Torna a Ponte San Giovanni (Perugia), dall’1 al 6 settembre: Velimna- gli Etruschi del fiume.
Velimna è una manifestazione nata per divulgare la cultura etrusca attraverso eventi culturali e rievocazioni. Si svolge a Ponte San Giovanni, località dove si trova uno dei più importanti siti archeologici etruschi: l’Ipogeo dei Volumni.
Tra gli eventi imperdibili di questa edizione c’è l’arrivo di tre legioni provenienti da Roma, ma anche il corteo storico (4 settembre, ore 21) per le vie del quartiere e gli accampamenti che ricreeranno la vita, gli usi e costumi dell’epoca con tanto di laboratori didattici (il 4 settembre dalle 15 alle 24 e il 5 settembre dalle 10 alle 20).
«Questo sito archeologico ci aiuta a capire dove erano piantate le radici più profonde della nostra civiltà».
Cunicolo
Sono queste le parole del cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti alla presentazione del progetto di valorizzazione del complesso monumentale della cattedrale di Perugia denominato Isola di San Lorenzo e il percorso nella Forma del Tempo. La storia di Perugia e del suo Colle Sacro, nella suggestiva cornice del chiostro superiore della Cattedrale perugina. Il progetto di valorizzazione nasce dal sodalizio tra alcuni professionisti del settore turistico-culturale e l’Arcidiocesi di Perugia e Città della Pieve, che hanno costituito Genesi, con l’obiettivo di valorizzare i beni culturali e di sviluppare itinerari per valorizzare al meglio il territorio umbro. Il progetto è stato presentato dal cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti, dal vescovo ausiliare mons. Marco Salvi, dal presidente del Capitolo dei Canonici mons. Fausto Sciurpa, dal vice sindaco di Perugia Gianluca Tuteri e dal presidente della società GenesiGiuseppe Capaccioni.
Il percorso
Proprio sotto il complesso della cattedrale si trova un meraviglioso sito storico-artistico e archeologico, la cui genesi risale a ventisei secoli fa. Percorrere gli scavi archeologici è come fare un tuffo nel passato e tornare indietro nei secoli; è così possibile vedere come la città di Perugia ha assunto il suo aspetto attuale attraverso la civiltà etrusca, quella romana, fino all’insediamento papale.
La Cattedrale di San Lorenzo sorge proprio dove anticamente si trovava l’acropoli della città antica, il luogo più alto nel quale spesso venivano edificati templi per le varie divinità; la posizione dell’acropoli non venne mai abbandonata, subì nel corso dei secoli varie distruzioni e successive ricostruzioni fino al suo aspetto attuale. I cunicoli sotterranei infatti rispecchiamo perfettamente questa antica struttura: proprio sotto il duomo si può ammirare un’antica area sacra dove venne edificato un tempio del VI secolo a.C.
I fianchi dell’acropoli erano molto ripidi così, per evitare instabilità, vennero realizzate spine di contenimento con grandi pietre in travertino messe in opera senza legante, cioè a secco, posizionate in file parallele. Il muro così costruito non risulta perpendicolare, ma è leggermente inclinato per contrastare al meglio le spinte esercitate dalla terra della collina. Intorno alla collina dell’acropoli si sviluppava l’antica città, dagli scavi è infatti ancora possibile percorrere il decumano, una via che correva in direzione est-ovest nella città.[1]
Cunicolo
Vicino al decumano inoltre è ancora oggi visibile una domus, della quale ancora si può vedere l’impluvium, ovvero il cortile interno e il pavimento di una stanza. Alzando lo sguardo è ben visibile il segno più scuro lasciato da un forte incendio avvenuto nel 40 a.C. Durante il periodo medievale, in questa strada vennero costruiti molti edifici a stretto contatto con la Cattedrale, come ad esempio il Salone dei Conclave, che la tradizione identifica come quello nel quale vennero celebrati cinque conclavi, che portarono all’elezione di: Onorio III (1216), Clemente IV (1265), Onorio IV (1285), Celestino V (1294) e Clemente V (1305).
Sala dei Conclave
Visitando la Perugia sotterranea si rimane affascinanti da un percorso composto da strade e muri monumentali stratificati per ben quindicimetri sotto il piano stradale con circa un chilometro di percorso visitabile, tra vie e cunicoli, che collega tra loro quattro civiltà storiche: etrusca, romana, medioevale e rinascimentale.
Certi sapori antichi fanno parte dei nostri geni, che hanno accumulato storia, tradizioni e cultura fin dalle nostre origini etrusche-romane e ci fanno sentire orgogliosi e fieri. Il senso di appartenenza a un territorio è visibile anche in un piatto, il cui gusto ci tocca fino in fondo all’anima.
