Fate soffriggere nellโolio un trito di cipolla e aglio assieme alla foglia dโalloro, e mettete nel tegame il cuore e il polmone dellโagnello, tagliati a pezzetti. Fate rosolare, salate, pepate e portate avanti la cottura versando ogni tanto del vino bianco, quindi aggiungete anche il fegato. Terminate la cottura e servite la coratella calda.
A Norcia univano alla coratella dei fagioli bianchi di Spagna lessi, oppure โ uso piรน recente probabilmente proveniente dal Lazio – dei carciofi. Nelle zone del lago Trasimeno e di Todi a volte si aggiungevano delle patate a tocchetti. Questa preparazione diffusa in tutta lโUmbria, si potevano fare anche con aggiunta di pomodoro.ย
Per gentile concessione di Calzetti-Mariucci editori
E se il poverello di Assisi fosse stato un estimatore del buon cibo? E se, tra le tante pietanze, fosse stato goloso dei dolci? Lโipotesi non รจ cosรฌ remota, come ci dimostrano diverse fonti documentarie. Ma ciรฒ che dovremmo davvero chiederci รจ: possiamo biasimarlo?
San Francesco
Se รจ vero che molti dettagli del passato continuano a sfuggirci, รจ pur giusto riconoscere lโimpegno di molti autori nel cercare di ricostruire alcuni aspetti che possano approfondire la Storia ufficiale, come gli studi sul clima o sulle abitudini alimentari dei nostri predecessori. Apparentemente di secondaria importanza, questo tipo di scoperte stanno gettando luce sui molti punti dโombra che sospendono la linea del tempo, permettendo di guardare alle piรน grandi personalitร del passato in maniera meno distaccata e con meno soggezione, accettando le loro idiosincrasie e debolezze di esseri umani.
Secondo le fonti agiografiche, nemmeno San Francesco, il santissimo poverello di Assisi, puรฒ esimersi da questo discorso. Sembra infatti che fosse un estimatore โ pacato e moderato, certo โ del buon cibo, in particolare dei dolci.
Un certo pasto, fatto di mandorle, zucchero, miele e altri ingredienti
Lโaura di santitร , coadiuvata dai principi della Regola francescana, rende piuttosto difficile credere che San Francesco sia stato anche solo umano, figuriamoci immaginarlo mentre si gusta dei manicaretti alle mandorle, zucchero e miele.
Tra le diverse lettere attribuite al Santo, perรฒ, ne spicca una rivolta a una certa madonna Jacopa (o Giacomina, o Giacoma) detta dei Sette Sogli (Jacoba de septem Soliis). Come ci riporta il Trattato dei Miracoli di Tommaso da Celano (portato a termine nel 1252-1253, anche se poi scomparso fino al 1899) la donna ยซera ammirata per lโillustre casato, per la nobiltร della famiglia, per le ampie ricchezze, per la meravigliosa perfezione delle sue virtรน e per la castitร vedovileยป[1]: insomma, non era strano che Francesco, a cui era legata anche da una profonda amicizia, chiedesse di lei prima del sopraggiungere della fine.
Ma la richiesta che il frate assisano dettรฒ nella missiva rivolta a Jacopa, vi sorprenderร – come dโaltronde sorprese i fratelli che lo stavano vegliando presso Santa Maria degli Angeli. La donna avrebbe dovuto arrecare un panno di colore cinerino per coprire il corpo morente del frate, una sindone per il volto, un cuscino per il capo e uncerto piatto che molte volte gli aveva offerto durante i soggiorni a Roma: il mortariolum, un trito di mandorle, zucchero, miele e altri gustosi ingredienti[2].
La storia vuole che Jacopa sia giunta dal moribondo Francesco con tutto quello che questi aveva richiesto senzaperรฒ aver mai ricevuto la lettera: รจ qui che sta il prodigio ed รจ qui che tutte le fonti che ne parlano concordano โ non solo il sopracitato Trattato dei Miracoli, ma anche le Considerazioni sulle Stimmate[3], cioรจ la raccolta dei Fioretti del Santo, e Specchio di Perfezione[4], una compilazione della vita di Francesco datata 1318. Grazie a questโultima, sappiamo che Francesco, ormai privo di forze, di questo mortariolum riuscรฌ a mangiarne ben poco.
Ma che cosโera questo dolce per il quale Francesco stravedeva?
Franco Cardini, ne Lโappetito dellโimperatore[5], cerca di ricostruirne lโetimo, sebbene tale percorso a ritroso sia piuttosto incerto: mortariolum, esattamente come in mortadella o nel francese mortier, indicherebbe un cibo i cui ingredienti vengono a lungo pestati e amalgamati col mortaio. Nei documenti sopracitati, mortariolum diventa mostacciolo, un biscotto secco presente in diverse regioni dโItalia ma che, in Umbria, accompagna tradizionalmente le celebrazioni dedicate ai morti.
Madonna Jacopa
Bisogna perรฒ considerare due dettagli importanti: il primo รจ che la preparazione nostrana trae il proprio nome non tanto dal mortaio, quanto dal mosto di vino bianco che ne bagna lโimpasto di farina e semi di anice. Il secondo riguarda invece madonna Jacopa, la donna a cui Francesco fa lโinsolita richiesta, che appartiene a una nobile famiglia romana: รจ piรน probabile, quindi, che quelli richiesti da Francesco siano gli antenati di quei biscotti a base di farina, frutta secca, pepe, cannella, miele e albumi che tuttora si preparano nella Capitale.
Nella sua ricostruzione romanzata, Cardini immagina invece che i dolcetti tanto agognati da Francesco siano simili ai ricciarelli senesi, frutto di un impasto in cui spicca un trito di mandorle, zucchero semolato e altri ingredienti.
Se il lettore ci accordasse una licenza, ci piacerebbe perรฒ pensare โ prendendo anche spunto dal titolo dellโepisodio narrato da Cardini, Profumo dโaranci โ che il Santo assisano, al giungere di Jacopa, si sia inebriato dellโodore di quella buccia dโarancia tagliata a dadini che arricchisce โ assieme a uvetta, olio dโoliva e lievito – unโaltra versione della ricetta dei mostaccioli, quei biscotti che tanto deliziano le tavole umbre nel periodo invernale.
[1] Cfr. http://www.santuariodelibera.it/FontiFrancescane/framemiracoli.htmโ [2]ยซDe illa commestione, quam pluries fecit michi, cum fui apud Urbemโฆ Illa autem comestionem vocant Romani mortariolum, que fit de amigdalis et zucaro vel mellea et aliis rebusยป. Compilatio Assisiensis vol. 8, a cura di E. Menestรฒ, in Fontes Franciscani, Assisi, 1995.โ [3] Cfr. http://www.sanpiodapietrelcina.org/stimmatesanfrancesco.htmโ [4]http://www.ofs-monza.it/files/specchiodiperfezione.pdfโ [5] Lโappetito dellโimperatore, F. Cardini, Mondadori, Milano, 2014. Il libro si inquadra nella fiction storica in quanto, partendo da fatti storici, lโautore aggiunge elementi verosimili e storicamente plausibili che perรฒ non hanno evidenze documentarie. Nel caso di Profumo dโaranci, il racconto dedicato a San Francesco, Cardini parte dallโincontro โ plausibile, ma non attestato dalle fonti โ tra il Cardinale Ugolino dโOstia ed Elia da Cortona, scossi dalla morte del frate assisano come della richiesta che questโultimo aveva fatto in punto di morte.โ
1 scorza grattugiata di limone non trattato (solo la parte gialla)
Olio o strutto per friggere
Sale
PREPARAZIONE:
Portate a ebollizione un litro e tre quarti d’acqua leggermente salata, versatevi a pioggia la farina di granoturco e, sempre mescolando fate cuocere per una quarantina di minuti, aggiungendo un po’ di acqua calda, se necessario, perchรฉ dovrete ottenere una polenta ben cotta ma morbida. Toglietela dal fuoco, unite il Mistral, la scorza grattugiata di limone, l’anice, lo zucchero, le uova e un po’ di farina di frumento. Buttate questo composto in olio bollente o in strutto ben caldo a cucchiaiate, estraete e passate le frittelle su carta da cucina che ne possa assorbire l’olio in eccesso.
Le frittelle di farina di granoturco si gustavano il giorno di San Giuseppe in alcune zone dell’assisano. Questa particolare ricetta viene da Capitan Loreto, dove vengono chiamate frittelle di polenta.
Per gentile concessione di Calzetti e Mariucci editore
Vi ricordate quando Samuele Bersani cantava ยซDimmi dellโIndia. Hai piรน pensato a esportare la piadina romagnola?ยปย Un progetto che รจ rimasto solo nella canzone e non se ne รจ fatto niente.
Invece cโรจ chi ha esportato a Tokio la torta al testo dellโUmbria e ne ha fatto un piatto di alta cucina innovativa. Lo chef Narisawa ha soggiornato in Europa per conoscere il meglio della cucina italiana, francese e tedesca. Ha visto, gustato, apprezzato, imparato e riportato nel suo Paese tanti piatti diversi, che ha trasformato secondo il suo estro e secondo una moda che vuole appagare tutti i sensi.
