

Roveja

 

Il terzo piatto è la zuppa di roveja con salsiccia. Cos’è la roveja? È un legume di antichissima tradizione e si dice uno degli alimenti portanti della dieta preistorica. Conosciuto anche come pisello di campo si presenta sotto forma di piccole sfere dal colore marrone. Solo pochissime aziende, soprattutto a Castelluccio di Norcia e a Colfiorito, hanno rimesso in coltura questo legume dopo anni di disuso. È un piatto tipico di Bevagna anche perché facilitati nell’acquistarlo nel tipico negozio specializzato in legumi nei pressi di Porta Cannara (o Porta San Giovanni). La roveja ha bisogno di almeno 24/36 ore di ammollo.

Ingredienti per 6 persone: 500 g di roveja, carota, sedano e cipolla, olio, aglio, timo, alloro, polpa di pomodoro e 4 salsicce (preferibilmente quelle di Norcia).

Il procedimento è molto semplice: in una casseruola bella capiente far soffriggere un battuto di carota, sedano e cipolla in olio extra vergine di oliva. Aggiungere la salsiccia a pezzetti e sfumare con vino bianco, quindi mettere uno spicchio di aglio, il timo e l’alloro. Contate fino a venti e versate la polpa di pomodoro e la roveja reidratata dalle ore di ammollo. Salare e pepare quanto basta e continuare la cottura, aggiungendo dell’acqua, fintanto che questo incredibile legume non sarà abbastanza tenero. Si consiglia di passare un po’ di questo legume nel passaverdure per rendere la zuppa più gustosa. Per questa zuppa vedo ben abbinata una birra artigianale decisamente strutturata e aromatizzata, in Umbria c’è l’imbarazzo della scelta, di birrifici artigianali ce ne sono a volontà.

Per finire un vinum dulcis

Sto parlando dell’ippocrasso, quel vino dolce e speziato attribuito al padre della medicina moderna Ippocrate di Kos. Io di fronte all’ippocrasso mi comporto esattamente come un tedesco o un inglese quando ordina un cappuccino dopo gli spaghetti alle vongole o alla pizza capperi e acciughe. Lo berrei sempre, in qualsiasi situazione e il fatto che viene consigliato come aperitivo particolare o come digestivo a fine pasto mi consola un po’!

Ingredienti: 1 litro di vino rosso, 100 gr di miele, 3 bastoncini di cannella, 1 cucchiaio di zucchero, 3 chiodi di garofano e un pizzico di noce moscata.

Il procedimento prevede tre passaggi: 1) Pestare le spezie in un mortaio, 2) Versare il vino, il miele e le spezie in un recipiente a chiusura ermetica e lasciate riposare per 24 ore, 3) Filtrare con una garza per ottenere un prodotto limpido.

 

Buon appetito a tutti!

L’esistenza preziosa tra mito e scienza di uno degli alimenti più utili all’uomo.

Da simbolo di regalità nell’antico Egitto[1] a tipicità della terra di Canaan – il paese dove scorre latte e miele – da condimento immancabile sulle tavole degli Antichi Romani che lo importavano da Melita [2] a preda del ghiotto indicatore golanera[3]: il miele, elisir di lunga vita per Pitagora, attraversa la storia del genere umano. Nell’antichità è sempre stato considerato nutrimento spirituale perché ritenuto purissimo[4] e per questo nettare degli dei, divino, poiché divine sono le stesse api che lo producono, nate dalle lacrime di Ra[5], il cui nome greco deriva proprio da miele; come da miele deriva Melissa[6], pianta a cui le api sono molto affini, ma anche ninfa nutrice che secondo il mito salva Zeus dalla crudeltà del padre Crono crescendolo a latte e miele, e che diviene nientemeno che ape per mano dello stesso Zeus, a dimostrazione della sua gratitudine. Ma la divinità delle api non è soltanto un mito, essa trova fondamento nelle loro innate capacità.

