«I dialetti nel nostro Paese hanno ancora una significativa tenuta come lingua familiare. Sarebbe un peccato smarrirli». Gian Luigi Beccaria
«Data la posizione geografica della città è un po’ sintesi di un incontro di linguaggi: romano, sabino, laziale con qualche accenno toscano, con vocaboli prettamente umbri, ma con un accento suo proprio. Non mancano anche vocaboli e accenti marchigiani, dovuti alla presenza abbastanza numerosa negli anni passati di contadini, operai e nel secolo scorso (il 1800, ndr) anche di funzionari di quella regione stabilitisi poi qui». Con queste parole don Gino Contini, autore nel 1970 della Guida turistica della città e territorio di Narni, spiega alla perfezione la complessità del dialetto narnese.

Per scoprire meglio questo vernacolo è venuto in nostro aiuto Luciano U postino Sernicola, storico postino di Narni (oggi in pensione) e appassionato estimatore della lingua locale: «Non dobbiamo perdere il nostro dialetto, è un patrimonio che va conservato e tramandato. In molte regioni italiane è considerato come una vera e propria lingua da studiare. Noi potremmo fare lo stesso. Il narnese è la sintesi di un incontro tra il romano e il sabino laziale, con qualche incursione toscana e marchigiana».
Partiamo con l’individuare delle caratteristiche ben precise, come l’articolo che diventa U per il singolare maschile, ad esempio: u billu (il tacchino) u stagninu (l’idraulico), u scupinu (il netturbino), u fìju (il figlio) e A per il femminile, come in a corbe (la volpe), a ciriola (la coccinella), a forchétta (la forchetta). A volte si usa anche la O, come nel caso o fume (il fumo) oppure o mèle (il miele). Nel plurale Gli diventa Li e Le si trasforma in E (e porbette – le polpette, e mano – le mani). Un’altra caratteristica è che svariati nomi e aggettivi maschili al singolare si presentano con la desinenza in U: U tavolinu è de legnu seccui (il tavolino è di legno secco. Oppure: occhju, cervellu, quéllu/quìllu, quéstu/quìstu); i nomi femminili invece seguono la grammatica comune; esistono poi nomi maschili che vengono usati al femminile e viceversa (orecchio – orecchia, bicchiere – chìcchera, fango – fànga, pesca – perzicu, prugna – brugnolu). Gli avverbi spesso hanno forme contratte: quanno per dire quando, do per dove, mancu/mammancu (nemmeno, neanche) e propiu (proprio).

Aggettivi, sostantivi e altro…
«Questi sono una serie di termini che ancora oggi vengono utilizzati nella vita quotidiana e resistono al tempo: ammarvatu (ammalato), arconciá (rammentare), bajencu (rozzo, ignorante), bardasciu (ragazzo), corgá (coricarsi), furminanti (fiammiferi), gramaccia (gramigna), inciuccá (ubriacare), mammeta (tua madre), padritu (tuo padre), rodime (prurito), scarfagna (sonnolenza), tignosu (cocciuto), uncicu (unghia), vordica (travasare) e zuzzumaia (sporco)» racconta u postino.
Poi, tra quelli più utilizzati, ce ne sono alcuni che indicano le diverse età di uomini e donne: pottu (bambino), potta (bambina), bardascettu (ragazzo), bardasciu (giovanetto), giovanottu (giovane), omu fatto (uomo maturo), femmina fatta (donna matura) e incario (vecchio).
Alcune parole hanno invece tante declinazioni in base al loro utilizzo. Colpo si può tradurre in catramina, genzola, inciafrata, intussata, pitàrtera; se è un cazzotto diventa cazzottu, pistasale o papagnu; corbu è il colpo apoplettico, l’acciaccata è una botta (“tè do ‘n’ acciaccàta!”), panzata se il colpo è dato con la pancia, pillucchinu (colpetto), smusottu se la botta è sul viso, la tortorata è un colpo dato con un grosso bastone, infine alliciata (percosse). Chiudere diventa invece: orpilà/ oppilà, inzerrà (serrare), arpilà/appilà (ostruire, occludere). La pioggia se è sottile è una pioviccicata o pioviccicarèlla, lo sgrullone è l’acquazzone, mentre la sguazzata è una pioggia di breve durata.
Curiosi sono i termini che tante traduzioni. Alcuni esempi sono: magro (criccu, rachitinósu, scanìtu, rinzecculìtu, scrìcchju/ strìcchju, scrocchjazzeppi, steccardìnu, stortignàccolu), stanco (accalamaratu, sderenatu, sderinatu, strongu, affiaccàtu, cioncu, lessàtu, straccu) o niente/nulla (cica, nìcchese, niccsvain, pecucci, picucciu, pedicucciu).

Consigli di saggezza
Un dialetto che si rispetti esprime la sua saggezza attraverso i modi di dire e i proverbi che racchiudono la vera essenza della vita. Luciano ce ne ha segnalati alcuni, quelli che ancora si usano e che causticamente sintetizzano tanti momenti quotidiani.
Partiamo con i proverbi legati al meteo. L’ampeia, troneia, fa il diavolo e Pejo (si dice quando è in arrivo un temporale); a néve maremmàna sètte vorde la richjama (se nevica con venti occidentali, la neve sarà copiosa e persistente) oppure rosso de matìna, acqua joppe la schìna (rosso di mattina, la pioggia s’avvicina).
Passiamo a quelli di vera saggezza popolare. A casa de poretti nun mancano tozzi (è più facile ottenere aiuto dai poveri che dai ricchi), femmine e focu vanno stuzzicate ogni pocu (le donne e il fuoco vanno stuzzicati, ravvivati), a processióne do scàppa riéntra (se si mandano delle maledizioni a qualcuno, poi tornano indietro), a cera sé conzuma e u mortu non cammìna (il lavoro non procede come dovrebbe), chi và a dormì co’ i pólli e co’ i fìji sé riàrza smerdàtu (chi confida i propri segreti a persone inaffidabili li vedrà presto rivelati), più gente védi é più marchiciani incóntri (i marchigiani sono usati in chiave negativa per indicare che si trova sempre lo tipo di persone).
Tra i modi di dire non possiamo non citare: a pippa de coccio (perfetto, a meraviglia), ecco gnente (aspettative che finiscono nel nulla), essere paci (pazzi), a portá a casa (quando uno fa il finto tonto), fa allunga u collu (fare attendere qualcuno nella realizzazione di qualcosa o nel pagamento di un debito), annà a bilancìnu (scroccare un pasto. Dó vai a bilancìnu da tu socera?), ché articulu ché sèi (detto a una persona simpatica, buffa), quillu nun magnerebbe pe nun cacá (si dice quando uno è molto avaro), fa l’urdima (morire, tirare le cuoia); mentre a chi è fortunato e gli va sempre tutto bene: je feta pure u gallu. Infine, piscia chiaru e fa fichetta a u medicu (riferito alla salute, ma anche al comportamento onesto).
Le puntate precedenti
Perugino
Eugubino
Castellano
Folignate
Spoletino
Ternano
Orvietano
Pievese
Gualdese
Todino
Nursino
Amerino
Umbertidese

Agnese Priorelli

Ultimi post di Agnese Priorelli (vedi tutti)
- Il narnese, un dialetto raccontato “a pippa de coccio” - Giugno 10, 2025
- Cristiano Spilinga, naturalista: «Il lupo è tornato. Avvistati orsi che mancano in Umbria da fine ‘800» - Maggio 27, 2025
- Al Bernardino di Betto una giornata dedicata alla gentilezza in ricordo di Riccardo Picchioni - Maggio 22, 2025