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Valentino Martinelli, storico dellโ€™arte, pubblicรฒ nel periodico “Storia dellโ€™Arte” n. 19 del 1973 un saggio sulla presenza di Giotto ad Assisi.

Lโ€™unico documento che testimonia la presenza di Giotto ad Assisi si trova nellโ€™Archivio Storico Comunale di Bevagna e fu scoperto nellโ€™ottobre dello stesso anno da don Mario Sensi, il quale dava riservata notizia e indicazione del documento notarile a p. C. Cenci, noto studioso di documenti dโ€™archivio francescani. Il Martinelli fornisce la collocazione del documento a: ยซBevagna archivio storico comunale. Protocollo di Giovanni Alberti (1303-1317). Frammento E, c. 13v. Assisi ,1309, gennaio 4ยป.

Il documento รจ un atto estratto dal ยซliber sive quaternus rogationum protocollorum scriptorumยป di mano del notaio Giovanni Alberti di Assisi, che attesta come ad Assisi il 4 gennaio 1309 alla presenza dello stesso notaio rogante Giovanni Alberti, testimoni Lippo di Tomasuccio e Finuccio Gilioli, Iolo Giuntarelli dava quietanza e dichiarava piena soddisfazione a Palmerino di Guido, stipulante per sรฉ e per Giotto di Bondone da Firenze, per la somma di cinquanta libbre di denari cortonesi, che gli erano dovuti a causa di un prestito, il cui strumento di mano del notaio Bene Passari veniva cosรฌ annullato con tutte le relative promesse di rito e garanzie di legge da parte del creditore, con le quali si conclude lโ€™atto notarile.

La carta dโ€™archivio menziona, quindi, chiaramente e per esteso, il nome di Giotto di Bondone da Firenze e la identificazione con il grande pittore fiorentino รจ provata dalla diretta ed esplicita indicazione del nome, della esatta paternitร  e della sua cittร  di provenienza.

Accettando tale deduzione ne consegue che Palmerino di Guido era probabilmente un pittore locale e, comunque giร  attivo in Assisi da molto tempo. Che tale nome si trovi nellโ€™atto notarile del 1309 accanto a quello di Giotto di Bondone da Firenze rafforza la convinzione che si tratti proprio di due pittori: lโ€™uno, forse umbro, e lโ€™altro il famoso Giotto da Bondone, verosimilmente associati insieme in quegli anni in unโ€™impresa pittorica in Assisi.

Il notaio Giovanni Alberti fino al 1316 stipulava ancora regolarmente nella sua abitazione nella piazza del Comune di Assisi. Dopo il 1316 egli non si trovava piรน in Assisi bensรฌ a Limigiano, una frazione del Comune di Bevagna, dove si era rifugiato in seguito al bando da Assisi, probabilmente per aver aderito alle rivolte ghibelline. Stabilitosi a Limigiano, lโ€™Alberti vi esercitava la funzione di notaio, probabilmente con buoni proventi dato che nel dicembre del 1339 acquistava per sรฉ i suoi eredi un terreno nel distretto di Limigiano. Ai tempi dellโ€™Alberti la frazione di Limigiano faceva parte della giurisdizione amministrativa di Assisi e con il passaggio del suo territorio da Assisi a Bevagna (nel 1827 Limigiano viene annesso a Bevagna, con cui rimarrร  sino allโ€™unitร  dโ€™Italia, per poi diventarne una frazione) tutto il materiale documentario entrรฒ a far parte dellโ€™Archivio Storico Comunale di Bevagna.

 


Fonti

Valentino Martinelli: โ€œStoria dellโ€™arte n. 19. 1973โ€

Dante, Purgatorio, XI, vv. 94-96.

Giorgio Vasari, โ€œLe vite dei piรน eccellenti pittori, scultori e architettori

Il presente lavoro intende indagare il primato dellโ€™istituzione dei Monti di Pietร , questo รจ da anni conteso tra Perugia e Ascoli. La risposta a tale quesito risale solamente nei documenti dโ€™archivio, unici veri custodi della veritร  tanto bramata dalle due cittร .