I popoli, le comunità e le persone si sono da sempre adattati a ciò che offriva il proprio territorio, dando valore a quelle pietanze preparate per nutrirsi. Nel tempo, l’estetica e la creatività espresse nella cottura hanno reso certi cibi più accattivanti e attraenti per un’esperienza sensoriale che si è tatuata per l’eternità nel nostro DNA. Sapori e profumi hanno pervaso e dimorano con pazienza nella nostra genia, e ogni volta che vengono risvegliati dai profumi dei cibi, ci adducono verso inebrianti sensazioni gastronomiche di assoluto compiacimento con l’arte culinaria. In questa visione, una delle preparazioni che ha generato le proprie radici al tempo degli Etruschi è un cibo tanto semplice quanto delizioso per la sua particolarità: il brustico, piatto tipico del lago Trasimeno e dei chiari di Chiusi e Montepulciano.
Il brustico, foto by www.valdichianaliving.it
Al tempo degli Etruschi
I nostri antenati etruschi adagiavano il loro pescato direttamente su un letto di cannine palustri umide e il pesce veniva ricoperto da un altro strato di giunchi lacustri. Il fuoco avvampava abbrustolendo il pesce esternamente. Dopo averlo raschiato, eviscerato, spinato e sfilettato veniva mangiato gustando il sapore leggermente amarognolo per la violenta bruciatura subita e per l’odore di fumo. Tali antiche caratteristiche sensoriali sono rimaste intense ancora oggi nella degustazione del piatto a cui sono stati aggiunti olio extravergine di oliva, aceto o limone, sale e pepe e talvolta salvia o prezzemolo.
Ai tempi degli Etruschi i pesci utilizzati erano le tinche e le scardole, successivamente si sono aggiunte le specie inserite nell’habitat lacustre in tempi relativamente recenti.
È necessario ricordarsi che le specie ittiche autoctone del lago Trasimeno sono considerate in numero di sei: l’anguilla, la tinca, il luccio, la scardola, l’albo e la lasca (scomparsa nella metà del secolo scorso). Oggi si possono contare 18 specie ittiche, alcune immesse nel Trasimeno in tempi differenti e successivi. Per il brustico preparato ai tempi nostri vengono utilizzati anche il boccalone o persico trota e il persico reale.
La preparazione
La preparazione del brustico ha una liturgia ben precisa, nell’allestimento delle cannine, nella cottura del pesce, nella sua raschiatura e nella sua elaborazione per la degustazione. Gli Etruschi ci hanno trasmesso dei sapori antichi che ancora oggi si gustano nel brustico, con il suo sentore di fumo. Questo piatto, nel suo spirito e per le arcaiche pratiche culinarie, fa rivivere al DNA la nostra identità privilegiata di essere originari e appartenenti a questo nobile e misterioso territorio etrusco, che con magia ci accoglie tra le sue suggestive ed eterne rimembranze lacustri. Al brustico si può abbinare un Sangiovese rosso giovane dei Colli del Trasimeno o, per chi preferisce i bianchi, un blend di vigne lacustri a prevalenza Trebbiano con Malvasia e Grechetto che possono essere apprezzati congiuntamente o da soli e caratterizzati da un sapore delicato, armonico e fruttato.
Il brustico, con i suoi odori etruschi, unitamente a un bicchiere di buon vino, con i suoi profumi delle terre etrusche, possono rendere indimenticabili le sensazioni enogastronomiche provate nella degustazione dei sapori, che vengono accompagnate dagli splendidi tramonti pastello che si riflettono nelle placide ed eterne acque aranciate dell’etrusco Tarsminass.
Sembra incredibile, ma la tradizione dei tipici dolci umbri è legata al fiume che attraversa la regione per andare fino a Roma: inutile dire che si tratta del Tevere.
Una volta il Tevere era un fiume navigabile e non quel misero rigagnolo, sempre in secca, che vediamo ora. Se torniamo indietro di almeno 2500 anni scopriamo che il Tevere era un confine quasi invalicabile; ci saranno stati forse dei traghettatori, ma le due sponde non erano ancora collegate da ponti. A quell’epoca sulla sponda destra vivevano gli Etruschi, mentre sulla sponda sinistra si estendeva la regione degli Umbri, che comprendeva Foligno, Spoleto e Norcia. Possiamo dire: tanto vicini e tanto diversi.
Il territorio etrusco si estendeva fino al mare Tirreno e fu proprio attraverso il mare che gli Etruschi entrarono in contatto con popolazioni, culture e cibi diversi. Gli Umbri invece, sulla destra del fiume, erano lontani dal mare, perciò si servivano solo di cibi a chilometro zero.
La mandorla e la noce
La caratteristica delle due popolazioni si può riassumere in due frutti piccoli, ma ricchi di significato: la mandorla e la noce. Gli Etruschiusavano le mandorle, gli Umbri le noci. Giacché sono state trovate tracce di mandorli nella zona di Città di Castello, si pensa che l’albero fosse presente in epoca etrusca. A sinistra invece, il noce era la pianta tradizionale della civiltà contadina.