 

prodotti tipici dell'umbria

 

Le api sanno vivere in comunità con un preciso schema di condivisione, che le porta a provare le stesse cose nel medesimo momento e a comunicare danzando[7]. Sono anche fautrici di vita: «responsabili di circa il 70% dell’impollinazione di tutte le specie vegetali viventi sul pianeta, garantiscono circa il 35% della produzione globale di cibo»[8], alla quale l’Italia contribuisce in modo importante; basti pensare alle oltre 50 tipologie di miele che le conferiscono il primato mondiale per la più grande varietà di miele monoflora, testimonianza della sua ricca biodiversità.
Il miele si distingue in base a polline e propoli[9], contiene zuccheri (fruttosio e glucosio) al 70-80%, acqua al 15-20% e poi acidi organici, amminoacidi liberi, proteine, minerali, vitamine, ed enzimi; questi ultimi però si degradano nel tempo e col calore, perciò la loro quantità è sinonimo di freschezza. Il fruttosio è dotato di proprietà emollienti utili alla bocca, alla gola, allo stomaco, all’intestino[10] e al fegato dove contribuisce allo smaltimento delle sostanze tossiche. Ma a fare la differenza sono le sostanze battericide e quelle antibiotiche che non solo creano un ambiente umido assente di proliferazione batterica adatto alla guarigione[11], ma determinano la lunghissima conservazione del prodotto che va garantita da alcune buone norme: temperatura inferiore ai 20°C, recipienti scuri e/o lontani dalla luce diretta e chiusura ermetica[12].
Il miele, che ha un effetto salutare maggiore rispetto ad altri zuccheri, è perciò considerato un superfood, fondamentale tanto per l’uomo quanto per le api che se ne nutrono; questo infatti le aiuta a vivere più a lungo, a tollerare il freddo, a curare ferite, infezioni, e a disintossicarsi dai pesticidi.

 

 

Secondo uno studio condotto dalla dott.ssa Renata Alleva, risulta che l’introduzione dei variegati polifenoli del miele nelle cellule umane inibisce la formazione di radicali liberi, e attiva un sistema di riparazione delle lesioni provocate dai pesticidi al DNA. Per tanto, alla stregua dell’Olio EVO, il miele è da considerarsi prodotto nutraceutico, con l’unica avvertenza che fanno i medici di non somministrarlo ai bambini sotto l’anno di vita. Non potendo essere pastorizzato[13], potrebbe contenere la pericolosa Clostridium Botulinum, tossina botulinica che le api raccolgono dai fiori, capace di germinare nell’intestino dei bambini poiché la flora batterica ancora immatura non è in grado di espellerla. Ma oggi, il miele, è anche protagonista del prestigioso Concorso Tre Gocce d’Oro – Grandi Miele d’Italia promosso dall’Osservatorio Nazionale Miele, nel quale anche l’Umbria, con le sue apicolture, non solo conquista il titolo di miglior miele millefiori (2015) ma continua a dare dimostrazione di grande valore ad ogni nuova edizione. Ennesimo motivo d’orgoglio a testimonianza dell’importantissima biodiversità che caratterizza il cuore verde d’Italia!

 


[1] Si ritiene che per “la presenza di una testa coronata (l’ape regina) […] il Basso Egitto abbia utilizzato l’ape come simbolo territoriale e che il faraone stesso lo abbia usato, insieme al giunco, quale emblema reale, simbolo di sovranità e di comando. Per tutta la storia di questa civiltà, il Basso Egitto è stato sempre rappresentato dall’ape.”
Le lacrime di Ra. L’apicoltura e l’importanza delle api nell’antico Egitto www.mediterraneoantico.it

[2] Terra del miele – oggi meglio nota come Malta.

[3] Indicatore golanera o greater honeyguide, che in Inglese significa letteralmente grande guida del miele, è un piccolo uccello del Mozambico ghiotto di cera (uno dei pochi uccelli in grado poterla digerire) di larve e pupe, che rispondendo al richiamo dell’uomo lo guida alla ricerca delle arnie selvatiche.
L’uccellino che guida alla scoperta del miele www.focus.it

[4] Miele deriva infatti dall’antico etimo elelu che vuol dire libero da impurità.