Il caso di Perugia

Assai arduo risulta stabilire la data certa di fondazione del Monte di Pietร  di Perugia. La maggior parte degli storici per vari decenni ha sostenuto fosse il 1474, altri il 1460, ma la data corretta, derivante da unโ€™oculata lettura dei documenti, รจ lโ€™aprile del 1462. La fondazione del Monte, da fra Mariano da Firenze, รจ stata attribuita a fra Barnaba Manassei da Terni. Il frate perรฒ non compรฌ lโ€™opera da solo, ma fu aiutato da un altro Minore osservante, fra Fortunato Coppoli da Perugia. Una delle prime indagini sulla fondazione del Monte fu condotta dal Pellini, uno storico locale di Perugia, che nel Seicento andรฒ a studiare la documentazione dellโ€™Archivio comunale per dirimere la questione sulla fondazione del Monte. Pellini nella sua Historia di Perugia narra perfettamente le fasi e i protagonisti che cooperarono per la fondazione dellโ€™Istituzione. La fondazione del Monte perรฒ รจ attribuita dal Pellini a fra Michele Carcano da Milano, ma ciรฒ stride fortemente con ciรฒ che era stato detto da fra Mariano da Firenze. Probabilmente la soluzione allโ€™intricato mistero risiede in una cooperazione tra i due osservanti. Lโ€™ipotesi piรน probabile รจ che Fra Barnaba, essendo in quel periodo vicario dei frati Minori dellโ€™Osservanza dellโ€™Umbria, abbia appoggiato la proposta di fra Michele Carcano da Milano. Questโ€™ultimo durante la quaresima del 1462 piรน volte predicรฒ in cittร  contro lโ€™attivitร  usuraia esercitata dagli ebrei. Il 3 aprile del medesimo anno, parlรฒ presso la piazza e raccogliendo tutte le motivazioni affrontate nelle precedenti predicazioni, disse ai presenti che dovevano lacerare i patti stabiliti con gli ebrei e fondare una nuova istituzione di prestito. Il giorno dopo, le autoritร  sensibili al volere del popolo, annullarono le concessioni fatte agli ebrei, in vigore dal 1457. Lโ€™annullamento avvenne con un solo voto contrario su 49 e con precisi richiami e citazioni di leggi canoniche che i rappresentanti avevano udito dal frate. La cancellazione dei patti fu immediatamente seguita dallโ€™istituzione del Monte di Pietร . Il suggerimento della fondazione del Monte venne proprio da Carcano. Perรฒ a differenza dellโ€™istituzione dei Monti successivi, a Perugia le autoritร  fondano il Monte autonomamente, senza lโ€™interferenza dei frati nello stabilire gli statuti. Qui le autoritร  si limitarono a seguire il consiglio di Carcano.
Si evince chiaramente come le cause fondati del Monte sono le medesime di quelli di Jesi e Osimo, studiati in precedenti saggi e pubblicati nella rivista Miscellanea Francescana. Due sono le costanti che riscontriamo nella fondazione dei Monti: il debellamento della sfrenata attivitร  usuraia da parte degli ebrei e lโ€™intervento dei Minori Osservanti per la fondazione dellโ€™istituzione.

 

Monti di Pietร  nella storia

Un approfondimento su Ascoli

Stando a ciรฒ che dice lo storico ascolano Francesco Antonio Marcucci, il primo Monte di Pietร  fu istituito in Ascoli per opera di Beato Marco da Montegallo. Lo storico spiega lโ€™avvenimento con le seguenti parole: ยซIl primo Monte di Pietร  lo volle il Beato qui in Ascoli, sua patria, nel 1458, in cui si portรฒ a predicare, avendo proibito la cittร  in tal anno al nostro Ghetto giudaico il prestare piรน i pegniโ€ฆยป. Lo storico ascolano afferma di aver tratto tali considerazioni da fonti ben precise: dallo storico del XV secolo Pieragnolo Dino, la cui opera si รจ perduta nel XIX secolo, e Nicolรฒ Marucci, un antenato di Francesco, autore di un trattatello perรฒ mutilo nella sezione dโ€™interesse ai fini della presente ricerca. Marcucci perรฒ non venne preso sul serio poichรฉ era solito inventare notizie storiche per accrescere la notorietร  e la gloria dei suoi antenati. Egli era Vescovo di Montalto Marche e Vicegerente di Roma, un tipico prelato di alto rango settecentesco, colto ed erudito, ma non storico di professione. Heribert Holzapfel, il piรน grande storico dellโ€™istituzione Monte di Pietร , trattando di quello di Ascoli, neanche menziona Marcucci e si limita a dire che ci sono troppe lacune nel materiale documentario dโ€™archivio per affermare che quello ascolano sia stato il primo. Uno degli storici piรน critici nei confronti di Marcucci fu il compaesano Giacinto Cantalamessa Carboni. Egli in Notizie storiche per servire alla biografia di frate Marco da Montegallo, medico, teologo ed oratore del sec. XV non accolse le teorie di Marcucci, anzi le respinse, poichรฉ il prelato non poteva affermare notizie veritiere, essendo andati distrutti i libri consiliari con lโ€™incendio del 1535, fatto appiccare al palazzo degli Anziani dal commissario Quieti per far uscire alcuni rivoltosi che si erano barricati allโ€™interno. Neanche lo storico Giuseppe Caselli, massimo esperto di san Giacomo della Marca, risparmia aspre critiche al metodo di Marcucci.ย  La risposta perรฒ a tutti questi interrogativi risiede negli Atti consiliari 1456-1461 conservati presso lโ€™Archivio di Stato di Ascoli Piceno. In queste due carte sono riportati giorno, anno e nome del fondatore. Il Monte fu fondato tra il 4 e il 15 gennaio 1458 da Beato Domenico da Leonessa e portato avanti da Beato Marco da Montegallo. Cosรฌ รจ riportato nel documento: ยซSuper persuasionibus factis in pulpito pluries per R. P. fratrem Dominicum de Leonissa Ordinis Minorum Regularis dicte qui dicit quod ad honorem et laudem Dei fiat Mons Pietatis in Asculumยป. Dunque, Marcucci aveva ragione, ma aveva commesso lโ€™imperdonabile errore di omettere il fondatore del Monte, cioรจ colui che aveva iniziato lโ€™opera, Beato Domenico da Leonessa. Ciรฒ che ha ingannato Marcucci รจ il fatto che nel medesimo anno entrambi predicano in Ascoli, ma con due scopi differenti: Domenico da Leonessa affinchรฉ venisse fondata unโ€™istituzione di credito, Marco da Montegallo contro lโ€™usura praticata dagli ebrei. A dimostrazione di ciรฒ, giungendo alle carte 52v โ€“ 53r degli Atti consigliari di quellโ€™anno si legge lโ€™attuazione dellโ€™abolizione del banco delle usure (ad opera dei giudei). Dunque, ecco la chiara dimostrazione del primato del Monte di Pietร  di Ascoli su quello di Perugia, ancora una volta il francescanesimo risulta essere molto piรน radicato nelle Marche, che nellโ€™Umbria, regione dโ€™origine del movimento.

