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In Valnerina, tra i simboli che esprimono il mistero mariano, vi sono la grotta e lโ€™acqua, entrambe allegorie di maternitร  e rinascita. La grotta compare spesso nelle raffigurazioni della Nativitร  in sostituzione della stalla in muratura o dellโ€™umile capanna adibita a ricovero del bestiame, evocando, nellโ€™immaginario tradizionale, lโ€™utero in cui la vita prende forma e dal quale si manifesta.

Analogicamente lโ€™antro roccioso nellโ€™iconografia mariana della Valnerina diviene immagine di maternitร  spirituale e di rinascita mistica: fin dalla piรน remota antichitร , le pareti rocciose delle grotte circoscrivono uno spazio sacro dedicato alla meditazione, al ritiro e al silenzio.

Il luogo in cui sorge il santuario della Madonna della Stella, circondato dalle grotte degli antichi eremiti, รจ impregnato di una sacralitร  tipicamente mariana, connotata dalla valle, dallโ€™acqua che cade e scorre limpida, dalla selva ombrosa, dal silenzio dellโ€™eterno e dagli antri eremitici. Contemplando dal basso la rupe in cui quelle grotte si ergono marmoree, si ha lโ€™impressione di osservare dei nidi ormai vuoti, abbandonati da uccelli che hanno trasvolato lโ€™oceano per non farmi piรน ritorno.

La storia dellโ€™eremo risale allโ€™VIII secolo quando, nella valle del torrente Tissino alla confluenza delle valli Noce e Marta, sorse il Monasterium S. Benedicti in Faucibus o in Vallibus, soggetto allโ€™Abbazia longobarda di S. Pietro di Ferentillo. Questo luogo pur fuori dal mondo era lambito da antichi itinerari che, provenienti da Leonessa e Cascia, confluivano verso il gastaldato di Ponte e quindi verso Spoleto, capitale dellโ€™omonimo ducato longobardo: la costruzione del monastero, lungo un nodo stradale cosรฌ importante, fu dovuta sia alla politica di controllo del territorio esercitata dai duchi di Spoleto, sia allโ€™opera di evangelizzazione e di espansione del monachesimo nella montagna. A quel tempo nel solo territorio di Cascia erano presenti ben undici celle monastiche e una quindicina di monasteri benedettini.

 

 

Dโ€™altronde fin dal V secolo nellโ€™intera Valnerina alcuni monaci siriani avevano trasferito lโ€™esperienza monastica orientale nelle grotte e negli anfratti che poi portarono alla fondazione delle abbazie di Santโ€™Eutizio (Preci), dei Santi Felice e Mauro (Santโ€™Anatolia di Narco) e di San Pietro in Valle (Ferentillo). Fondamentale impulso per lo sviluppo delle esperienze monastiche nella miriade di celle e monasteri della Valnerina fu nel 480 la nascita di San Benedetto a Norcia e la successiva diffusone della Regola. Il declino dei Benedettini verificatosi dal XIII secolo, con il seguente abbandono di beni e monasteri, favorรฌ lโ€™insediamento dellโ€™ordine degli Agostiniani: nel 1308 il Capitolo Lateranense concesse i possedimenti ai frati Andrea da Cascia e Giovanni da Norcia, eremiti dellโ€™ordine di Santโ€™Agostino di Cascia, con lโ€™obbligo di versare un danaro allโ€™anno in favore della chiesa di San Benedetto in occasione della festa del Santo. Risalita la stretta valle, i due eremiti diedero inizio allโ€™opera di edificazione dellโ€™eremo attuale che poi prese il nome di Santa Croce in Valle.

