Molti conosceranno i maccheroni dolci, tipico dolce della Vigilia: non solo di Natale, ma anche di quella dei Santi, a novembre. Si usa, infatti, pasta senza uovo, che viene poi arricchita con noci, miele, pangrattato e cacao.
La variante che vi proponiamo รจ una vecchia ricetta che vede i maccheroni protagonisti di un pasticcio, riportato nella quarta edizione di Un secolo di cucina umbra di Guglielma Corsi, che forse non รจ adatto per la Vigilia, ma senza dubbio farร la sua figura alla fine di un pranzo in compagnia.
Il panpepato di Terni, che ha ottenuto nel 2020 la denominazione Igp, รจ un dolce natalizio che risale al 1500, ma sembra abbia origini ancora piรน antiche. ร un piatto della tradizione contadina, tipico delle feste perchรฉ lโacquisto degli ingredienti, soprattutto le spezie, era molto oneroso. Il panpepato viene preparato dai ternani rigorosamente lโ8 dicembre, giorno dellโImmacolata Concezione e ogni famiglia ha una propria rivisitazione e questo lo rende un dolce tipicamente popolare.
Ingredienti
75 g di noci
75 g di mandorle
75 g di nocciole
75 g di uvetta
150 g di miele
75 g di cioccolato fondente
1 cucchiaino di cannella
60 g di canditi
Pepe nero q.b.
175 g di farina 00
Noce moscata q.b.
Preparazione
Mettete in ammollo lโuvetta. Grattugiate il cioccolato e sminuzzate (non troppo finemente) le noci, le mandorle e le nocciole. In un contenitore medio-grande raccogliete la frutta secca che avete in precedenza sminuzzato e aggiungete, mescolando con un mestolo, il cioccolato grattugiato e i canditi. Scolate lโuvetta e unitela al resto della frutta secca, insieme alla cannella, alla noce moscata e al pepe. Scaldate il miele e unitelo alla frutta secca e al resto degli ingredienti, continuando a mescolare bene. A questo punto, aggiungete la farina setacciata e mescolate il contenuto. Quando il composto avrร assunto una forma omogenea, realizzate due panetti di dimensioni uguali e infornateli per circa 20 minuti a 170 gradi. Dopo 20 minuti sfornate i due panetti e lasciateli raffreddare. Consigliamo di far passare almeno 24 ore prima di servirlo.
E se il poverello di Assisi fosse stato un estimatore del buon cibo? E se, tra le tante pietanze, fosse stato goloso dei dolci? Lโipotesi non รจ cosรฌ remota, come ci dimostrano diverse fonti documentarie. Ma ciรฒ che dovremmo davvero chiederci รจ: possiamo biasimarlo?
San Francesco
Se รจ vero che molti dettagli del passato continuano a sfuggirci, รจ pur giusto riconoscere lโimpegno di molti autori nel cercare di ricostruire alcuni aspetti che possano approfondire la Storia ufficiale, come gli studi sul clima o sulle abitudini alimentari dei nostri predecessori. Apparentemente di secondaria importanza, questo tipo di scoperte stanno gettando luce sui molti punti dโombra che sospendono la linea del tempo, permettendo di guardare alle piรน grandi personalitร del passato in maniera meno distaccata e con meno soggezione, accettando le loro idiosincrasie e debolezze di esseri umani.
Secondo le fonti agiografiche, nemmeno San Francesco, il santissimo poverello di Assisi, puรฒ esimersi da questo discorso. Sembra infatti che fosse un estimatore โ pacato e moderato, certo โ del buon cibo, in particolare dei dolci.
Un certo pasto, fatto di mandorle, zucchero, miele e altri ingredienti
Lโaura di santitร , coadiuvata dai principi della Regola francescana, rende piuttosto difficile credere che San Francesco sia stato anche solo umano, figuriamoci immaginarlo mentre si gusta dei manicaretti alle mandorle, zucchero e miele.
Tra le diverse lettere attribuite al Santo, perรฒ, ne spicca una rivolta a una certa madonna Jacopa (o Giacomina, o Giacoma) detta dei Sette Sogli (Jacoba de septem Soliis). Come ci riporta il Trattato dei Miracoli di Tommaso da Celano (portato a termine nel 1252-1253, anche se poi scomparso fino al 1899) la donna ยซera ammirata per lโillustre casato, per la nobiltร della famiglia, per le ampie ricchezze, per la meravigliosa perfezione delle sue virtรน e per la castitร vedovileยป[1]: insomma, non era strano che Francesco, a cui era legata anche da una profonda amicizia, chiedesse di lei prima del sopraggiungere della fine.