Stavo facendo un volo allโ€™interno degli Stati Uniti quando ho conosciuto delle donne che venivano dallโ€™Inghilterra, dalla Francia e dalla Germania e stavano andando a un congresso internazionale di coperte patchwork.

Mi hanno raccontato che avevano lโ€™abitudine di riunirsi e lavorare insieme. รˆ sempre un piacere ritrovarsi tra amiche e fare delle cose assieme come giocare a burraco o lavorare a maglia, fare biscotti oppure intrecciare cesti. Lโ€™idea di intrecciare cesti รจ venuta a una signora tuderte, Francesca Marri, che si diverte con le sue amiche e assieme si rilassano dopo una giornata impegnativa. La casa della signora Marri รจ piena di cesti di ogni tipo, colore e funzione; Francesca non si limita solo a intrecciare rami e rametti, ma conosce anche la storia dei cesti, che si perde indietro nei secoli.

 

 

I cesti di ogni dimensione sono sempre stati usati da che esiste lโ€™uomo. Lโ€™uomo primitivo ha imparato a intrecciare rami e farne dei contenitori per trasportare le cose asciutte, ma non si potevano trasportare i liquidi. Allora si comincia a usare la terra argillosa come semplice rivestimento dellโ€™interno dei cesti per renderli impermeabili. Poi lโ€™argilla uscirร  dai cesti e diventerร  ceramica uno dei capisaldi delle prime civiltร . Il cesto รจ un prodotto naturale, perchรฉ รจ il risultato di intrecci di rametti di ogni tipo di pianta. Francesca intreccia rametti di olmo, di ginestra, di vitalba, di ornello, di salice e i rametti dritti degli olivi. Cosรฌ ho scoperto che il salice da intrecci รจ la varietร  detta Salix Viminalis.
Ne consegue che il colle Viminale, dove ha sede il Ministero degli Interni, era un colle coperto di salici. Lโ€™uomo ha imparato a non distruggere la natura nemmeno per fare i cesti. Infatti, i rami si raccolgono prima delle gemme e si raccolgono solo i ributti o i polloni che sono quei rami legnosi che crescono alla base delle piante e che andrebbero eliminati. Appena raccolti sono freschi e umidi e necessitano di essere asciugati ma non troppo perchรฉ non si secchino.
Una volta asciugati si bagnano leggermente per far riprendere la plasticitร  e si procede. E qui nascono le sorprese. Ogni paese, ogni zona ha il suo cesto e ogni ramo permette di essere lavorato con una tessitura particolare. In Francia, nel Perigord, la tecnica รจ tutelata ed รจ caratterizzata da una particolare lavorazione a spirale che si fa con il vimini, osier in francese.

In Spagna cโ€™รจ il cesto Zarzo, tipico delle Asturie che si fa con rami di salice di vari colori. In Kenya usano le fibre di sisal, unโ€™agave importata dal Messico. Dalle foglie si estraggono delle fibre morbide che le donne tingono ed intrecciano. Le sporte keniote sono famosissime come gli stuoini di sisal che si mettono davanti alle porte. Le forme diverse dei cesti annunciano anche utilizzi diversi. Cโ€™รจ il cestino da ciliegie che ha il fondo tondo e non si ribalta mentre quello per le noci รจ fatto per essere appeso alla vita. In Sardegna di usa la rafia che ha un intreccio piรน fitto e ha tinte chiare.

Prima di conoscere la signora Marri credevo che i cesti fossero oggetti non particolarmente interessanti. Invece mi sono accorta di averne visti tanti e con tante funzioni diverse. Nei miei ricordi di bambina ci sono i cestini porta merenda dellโ€™asilo, le gerle che i montanari caricavano sulle spalle come zaini e le sporte per la spesa che le donne avevano al mercato. Ne ho visti anche in mano ai raccoglitori di funghi su e giรน per i boschi, ho visto i cestini porta trote addosso ai pescatori, ho avuto la borsa keniota e il cestino porta pane sardo. Insomma, ero circondata da questi silenziosi aiutanti che non apprezzavo a sufficienza.

 


Se qualcuno si vuole cimentare a intrecciare vimini e altri rami basta che vada su Instagram e vedrร  la signora Marri in azione.

Instagram: cesteria _ telospiegoconlemani

Tra San Giustino (PG) e Sansepolcro (AR), cโ€™รจ una zona di terreno che per secoli, tra il 1441 e il 1826, ha goduto di un’indipendenza dovuta a un errore dei cartografi vaticani e toscani. Cosรฌ รจ potuta nascere la libera Repubblica di Cospaia.

I delegati cartografi dello Stato Pontificio e del Granducato di Toscana, che dovevano tracciare i confini in quella zona di territorio, sbagliarono la delimitazione del luogo nei loro termini mappali, lasciando cosรฌ fuori dalle rispettive giurisdizioni quella minuscola area nellโ€™Alta Valtiberina, che si trova tra i torrenti Riascone e Rio di Gorgaccia.

 

Repubblica di Cospaia, foto via La storia di Cospaia

 

La zona, rimasta fuori dalle mappe dei cartografi, era una piccolissima striscia di terra, larga cinquecento metri e lunga due chilometri. Gli abitanti di Cospaia, il borgo appoggiato su quella piccolissima porzione di territorio, accorgendosi dellโ€™errore, si dichiararono fin da subito indipendenti e liberi da altre sovranitร ; tale condizione rimase immutata per secoli. E cosรฌ Cospaia visse dimenticata per quasi quattrocento anni, senza appartenere a nessuno se non a sรฉ stessa. Non esisteva un codice, una legge o imposte e in questa situazione, prese vita il contrabbando con gli Stati confinanti. In tal modo la Repubblica di Cospaia ha rappresentato per diversi secoli, un territorio franco e spesso i contrabbandieri vi trovarono accoglienza per i loro traffici che avvenivano tra Umbria, Toscana e Marche, attraverso la percorrenza di sentieri ben definiti da parte dei contrabbandieri/trasportatori che venivano chiamati spalloni.

 

 

I principali prodotti agroalimentari, oggetto di questi traffici illeciti, erano il tabacco e il grano. La Valtiberina, ancora oggi, รจ una terra di vocazione per la coltivazione del tabacco, una delle tipicitร  del territorio e rappresenta una fonte economica importante per gli abitanti della zona. La Repubblica di Cospaia ebbe la sua fine nel 1826 con la restaurazione post Napoleonica e il suo territorio venne poi suddiviso tra il comune umbro di San Giustino e quello toscano di Sansepolcro.
La Repubblica di Cospaia non ha riconoscimento giuridico corrente, ma il suo originario motto, scritto sul portale della chiesa parrocchiale della cittadina, รจ sempre attuale: Perpetua et firma libertas (Perpetua e sicura libertร )โ€ฆ e nei tempi correnti questo antico detto assume un significato di immenso valore e rimane sempre ร  la page.

La Route 27 di John Murray III non รจ quell’autostrada nord-sud degli Stati Uniti che collega il capolinea meridionale Miami, in Florida, con il capolinea nord Fort Wayne, nell’Indiana. รˆ tutto un altro percorso. Guardiamo di cosa si tratta, tornando un po’ indietro nel tempo.

Chi erano i Murray?ย  Una grande dinastia di editori!