C’è anche da dire che in quei tempi lontani gli alberi erano legati a un concetto di sacralità e di buon auspicio. Il mandorlo era visto come foriero di benessere e si perde nella notte dei tempi l’uso di mangiare confetti in occasione dei matrimoni per augurare agli sposi di vivere felici e contenti per 100 anni.
Per contro il noce ha una storia cupa che parla di streghe e di malefici vari. Tuttavia, malgrado la cattiva fama dell’albero, si mangiava il frutto e si usava il legno, esattamente come il castagno della zona di Amelia/Santa Restituta.
Torciglione
Dolci umbri
Gli usi diversi li ritroviamo ancora oggi perché la tradizione si è mantenuta nei dolci. Ripartiamo da destra dove s’incontra Perugia e a Perugia si mangia il Torciglione: un serpentone che si morde la coda ripieno di mandorle e canditi, tipica composizione natalizia. Lo si trova anche a Chiusi, città ancora più etrusca e pure a Città di Castello e sul lago Trasimeno. Forse, anziché un serpente il Torciglione rappresentava un’anguilla e serviva a propiziare le pesca.
Il Torciglione si mangia durante le feste del Natale, mentre c’è un altro dolce perugino, a base di mandorle, che si consuma un mese prima: le Fave dei Morti. Sono piccoli biscotti a forma ovviamente di fava, fatti di pasta di mandorle e zucchero. Le Fave dei Morti si preparavano in occasione di un funerale e si consumavano sulla tomba del defunto durante il banchetto funebre. Usare le mandorle equivaleva a dire ricchezza e per secoli le mandorle hanno fatto la loro comparsa solo sulle tavole dei ricchi e nelle spezierie, dove si allestivano medicinali sempre per ricchi.
Fave dei Morti
Noci e nocciole erano invece cibo per poveri e questo caratterizzava il lato sinistro del Tevere. Anche se poveri gli Umbri hanno elaborato un dolce che è il loro vanto e che tutti conoscono: la Rocciata. È conosciuta come la Rocciata di Assisi, ma si tratta di un dolce che si prepara tra Umbria e Marche. Pare che la sua origine sia antichissima e se ne trova una traccia non troppo dissimile nelle Tavole Eugubine, tavole di bronzo, scritte in lingua umbra, risalenti al III secolo a.C. e che riportano fatti risalenti a secoli prima. In questo dolce poi hanno messo lo zampino anche i Longobardi: è infatti simile a uno strüdel, con mele e noci e avvolte in una pasta sottile.
Per me fu una sorpresa scoprire che la pasta della Rocciata fosse fatta proprio come la pasta dello strüdel che faceva mia nonna altoatesina, e anche mia nonna mescolava mele e noci. Sono passati più di 10 secoli e non c’è stata alcuna variazione nella pasta e poca nel ripieno. Il ripieno invece si è differenziato perché in Umbria è stata aggiunta una spruzzata di alchermes che gli conferisce quel bel colore rosato. L’alchermes fa dunque la grossa differenza tra Nord e Centro, ma ci sono pure delle piccole differenze locali: a Spoleto è stato aggiunto il cacao e a Foligno si sparge sull’impasto del pan grattato per assorbire i liquidi in eccesso.
Rocciata di Assisi
Le noci entrano anche nella ricetta dei Maccheroni dolci. L’origine? Potrebbe trattarsi di una parola greco-bizantina legata all’uso della cena funebre, perché maccheroni proviene dal greco makarios (beato). Si preparano infatti in occasione delle feste dei Morti, dei Santi e si mangiano anche la sera della vigilia di Natale. La ricetta prevede come ingredienti: maccheroni, noci, zucchero/miele e alchermes.
Comunque, qualunque sia l’origine di questi dolci, rimane chiaro che a destra del fiume i dolci, ancora oggi, sono farciti o addirittura fatti con le mandorle mentre quelli di sinistra, anche se sono intervenuti i nordici Longobardi, nel loro ripieno hanno sempre le noci.
Nella Tabula Cortonensis, manufatto in bronzo del II secolo a.C., per la prima volta in assoluto appaiono il nome etrusco del lago Trasimeno – chiamato Tarsminass – e il riferimento ad alcuni possedimenti terrieri, in particolare a un vigneto.
La tabula è stata ritrovata spezzata in 8 parti, di cui solo una è dispersa. È ospitata presso il MAEC, il celebre Museo dell’Accademia Etrusca di Cortona ed è la terza scrittura etrusca conosciuta più lunga per i suoi contenuti. Si tratta di un «atto giuridico di 40 righe in lingua etrusca, che riporta l’arbitrato relativo ad una eredità contestata di un importante patrimonio fondiario dislocato tra il Lago Trasimeno e Cortona» (Massimo Pittau).