Ma la richiesta che il frate assisano dettรฒ nella missiva rivolta a Jacopa, vi sorprenderร – come dโaltronde sorprese i fratelli che lo stavano vegliando presso Santa Maria degli Angeli. La donna avrebbe dovuto arrecare un panno di colore cinerino per coprire il corpo morente del frate, una sindone per il volto, un cuscino per il capo e uncerto piatto che molte volte gli aveva offerto durante i soggiorni a Roma: il mortariolum, un trito di mandorle, zucchero, miele e altri gustosi ingredienti[2].
La storia vuole che Jacopa sia giunta dal moribondo Francesco con tutto quello che questi aveva richiesto senzaperรฒ aver mai ricevuto la lettera: รจ qui che sta il prodigio ed รจ qui che tutte le fonti che ne parlano concordano โ non solo il sopracitato Trattato dei Miracoli, ma anche le Considerazioni sulle Stimmate[3], cioรจ la raccolta dei Fioretti del Santo, e Specchio di Perfezione[4], una compilazione della vita di Francesco datata 1318. Grazie a questโultima, sappiamo che Francesco, ormai privo di forze, di questo mortariolum riuscรฌ a mangiarne ben poco.
Ma che cosโera questo dolce per il quale Francesco stravedeva?
Franco Cardini, ne Lโappetito dellโimperatore[5], cerca di ricostruirne lโetimo, sebbene tale percorso a ritroso sia piuttosto incerto: mortariolum, esattamente come in mortadella o nel francese mortier, indicherebbe un cibo i cui ingredienti vengono a lungo pestati e amalgamati col mortaio. Nei documenti sopracitati, mortariolum diventa mostacciolo, un biscotto secco presente in diverse regioni dโItalia ma che, in Umbria, accompagna tradizionalmente le celebrazioni dedicate ai morti.
Madonna Jacopa
Bisogna perรฒ considerare due dettagli importanti: il primo รจ che la preparazione nostrana trae il proprio nome non tanto dal mortaio, quanto dal mosto di vino bianco che ne bagna lโimpasto di farina e semi di anice. Il secondo riguarda invece madonna Jacopa, la donna a cui Francesco fa lโinsolita richiesta, che appartiene a una nobile famiglia romana: รจ piรน probabile, quindi, che quelli richiesti da Francesco siano gli antenati di quei biscotti a base di farina, frutta secca, pepe, cannella, miele e albumi che tuttora si preparano nella Capitale.
Nella sua ricostruzione romanzata, Cardini immagina invece che i dolcetti tanto agognati da Francesco siano simili ai ricciarelli senesi, frutto di un impasto in cui spicca un trito di mandorle, zucchero semolato e altri ingredienti.
Se il lettore ci accordasse una licenza, ci piacerebbe perรฒ pensare โ prendendo anche spunto dal titolo dellโepisodio narrato da Cardini, Profumo dโaranci โ che il Santo assisano, al giungere di Jacopa, si sia inebriato dellโodore di quella buccia dโarancia tagliata a dadini che arricchisce โ assieme a uvetta, olio dโoliva e lievito – unโaltra versione della ricetta dei mostaccioli, quei biscotti che tanto deliziano le tavole umbre nel periodo invernale.
[1] Cfr. http://www.santuariodelibera.it/FontiFrancescane/framemiracoli.htmโ [2]ยซDe illa commestione, quam pluries fecit michi, cum fui apud Urbemโฆ Illa autem comestionem vocant Romani mortariolum, que fit de amigdalis et zucaro vel mellea et aliis rebusยป. Compilatio Assisiensis vol. 8, a cura di E. Menestรฒ, in Fontes Franciscani, Assisi, 1995.โ [3] Cfr. http://www.sanpiodapietrelcina.org/stimmatesanfrancesco.htmโ [4]http://www.ofs-monza.it/files/specchiodiperfezione.pdfโ [5] Lโappetito dellโimperatore, F. Cardini, Mondadori, Milano, 2014. Il libro si inquadra nella fiction storica in quanto, partendo da fatti storici, lโautore aggiunge elementi verosimili e storicamente plausibili che perรฒ non hanno evidenze documentarie. Nel caso di Profumo dโaranci, il racconto dedicato a San Francesco, Cardini parte dallโincontro โ plausibile, ma non attestato dalle fonti โ tra il Cardinale Ugolino dโOstia ed Elia da Cortona, scossi dalla morte del frate assisano come della richiesta che questโultimo aveva fatto in punto di morte.โ
1 scorza grattugiata di limone non trattato (solo la parte gialla)
Olio o strutto per friggere
Sale
PREPARAZIONE:
Portate a ebollizione un litro e tre quarti d’acqua leggermente salata, versatevi a pioggia la farina di granoturco e, sempre mescolando fate cuocere per una quarantina di minuti, aggiungendo un po’ di acqua calda, se necessario, perchรฉ dovrete ottenere una polenta ben cotta ma morbida. Toglietela dal fuoco, unite il Mistral, la scorza grattugiata di limone, l’anice, lo zucchero, le uova e un po’ di farina di frumento. Buttate questo composto in olio bollente o in strutto ben caldo a cucchiaiate, estraete e passate le frittelle su carta da cucina che ne possa assorbire l’olio in eccesso.
Le frittelle di farina di granoturco si gustavano il giorno di San Giuseppe in alcune zone dell’assisano. Questa particolare ricetta viene da Capitan Loreto, dove vengono chiamate frittelle di polenta.
Per gentile concessione di Calzetti e Mariucci editore
Sciogliete il lievito di birra in poca acqua tiepida; mescolate alla farina un pizzico di sale e versatela a fontana sulla spianatoia. Ponete al centro della fontana il lievito sciolto e cominciate a impastare, aggiungendo acqua leggermente tiepida. Dovrete ottenere un impasto della consistenza della pasta da pane. Ponete in un recipiente capace, coprite e fate lievitare in un luogo tiepido e lontano da correnti fino a quando lโimpasto non sarร raddoppiato. Mescolatevi tutti gli altri ingredienti, formate tante ciambelle, ponetele ben distanziate su una placca da forno unta e lasciate lievitare per ancora 2-3 ore. Ponete in forno a 180ยฐ C e fate cuocere gli zuccherini, che servirete quando si saranno raffreddati. Ben chiusi, si conservano anche per parecchi giorni.
Gli zuccherini erano il dolce natalizio della zona di Bettona. Si preparavano in tutte le famiglie e venivano posti a lievitare sugli assi di legno del pane. La lievitazione era lunga, complessa e, qualche volta, soggetta a imprevisti, perchรฉ le vecchie case di campagna erano prive di riscaldamento e piene di spifferi. Fino ai primi anni Sessanta venivano chiamati con un nome dialettale, cioรจ torquietti, ma poi รจ prevalso il nome di zuccherini, usato dai pochi che si vantavano di usare correttamente la lingua italiana. Nella versione piรน moderna si usa il lievito in polvere e si aggiunge un uovo. In alcune famiglie, invece di mettere semi dโanice, aggiungevano un poโ dellโacqua in cui li avevano fatti bollire.ย
1 scorza grattugiata di limone (solo la parte gialla)
1 bicchierino di Mistrร
1 cartina di lievito per dolci (dose da 1 kg)
olio per ungere la tortiera
PREPARAZIONE
Fate cuocere in acqua il filone di pane fatto a grossi pezzi, scolatelo e passatelo al passatutto. Mescolatelo con le mele tagliate a fettine sottili, lโuvetta, il cacao, la scorza di limone, Mistrร e farina in quantitร sufficiente a ottenere un impasto di media consistenza; quindi unite il lievito in polvere. Ungete una tortiera, versatevi il composto in uno strato alto un paio di centimetri. Infornate e fate cuocere a 180ยฐ C per 40 minuti circa.
Questo dolce si consumava per la vigilia dei Morti a Foligno. Qualcuno lo chiama fregnaccia, ma con tale nome si definisce anche una torta di farina di granoturco e frutta secca.
Per gentile concessione di Calzetti-Mariucci Editore.
1 scorzetta di buccia dโarancia non trattata (solo la parte arancione) grattuggiata
poco latte
burro per ungere la tortiera
confettini colorati
1 cartina di lievito per dolci, dose da ยฝ Kg
burro per ungere lo stampo.ย
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PREPARAZIONE
Lavorate assieme la farina, lo zucchero, lo strutto 2 uova e un tuorlo, lโarchemes, la buccia dโarancia ed un poโ di latte, unite al lievito e versate in uno stampo unto di burro, lasciando da parte un poโ di impasto e dando la forma diย un torcolo. Ricavate dalla pasta rimasta due bastoncini e disponeteli a forma di croce attraverso il buco della ciaramicola. Infornate a 180 ยฐC e fate cuocere per circa 40 minuti. Togliete dal fuoco, ponete sulla superficie della ciaramicola la chiara dellโuovo rimasta montata, spolverizzate con i confettini ed infornate a fuoco caldo, ma spento, perchรฉ la chiara si rapprenda.
La ciaramicola con lโalchermes era il dolce tipico di Pasqua nelperugino e si usava prepararne in abbondanza per farne dono agli amici.ย
Per gentile concessione di Calzetti-Mariucci Editori
Da simbolo di martirio a quello di matrimonio: la curiosa storia del Torcolo di San Costanzo.
Di torture, come di morti e di passio, lโagiografia cristiana รจ piena. Studiando i primi secoli di vita del culto, tuttavia, รจ piรน facile imbattersi nei cosiddetti martirologi storici, ovvero in quei calendari, diffusi fin dal II secolo, in cui venivano riportati i nomi dei santi e il luogo della loro morte. In seguito, a queste liste fu aggiunta la vita โ del martire o del confessore โ e una descrizione del decesso: il documento senza dubbio piรน famoso รจ il Martirologio Geronimiano, cosรฌ chiamato per lโinesatta attribuzione a San Girolamo.
Qui e in copertina: torcolo di San Costanzo, foto di Sandri dal 1860
Gli Antonini e gli anti-imperiali
ร giร in questo vetusto documento, compilato a Roma nel IV secolo, che appare il nome di San Costanzo, uno dei tre patroni della cittร di Perugia insieme a San Lorenzo e SantโErcolano, tradizionalmente festeggiato il 29 gennaio โ e per questo soprannominato il santo della gran freddura, a indicare le basse temperature del periodo.
Siamo al tempo dellโimpero di Marco Antonio: sebbene gli Antonini non siano passati alla storia per la loro sete di persecuzione, le fonti storiche danno testimonianza di un periodo piuttosto travagliato, in cui tutte le carestie, le invasioni e le epidemie venivano imputate agli adepti del nuovo culto. ร vero, non fu emanato un vero e proprio editto contro i Cristiani, ma si usรฒ a guisa di legge un rescritto imperiale del 176 che minacciava lโesilio della nobiltร romana e la condanna a morte dei plebei che avessero insistito nel diffondere religioni altre rispetto a quella ufficiale. Studiosi posteriori come Voltaire, affermano invece che i primi Cristiani furono perseguitati per il loro atteggiamento anti-imperiale, responsabile di un clima civile piuttosto teso. Per crimini politici, insomma.
In qualsiasi modo la si metta, รจ indubbio: i martiri ci furono eccome ma, senza dubbio, lโatteggiamento eroico di tali figure, dando esempio al popolino, ebbe un effetto pressochรฉ contrario a quello desiderato.
Il Santo che ammicca
ร il caso di Costanzo, primo vescovo e protettore della cittร . Il console Lucio lo fece immergere in un paiolo dโacqua bollente, dal quale il futuro santo uscรฌ praticamente illeso; dopo essere stato condotto in prigione, riuscรฌ a scappare convertendo i custodi. Arrestato di nuovo presso la casa di un certo Anastasio, fu condannato alla decapitazione, pena che venne comminata intorno al 170 a Foligno, in una localitร conosciuta come Il Trivio. Sembra che in questa zona โ chiamata Campagna di San Costanzo โ vi fosse persino una chiesa a lui dedicata, demolita nel 1527.
Chiesa di San Costanzo, foto di Diocesi Perugia
Dopo il martirio, le spoglie di Costanzo furono traslate in un luogo detto Areola, fuori da Porta San Pietro a Perugia, e lรฌ trovarono sepoltura: sarร proprio in quella zona defilata che sorgerร la Basilica a lui intitolata (consacrata nel 1205).