Nel 1768 John Mc Murray arrivรฒ a Londra dalla desolata landa di Scozia in cerca di fortuna. Rinunciรฒ presto al prefisso Mc e mise su, con non poche difficoltร , un’attivitร  di vendita di libri. Iniziรฒ cosรฌ semplicemente e forse anche per caso la sua vita di letterato vendendo e successivamente pubblicando libri. L’attivitร  cominciรฒ ben presto a ingranare quando fu colpito da un grave lutto familiare; sua moglie morรฌ. Non si perse d’animo e si risposรฒ presto con la sorella di sua moglie che gli dette un figlio, anche lui di nome John. Alla morte di Murray I, avvenuta nel 1793, l’azienda fu affidata e gestita da amministratori fiduciari per circa 10 anni, quando il figlio John Murray II divenne l’unico responsabile. Mentre suo padre era conosciuto per esagerare con l’alcol, fare baldoria e per essere un bon viveur, John Murray II si rivelรฒ un uomo d’affari tutto d’un pezzo e lontano dal perdere tempo in frivole faccende. Divenne ben presto l’editore di Lord Byron e di Sir Walter Scott.
Alla morte di John Murray II, l’attivitร  fu rilevata dal figlio, anche lui di nome John, che dunque sarร  John Murray III. Uno dei piรน grandi successi di John Murray III fu la pubblicazione del libro L’origine delle specie e delle varietร  attraverso la selezione naturale di Charles Darwin. La dinastia รจ continuata con i vari John Murray fino ad arrivare a John Murray VII, negli anni ’90 del 1900. Nel 2002 il tutto รจ stato venduto al gruppo Hodder Headline Ltd. Finalmente i membri della famiglia Murray sono liberi di scegliere il nome del prossimo bebรฉ. Di John ce ne sono stati fin troppi!

John Murray III

Cenni biografici di John Murray III

John Murray III nacque il 16 aprile del 1808. Studiรฒ alla Charterhouse School a Godalming, circa 60 km a sud-ovest di Londra, e si laureรฒ all’Universitร  di Edimburgo nel 1827.
Pubblicรฒ traduzioni in inglese di Goethe e piรน tardi nella sua carriera tutte le opere di Charles Darwin e di Hermann Melville come il romanzo Moby Dick, considerato uno dei capolavori della letteratura americana. Nel 1847 sposรฒ Marion, figlia del famoso banchiere Alexander Smith. Morรฌ all’etร  di 84 anni il 2 aprile del 1892 e fu sepolto nella chiesa parrocchiale di Wimbledon. Lasciรฒ quattro figli, due maschi e due femmine.

Murray’s Handbook for Travelers

John Murray III รจ rimasto famoso anche per la pubblicazione dei suoi Handbooks for Travelers. Altro non erano che guide di viaggio pubblicate a partire dal 1836. La serie comprendeva destinazioni turistiche in Europa e in parti dell’Asia e dell’Africa settentrionale. La sua prima guida di viaggio fu un Manuale per i viaggiatori in Olanda, Belgio e Reno. Nel 1900 la sua azienda aveva prodotto piรน di 400 guide turistiche. Possiamo senza ombra di dubbio affermare che le guide turistiche di Murray III del diciannovesimo secolo sono forse le piรน dotte e sapienti nel loro genere.

La Route 27

A Handbook for Travelers in Central Italy, di Octavian Blewitt, fu pubblicato a Londra in Albemarle Street da John Murray III nel 1850.
Nella parte introduttiva di questo volume viene specificato che la versione inglese รจ reperibile, oltre che in altre cittร , anche presso la tipografia Vincenzo Bartelli di Perugia.
Nella prefazione viene sottolineato come gli Stati dell’Italia Centrale e Meridionale sono forse di piรน grande interesse che di altri parti d’Europa. Viene inoltre specificato che l’opera รจ frutto di due viaggi per desiderio di dare giustizia al Paese e al popolo studiando le loro caratteristiche direttamente sul posto e acquisendo una personale conoscenza dei distretti piรน remoti ma altrettanto ricchi di storia e d’arte.
A un certo punto di questa guida di viaggio viene descritta la Route 27: Florence to Rome by Arezzo e Perugia.

Inizio la mia lettura da Foligno che cosรฌ subito viene descritta: ยซBefore arriving at Foligno, the Topino, upon which it is built, is crossedยป. Vengono subito indicate delle locande (Inns) dove mangiare e pernottare: Tre Mori, Grande Albergo e La Posta.
Foligno รจ descritta come ยซuna attiva e industriosa cittร  vescovile di 8.000 abitanti, gode di un’alta reputazione in tutti gli Stati limitrofi per il suo bestiame. La Chiesa di San Niccolรฒ preserva un bellissimo altare di Niccolรฒ Alunno, nativo di questa cittร . Il Corso, chiamato Canopia, permette al cittadino una piacevole passeggiata lungo l’antica cinta murariaยป.
ยซA poche miglia a ovest di Foligno, al bivio del Topino con il Timia, c’รฉ Bevagna che conserva ancora le tracce del suo antico nome Mevania. Celebrata dai poeti latini per la ricchezza dei suoi pascoli e ancora famosa per la pregiata razza di bovini bianchi. Strabone (geografo e storico greco) cita Mevania come una delle cittร  piรน considerevoli dell’Umbria. Plinio (storico) afferma inoltre che se le sue mura fossero di mattoni non potrebbero essere capaci di tanta resistenzaยป. Questa cittร  รจ inoltre memorabile come luogo di nascita di Properzio (poeta romano). ยซSulla collina sopra Bevagna, distante 6 miglia, c’รจ il piccolo paese di Montefalco notevole per due dipinti di Benozzo Gozzoli, nelle chiese di San Fortunato e di San Francescoยป.
La descrizione dei luoghi continua con: ยซOn leaving Foligno for Rome, imbocchiamo la via Flaminia e superato sant’Eraclio si valica il confine che separa le delegazioni di Perugia con quelle di Spoleto. La strada entra presto nella bella valle del Clitunnoยป. Il percorso continua poi fino a raggiungere Roma.

