fbpx

Dialetto nursino, un mix di culture e di lingue

«Nel dialetto non si sceglie − si è immediati, si parla d’istinto. In lingua si crea.» Cesare Pavese

Per la sua posizione geografica il dialetto di Norcia risente dell’influenza delle regioni limitrofe come Toscana, Umbria, Lazio e Marche: possiamo affermare che appartiene al gruppo dei dialetti centro-meridionali, in particolare a quello mediano. La sua specifica posizione ne ha fatto un punto d’incontro fra diverse culture: a est quella umbra, a ovest quella abruzzese, rendendolo un mix dall’una e dall’altra cultura. A guidarci alla scoperta di questo dialetto è il professor Pierluigi Valesini, autore del libro La Lingua di Norcia: Dizionario del Vernacolo Nursino.

Pierluigi Valesini

Composto ancora oggi da termini tipici delle regioni citate in precedenza, questo dialetto utilizza termini toscani e soprattutto romaneschi (a seguito del grande esodo di nursini a Roma, avvenuto negli anni), ma anche vocaboli marchigiani, portati dai mietitori che venivano a lavorare in queste terre durante la falciatura. Alle parole si sono aggiunte nei secoli anche espressioni artistiche e poetiche portate dagli spostamenti e dal transito delle persone.

«Norcia e il suo territorio hanno costituito un ponte fra la cultura umbra e quella abruzzese e la cultura della città è diventata un punto d’incontro fra queste entità. La stessa Valnerina può essere divisa in due aree dialettali: quella occidentale (ternano–spoletina) e quella orientale di influenza nursina che si accosta al dialetto dell’area aquilano–sabina. A sostegno di ciò sono evidenti le differenze linguistiche fra queste due aree. Nell’area occidentale (Cerreto di Spoleto, Vallo di Nera, Scheggino) abbiamo la conservazione delle finali in U (lu fòcu, lu mùnnu); nel territorio orientale la consonante labiale B raddoppia a inizio di parola (Bbòna, Bbefàna, Bbanchìttu), questo non avviene nell’altra area. Altra differenza è la mutazione, nell’area orientale, di LL in J, se la doppia consonante è preceduta dalla vocale: canestrìllu – canestrìju – canestrièju (la prima nella zona spoletina, la seconda nell’alta Valnerina e la terza a Norcia). Comune per la Valnerina è la finale U (pièttu o pèttu).» spiega il professor Pierluigi Valesini.

Ma le differenze di vocaboli e pronunce si hanno anche tra la Norcia dentro le mura e le sue frazioni: si colgono facilmente diversità tra le espressioni cittadine e quelle del circondario; in campagna resistono termini più arcaici che sottolineano la diversità tra il folklore urbano e quello extraurbano. «Il dialetto aggrega, si erge a vessillo specifico di una determinata realtà, propagandone l’orgoglio e saldandone le memorie. I vocaboli del vernacolo che raccogliamo adesso forse ci provengono dai nostri antenati Umbri e Sabini, forse potrebbero appartenere a quella Koinè che unificava nel lessico gli antichi popoli, difficile stabilirlo, senz’altro si può affermare che nel dialetto c’è un po’ di tutto questo: modernità e arcaicità, foggia colta e popolare, contagi disparati avvenuti in tempi e circostanze dissimili.» prosegue Valesini.