[5] Le lacrime di Ra. L’apicoltura e l’importanza delle api nell’antico Egitto www.mediterraneoantico.it

[6] La Melissa delle api: www.terranuova.it

[7] La danza elle api è l’unico esempio di linguaggio simbolico nel mondo animale, attraverso la quale un’ape bottinatrice comunica alle altre di aver trovato una nuova fonte di cibo; nella danza risiedono le informazioni di direzione (orientamento della danza rispetto al sole), di distanza (proporzionale alla velocità della danza) e tipo di raccolto (piccolo assaggio riportato).
Guida ai Mieli d’Italia, pdf di “Osservatorio Nazionale miele” <www.informamiele.it>

[8] Il ruolo delle Api per l’uomo e l’ambiente www.isprambiente.gov.it

[9] Il polline, ricco di proteine ed enzimi, è raccolto dai fiori, la propoli è una sostanza resinosa raccolta dalle gemme e dalla corteccia delle piante.

[10] L’azione osmotica provoca un afflusso di acqua nell’intestino che ne facilita l’evacuazione.

[11] Perfetto per il trattamento di ulcere gastriche, piede diabetico, ustioni e piaghe, e per contrastare la comparsa di brufoli e acne.

[12] Il miele ha capacità igroscopica: è in grado di assorbire le molecole dell’acqua dall’ambiente circostante e con esse anche tutti gli odori.

[13] La pastorizzazione è una tecnica impiegata nel settore alimentare che ha come fine ultimo quello di garantire una lunga conservazione degli alimenti eliminando i batteri presenti in essi con l’utilizzo di alte temperature.

Molti conosceranno i maccheroni dolci, tipico dolce della Vigilia: non solo di Natale, ma anche di quella dei Santi, a novembre. Si usa, infatti, pasta senza uovo, che viene poi arricchita con noci, miele, pangrattato e cacao.
La variante che vi proponiamo è una vecchia ricetta che vede i maccheroni protagonisti di un pasticcio, riportato nella quarta edizione di Un secolo di cucina umbra di Guglielma Corsi, che forse non è adatto per la Vigilia, ma senza dubbio farà la sua figura alla fine di un pranzo in compagnia.

Ingredienti

  • 330 g di farina
  • 100 g di zucchero
  • 100 g di strutto
  • 160 g di maccheroni
  • cannella, vino o rum q.b.

Sant’Andrea e San Spiridione, protettori dei pescatori del lago Trasimeno, si festeggiano rispettivamente il 30 novembre e il 14 dicembre, con grande riverenza religiosa e laica.

Il lago Trasimeno, fin dalla notte dei tempi, è abbinato con l’antica arte della pesca: un binomio inscindibile! Infatti, i pescatori che solcano le acque lacustri, con le loro caratteristiche barche, fissano il loro sapiente sguardo in lontananza per scrutare le verità meteorologiche del cielo e si guardano attorno per capire i venti, la loro forza e direzione, e ancor oggi utilizzano sistemi di pesca ancestrali.

Matteo dall’Isola già nel XVI secolo, li aveva narrati e così ben descritti nella sua Trasimenide che, nei tempi odierni, quando dalla riva del lago li vediamo lanciare in acqua il giacchio o posare i tofi o i martavelli, ci sembra di riviverne gli antichi gesti.
I pescatori del Trasimeno sono una testimonianza unica e portatrice del sapere, degli aneddoti, della custodia della beltà dei luoghi ma anche delle problematiche delle antiche acque del Tarsminass, che vanno ancora maggiormente protette nel segno della tradizione e della salvaguardia di questa antica e preziosa arte della pesca, che andrebbe maggiormente tutelata, conservata e sostenuta.

 

 

Una delle tradizioni del Trasimeno è appunto la cerimonia religiosa e conviviale che celebrano i pescatori lacustri: San Spiridione è quello festeggiato da quelli di San Feliciano, mentre Sant’Andrea è celebrato da tutti gli altri pescatori del lago e non solo. Sant’Andrea, protettore universale dei pescatori, è l’Apostolo che indicò a Gesù il bambino che aveva nella cesta i pani e i pesci che poi vennero utilizzati nel miracolo della moltiplicazione, mentre San Spiridione proviene dall’Oriente – era nativo dell’Isola di Cipro – e il suo nome significa dono: il Santo protettore prescelto dai pescatori di San Feliciano.
Le celebrazioni dei due Santi sono cerimonie che annoverano grande partecipazione degli addetti ai lavori, autorità religiose, politiche e civili. Le due ricorrenze rappresentano l’incontro e il vostro inviato lacustre ne ha avuto la piacevole testimonianza diretta: l’amore per il lago, per il proprio lavoro ma anche le preoccupazioni imprescindibili del mestiere e dell’ambiente lacuale sono oggetto di costruttivo confronto e speranzoso dibattito tra i tanti intervenuti per trovare le giuste soluzioni da applicare come determinazione alle specifiche esigenze del settore.
La Cooperativa Pescatori del Trasimeno di San Feliciano, con il Presidente Aurelio Cocchini e l’AD Valter Sembolini, e quella denominata Stella del Lago di Panicarola, presieduta da Ivo Bianconi, dapprima hanno celebrato con una Santa Messa il proprio Santo e poi c’è stato un dibattito tra i convenuti. In chiusura di ciascuna ricorrenza c’è stato un momento conviviale.

 

Foto di Cooperativa dei Pescatori del Trasimeno

 

Un sano campanilismo tra le due cooperative testimonia l’amore che questa brava gente di pescatori ha per il proprio lago e per il proprio mestiere, a cui va riconosciuto un gran tributo di stima, gratitudine e solidarietà. Da parte di chi ha il potere decisionale politico e civile, si sperano ulteriori sostegni per il mondo della pesca e per gli operatori economici locali, in aggiunta a quelli numerosi già fatti, per continuare a proteggere e sviluppare l’accoglienza lacustre, così che i visitatori potranno apprezzare l’eccellenza umbra del Trasimeno e chi, come la comunità dei pescatori, ne è l’elemento prezioso, irrinunciabile, certo e caratterizzante.

È piccolo e tondo ma non è Pachino, non è Ciliegino, non è Datterino: è Cesarino.

Il pomodoro del signor Cesare è un pomodoro rigorosamente umbro che si è sviluppato sul monte Peglia e poi è sceso a valle. I pomodori che si trovano nei supermercati sono tutti F1, ma non corrono in Ferrari. Sono ibridi standardizzati, cioè il DNA della pianta è stato manipolato e modificato e hanno delle caratteristiche che non sono gradite ai contadini: hanno semi che non si ripiantano e che vanno acquistati ogni anno e per di più richiedono molta d’acqua per crescere. Invece, il pomodoro di Cesare non è un ibrido ma è uno dei pochi semi al mondo a essere geneticamente originale, è molto versatile e resistente, ma soprattutto è molto umbro. Il pomodoro di Cesare racconta una storia famigliare antica più di cent’anni che nessun pomodoro F1 può vantare.

