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Il ternano, tra un colpo e un insulto

«Molta parte dell’anima nostra è dialetto…». (Benedetto Croce)

Con la nuova puntata di dialettiamoci siamo arrivati a Terni. Guarda che a Terni famo l’acciaio, mica li cioccolatini: vengono subito messe le cose in chiaro, dopotutto il ternano è un dialetto verace, schietto e tosto come l’acciaio.

Eleonora

A Terni mandarsi colpi e accidenti – in modo benevolo, anche come saluto – è una legge non scritta. Vengono inseriti in modo del tutto naturale, come un intercalare, nelle conversazioni quotidiane, da tutte le generazioni. Nessuno è immune.
Che pozzi fa l’urdima! (potessi fare l’ultima cosa o l’ultimo respiro). