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Dialetto di Amelia, un vernacolo ritrovato dove la T diventa D

«Finché l’italiano è rimasto una lingua letteraria, non professionale, nei dialetti (quelli toscani compresi, s’intende) esisteva una ricchezza lessicale, una capacità di nominare e descrivere i campi e le case, gli attrezzi e le operazioni dell’agricoltura e dei mestieri che la lingua non possedeva. La ragione della prolungata vitalità dei dialetti in Italia è stata questa». Italo Calvino

Prendete il dialetto di Orte e della Tuscia, aggiungete qualche sfumatura di reatino e un pizzico di marchigiano: ecco per voi il vernacolo di ‘Mèlia (Amelia). Una parlata di confine, contaminata più dal Lazio che dall’Umbria. Per scoprire l’amerino (quello verace), ci siamo fatti guidare da Maria Rita Sgrigna, curatrice del libro Le parole ritrovate. Detti, proverbi e scorci di vita amerina (Gambini Editore), un volume nato quasi per caso e ispirato dalla necessità di conservare e trasmettere il risultato del lavoro del gruppo di ricerca sul dialetto svolto dall’Unitre di Amelia durante gli anni accademici dal 2019 al 2022. Sono state raccolte parole, frasi, proverbi e testimonianze di un passato recente, ma quasi dimenticato.

Maria Rita Sgrigna

«Oggi il nostro dialetto non è più molto parlato: soprattutto i giovani stanno perdendo la sua conoscenza perché utilizzano un italiano dialettizzato, cioè un italiano con l’innesto di alcune parole dialettali. Per mantenere vive le tradizioni e il vernacolo dei nostri nonni e genitori è nata l’idea del libro: i testi che abbiamo raccolto sono testimonianze, esperienze e spaccati di vita quotidiana di chi ha vissuto un tempo distante da noi, ma che fa parte del nostro bagaglio culturale e della nostra storia. Prezioso è stato il contributo e la collaborazione delle persone più anziane e di chi ancora si ricorda il nostro dialetto. Ci hanno veramente regalato delle perle! Abbiamo riscoperto parole accantonate, che sono appartenute ad altre generazioni, che non sono scomparse ma anzi, tornano a essere presenti, a splendere e a far tornare vivi ricordi e tradizioni. Parole anche inconsuete, ma ricche di saggezza, come quella racchiusa nei proverbi e nei modi di dire» illustra la curatrice Maria Rita Sgrigna.

La caratteristica del vernacolo amerino è quella – come un po’ in tutta l’Umbria – di troncare le parole, ma soprattutto di sostituire le T con le D: sono andato diventa so’ andado, dietro è derèdo, fiato-fiado, vita-vida, venuto-vinudo, statue-staude e dentro-drendo; e le C con le G: peghé (perché), angò (ancora), anghi (anche).
Anche gli articoli hanno caratteristiche particolari e cambiano in base alla zona. L’articolo maschile plurale I viene utilizzato sia per le parole plurali che per quelle singolari nelle forme I o E’: i ppotti, i ppane (i bambini o il pane) oppure e’ ppotti, e’ ppane. Ma basta spostarsi di pochi chilometri per sentir dire: ‘l pane, l’panni, ‘l potto/l’potti. In molte parole inoltre avviene il raddoppio della prima lettera: pporetti (poveretti), ppannozzi (asciugamani da cucina), bbracia (brace), ccucciarella (accucciarsi) e mmece (invece).
Curioso è anche il massiccio utilizzo della J: jaccia (fredda), jea (andava), jèamo (andavamo), jentra (entra) jo, (giù), joenotti (giovanotti), pijjadela (prendetela), pijà (prendere), sciacquajale (lavandino), pambujole (rametti secchi), vojj (oggi), vajo (vado), ojjo (olio).

Infine, vi segnaliamo dei termini quasi incomprensibili e oramai poco utilizzati nel quotidiano: scifetto (paletta per infornare il pane), pettoroscià (andare a caccia di uccelli), tamando (tanto), tèsta/o (questa/o), zandi (santi), zèllero (sedano), archipènnuli (stendardi da processione), ariccòtelo (raccoglilo), cènnara (cenere), ciugo (piccolo), ciughelli (piccoletti), fonga (muffa), feriole (bestiole), la ppe’ (là), ‘mpadaloccadi (imbambolati), mènzi (quasi), ‘mbu/mpu o ‘nzico (un po’).

Veduta di Amelia

Saggezza contadina in salsa amerina

Se s’arinnuila su la bbrina, o piòve la sera o piòve la madina (se si rannuvola quando c’è la brina, o piove la sera o la mattina); preti, frati e ppòlli, nun furono mai satolli (preti, frati e polli non sono mai sazi); o ‘l pozzo è troppo fonno, o la catena nun c’arria (o il pozzo è troppo profondo o la catena non ci arriva): questo detto veniva utilizzato in modo ironico quando una donna non restava incinta.
«Nella nostra comunità gli aforismi, i modi di dire e i proverbi come questi nascono dalla tradizione popolare basata principalmente sulla cultura contadina, che ha segnato la vita della popolazione profondamente legata al susseguirsi delle stagioni e a tutte quelle regole non scritte che scandivano la vita e il lavoro quotidiano» spiega Maria Rita Sgrigna.
Sèmbre bbene ‘nze po’ sta, sembre male ‘mpo durà (sempre bene non si può stare, ma il male non può durare per sempre) in pratica: mai lasciarsi scoraggiare dalle avversità. E ancora. Chi rubba c’ha la ròbba, chi lavora c’ha la gòbba (chi ruba ha la ricchezza, a chi lavora gli viene la gobba) con il lavoro onesto non si diventa ricchi; testa te lea e’ ppadalini sinza cacciatte le scarpe (questa ti toglie i calzini senza toglierti le scarpe) per indicare una persona molto abile che ti può manipolare. Ma che hai combrado ‘l zale pe’ le renghe? (ma hai comprato il sale per le aringhe?): si dice quando uno fa una cosa inutile (perché le aringhe sono già salate); ehh, tiri all’olmo e còjj la cerqua (hai sbagliato bersaglio).
«Queste espressioni dialettali raccontano la saggezza popolare e i momenti di vita vissuta dove non manca l’ironia e la capacità di delineare personaggi originali e storie spesso divertenti. Tutto questo ci trasporta in un altro tempo e ci consente di fare un salto indietro nel tempo o – per chi ha vissuto almeno in parte quelle esperienze – di ripercorrere momenti particolari e di ricordare le immagini e i profumi passati» prosegue Maria Rita. Concluderei dicendovi: C’arivedemo a pajja nòa, si la morte nun c’aretròa (ci rivediamo il prossimo anno se saremo vivi).


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Agnese Priorelli

Laureata in Scienze della comunicazione, è giornalista pubblicista dal 2008. Ha lavorato come collaboratrice e redattrice in quotidiani e settimanali. Ora collabora con un giornale online e con un free press. È appassionata di cinema e sport. Svolge attività di inserimento eventi e di social media marketing e collabora alla programmazione dei contenuti. Cura per AboutUmbria Magazine, AboutUmbria Collection e Stay in Umbria interviste e articoli su eventi.