La storia

Verso il 1890 il papà di Cesare era un contadino sul monte Peglia. Vita dura, fatica tanta, soldi pochi. Si risparmiava su tutto e non si buttava via niente. Quando il nonno è morto, Ada e Cesare ricevettero in eredità i preziosi semi del nonno e ogni anno continuarono a piantarli nell’orto. Vuoi per il lavoro, vuoi per i figli e altre cose, Ada e Cesare lasciarono la montagna e si stabilirono nella campagna di Monte Castello di Vibio. I luoghi cambiavano ma non le abitudini, e i pomodori di montagna si sono adattati alla pianura.
Ogni primavera Cesare andava a prendere una scatola da scarpe dove erano gelosamente conservati i semi dei suoi pomodori, che provenivano dalla raccolta l’anno precedente, e li spargeva sul terreno. Cesare faceva quello che per millenni hanno fatto tutti i contadini, cioè seminava i suoi semi: non era necessario comperarne nuovi ogni anno. Ci pensava la natura a non svenare la famiglia rurale.
Se i lavori nel campo erano di competenza degli uomini, la raccolta e la lavorazione dei frutti era di esclusiva competenza delle donne. Ai pomodorini umbri questa divisione del lavoro è piaciuta e si sono trovati bene con le mani femminili. Erano tanti piccoli, rossi, tondi, leggermente agro-dolci e tutti disuguali. Ada li faceva seccare sul mattonato e i più belli li accantonava per prenderne i semi per l’anno dopo. I pomodorini erano utilizzati integri, si mangiavano in insalata o sul pane o in conserva per la pasta. Una parte si appendeva al soffitto perché resisteva fino oltre Natale.

 

Il pomodoro Cesarino

 

Servivano solo per l’uso famigliare. Ogni mattina gli uomini si alzavano alle prime luci dell’alba per andare a lavorare nei campi, verso le nove tornavano a casa per fare colazione o come dicevano con una bella parola umbra, a fare lo sdigiunello. Era una colazione a base di pane, spesso secco, sfregato con i pomodori freschi, olio, sale e un bicchier di vino. La presenza del pomodoro era d’obbligo nella maggior parte dei piatti che si cucinavano in casa. Poi l’estate finiva e i pomodori belli che Ada aveva messo da parte ritornavano fuori e diventavano protagonisti. Venivano schiacciati a mano per estrarre i semi che poi si stendevano su una carta ad asciugare al sole. Quando avevano perso l’umido i semi procedevano verso la scatola da scarpe.
Il cartone li lasciava respirare senza farli ammuffire. Le stagioni si sono succedute tutte uguali: pomodori e semi, ancora pomodori e ancora semi. Improvvisamente i semi sono finiti. Disperazione. Ma la famiglia non demorde e alla fine, in fondo a un magazzino, dentro un armadio, dentro una vecchia scatola da scarpe con scritto Seme Novo si trova una manciata di semi.
Eccolo finalmente, ancora buono e abbastanza vecchio per essere definito seme autoctono, titolo che compete ai semi che non sono mutati da più di 50 anni. Ricomincia il ciclo, ma l’imprevisto è in agguato. I semi vengono lavorati con tecniche moderne, ogni fase è fatta dalle macchine. Ma il Cesarino è una pianta strana, non sopporta le macchine, lui vuole solo il tocco delicato delle donne: se le macchine lo toccano non frutta più. Che fare? Questa volta è proprio finito tutto.

 

Il pomodoro Cesarino

 

Colpo di scena, in fondo alla scatola da scarpe ci sono ancora 5 semi, esattamente 5. La famiglia entusiasta tratta i 5 come una reliquia. Si pianteranno alla luna piena di marzo. Arriva la primavera, si semina con ogni precauzione. Scelgono un terreno aperto lontano da ogni altra coltivazione di pomodori e si depositano nel terreno i 5 preziosi semi. Questa volta si ripete il miracolo, cesarino ha dato i suoi frutti. Qui è iniziata la nuova vita trionfale del pomodorino con la partecipazione di tutta la comunità rurale di San Venanzo che ha contribuito con tenacia a mantenere il seme incontaminato. Dopo un’accurata analisi del suo DNA è risultato totalmente incontaminato e di diritto è stato iscritto nel Registro Regionale delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario.

È stato riconosciuto come pomodoro nobile e raro proprio per le sue caratteristiche che lo rendo capace di resistere a siccità prolungate, con una buccia un po’ grossa che lo tutela dai vari parassiti, e con semi che fruttano ogni anno. Una piccola eccellenza umbra riservata a pochi fortunati. A me piace chiamarlo Cesarino ma sulle etichette appare come Pomodoro di Cesare, il pomodoro che nonno Cesare ha curato e conservato tutta la vita. Un’altra eccellenza umbra di nicchia, squisita e degna di diventare un presidio Slow Food.