San Benedetto

La grammatica nursina

Il nursino possiede norme non codificate che compaiono nella dialettica. Prendendo in esame la maggior parte dei termini si nota come quelli che in italiano terminano in O (maschile singolare), nel vernacolo si trasformano in U (canestro = canièstru, libro = lìbbru, scolaro = scolàru); le finali in olo diventano ulu (barattolo = baràttulu, giocattolo = jucàttulu, comignolo = cumìgnulu), mentre ello muta in ièju (cervello = cervièju, mantello = mantièju, cappello = cappièju); da segnalare l’eccezione di ombrello che è di genere femminile (ombrella pl. ombrelle). Infine i nomi che terminano in U hanno quasi sempre il plurale in I (cappuòttu = cappuòtti, buòttu = buòtti).
Un’altra particolarità è la consonante D che ha il suono molto simile alla T (comodino = cummutìnu, comodo = cuòmmutu, dado = tàtu): spesso perde la sua sonorità se posta a inizio parola: dato = ‘atu, dolere = ‘ole’ (Te l’ha ‘atu? = Te l’ha dato?, Me ‘ole tùttu = Mi duole tutto). La lettera C invece ha un suono trascinato, molto simile alla SC (cacio = càsciu), mentre la E preceduta da consonante può cambiare in I (péso = pìsu, césto = cìstu). Caratteristiche della zona sono alcune parole che nell’intercalare comune sono accompagnate dal suffisso NE (no = nòne, sì = scìne, giù = jóne, su = sùne).

I verbi hanno tutta una loro trasformazione: «L’infinito presente nella prima e seconda coniugazione risulta sempre tronco (mangiare = magna’, brustolire = brustuili’). L’uso del congiuntivo è limitato, fatta eccezione per alcuni casi e epiteti come: Te pijàsse ‘n córbo. Più comune è il congiuntivo trapassato, dove avessi si traduce con ìsci: l’ìsci sintìtu, l’ìsci vistu (lo avessi sentito, lo avessi visto). I tempi verbali più utilizzati sono il presente, il futuro, il passato prossimo e il passato remoto: altri più complessi sono ignorati. Il condizionale invece viene spesso usato impersonalmente (ce vurìa = ci vorrebbe, ce manchirìa = ci mancherebbe, ce putrìa = ci potrebbe).» illustra il professore.
Qualche esempio verbale più particolare: Avere (ae’) nel presente si coniuga: io c’hàjo, tu c’ha’, issu c’ha, nu c’ìmu, vu c’ìte, issu c’hàju; Vedere (veje’): io véjo, tu vìji, issu véje, nu vijìmu, vu vijìte, issi vìju. Tra le voci verbali che hanno una pronuncia diversa dalla lingua pura, c’è il verbo Potere che vede trasformare la doppia S di alcune sue voci in doppia Z (io posso = io pòzzo, io potrò = io pozzerò, essi potranno = issi puozzeràju). Il verbo Dovere nell’imperfetto diventa: io duìo, tu duìi, issu duìa, nu duiàmo, vu duiàte, issi duìanu. Simile declinazione hanno i verbi Potere e Volere: io vulìu, tu vulìi, issu vulìa, nu vuliàmu, vu vuliàte, issi vulìanu.       

Non mancano diversità anche nel mondo degli aggettivi: mia, tua, sua, nuòstru, vuòstru, luóru. «Le voci singolari sono sempre al femminile, ad esempio: ru jàttu mia (il mio gatto); la cappànna tua (la tua capanna), ru ‘inu sua (il suo vino). Spesso l’aggettivo possessivo si fonde con il sostantivo (tua madre = mamméta, tuo padre = pàritu, tuo fratello = fràtitu, tua sorella = sòreta, fìjitu = tuo figlio, fìjeta = tua figlia). Gli aggettivi dimostrativi invece diventano: istu (questo), quìju, iju (quello), issu (codesto), ésta (questa), élla (quella), éssa (codesta), mentre gli interrogativi si trasformano in que, quantu (quale? quanto? e che?): Que ‘inu vuo’? (Che vino vuoi?).» conclude Pierluigi Valesini.

Castelluccio di Norcia

Parole in libertà

Per concludere il viaggio nel vernacolo nursino ho scelto per voi alcune parole decisamente incomprensibili per chi non è della zona, ma che rendono alla perfezione il senso di questo dialetto.