Dalle foreste vergini giapponesi
Cosรฌ ha introdotto nel suo ristorante minimalista un prodotto raffinato, che miscela antico e moderno, e che si chiama Il Pane della Foresta.ย Questo pane รจ fatto con la farina di grano, con la polvere di castagno e con la composta di castagne giapponesi. Queste sono castagne raccolte in una foresta vergine priva di inquinanti, dove i sapori e i profumi sono espressi al loro massimo. Una novitร in Giappone.
In tempi remoti ma non troppo, il castagno era chiamato lโAlbero del Pane, perchรฉ dai suoi frutti si ricavava una farina nutriente e a buon mercato. Questo accadeva quando la farina di grano era cara e riservata ai ricchi, mentre la farina di castagne era lasciata ai poveri di tuttโEuropa. Buona per non morire di fame.
Adesso le parti sono invertite. La farina di grano costa poco, quella di castagne รจ cara, stagionale e chic. Narisawa ha fatto de Il Pane della Foresta uno spettacolo da gustare.
Il pane della foresta
Primo atto.
Due forme di pasta cruda vengono portate in tavola. Sul posto si aggiungere una dose di lievito naturale e si impasta con le dita. Tutto davanti ai clienti.
Secondo atto.
I clienti osservano il miracolo della crescita della massa farinosa. In pochi minuti il futuro pane raggiunge la lievitazione prevista, quindi va cotto.ย Dove?
In tavola, naturalmente.
Terzo atto.
Arriva in tavola una pentola di pietra, naturalmente caldissima – 240ยฐ gradi – dentro cui si posano le due forme di pasta lievitata.
In soli 10-12 minuti il pane รจ cotto.
Emozionante e nuovo, per i giapponesi.
In Umbria si fa una cosa simile dalla notte dei tempi
La prima volta che ho visto preparare questa specialitร , ho immaginato Mr. Neanderthal e signora che, scoperto il fuoco, imparavano a cucinare dentro una bella grotta decorata con i graffiti. Chi vede preparare la torta al testo ne rimane affascinato.
La pasta, giร lievitata, viene stesa come una pizza e appoggiata su una grande ruota di pietra che si chiama testo, posizionata allโinterno del camino davanti al fuoco. Sopra la pasta viene posato un coperchio di ferro e sopra di esso sfrigola la brace arroventata. La torta-pizza cuoce sotto e sopra, mentre il fuoco del camino scalda il tutto. 10-12 minuti – come in Giappone – e la torta รจ pronta. La si taglia e si porta in tavola con accanto salumi e formaggi. Qui, inizia il rito umbro che prevede di aprire con le mani le fette di torta e farcirla con i salumi, come il capocollo, e mangiarla con le mani.
Come si usa dire adesso, ci si riappropria del cibo che si mangia.ย Lo si manipola, si sente la consistenza e il profumo. Una bella esperienza.
Al supermercato si trova la miscela di farina lievitata per torta al testo, che in pochi minuti permette di portare in tavola una merenda sfiziosa. Dimenticavo, per cuocere in casa la torta serve una padella di ghisa piatta e spessa, che si trova ovunque. In Umbria naturalmente.
1 scorza grattugiata di limone (solo la parte gialla)
1 bicchierino di Mistrร
1 cartina di lievito per dolci (dose da 1 kg)
olio per ungere la tortiera
PREPARAZIONE
Fate cuocere in acqua il filone di pane fatto a grossi pezzi, scolatelo e passatelo al passatutto. Mescolatelo con le mele tagliate a fettine sottili, lโuvetta, il cacao, la scorza di limone, Mistrร e farina in quantitร sufficiente a ottenere un impasto di media consistenza; quindi unite il lievito in polvere. Ungete una tortiera, versatevi il composto in uno strato alto un paio di centimetri. Infornate e fate cuocere a 180ยฐ C per 40 minuti circa.
Questo dolce si consumava per la vigilia dei Morti a Foligno. Qualcuno lo chiama fregnaccia, ma con tale nome si definisce anche una torta di farina di granoturco e frutta secca.
Per gentile concessione di Calzetti-Mariucci Editore.
Lavate le cime di luppolo, asciugatele e tagliatele a pezzetti lunghi circa 3 cm; sbucciate aglio e cipollotto e tritateli finemente. Ponete il trito in una padella per frittate assieme all’olio, fate insaporire, quindi unite le cime di luppolo. Lasciate cuocere a fuoco basso versando, se necessario, un goccio d’acqua calda; salate leggermente, quindi unite le uova sbattute, alle quali avrete aggiunto un pizzico di sale e una presa di pepe. Lasciate rapprendere da entrambi i lati; la frittata si puรฒ servire sia calda sia fredda.
La frittata con i luppoli era diffusa soprattutto nel ternano, che in dialetto definisce il luppolo li lupari.
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Per gentile concessione di Calzetti & Mariucci editore