 

Eremo

In questo luogo appartato ยซin mezzo a due altissimi monti, dove non si vede altro che due palmi di cieloยป alla nuova chiesa, in parte ricavata nella roccia, si aggiunsero con il tempo una decina di celle monastiche, ricavate anchโ€™esse nella parete rocciosa con lโ€™aggiunta di parti murarie. Sorgeva cosรฌ una sorta di laura, dove lโ€™esperienza cenobitica si fondeva con quella piรน antica degli eremiti orientali. La chiesa, alla quale era addossato un refettorio di cui restano solo pochi resti, fu affrescata nel 1416 da un maestro umbro. Entrando, a destra, troviamo due Pietร  e San Michele Arcangelo che uccide il drago. Compresa in una cornice in finto mosaico cโ€™รจ una Madonna in trono con Bambino tra i santi Pietro e Paolo; seguono Santa Caterina dโ€™Alessandria (con una ruota in mano), Santa Lucia (con le fiaccole in mano) e San Benedetto (che regge il libro della Regola).

Madonna della Stella

I documenti, redatti a seguito di una visita apostolica nel 1571, ci dicono che a quel tempo la chiesa era abbandonata e diruta. Nei secoli successivi di questo luogo quasi si perse la memoria. Tale situazione permase fino alla prima metร  dellโ€™Ottocento quando, nel 1833, due pastori di Roccatamburo rinvennero un dipinto tra i rovi. Da quel momento la chiesa, restaurata dai fedeli, prese il nome di Madonna della Stella in onore della veste trapuntata di stelle che indossa la vergine ritratta nel ciclo interno di affreschi. Da allora alcuni eremiti volontari si sono occupati del luogo sacro: lโ€™ultimo, ancora ricordato dagli anziani del posto, fu Luigi Crescenzi che visse nellโ€™eremo tra il 1919 e il 1949, morendo a seguito di una caduta dalle rocce strapiombanti di questo luogo lontano dalla frenesia dei tempi moderni.

Lโ€™antro, naturale o artificiale, tipico degli insediamenti anacoretici, รจ suscettibile dโ€™interpretazione simbolica. Dalle tebaidi dei deserti africani alle folte selve della verde Umbria, gli eremiti scelgono le grotte come dimore a essi piรน congeniali. Lโ€™antro roccioso รจ la tana di una belva, il demonio, con cui lo spirito prigioniero sperimenta i limiti della natura terrestre e tenta lโ€™impresa terribile del loro superamento, tramutando la caverna eremitica nellโ€™ancestrale anfiteatro in cui Dio e la belva domata sโ€™incontrano. Tra i due estremi, tomba e utero di rinascita, lโ€™angusto spazio della grotta รจ agone, campo di battaglia e martyrion, spazio sacro in cui avviene il supplizio dellโ€™Io.

Un monte che, in questa stagione, ricorda anacronisticamente il mare dโ€™inverno. Solo che, al posto dellโ€™acqua, della salsedine e dei flutti, ci sono fiori e distese erbose.

Sulla sinistra della strada tortuosa che da Sanโ€™Anatolia di Narco conduce a Monteleone di Spoleto, una volta oltrepassato il pittoresco borgo di Gavelli, si apre una vecchia mulattiera che si inerpica a zig-zag lungo il Monte Coscerno. Un segnavia del CAIย  – pressochรฉ lโ€™unico che incontrerete lungo tutto il percorso – indica come di consueto i tempi di percorrenza per quella che รจ la vostra meta, la Forca della Spina.

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Ma, nel caso non foste pratici di sentieri e di trekking, vi basterร  seguire quella viuzza sterrata che attacca il versante del Coscerno a circa 1100 metri di altitudine e proseguire a fianco di un vecchio recinto spinato intervallato da scale di legno fradicio. Un tempo queste, presumibilmente, permettevano di scavalcare la recinzione senza pericoli, mentre ora si appoggiano, sbilenche e fragili, alla debole struttura di contenimento.
Un cartellone scolorito al punto da essere diventato bianco e con poche lettere ancora distinguibili, data lโ€™intervento di finanziamento al 1987. In effetti, piรน andrete avanti piรน scoprirete come lo stato in cui versano gli steccati e la debole traccia del sentiero โ€“ conservata soprattutto dal passaggio degli animali da pascolo โ€“ rivelino la scarsa frequentazione, da parte dellโ€™uomo, di questo monte ricco di prati.

Una vasta distesa di abeti si apre, dopo non molto, sulla destra. La regolaritร  degli alberi rivela unโ€™origine artificiale, anche se ormai cancellata dalla fitta vegetazione che impedisce addirittura di vedere il cielo allโ€™orizzonte. Un senso di pace, nonchรฉ un silenzio abissale invadono le orecchie, presto sostituiti dal battiti accelerati del cuore, messo sotto sforzo dalla successiva e repentina salita.
Ma, come accade spesso in montagna, il panorama ripaga la fatica. Alle nostre spalle, numerosi massicci, resi unโ€™unica, imponente catena dalla prospettiva distorta, spuntano dalla foschia di condizioni atmosferiche inclementi. Il piรน lontano, il Terminillo, veste ancora il bianco delle nevi invernali.

Davanti a noi, invece, si apre una foresta caduca spazzata dal vento. I tronchi nodosi, piegati e avvinghiati come tentacoli dellโ€™orrore, rivelano le loro forme bizzarre e contorte grazie alla pulizia operata dalla stagione fredda appena trascorsa: presto torneranno a essere nascosti dalle verdi foglie e dal rigoglioso sottobosco.

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Giร  fanno capolino le viole del pensiero, gialle e viola che, dal limitare di questa macchia chinatasi al vento si estendono a perdita dโ€™occhio, tappezzando questi vasti prati dโ€™altura.

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Il cielo grigio acciaio, lโ€™erba secca, lo steccato scolorito e la foresta rossiccia sembrano aver desaturato la scena, conferendole โ€“ anacronisticamente e inaspettatamente โ€“ i colori del mare dโ€™inverno.

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La presenza umana รจ ora tradita da un fuoristrada che si avvicina a sobbalzi. Non credo possa stare qui, a calpestare questi magnifici rigurgiti di natura montana, ma lโ€™uomo non sembra preoccuparsene: ci chiede se abbiamo visto dei cavalli. Di deiezioni equine e bovine, in effetti, ne abbiamo viste tante, ma di quadrupedi nemmeno lโ€™ombra. Forse รจ questo vento freddo che pettina i prati ad averli spinti al riparo.

 

Procediamo ancora. Sโ€™intravedono le antenne in lontananza, come alla fine di un gioco di specchi. La cresta piatta del Coscerno รจ talmente vasta da creare tanti altopiani in successione, come piccole piste di decollo elicotteri.

Le violette fanno spazio alle pervinche e ai crochi, come a tante specie variopinte di cui ignoro il nome, ma che appagano la vista per la loro elegante architettura e per la loro tenace ostinazione a crescere in luogo di cosรฌ soggiogante asperitร .

 

 

 

Qualche saliscendi e poi, morbidamente, un avvallamento ripieno dโ€™acqua. La pozza, senza dubbio stagionale, si estende immota a limitare della foresta china. Lo sarร  ancora per poco: sul fondo si estendono lunghissime matasse gelatinose che, dopo un primo momento di smarrimento, risultano piene di uova. Il centro del laghetto si increspa rivelando la sagoma di un rospo, anticipazione di ciรฒ che diventerร  la gran parte di queste uova scure.

La foresta si risolve in una staccionata sbiancata dal sole che ci conduce alle antenne. รˆ sempre difficile abituarsi a tanto ferro dopo che si รจ stati inghiottiti dalla natura, le cui proporzioni sono sempre dilatate: il cielo sembra schiacciarci, avvolgente come una cupola indaco, e i prati si aprono e si contraggono come il moto ondoso di un mare in tempesta. I fiori ci vorticano attorno come risacca.

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Oltrepassate le arrugginite costruzioni umane, il versante rovina quasi a strapiombo, vellutato dai ciuffi dโ€™erba che, come ingannevoli cuscini, sembrano rassicurarci con la morbidezza di unโ€™eventuale caduta.

Adagio, costeggiamo la cima e torniamo indietro a mezza costa, le antenne nascoste alla vista, scoprendo infine il sostegno roccioso del Monte Coscerno, le sue asperitร , la sua lunga storia.

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Sentiero: poco oltre Gavelli, in corrispondenza degli abbeveratoi, inizia la mulattiera che risale il Monte.
Durata: 4h 30 con pause.
Dislivello: 600 metri.
Difficoltร : medio-bassa, classificata come E.
Suggerimenti: portarsi una giacca antivento e almeno un cambio.

Foto dell’autrice.

ยซAnche il piรน lungo dei viaggi inizia con un passoยป, recitava quel polveroso aforisma orientale che sembra esorti lโ€™animo umano a immolarsi oltre la piรน ardua delle salite,ย oltre quelle torri di fumo che segnano il confine tra ciรฒ che la ragione rifugge e il cuore rivendica.

Yin e Yang, entitร  tanto complementari quanto antiteticheย che qui assumono la connotazione di Terra e Cielo, congiunzione ancestrale di quellโ€™ordine cosmico che qui si manifestaย in idilli di valli soggiogate da rocche e castelli, fortificazioni dellโ€™animo e della mente.

 

Foto by I luoghi del silenzio

La valle dei viandanti

Non a caso il nostro viaggio inizia proprio da una valle, quella di Narco, e dal suo fiume che qui si rivela metafora di un percorso interiore dallโ€™incedere ciclico capace di restituire allโ€™animo umanoย i gradi di marinaio e naufrago. E allora sorge spontaneo pensare a quellโ€™uomo senza volto, a quellโ€™eroe romantico simboleggiato dal dipinto di Friedrich[1]. Un viandante che porta nel suo nomeย lโ€™idea del percorso, di un peregrinare senza sosta, di una ricerca infinita che si perde nei misteri della vita.
Issata sulla volta del cielo da funi di roccia e granito, laย Val di Narcoย abbraccia il viaggiatore nellโ€™ampio respiro del suo ventre iniziandolo a unโ€™esperienza dai contorni onirici,ย in cui gocce dโ€™acqua e di memoria infinitamente piccole celano ciรฒ che รจ infinitamente grande ed eterno. Acqua che quindi รจ armonia ed equilibrium,ย espressione del creazionismo cosmicoย che si eleva al cielo in localitร ย Santa Anatolia di Narco, dove il Nera bagnaย lโ€™Abbazia dei Santi Felice e Mauro, santuario ancestrale che contende agli spiriti arcani del vento e delle stelle i misteri e i silenzi dellโ€™eterno.

 

Rosone a doppia corolla

Lโ€™abbazia

Consacrata ai due monaci siriani che intorno al V secolo a.C. si insediarono in Val di Narco, lโ€™Abbazia dei Santi Felice e Mauro, vestibolo di ingresso nella contemplazione dello spirito, narra nella polvere acre dei bassorilievi cheย la cingono le vicende dei santi uccisori del drago, nel cui mito si cela la bonifica della valle che le esondazioni del Nera rendevano insalubre. Svestito il saio, quei monaci schivi venuti dalla lontana Siria indossarono le vesti pagane dellโ€™homo faber, trionfo della tecnica e della sapienza umana, sinonimo di una spiritualitร  che qui rifiuta il possesso prometeico della natura perchรฉ rappresentazione di quel motore immobile da cui tutto ha origine e in cui tutto si risolve.
La facciata, ode dagli echi marmorei che celebra la plasticitร  del romanico spoletino, tesse tra i cinerei mormorii del Nera pentagrammi di mosaici e affreschi che consacrano alla gloria degli altari le gesta dei santi uccisori del drago. Ammainato tra i rovi di antichi sentieri campestri fioriti nei giardini perduti della Valnerina, il rosone a doppia corolla narra, nel fregio che lo sorregge, le epiche gesta del santo Felice, elemento ornamentale che qui si rivela allegoria dellโ€™esperienza umana, monito scultoreo dallโ€™effetto bipolare a cui lโ€™artista affida il compito di elevare lo spirito di chi lo contempla per poi ancorarlo al suolo, su quel letto dโ€™arenaria su cui giace la leggenda dei santi sauroctoni, cioรจ uccisori di draghi.

 

Presbiterio, foto di La Valnerina

 


[1] Si veda Viandante su mare di nebbia, Caspar David Friedrich, olio su tela, 1818, Hamburger Kunsthalle Amburgo.โ‡‘