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Fabio Morbidini: da sei olimpiadi e otto mondiali si prende cura dei pugili italiani

Il fisioterapista e preparatore fisico di Bastia Umbra ci racconta le sue esperienze in giro per il mondo con il team di boxe italiano. Ma non solo…

Da Atene 2004 a Parigi 2024, non ha saltato un’Olimpiade. Otto mondiali (Cina, Usa, Italia, Azerbaijan, Uzbekistan, Qatar, Serbia e Kazakistan), oltre 100 trasferte in 23 anni al seguito del team Italia di pugilato. Sono numeri importanti e di grande esperienza quelli di Fabio Morbidini, fisioterapista e preparatore fisico di Bastia Umbra che ama gli sport da combattimento (non potrebbe essere altrimenti), che non dimenticherà mai Pechino 2008 e che forse a Parigi ha registrato la sua ultima Olimpiade: «Non so se andrò a Los Angeles 2028. Ho bisogno di dedicarmi a me e alla mia vita privata, non sono più un ragazzino».

Fabio Morbidini

Fabio, qual è il suo rapporto con l’Umbria?
È un rapporto ottimo. Da 23 anni per lavoro giro il mondo almeno quattro mesi all’anno e, tra un viaggio e l’altro, l’Umbria è il mio luogo di riposo, dove posso recuperare le energie. Amo la mia regione, ma ho anche bisogno di vedere posti nuovi, così da apprezzare meglio la pace e la tranquillità che mi dà questo territorio.

Ha partecipato a sei Olimpiadi (Atene 2004, Pechino 2008, Londra 2012, Rio de Janeiro 2016, Tokyo 2020 e Parigi 2024) come fisioterapista nel team Italia di pugilato. Oramai è un habitué o sente ancora l’adrenalina della prima volta?
Nel corso del tempo l’adrenalina è cambiata in funzione dei miei anni e dei cambiamenti del mondo. Da adulto sono più consapevole di quello che faccio e quindi vivo il mio lavoro in modo più sereno. Inoltre, la presenza massiccia dei social in questi eventi ha cambiato le aspettative e la percezione, dandoci molta visibilità: anche se poi alla fine il mio lavoro resta sempre lo stesso. In 20 anni il mondo è cambiato e di conseguenza anche le Olimpiadi: i giochi di Atene del 2004 non hanno nulla a che fare con Parigi 2024.

Come si diventa fisioterapista della squadra olimpica o comunque sportiva?
La storia è molto facile e casuale. Ho sempre praticato sport da combattimento come il karate e la kickboxing e sono anche un tecnico di pugilato, quindi ho associato il mio lavoro alla mia passione sportiva. Avrei avuto difficoltà a occuparmi di uno sport in cui non ero coinvolto emotivamente: il pugilato mi piace, vengo da quel mondo e non ho nessuna difficoltà a guardare 40 match in una giornata. Seguo anche altri sport, ma non con la stessa adrenalina. Ho iniziato da giovane a occuparmi dei pugili, poi ho conosciuto il campione olimpico Roberto Cammarelle: ho seguito la sua carriera professionale, sia per la preparazione fisica sia dal punto di vista fisioterapico; ero presente quando ha vinto la medaglia d’oro a Pechino e l’argento a Londra. Inoltre, il Centro Nazionale Federale di pugilato si trova ad Assisi quindi per me è stato facile conciliarlo con il mio lavoro di fisioterapista che svolgo a Bastia Umbra. Insomma, un po’ per fortuna, un po’ per impegno ho ottenuto tutto quello che volevo: sono un tipo che pigia sempre sull’acceleratore, non mi lascio padroneggiare dal destino, cerco di farlo confluire dove voglio io, ovviamente con grande sacrificio.

È severo con gli atleti che segue? Come si approccia con loro?
Non occorre essere severi, bisogna essere perentori, ma anche delicati. Già la vita di un’atleta è tosta, se si è duri con loro si ottiene l’effetto opposto, quindi è bene usare la gentilezza. Cerchiamo di far capire a questi ragazzi quanti sacrifici hanno fatto per arrivare dove sono e che quello che fanno è per loro, non certo per me o per il tecnico. Noi dello staff diamo un piccolo contributo della loro vittoria e, se ci utilizzano per i loro obiettivi, noi siamo ben felici.