Il panpepato di Terni, che ha ottenuto nel 2020 la denominazione Igp, è un dolce natalizio che risale al 1500, ma sembra abbia origini ancora più antiche. È un piatto della tradizione contadina, tipico delle feste perché l’acquisto degli ingredienti, soprattutto le spezie, era molto oneroso. Il panpepato viene preparato dai ternani rigorosamente l’8 dicembre, giorno dell’Immacolata Concezione e ogni famiglia ha una propria rivisitazione e questo lo rende un dolce tipicamente popolare.

 

Ingredienti

  • 75 g di noci
  • 75 g di mandorle
  • 75 g di nocciole
  • 75 g di uvetta
  • 150 g di miele
  • 75 g di cioccolato fondente
  • 1 cucchiaino di cannella
  • 60 g di canditi
  • Pepe nero q.b.
  • 175 g di farina 00
  • Noce moscata q.b.

 

Preparazione

Mettete in ammollo l’uvetta. Grattugiate il cioccolato e sminuzzate (non troppo finemente) le noci, le mandorle e le nocciole. In un contenitore medio-grande raccogliete la frutta secca che avete in precedenza sminuzzato e aggiungete, mescolando con un mestolo, il cioccolato grattugiato e i canditi. Scolate l’uvetta e unitela al resto della frutta secca, insieme alla cannella, alla noce moscata e al pepe. Scaldate il miele e unitelo alla frutta secca e al resto degli ingredienti, continuando a mescolare bene. A questo punto, aggiungete la farina setacciata e mescolate il contenuto. Quando il composto avrà assunto una forma omogenea, realizzate due panetti di dimensioni uguali e infornateli per circa 20 minuti a 170 gradi. Dopo 20 minuti sfornate i due panetti e lasciateli raffreddare. Consigliamo di far passare almeno 24 ore prima di servirlo.

 


Ricetta tradizionale da Umbria Turismo

Oltre 150 eventi gratuiti in tre giorni tra laboratori, convegni e incontri.

Torna per la settima volta Fa’ la cosa giusta! Umbria, la fiera del consumo consapevole, in programma dal 18 al 20 novembre all’Umbriafiere di Bastia Umbra. Le novità di questa edizione sono state presentate nel corso della conferenza stampa alla quale sono intervenuti Michela Sciurpa, Amministratore unico Sviluppumbria; Michele Zappia, direttore generale Dipartimento Territoriale Umbria nord Arpa Umbria; Paola Lungarotti, Sindaco di Bastia Umbra; Gabriele Giottoli, assessore allo sviluppo economico e marketing territoriale del Comune di Perugia; Stefano Ansideri, presidente Umbriafiere Spa; Anna Rita Cosso, presidente nazionale Cittadinanzattiva; Roberto Di Filippo, Cia Umbria e Nicoletta Gasbarrone, Fa’ la cosa giusta! Umbria. In conferenza tutte e tutti, a vario titolo, hanno ribadito la necessità di una manifestazione come questa nella nostra regione. Un evento necessario, che mette in rete imprese e progetti virtuosi, oggi più che mai attuali e necessari, e offre ai consumatori la possibilità di trovare prodotti e servizi buoni, certificati e che fanno bene a comunità e ambiente. Un vetrina importante per le realtà innovative, tipiche, sostenibili e di qualità dell’Umbria e che ospita anche molte aziende che arrivano dalle altre regioni italiane.

 

 

Anche in questa edizione 2022 gli organizzatori confermano la formula che vede per tre giorni all’interno dei padiglioni prodotti e contenuti, commercio ma anche cultura, laboratori e incontri e che si rivolge ai cittadini consumatori proponendo soluzioni sostenibili. In programma appuntamenti gratuiti tra convegni e momenti pratici per parlare e mostrare esperienze e modelli di sviluppo sostenibile, economia circolare, qualità e innovazione. In un unico spazio, culturale e commerciale, 140 stand con prodotti buoni e naturali divisi in 10 aree tematiche: dall’abbigliamento alla cosmesi, dai servizi al food, dall’arredamento al mondo dell’infanzia.

In tre giorni saranno oltre 150 i momenti gratuiti tra seminari, workshop, dibattiti, educazione e didattica, dimostrazioni, presentazioni, mostre, convegni, degustazioni, laboratori pratici, qualità della vita, benessere del corpo e della mente, un programma riservato alle famiglie e alle scuole.

Molte le sinergie e le adesioni confermate da parte di istituzioni e associazioni di categoria che saranno presenti in fiera. La Regione Umbria interverrà con alcuni progetti dedicati a sostenibilità, innovazione e agricoltura sostenibile. In particolare, ad aprire la fiera ci sarà una challenge, promossa da Sviluppumbria, presentata in conferenza da Michela Sciurpa, e Arpa Umbria, dedicata agli studenti delle scuole secondarie dell’Umbria per la presentazione di progetti di impresa riguardanti l’economia circolare, l’efficientamento energetico, la sostenibilità. Un’iniziativa concreta che prevede percorsi di formazioni di alto livello per le classi vincitrici. Sviluppumbria e l’Assessorato regionale allo Sviluppo economico e Innovazione (Michele Fioroni) saranno presenti in fiera anche con un’iniziativa volta alla promozione delle aziende innovative dell’Umbria. Momenti pensati per presentare esperienze di imprese e territori, in un’ottica di condivisione di modelli e processi virtuosi e innovativi. Presente in fiera anche uno spazio dedicato all’agricoltura sostenibile con l’Assessorato regionale alle Politiche agricole (Roberto Morroni) che incontra consumatori e imprese agricole per condividere azioni, opportunità e progetti. Cia Umbria interviene con una grande area pensata per dare spazio alle sua aziende eccellenti e per condividere con i consumatori progetti e modelli di filiera a tutela della qualità di prodotti e ambiente. Ci saranno anche aree informative e laboratoriali con un ricco programma di iniziative dedicato ai temi della cittadinanza, della salute, della finanza e dei servizi etici, dell’agricoltura sociale e biologica con Cittadinanzattiva, Società Nazionale di Mutuo Soccorso Cesare Pozzo, Banca Etica, Cesvol Umbria, La Semente, NaturaSì, UNC Umbria, VUS – Valle Umbra Servizi.

 

 

AREE SPECIALI 2022

– Economia carceraria

In fiera si potrà trovare un’intera area (con ben 10 realtà presenti che producono birra, caffè, dolci e tanto altro) dedicata alle imprese e alle cooperative che lavorano per offrire una “seconda opportunità”, quelle dell’Economia Carceraria.

-Hand Made

Spazio dedicato all’esposizione di prodotti fatti a mano, fra i migliori e i più originali del centro Italia. Artigiani, makers, piccoli brand, che attraverso l’uso di nuove tecnologie e delle proprie capacità manuali, sono riusciti a esprimere al meglio il proprio talento.

-Numinosa. Tra le proposte culturali ed espositive, questa edizione vede la presenza dell’Associazione culturale Numinosa, che presenta il primo Boot Camp del Benessere Olistico, un calendario non-stop di appuntamenti divulgativi teorici e pratici. Il Boot Camp vedrà la partecipazione di ospiti nazionali e internazionali che parleranno di alimentazione, filosofia, simbolismo, archetipi. Molti gli appuntamenti pratici per provare lo shiatsu, la riflessologia plantare, lo yoga e la meditazione.

LE AREE DELLA FIERA: tanti stand con prodotti dell’Abitare sostenibile, Buono da mangiare, Mobilità nuova, Ethical fashion, Cosmesi naturale e benessere, Viaggiare, Prodotti culturali e tempo libero, Servizi sostenibili, Pianeta dei piccoli, Cittadinanza e partecipazione.

Arpa Umbria torna a Fa’ la cosa giusta! Umbria partecipando non solo con uno spazio istituzionale nel quale i cittadini potranno conoscere meglio il lavoro di controllo/conoscenza al servizio di un ambiente pulito e salubre, ma anche raccogliendo la sfida di essere partner scientifici della manifestazione per poter approfondire i grandi temi dell’ecologia e dell’economia sostenibile. L’Agenzia terrà una serie di incontri rivolti agli studenti, il venerdì mattina, e diversi momenti informativi a carattere divulgativo rivolti ai cittadini durante la tre giorni di fiera. E Arpa Umbria sarà presente anche con Isola Prossima, il progetto artistico che dal 2021 porta avanti sull’isola Polvese in collaborazione con l’Associazione ART MONSTERS.

Una mostra di arte contemporanea nei padiglioni di Umbriafiere centrata su tre parole chiave: arte, ambiente, futuro. Cittadinanzattiva presenterà la Carta civica della Salute globale, 19 novembre, ore 11.30. La Carta civica della Salute globale nasce dall’esperienza della Carta europea dei diritti del malato, promossa da Cittadinanzattiva circa 20 anni fa, nella prospettiva dell’Agenda 2030 e della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo. Cesvol Umbria e Stargate: tre giorni di convegni, workshop e momenti di confronto tra studenti e imprenditori del territorio. Fa tappa anche a Fa’ la cosa giusta! il progetto Stargate – Passaggio al futuro, selezionato da Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile e coordinato da Cesvol Umbria.

 

 

Fa’ la cosa giusta! Umbria nasce da un’idea di Terre di mezzo Editore ed è organizzata da Fair Lab srls e dall’Associazione culturale Il Colibrì. Partner scientifico dell’iniziativa è Arpa Umbria; partner tecnico Umbriafiere Spa. L’evento è patrocinato dalla Regione Umbria, dal Comune di Perugia e dal Comune di Bastia Umbra. Fa’ la cosa giusta! Umbria è sostenuta e promossa da Cia Umbria e Cittadinanzattiva. Sponsor: Società Nazionale di Mutuo Soccorso Cesare Pozzo. Main partner della fiera: Banca Etica, Cesvol Umbria, Economia Carceraria, La Semente, NaturaSì, UNC Umbria, VUS – Valle Umbra Servizi.

 


Il programma completo delle iniziative è online sul sito falacosagiustaumbria.it

Il programma del Circuito Trekking Olea Mundi

 

  • Ore 8,45 Ritrovo dei partecipanti al Parco del Monticello presso il Convento di San Francesco nel luogo dove San Francesco nel 1212 operò un miracolo
  • Ore 9,00 Partenza per la Camminata tra gli Olivi a piedi, a cavallo e in bici. Il percorso attraversa la campagna lugnanese con i suoi meravigliosi colori autunnali.
  • Ore 10,15 Arrivo alla Collezione Mondiale degli Ulivi OLEA MUNDI

 

LECTIO OLEA MUNDI

Illustrazione della Capitale della Biodiversità Olivicola, passeggiando tra gli olivi provenienti da tutto il mondo, in un habitat naturale immerso nel verde descritto dai ricercatori custodi della biodiversità e impegnati nello studio per il miglioramento dell’Olivicoltura.

FLASH MOB #Abbracciaunolivo

Un abbraccio condiviso e collettivo che servirà a manifestare con un atto dal grande valore simbolico l’amore verso la pianta che più di ogni altra protegge l’ambiente e l’impegno dell’intera comunità nella conservazione del paesaggio olivicolo e nel recupero dei terreni agricoli abbandonati.

Ore 12.30 Ritorno e visita all’Oleificio Cooperativo Intercomunale di Lugnano.

Degustazione nel locale del frantoio La genuinità dei sapori

Ore 13,30 L’Olio in Tavola. Pranzo nei ristoranti locali

Ore 16,00 Sala Consiliare.

Presentazione del Libro Olio e salute A cura del dott. Francesco Poti

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