Tabula Cortonensis
L’influenza dell’etrusca città di Cortona arrivava, con il suo territorio, fino al tratto spondale lacustre che va da Tuoro a Borghetto. Nelle 7 parti della tabula a noi giunte, al di là della loro importanza linguistica, scientifica e storica, ci preme sottolineare l’importanza del Tarminass per gli Etruschi; un lago, unitamente alla Val di Chiana, ricco e generoso dal punto di vista alimentare (pesce, olio, vino e grani).
Infatti nella sacralità della civiltà etrusca il mangiare era considerato un fatto religioso e il vecchio lago Trasimeno era ritenuto un luogo sacro: era considerato la rappresentazione terrena della volta celeste.
Secondo l’etruscologo Giovanni Colonna l’immagine del lago Trasimeno è stata trasposta nel fegato di Piacenza o fegato etrusco; è un modello bronzeo di fegato di pecora con iscrizioni, suddiviso in settori riservati alle diverse divinità. Era usato dai sacerdoti etruschi, gli aruspici, per leggere le viscere degli animali sacrificati per ricavarne auspici.
Gli Etruschi consideravano il Trasimeno il luogo d’unione tra le dodecapoli di Cortona, Chiusi e Perugia dove fiorivano gli scambi commerciali, l’artigianato, la pesca e l’agricoltura. A proposito di coltivazioni, nella tabula cortonensis si fa riferimento a un vigneto: è il più antico atto notarile della storia del vino. È stato questo documento che, nel 2015, ha aperto la mostra Arte e Vino che si è svolta a Verona, un evento importantissimo collegato all’Expo. Ricordiamo che gli Etruschi consumavano grandi quantità di vino in varie occasioni; avevano l’usanza di miscelarlo, anche per coprirne i difetti, con acqua e con miele, insieme a spezie, fiori o formaggio.
Della magnificenza del Tarminass se ne accorse, come raccontato nel XVI secolo da Matteo dall’Isola nella sua Trasimenide, anche Trasimeno, il principe etrusco figlio del Re Tirreno, che si innamorò della ninfa lacustre Agilla. I due giovani vissero una bellissima e struggente storia d’amore sulle rive lacustri che finì tragicamente con la scomparsa, tra le acque del lago, del giovane principe.
Si racconta che, ancora oggi, la triste ninfa stia cercando il suo amato: quando un’onda fa muovere repentinamente una barca non è altro che Agilla che sta cercando tra le acque il suo Trasimeno e quando le foglie al vento si muovono provocando un suono simile a un lamento, pare che sia la dolce ninfa che piange il suo amato… ascoltare per credere.
Capolavoro di ingegneria idraulica e monumento-simbolo della civiltà etrusca, tanto studiata quanto misteriosa: questo è il Pozzo etrusco, meraviglia architettonica a perenne testimonianza del popolo che fondò Perugia, nonché oggi sito museale noto in tutto il mondo.
Pozzo etrusco in piazza Danti, foto di Fondazione Ranieri
L’ingresso della struttura è dato dal n. 18 della centralissima Piazza Danti, situata a pochi passi dalla ben più nota Piazza IV Novembre, salotto buono della città nota per la magnifica Fontana Maggiore, sulla quale si affacciano Palazzo dei Priori e la cattedrale di San Lorenzo. All’arrivo il visitatore è accolto in un ambiente di raro fascino, ricavato nei sotterranei di palazzo Sorbello, residenza storica cittadina, nonché sede della Fondazione Ranieri di Sorbello, ente culturale dedicato alla memoria di Uguccione V Ranieri di Sorbello, intellettuale cosmopolita, eroe di guerra, giornalista e studioso di storia locale. Fu proprio per volontà di Uguccione che, intorno al 1960, vennero condotti i primi rilievi archeologici su quello che per lui era un bene di famiglia da conoscere e preservare, studi che confermarono una realizzazione di mano etrusca, nozione della quale si era persa memoria malgrado l’uso continuativo da parte della popolazione locale nel corso dei secoli.
Nella sala d’accoglienza, un video introduttivo costituisce il vero biglietto d’accesso alle meraviglie dell’ingegneria idraulica etrusca: il Pozzo etrusco è un colosso millenario, risalente alla seconda metà del III secolo a. C., che pesca nel terreno per ben 37 metri a partire dall’attuale livello stradale. Ancora oggi il pozzo è attivo (anche se non più utilizzato come fonte di acqua potabile), alimentato dalle stesse tre sorgenti sotterranee da più di duemila anni.
Passerella interna del pozzo
Il pozzo appartiene una classe di opere di ingegneria diffuse ovunque, con la medesima finalità, anche se non sempre con le stesse forme che, nel caso specifico di questa struttura, assumono dimensioni ragguardevoli: dai vari rilievi speleologici svolti nel corso degli anni è stato appurato avere una dimensione, complessiva di 424 metri cubi arrivando a contenere (a massimo regime) fino a 424.000 litri di acqua.
L’opera è costituita da una canna cilindrica che si allarga a formare una grande cisterna per la raccolta dell’acqua, avente un diametro di 5,60 metri e un’altezza di 12. La parte superiore di questo ambiente è sicuramente uno dei punti forti della visita al Pozzo: la cisterna è infatti rivestita da grandi blocchi di travertino proveniente dalle cave di Ellera (8 km da Perugia), materiale utilizzato anche nella costruzione delle monumentali mura etrusche di Perugia.
Travature, foto di Fondazione Ranieri
Anche la copertura superiore del pozzo, retta da grandi lastre collocate trasversalmente e sorrette da travature in pietra posizionate ad incastro senza uso di malta a formare due capriate del peso di 80 quintali l’una, è realizzata in travertino. Questa omogeneità di materiali e tecniche costruttive riscontrata tra il pozzo e le mura etrusche di Perugia, ha consentito di ipotizzare che questo sia stato realizzato fin dal principio come opera pubblica.
La presenza di scanalature rilevate sulla superficie dei blocchi di travertino della copertura superiore ha lasciato supporre che per la raccolta dell’acqua dovette essere inizialmente utilizzato un sistema piuttosto semplice come l’impiego di secchi legati a una fune. Un sistema a carrucola centrale sarebbe stato adottato solo in seguito, con la realizzazione della vera che ancora oggi indica il pozzo a livello stradale. Nel 1768, a chiusura dell’imboccatura della vera venne realizzata una graticciata di ferro, sulla quale vennero apposti due stemmi gentilizi, anch’essi in ferro, relativi a due delle famiglie nobili proprietarie di Palazzo Sorbello: i conti Eugeni e i marchesi Bourbon di Sorbello.
Sala Carlo III – Casa Museo di Palazzo Sorbello
La Fondazione Ranieri di Sorbello, che gestisce il Pozzo etrusco dal luglio 2016, ha nel tempo portato avanti una serie di operazioni volte a migliorare l’esperienza del visitatore mediante progetti mirati di restauro e miglioria, volti a potenziare tanto la narrazione quanto la fruizione della struttura; a questo si affianca una fruttuosa collaborazione con altre strutture museali cittadine dedicate all’archeologia etrusca, come il Museo del Capitolo di Perugia, punto di partenza del percorso alla scoperta della Perugia Sotterranea: viaggio all’interno delle stratificazioni architettoniche dell’acropoli dell’antica Perusna (nome etrusco di Perugia).
La storia a Perugia affonda le sue radici in profondità, proprio come il Pozzo etrusco: un monumento che, con la sua peculiarità costruttiva, ci parla di un’epoca lontana permettendo ancora oggi di coglierne l’atmosfera.
Unico insediamento etrusco sulla riva sinistra del Tevere umbro, Bettona sorge a 365 metri sopra il livello del mare, su di un colle che delinea l’estrema propaggine di un sistema di alture che si distacca dai Monti Martani. Ringhiera sull’Umbria, ne domina la pianeggiante vallata sottostante, si apre sulle città che la contornano e sulle montagne dell’Appennino umbro-marchigiano che, lontane, la sovrastano a semicerchio.
Interno del Museo di Bettona
Le sue antiche origini umbro-etrusche, i numerosi reperti archeologici e le mura ben conservate, fanno di Bettona un luogo ricco di pregevoli testimonianze storico-artistiche, un museo diffuso che si dilata e si amplia su tutto il territorio. I suoi palazzetti, un tempo splendide residenze, gli scorci mozzafiato, le chiese e gli oratori finemente adornati, e il museo comunale, si impongono come meta obbligata per turisti, studiosi e appassionati.
Il Museo
Situato in Piazza Cavour, il Museo della Città di Bettona si colloca sulla contingenza di Palazzo del Podestà e Palazzo Biancalana. Il primo fu edificato nel 1371 nell’ambito della ricostruzione della città ordinata dal cardinale e legato pontificio Egidio Albornoz; il secondo, fu costruito in stile neoclassico su progetto dello stesso proprietario Francesco Biancalana dopo la seconda metà del XIX secolo.
Testa marmorea di Afrodite, II sec. d.C, Museo di Bettona, sezione archeologica
La collezione, profondamente radicata alla storia locale, include due distinte sezioni, entrambe di gran pregio: una archeologica e una pittorica.
La sezione archeologica del Museo dà inizio al percorso espositivo, fornendo testimonianza delle origini del territorio. Include manufatti etruschi, un numero consistente di terrecotte architettoniche, cippi funerari e di confine, ceramiche, opere scultoree del periodo tardo-ellenistico e marmi di epoca romana.
Tra i pezzi più considerevoli della collezione figura una magnifica testa marmorea di Afrodite risalente alla media Età Imperiale, rinvenuta nel 1884 nei terreni agricoli di proprietà dalla famiglia Bianconi; trafugata nel 1987, venne ritrovata a New York nel 2001.
Gli ori e gli altri reperti rinvenuti nella tomba del Colle, camera sepolcrale scoperta nel 1913, sono invece esposti al Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria di Perugia.
I lavori di rifacimento della pavimentazione di Piazza Cavour hanno portato alla luce un antico pozzo monumentale risalente alla fine del XV secolo; si tratta di una struttura a pianta circolare in conci di pietra arenaria squadrati. Interessanti anche i resti di murature interrate e un tratto viario basolato di epoca romana.
La Pinacoteca
La Pinacoteca Comunale occupa, invece, il trecentesco palazzo del Podestà e alcuni ambienti della residenza della famiglia Biancalana.
La raccolta, costituitasi a partire dal 1904, comprende materiale di vario genere e strettamente aderente alla storia locale. La Pinacoteca ospita una sessantina di opere, in gran parte pittoriche. Si segnalano il Sant’Antonio di Padova e la Madonna della Misericordia con i santi Stefano, Girolamo e committenti di Pietro Vannucci detto “Il Perugino”, due preziosi corali miniati trecenteschi, il San Michele arcangelo di Fiorenzo di Lorenzo, un crocifisso in legno policromo attribuito ad Agostino di Duccio, la monumentale pala d’altare con la Madonna in gloria e santi di Jacopo Siculo, un tabernacolo con Cristo ed Evangelisti attribuito a Domínikos Theotokópoulos meglio noto come “El Greco”, i Santi Pietro e Paolo di Giuseppe Ribera detto “Lo Spagnoletto”, una terracotta invetriata a tutto tondo raffigurante Sant’Antonio di Padova riconducibile all’ambiente dei Della Robbia, ed una meravigliosa tavola con l’Adorazione dei pastori dell’artista assisiate Dono Doni, restaurata in tempi record a seguito dell’evento sismico dell’ottobre 2016. L’intervento, finanziato dalla Galleria degli Uffizi, è stato condotto intramoenia, tramite la creazione di un vero e proprio laboratorio di restauro visibile e fruibile da tutti gli utenti.
All’interno del Museo, sono inoltre attivi servizi educativi con un’offerta didattica di qualità in grado di coniugare il rigore artistico delle collezioni ad un’atmosfera ludico-creativa. Arte, gioco e creatività per comunicare alle nuove generazioni l’importanza che l’arte ha nello sviluppo sociale e antropologico di ognuno.
Sguardi, bocche semiaperte che sembrano sospirare, cantare. Pelle di marmo bianco, velato da una patina di polvere e ragnatele, angeli e fantasmi: il cimitero monumentale di Perugia offre a chi vi passeggi un tour silenzioso tra sculture estremamente assorte e tristemente affascinanti.
Guardiani silenziosi
Situato nei pressi della chiesa di San Bevignate, in una zona che già dal tempo degli Etruschi era adibita a necropoli, il cimitero fu inaugurato nel 1849, e poi ampliato, sui progetti di Filippo Lardoni e Alessandro Arienti. Qui si dispiega un romantico panorama dell’arte scultorea perugina tra Ottocento e Novecento.
L’entrata monumentale apre l’ingresso a tre lunghi sentieri silenziosi, costellati di cappelle e mausolei di ogni stile e fattezze, affascinanti per la loro eterogeneità, tra l’eclettico e l’eccentrico: è il caso della tomba a piramide egizia, completa di severe sfingi all’ingresso (Romano Mignini, Cappella Vitalucci, 1892).
La suggestione più forte si avverte in ogni caso percorrendo le due gallerie coperte ai lati dei campi comuni, progettate dall’Arienti. Una serie di monumenti funebri si susseguono lungo la parete, una volta stellata vi accompagna sotto l’ombra del portico, mentre la luce filtra geometricamente dalle aperture delle arcate bianche e rosa.
A fine taste
Intanto sculture di esseri alati bianchi e ritratti di defunti abitano le gallerie, volgendo gli sguardi altrove o, a seconda della posizione, guardandovi dubbiosamente negli occhi. Molte statue hanno le sembianze di giovani asessuati dai tratti fisionomici dolci e aggraziati, colti in mosse misurate e panneggi svolazzanti.
Si scopre il gusto Liberty diffuso a cavallo tra XIX e XX secolo, interpretato da artisti perugini quasi coetanei, formatisi all’Accademia delle Belle Arti di Perugia.
Molte le opere in questo senso di Giuseppe Frenguelli (1856-1940), scultore perugino: l’angelo in posa ricercata che zittisce dolcemente, fissandovi negli occhi, a guardia del monumento Vicarelli (1895), o quelli musicanti, più scenografici, dai lunghi panneggi fluttuanti, assorti in un canto silenzioso, i quali aleggiano in una composizione complessa sul monumento Rossini (1905).
Atteggiamenti delicati, che conferiscono un’atmosfera di sospensione ed indefinitezza, come l’angelo languidamente seduto sopra il monumento sepolcrale della famiglia Nottari: la testa appoggiata alla mano, il gomito sopra una pila di libri, l’espressione vitrea, tra il vago, il fiacco, l’inerte. Del 1888, firmata da Raffaele Angeletti (1842-1899) e Francesco Biscarini (1838 – 1903), questa è solo una delle tante opere dei due artisti all’interno del cimitero di Perugia, i quali, dopo aver fondato nel 1861 uno studio di scultura, intrapresero l’attività di un laboratorio e una fornace di terrecotte artistiche, in Via del Labirinto.
Allegorie dell'Aldilà
Allegorie epiche accompagnano talvolta i ritratti dei defunti, come le sfingi, questa volta di tradizione greca, che sostengono il monumento funebre della poetessa Maria Alinda Bonacci Brunamonti: le due donne alate, dalle possenti zampe di leone, hanno l’espressione elegante di nobili fanciulle, il collo lungo e i tratti fini; i capelli sono acconciati con una corona di alloro e nastri svolazzanti, in linea con il gusto decorativo liberty. Il monumento fu realizzato nel 1914 da Romano Mignini, con la collaborazione del figlio Venusto; lo scultore aveva frequentato il laboratorio Angeletti – Biscarini, e come i suoi maestri, si era formato all’Accademia perugina.
Tra i personaggi che animano le sculture funebri, le figure dei bambini addolciscono l’immaginario legato ai defunti. Sul monumento della famiglia Pezzolet, firmato Giuseppe Scardovi (1857 – 1924), sta seduto in posa scomposta un bambino dalle fattezze angeliche; mentre lo stesso Giuseppe Frenguelli scolpisce nel 1915, per la cappella della famiglia Pagnotta lungo il viale centrale, un bambinetto aggraziato e immobile nella sua tristezza, i cui fiocchi alle scarpe sono il dettaglio di verosimiglianza che conferisce alla figura l’apparenza funerea di uno spirito bambino.
La visita al cimitero si rivela un viaggio tra una moltitudine di figure, spiriti, e creature celesti scultoree, i quali rivelano simboli e allusioni legate all’universo dei defunti: scoprirle sarà una passeggiata in un museo a cielo aperto, immerso nel silenzio.
Tra il 1863 e il 1865 Domenico Golini rinveniva in territorio orvietano, più precisamente in località Poggio del Roccolo di Settecamini, tra Orvieto e Porano, le celeberrime tombe affrescate che da lui presero nome. Si tratta di una coppia di monumenti di eccezionale valore artistico e documentario che costituiscono un unicum nel territorio di appartenenza (ad esse si aggiunga una terza tomba dipinta rinvenuta nella medesima area, pertinente alla famiglia hescanas).
Le pitture parietali, staccate per ovvi motivi di conservazione e sicurezza nel 1950, sono ora esposte presso il Museo Archeologico Nazionale di Orvieto in ambienti che riproducono in maniera fedele gli spazi della loro collocazione originaria.
Tomba Golini I. Banchetto infero alla presenza di Ade e Persefone; restituzione grafica (da P. Bruschetti, Gli Etruschi a Orvieto. Collezioni e territorio, Città di Castello 2006, p. 69).
La Tomba Golini I
La Tomba Golini I, detta anche dei Velii è costituita da un unico, ampio ambiente quadrangolare il cui spazio è bipartito da un tramezzo tufaceo che, partendo dalla parete di fondo, giunge circa a metà della camera sepolcrale. La decorazione pittorica rappresenta una scena di banchetto infero in cui il defunto è colto nel momento dell’arrivo nell’Oltretomba, atteso dai suoi avi intenti nel convito. Di particolare interesse è il modo in cui architettura e pittura si fondono utilizzando parti strutturali, come strumento di separazione materiale e concettuale delle scene figurate; il divisorio tufaceo, infatti, non svolge solo la funzione di ripartire lo spazio, ma separa, nella raffigurazione, la parte servile da quella padronale, ribadendo anche materialmente una fondamentale divisione ideologica e delle due diverse fasi della festa, quella dei preparativi e quella del convito vero e proprio.