Le medaglie olimpiche vinte dagli atleti di cui si prende cura, le sente anche un po’ sue?
Le medaglie le vincono gli atleti. Noi facciamo parte di un gruppo e ognuno ha la sua fetta di torta e il suo ruolo. Io mi occupo delle problematiche fisiche, dei piccoli o grandi acciacchi, della gestione del dolore e della preparazione atletica insieme al preparatore. Il nostro è un lavoro certosino fatto giorno per giorno. Per il mio carattere non mi sono mai goduto fino in fondo le medaglie vinte, perché penso subito a quello che devo fare il giorno dopo: appena finisce una gara ne inizia un’altra quindi non hai molto tempo per goderti i risultati. Sei dentro un circuito, per cui il tempo è veramente poco e spesso non hai modo nemmeno di riflettere. Però sono soddisfatto, anche se punto sempre più in alto.

C’è qualcosa di più delle Olimpiadi?
Ho qualche idea. Mi piacerebbe lavorare con centri che applicano la ricerca allo sport, o dove si fa una ricerca importante, non tanto a livello di performance, ma a livello di crescita professionale.

Nei suoi viaggi porta mai un pezzetto di Umbria?
Più che altro porto via sempre qualcosa da mangiare (Parmigiano o cibo sottovuoto) perché spesso ci rechiamo in posti dove si mangia veramente male (ride). Per altre cose non ho molto spazio nei bagagli perché la maggior parte è occupata dalle attrezzature mediche e di lavoro.

Delle sei Olimpiadi ce n’è una che non dimenticherà mai?
Pechino. Per me è stata la più bella: non solo per l’oro di Roberto Cammarelle e l’argento di Clemente Russo. Ricordo ancora che Cammarelle combatté la finale contro un cinese, di domenica all’ora di pranzo, e fu un grande successo. Ovviamente non essendoci ancora i social tutto si concluse con la fine dell’incontro, se ci fossero stati avrebbe avuto un’eco enorme e una grande partecipazione mondiale.

Ha vissuto nel villaggio olimpico a Parigi? Ci racconti qualche aneddoto divertente… come ha dormito nei famosi letti di cartone (che ho saputo esserci stati anche a Tokyo)?
I villaggi olimpici sono uguali in tutte le Olimpiadi, e al di là di quello che si dice, le cose scorrono tranquillamente. È un posto dove si sta solo per mangiare e dormire, poi ogni atleta va a fare i suoi allenamenti e le sue gare. Non c’è neanche il tempo di godersi il luogo perché è tutto frenetico: si vive come se si fosse in una città e diventa normale mangiare con più di 20.000 persone o incontrare un campione olimpico. Anche i letti di cartone – che hanno fatto tanto parlare – sono una diceria: confermo che c’erano anche a Tokyo, non è una novità di Parigi. Erano fatti di cartone compresso biodegradabile, io vi ho dormito comodo e in più avevano la possibilità di cambiare la pressione del materasso, potevi usarlo come preferivi. È stato tutto gonfiato per trovare qualcosa di cui scrivere e parlare. Vi assicuro che sono stato in posti peggiori.

Questa domanda non posso non fargliela: nelle ultime Olimpiadi il pugilato femminile è stato al centro della scena, ma non per imprese sportive. Che idea si è fatto sulla vicenda di Angela Carini e della pugile algerina Imane Khelif? Lei che l’ha vissuta da bordo ring.
Non commento.

Un’idea però se la sarà fatta?
Ovvio, ma ribadisco, no comment.

Fabio Morbidini a Parigi 2024

La prossima tappa è Los Angeles 2028?
Non lo so. Prima cosa non dipende da me, poi se mi dovessero chiamare deciderò se andare o meno. Sono 23 anni che organizzo le mie vacanze in base alle trasferte, vorrei dedicarmi alla mia vita privata. Non sono più un ragazzino e vorrei passare gli ultimi anni abili a poter scegliere di andare in vacanza quando voglio. Il tempo che dedico a me stesso deve aumentare. Inoltre, ho anche un’attività privata e dei pazienti che contano su di me e sulla mia presenza.

Per concludere: come descriverebbe l’Umbria in tre parole?
Tranquilla, serena e genuina.

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Agnese Priorelli

Laureata in Scienze della comunicazione, è giornalista pubblicista dal 2008. Ha lavorato come collaboratrice e redattrice in quotidiani e settimanali. Ora collabora con un giornale online e con un free press. È appassionata di cinema e sport. Svolge attività di inserimento eventi e di social media marketing e collabora alla programmazione dei contenuti. Cura per AboutUmbria Magazine, AboutUmbria Collection e Stay in Umbria interviste e articoli su eventi.