Conclusioni

Oggi siamo abituati a fare le nostre escursioni spesso utilizzando Google Maps e tutto quello che ci viene offerto da internet: luoghi d’interesse, orari dei musei, dove mangiare e dormire con tanto di recensioni e poi ancora le 10 cose da vedere in un giorno, sagre gastronomiche e feste popolari. Sempre attaccati al nostro smartphone come se fosse un’estensione del nostro corpo. Un’idea interessante potrebbe essere quella di procurarsi l’Handbook for Travelers in Central Italy e seguire il percorso e i suggerimenti che ci vengono offerti. Una nuova esperienza di viaggio che di sicuro ci stimolerร  la voglia di conoscere, la curiositร  e il senso di avventura.

ยซDue persone che si ponessero a scrivere uno stesso dialetto senza saper lโ€™uno dellโ€™altro, nรฉ seguire un metodo giร  ricevuto, si puรฒ scommettere che non iscriverebbero una parola sola nello stesso modoยป
Giacomo Leopardi.

Lโ€™orvietano รจ una macedonia di dialetti che attinge in parte dallโ€™umbro, in parte dal toscano e in parte dal laziale, e si discosta molto dal dialetto ternano e dalla parlata perugina, o dai molti dialetti dellโ€™alto Lazio. Con la nuova tappa di Dialettiamoci andiamo a Orvieto (e zone limitrofe) per scoprire tutti i segreti del suo vernacolo che รจ colorito e decisamente simpatico, un miscuglio linguistico per certi versi bizzarro.

Gianluca Foresi

La sua peculiaritร  principale รจ il plurale maschile che viene declinato al femminile: i fagioli co le cotiche diventano le faciole co’ le cotiche, le sorde (soldi), le sasse (i sassi), le carabiniere co le baffe (i carabinieri coi baffi) e se: Volete lโ€™acqua ma le case? Scoperchiate le tette (Volete l’acqua nelle case? Scoperchiate i tetti).
A condurci passo dopo passo nel viaggio orvietano cโ€™รจ Gianluca Foresi, attore di rievocazioni storiche e nativo della cittร , che ama la lingua in tutti i suoi aspetti.
ยซPrima dโ€™iniziare la nostra chiacchierata annamo a mettese a ceccia sulle schiace del Duono (andiamo a sederci sulle scale del Duomo). Gli orvietani fanno questo, oltre che a usare diocaro come inflessione, come fosse un cioรจ. Non cโ€™รจ nulla di blasfemo. E poi se ti chiedono come stae? (come stai) si puรฒ rispondere: Cโ€™ho na fame che sgavuglio (ho una fame che non ci vedo), fame si dice anche lupa (nun ho magnato gnente da iersera… e mรฒ cโ€™ho na lupa!) poi dopo mangiato ce pija la scarfagna (sonno, abbiocco) che si dice anche cicagna o cecagna.
Ecco, a Orvieto parliamo cosรฌ. Se poi vuoi chiamare qualcuno, devi urlare Oh vรจ! oppure quellโ€™o/quella do; laggiรน diventa me la ju, vieni qui, vieni me qui e andato รจ ito. La testa da noi รจ la copoccia, il ragazzo o la ragazza sono il bardasso o la bardassa (usato anche per indicare il fidanzato/a), le chicchere sono le stoviglie mentre il pรฌolo รจ il chiacchierare ridendo e scherzando: deriva, in forma onomatopeica, dal suono del verso dei pulcini. Usiamo molto anche la parola gagliardo – decisamente romanesca – e quando iniziamo un racconto diciamo: sessimo io eโ€ฆ (eravamo io eโ€ฆ), invece, dicesse Foresiโ€ฆ quando riportiamo le parole di qualcunoยป spiega Gianluca Foresi.

 

Per le vie di Orvieto

Se te pija a pittinicchioโ€ฆ รจ la fine!

Nel vernacolo gli insulti sono un vero fiore allโ€™occhiello e lโ€™orvietano non รจ certo da meno, quindi si spazia da lolo (sciocco) a marruano (grezzo, poco raffinato) o ciummello (imbranato). Per rinforzare possiamo dire che manco lโ€™billo te magna la capoccia (per dire che non sei molto intelligente) o sei proprio un metule (sei inutile. Il metule รจ il palo che sta in mezzo al pagliaio, sta lรฌ fermo e sembra che non serva a niente).
A Orvieto si puรฒ incontrare anche qualcuno che te pijร  a pittinicchio: mโ€™ha reso a pittinicchio, nun me mollava piรน! (si dice quando una persona chiacchiera tanto e non ti lascia piรน andare) o che dร  il pillotto (il tormento). Puรฒ capitare che in un luogo non ce se ribruglica (non ci si gira, si dice quando un luogo รจ troppo stretto), si puรฒ camminare a gnaolone (camminare come i gatti a quattro zampe) o me darebbe ma li cani! (per indicare una persona messa male) Ma lโ€™importante รจ levร  โ€˜ste struffajje de mezzo (vari oggetti in mezzo)… sinnรฒ โ€˜nciampico!
ยซUsiamo molto anche lโ€™imprecazione perdindirindio o il modo di dire Sโ€™รจ sfondato come โ€˜l pozzo de San Patrizio per indicare qualcuno che mangia molto. Invece quando si รจ fortunati si dice: sei passato par Arduino. Arduino si trovava anticamente nella zona di Porta Romana e si occupava della monta dei cavalli, รจ un modo elegante per dire che hai un grande fondoschiena. Molto usato รจ anche: sarร  che โ€˜l cane magna โ€˜l falasco, ma che scioje la balla (se il cane vuol mangiare il grano prima deve scogliere la balla) per indicare un obiettivo che non si riesce a raggiungere. Quando invece una ragazza รจ irraggiungibile per un ragazzo si dice n’รจ motore pe quela trebbiaยป conclude lโ€™attore orvietano.
Comunque caro lettore ricorda sempre che Quannรจ nero โ€˜l buco de lโ€™Apone nu la tiene manco Cristo col bastone (Quando da Orvieto, guardando verso lโ€™Apone (Viceno, una frazione) vedi nuvole nere, pioverร  di sicuro).

 


Le puntate precedenti

Perugino
Eugubino
Castellano
Folignate
Spoletino
Ternano

Una terrazza sul lago Trasimeno รจ diventata, in una canzone di gran successo, “Una Rotonda sul Mare”. La celebre canzone, portata alla notorietร  dalla voce di Fred Bongusto, รจ stata scritta da Franco Migliacci con la musica di Pietro Faleni.

Franco Migliacci

Per molti anni, tante persone sono rimaste convinte che il celebre brano sia stato ispirato dalle rotonde marine di Senigallia o Termoli o Rimini o Ostia. Niente di piรน falso. Il paroliere Franco Migliacci ha preso spunto, per scrivere la celebre canzone Una Rotonda sul Mare, da una serata danzante che si รจ svolta sulla Terrazza Lidรฒ di Passignano sul Trasimeno, ormai un bel po’ di anni fa. La canzone super conosciuta ha fatto epoca ed รจ, ancora oggi, molto ascoltata.

Andiamo con ordine…

L’autore Franco Migliacci, mantovano di nascita ma con i genitori originari della toscana Cortona, come spesso accadeva in tante famiglie emigrate, era rimasto molto legato alla terra dei propri avi e sovente tornava al paese d’origine. Cortona รจ molto vicina a Passignano sul Trasimeno e la Terrazza Lidรฒ era un luogo alla moda dove si ballava e rappresentava un punto d’incontro per molti ragazzi da dove si guardava romanticamente il lago.
Come ogni giovane che vive l’esperienza di un distacco per una storia d’amore, anche Migliacci ha vissuto la sua. E una sera di molti anni fa, gli amici del Franco paroliere, vedendolo triste e malinconico, lo portarono sulla festaiola Terrazza Lidรฒ di Passignano… ma il suo umore non mutรฒ. Quella sera, il suo stato d’animo, la musica, la luna, il lago, le luci sull’acqua, hanno indotto la creativitร  del maestro alla composizione del testo. L’ispirazione, infatti, gli fece scrivere ยซUna rotonda sul mare, il nostro disco che suona, vedo gli amici ballare, ma tu non sei qui con me…ยป.
La canzone rese famoso nel 1964 il cantante Fred Bongusto e per interessi economici, discografici, campanilismo e pubblicitร  furono accreditate altre rotonde sul mare come ispiratrici della celeberrima canzone.
Nell’agire con equitร  e giustizia e nel riconoscere a ciascuno i propri meriti, rimettiamo le cose al loro posto: la Terrazza Lidรฒ di Passignano sul Trasimeno ha favorito l’ispirazione del maestro Franco Migliacci a scrivere la canzone ed รจ questa la rotonda (oggi una piattaforma quadrata) a cui fa riferimento il brano. Mentre il mare evocato non รจ altro che il suggestivo e romantico lago Trasimeno. Semplicemente licenze e trasposizioni artistiche per cui diamo riconoscimento all’effettive sorgenti ispiratrici.
Come ha detto Migliacci, a proposito della rotonda passignanese: ยซQui c’รจ un genius loci che mi contatta. E tornarci รจ come rivedere un vecchio amicoยป