Tomba Golini I. Servo con pestelli (da P. Bruschetti, Gli Etruschi a Orvieto. Collezioni e territorio, Città di Castello 2006)
Le scene che adornano il vano di sinistra rappresentano, dunque, l’allestimento del banchetto, mostrando servi e cuochi mentre preparano pietanze accompagnati dalla musica di un flautista, etrusco more; caratterizzata da profondo realismo è la raffigurazione delle bestie necessarie all’apprestamento delle mense, sventrate e appese per le zampe a delle travi, così come l’immagine del servo addetto al depezzamento delle carni. Puntuale è inoltre la fotografia delle altre fasi preparatorie del pasto come mostra la figura dello schiavo colto nell’atto di triturare cibi, forse spezie, con dei pestelli in un grosso bacile a tre piedi, o ancora gli individui preposti all’accensione del fuoco o quelli che imbandiscono una lunga trapeza con vasellame da mensa.
Nel vano di destra è invece raffigurato il defunto che su un carro trainato da cavalli, alla presenza di un genio alato (lasa) giunge nell’Aldilà al cospetto di Ade e Persefone; la coppia infera, assisa su una lettiga, presiede il banchetto cui partecipano gli antenati e i membri della famiglia leinie, titolare del sepolcro, mentre servi ignudi allestiscono sontuoso vasellame in un ambiente rischiarato dalla luce di alti candelabri. Quasi tutti i personaggi raffigurati in entrambi gli ambienti, ed anche gli animali, sono accompagnati da iscrizioni, sorta di didascalie che hanno lo scopo di rammentare la genealogia dei componenti della famiglia, le cariche da essi ricoperte, ma anche le differenti funzioni cui erano preposti i servi.
La Tomba Golini II
La Tomba Golini II o delle Due Bighe consta di un’unica camera sepolcrale a pianta rettangolare su cui campeggiano le scene figurate, purtroppo assai danneggiate e a tratti illeggibili. Il soggetto è in tutto simile a quelle della sepoltura anzi descritta, l’arrivo di una coppia di defunti nell’Ade dove si svolge un banchetto allietato da suonatori di lituo e tromba.
Tomba Golini I. Inserviente che prepara pietanze (da P. Bruschetti, Gli Etruschi a Orvieto. Collezioni e territorio, Città di Castello 2006)
I protagonisti sono raffigurati ai lati della porta di ingresso; l’individuo di sinistra giunge su una biga trainata da una coppia equina; alle sue spalle, lungo la parete, si svolge un corteo composto di sei personaggi che procedono verso due klinai su cui sono rispettivamente assise due coppie di banchettanti che le iscrizioni individuano come personaggi appartenenti alla famiglia cnezus. A destra della porta compare una seconda biga condotta da auriga, oltre la quale, lungo la parete del medesimo lato, compaiono tre klinai in tutto analoghe alle precedenti; i personaggi ivi raffigurati sono individuati dalle iscrizioni quali membri della famiglia vercnas. Le pitture che adornavano la parete di fondo appaiono quasi del tutto deteriorate, fatta eccezione per scarsi lacerti riferibili a figure di guerrieri.
Una scuola pittorica
Entrambi i monumenti possono essere datati alla seconda metà del IV secolo a.C. e mostrano una sostanziale coerenza di concezione che pare indiziare l’esistenza di una bottega o scuola pittorica locale la cui attività cessa, verosimilmente, con la distruzione della città nel 264 a.C.
In conclusione, vale la pena sottolineare come le tombe in esame, oltre a costituire una preziosa e rara testimonianza storico-artistica circa la pittura etrusca di area volsiniese tra epoca tardo-classica e ellenistica, abbiano altresì un fondamentale valore documentario in quanto fotografie degli aspetti quotidiani e delle usanze che caratterizzavano la vita delle aristocrazie dell’epoca. Esse rappresentano, inoltre, una tra le ultime attestazioni del tema figurativo del simposio nell’Aldilà ove vivi e morti banchettano insieme, tema che successivamente scomparirà dal repertorio pittura tombale per lasciare spazio a una nuova concezione del sepolcro che sembra divenire, esso stesso, rappresentazione tridimensionale dell’Ade in cui l’intero gruppo familiare lì sepolto partecipa a un eterno banchetto.
-F. Boitani, M. Cataldi, M. Pasquinucci, Le città etrusche, Milano 1973.
-M. Cristofani, Etruschi. Cultura e società, Novara 1978.
-M. Cristofani, Dizionario della civiltà etrusca, Firenze 1985.
-P. Bruschetti, Gli Etruschi a Orvieto. Collezioni e territorio, Città di Castello 2006.
-Camporeale, Gli Etruschi. Storia e civiltà, Torino 2000.
-A. E. Feruglio, Porano. Gli Etruschi, Perugia 1995.
-M. Torelli, Storia degli Etruschi, Bari 1981.
-Torelli 1985 M. Torelli, L’arte degli Etruschi, Bari 1985.
-M. Torelli, “Limina Averni”. Realtà e rappresentazione nella pittura tarquiniese arcaica, in M. Torelli, Il rango, il rito e l’immagine. Alle origini della rappresentazione storica romana, Milano 1997, 122-151.
-M. Torelli (ed.), Gli Etruschi, Milano 2000.