ร in quello stesso edificio che le ragazze nubili, ogni 29 gennaio, interrogano lโimmagine del santo: ยซSan Gostanzo da lโocchio adorno, famme lโocchiolino sinnรฒ โn ci artorno!ยป
(Trad. ยซSan Costanzo dagli occhi belli, fammi lโocchiolino altrimenti non torno piรน!ยป)
Sembra infatti che, per particolari giochi di rifrazione, il Santo ammicchi alle fanciulle destinate al matrimonio. Ma solo a quelle nubili e vergini; a tutte le altre spetta un premio di consolazione, donato necessariamente dai fidanzati: il Torcolo di San Costanzo.
Forme che parlano
La forma di questo ciambellone, arricchito di gustosi quanto rari ingredienti โ cedro candito, uvetta, pinoli, semi di anice โ ricorda in effetti un anello nuziale; ma altre interpretazioni la vogliono ora rappresentazione della corona di fiori apposta sul corpo ricomposto di Costanzo, ora collana di pietre preziose sfilatasi durante la decapitazione. Per alcuni, la forma di ciambella ne avrebbe solo agevolato il trasporto durante le fiere e i mercati: si potevano infilare diversi torcoli lungo dei semplici pali. E forse non รจ un caso che San Costanzo, nellโiconografia ufficiale, sia rappresentato proprio con un bastone. Unโulteriore interpretazione, senza dubbio piรน macabra e triviale, assimila invece il foro al collo reciso del santo, mentre le cinque incisioni sulla superficie, che ne rivelano la preziosa composizione, richiamano le cinque porte della cittร .
Cinque sono anche i doni arrecati, ogni anno, dalle autoritร civili. Simboli di concordia, la corona di alloro della Polizia Municipale, il cero del Sindaco, lโincenso del Consiglio Pastorale Parrocchiale, il vin santo e il torcolo fatto dagli artigiani, vengono offerti prima della tradizionale luminaria allโinterno della Basilica. Seguono la Grande Fiera in Borgo XX Giugno e, naturalmente, la degustazione del prelibato torcolo.
La luminaria, foto di Umbria24
La ricetta (di Rita Boini)
INGREDIENTI:
500 g di farina
125 g di zucchero
100 g di olio
75 g di cedro candito fatto a pezzetti
125 g di uvetta
50 g di pinoli
12 g di semi d’anice
30 g di lievito di birra
Un pizzico di sale
PREPARAZIONE:
Versate la farina a fontana sulla spianatoia, ponete all’interno della fontana il lievito sciolto in un po’ di acqua tiepida, impastate tutta la farina con acqua tiepida in quantitร sufficiente a ottenere un impasto dalla consistenza del pane e ponetelo in una terrina capace. Coprite con un panno pulito e tenetelo in un luogo tiepido e lontano da correnti d’aria, almeno fino a quando il volume dell’impasto non sarร raddoppiato. Versatelo quindi sulla spianatoia e unite gli altri ingredienti. Lavorate bene e dategli la forma di una ciambella, che porrete in una teglia unta. Fate lievitare per due-tre ore, quindi informate a 180ยฐ e lasciate cuocere per 40-45 minuti.
Il torcolo di San Costanzo veniva consumato a Perugia il 29 gennaio, giorno del santo, che รจ uno dei tre patroni della cittร . A volte si preparava in casa, ma piรน spesso si acquistava dai fornai, poichรฉ questo รจ un tipico dolce da forno. Negli anni Cinquanta-Sessanta uno dei forni piรน rinomati era quello di Fusaro, che tra l’altro si trovava in corso Cavour, non lontano dalla chiesa di San Costanzo. Le ragazze perugine, in particolare, ne regalavano uno al fidanzato. L’usanza del torcolo di San Costanzo รจ tuttora sentita in cittร e, anche ora che si trova in commercio tutto l’anno, il 29 gennaio forni e pasticcerie si riempiono di torcoli. A Pianello, il 3 febbraio, giorno di San Biagio, patrono del paese, si prepara il torcolo di San Biagio, che รจ simile. Il torcolo di San Giuseppe, che viene consumato a Montone il giorno del santo, differisce dai primi due solo per la mancanza di semi d’anice e per il fatto che non viene consumato per la festa del patrono, che in quella cittadina รจ San Gregorio Magno.