Azzuffare = Appilliccia’ – «Se suo’ appillicciàti» (Si sono azzuffati)
Aprire = Opri’ e Ropri’– «Ròpri ‘ssa porta» (Apri questa porta). «Hàju opèrtu?» (Hanno aperto?)
Bagnato =’Nfùssu – «Te siè ‘nfùssu tuttu» (Sei completamente bagnato)
Barbiere = Carusìnu – Genericamente usato per indicare un barbiere poco raffinato. Derivante dal tosatore delle pecore
Boh = Buò, Bóce e No’ lo sàccio – Il Bóce è anche uno spauracchio dei bambini, sorta di orco
Brindisi = Brìnnisi e Sbrìnzu – (Il termine Sbrìnzu è usato a Castelluccio di Norcia e indica anche un tipo di canto in rima)
Cambiare abito = Scagnà – «S’è scagnàtu» (Ha messo l’abito bello)
Camera = Càmmura – «Scappa da ‘ssa càmmura» (Esci dalla camera)
Candela = Cannélla – «’Ppìccia le cannélle» (Accendi le candele)
Cólpo = Córbo – «Te pijàsse ‘n córbo» (Ti prendesse un accidenti)
Contenitore per bucato = Scifìttu
Sorèlla = Sorèlla – «Esso sòrema» (Ecco mia sorella). Oppure si usano i termini vezzeggiativi Tetèllo (mio fratello), Tetèlla (mia sorella) Papà mio = Papàne e Parìmu
Sottosopra = ‘Nperignó
Vedere = Veje’ – «Vìji ‘n puo’ se se véje» (Guarda un po’ si vede). «L’ìsci vistu» (Lo avessi visto)
Incapace = Mugnifrégna
Incinta = ‘Nfantàta – Soprattutto riferito a donna appena incinta – «L’hàju ‘nfantàta» (L’hanno messa incinta da poco)
Infrascare = ‘Nfrasca’ – Usato in particolare nel significato di nascondere, coprire – «’Nfràsca su» (Copri, nascondi)
Insignificante = Risìbbula – «È’ ‘na risìbbula» (È una cosa insignificante, di poco conto)
Ma = Ma e Pù (arc.) – «Pù ce siè vinùtu?» (Ma ci sei venuto?) – «Pù que je fa» (Ma che gli fa)
Mòrso = Mùccicu e Muccicóne – «M’ha ‘atu ‘n mùccicu, muccicóne» (Mi ha dato un morso)
Pallina = Ziperélla
Perugino = Piruggìnu e Cispatànu – «Issu è piruggìnu, cispatànu» (Quello è di Perugia e zone limitrofe)
Persona progredita = Spillirìta – «Iju s’è spillirìtu» (Quello si è emancipato, è progredito)
Persona sbadata = Sciuèrta
Persona trasandata = Sallàzzaru
Precipitare = Botéa’ – «È boteàtu jó pe’ la rìpa» (È precipitato lungo la discesa)
Ragazza = Bardàscia – «Va’ ‘n puo’ che bbèlla bardàscia» (Guarda un po’ che bella ragazza)
Ragazzimo = Màmmuru – Il termine è un vezzeggiativo per indicare il bambino della mamma, caro alla mamma – «’Istu è ru màmmuru de la màmma» (Questo è il tesoro della mamma)
Ragazzo = Bardàsciu
Uccèllo = ‘Ccièiju – «Pija ‘ssu ‘ccièiju» (Prendi quell’uccello)
Lunedì = Luniddì, Martèdi = Martiddì, Mercoledì = Mièrcuriddì e Mìrcuriddì, Giovedì = Giuiddì, Venerdì = Vennardì e Vinirdì, Sàbato = Sàbbatu, Doménica = Domménica.


Le puntate precedenti

Perugino
Eugubino
Castellano
Folignate
Spoletino
Ternano
Orvietano

Pievese
Gualdese
Todino

The following two tabs change content below.

Agnese Priorelli

Laureata in Scienze della comunicazione, è giornalista pubblicista dal 2008. Ha lavorato come collaboratrice e redattrice in quotidiani e settimanali. Ora collabora con un giornale online e con un free press. È appassionata di cinema e sport. Svolge attività di inserimento eventi e di social media marketing e collabora alla programmazione dei contenuti. Cura per AboutUmbria Magazine, AboutUmbria Collection e Stay in Umbria interviste e articoli su eventi.