ยซAnche il piรน lungo dei viaggi inizia con un passoยป, recitava quel polveroso aforisma orientale che sembra esorti lโanimo umano a immolarsi oltre la piรน ardua delle salite,ย oltre quelle torri di fumo che segnano il confine tra ciรฒ che la ragione rifugge e il cuore rivendica.
Yin e Yang, entitร tanto complementari quanto antiteticheย che qui assumono la connotazione di Terra e Cielo, congiunzione ancestrale di quellโordine cosmico che qui si manifestaย in idilli di valli soggiogate da rocche e castelli, fortificazioni dellโanimo e della mente.
La valle dei viandanti
Non a caso il nostro viaggio inizia proprio da una valle, quella di Narco, e dal suo fiume che qui si rivela metafora di un percorso interiore dallโincedere ciclico capace di restituire allโanimo umanoย i gradi di marinaio e naufrago. E allora sorge spontaneo pensare a quellโuomo senza volto, a quellโeroe romantico simboleggiato dal dipinto di Friedrich[1]. Un viandante che porta nel suo nomeย lโidea del percorso, di un peregrinare senza sosta, di una ricerca infinita che si perde nei misteri della vita.
Issata sulla volta del cielo da funi di roccia e granito, laย Val di Narcoย abbraccia il viaggiatore nellโampio respiro del suo ventre iniziandolo a unโesperienza dai contorni onirici,ย in cui gocce dโacqua e di memoria infinitamente piccole celano ciรฒ che รจ infinitamente grande ed eterno. Acqua che quindi รจ armonia ed equilibrium,ย espressione del creazionismo cosmicoย che si eleva al cielo in localitร ย Santa Anatolia di Narco, dove il Nera bagnaย lโAbbazia dei Santi Felice e Mauro, santuario ancestrale che contende agli spiriti arcani del vento e delle stelle i misteri e i silenzi dellโeterno.
Lโabbazia
Consacrata ai due monaci siriani che intorno al V secolo a.C. si insediarono in Val di Narco, lโAbbazia dei Santi Felice e Mauro, vestibolo di ingresso nella contemplazione dello spirito, narra nella polvere acre dei bassorilievi cheย la cingono le vicende dei santi uccisori del drago, nel cui mito si cela la bonifica della valle che le esondazioni del Nera rendevano insalubre. Svestito il saio, quei monaci schivi venuti dalla lontana Siria indossarono le vesti pagane dellโhomo faber, trionfo della tecnica e della sapienza umana, sinonimo di una spiritualitร che qui rifiuta il possesso prometeico della natura perchรฉ rappresentazione di quel motore immobile da cui tutto ha origine e in cui tutto si risolve.
La facciata, ode dagli echi marmorei che celebra la plasticitร del romanico spoletino, tesse tra i cinerei mormorii del Nera pentagrammi di mosaici e affreschi che consacrano alla gloria degli altari le gesta dei santi uccisori del drago. Ammainato tra i rovi di antichi sentieri campestri fioriti nei giardini perduti della Valnerina, il rosone a doppia corolla narra, nel fregio che lo sorregge, le epiche gesta del santo Felice, elemento ornamentale che qui si rivela allegoria dellโesperienza umana, monito scultoreo dallโeffetto bipolare a cui lโartista affida il compito di elevare lo spirito di chi lo contempla per poi ancorarlo al suolo, su quel letto dโarenaria su cui giace la leggenda dei santi sauroctoni, cioรจ uccisori di draghi.
[1] Si veda Viandante su mare di nebbia, Caspar David Friedrich, olio su tela, 1818, Hamburger Kunsthalle Amburgo.โ