 

Questa la rotonda della canzone, oggi una piattaforma quadrata

Autore di canzoni di successo

Franco (all’anagrafe Francesco) Migliacci, รจ il paroliere di canzoni famosissime, come Nel blu dipinto di blu, Tintarella di luna, Che sarร  dedicata alla cittร  di Cortona, C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones e di tanti altri successi internazionali.
Il maestro ha scritto per Domenico Modugno, Mina, Gianni Meccia, Gianni Morandi, Rita Pavone, Claudio Villa, Fred Bongusto, Jimmy Fontana, Gino Paoli, Patty Pravo, Nada e molti altri grandi interpreti.
Franco Migliacci, affascinato dalla magia del Trasimeno e dall’incantevole Cortona, รจ cittadino onorario di Passignano sul Trasimeno e Una Terrazza sul Lago (leggasi Una Rotonda sul Mare) rimarrร  per sempre una pietra miliare della canzone italiana e internazionale, ispirata dal suggestivo, romantico e nell’occasione, anche tristemente innamorato, lago Trasimeno.

Un’impresa epica ed eroica quella del fraticello francescano Giovanni da Pian del Carpine – lโ€™attuale Magione – che nel XIII secolo, aprรฌ allโ€™Occidente la conoscenza e la strada per il lontano Oriente.

Dal suo viaggio, iniziato nel 1245 verso i potenti Mongoli e il loro Gran Khan, il frate ritornรฒ due anni e mezzo piรน tardi, con una serie di informazioni culturali, storiche, geografiche, etnografiche, militari e sugli usi e i costumi di quel popolo, talmente dettagliate e precise che, dopo 800 anni circa da quel viaggio, gli studiosi attingono ancora oggi alla sua Historia Mongalorum per ricerche e fonti. Lโ€™Historia Mongalorum di Fraโ€™ Giovanni – comandato dal Papa Innocenzo IV e recatosi in Oriente per svolgere una missione dettata da motivi religiosi e diplomatici – รจ il piรน antico documento che ci รจ pervenuto sulle terre e sui popoli dellโ€™Asia Centrale.

Opera di Gerardo Dottori: Giovanni da Pian di Carpine col Gran Khan

La storia di Fra’ Giovanni

Andiamo per gradi. Giovanni nasce da una famiglia umile a Pian del Carpine – detta cosรฌ per i tipici alberi di cui la vallata magionese era ricca – e si rivela fin da giovane un ragazzo di grande intelligenza e propensione culturale. Fu tra i primi e fedeli seguaci di San Francesco, stimato dal mondo ecclesiastico e popolare. In quei tempi, i Mongoli stavano invadendo e terrorizzando molte popolazioni, spingendosi fino alla vicina Dalmazia con le loro scorribande e conquiste.
Il Papa, Innocenzo IV, non voleva un altro popolo avverso alla Fede, visto che giร  i Musulmani gli davano non poche preoccupazioni. A tale scopo inviรฒ Fraโ€™ Giovanni come suo ambasciatore presso il Gran Khan dei Mongoli, per portargli la missiva intimidatoria di non avanzare ulteriormente e di convertirsi alla Cristianitร .
Il fraticello, giร  in etร  avanzata e di buona stazza, partรฌ alla volta di Karakorum, la capitale mongola, insieme ad altri due frati; non senza grandi difficoltร  e resistenze, attraversรฒ – con cavalli o cammelli o muli – la Polonia,la Boemia e la Russia, per poi arrivare nei domini mongoli, tra i quali Persia e Cina. Giunto alla corte mongola, dopo lunghe attese, ricevette, dal neo eletto Gran Khan Guyuk, risposte dure e minacciose da riportare al Papa.
La lunga ed estenuante missione fu inutile per gli scopi diplomatici per cui era stata concepita, ma fu molto proficua per la realizzazione dellโ€™Historia Mongalorum, ricca di notizie e suggerimenti sul popolo mongolo e sulle genti incontrate.
Fraโ€™ Giovanni da Pian del Carpine รจ stato lโ€™eroico apripista del viaggio che Marco Polo che avrebbe intrapreso diversi anni dopo di lui, per motivi economici. Le impressioni descritte dal commerciante veneziano si possono leggere su Il Milione. Varrebbe la pena di leggere anche la Historia Mongalorum, scritta dallโ€™intrepido fraticello… perchรฉ, come ha detto L. Scudiero: ยซNon dare mai nulla per scontato. Tutto puรฒ cambiare, tutto puรฒ finire e tutto puรฒ iniziareยป.

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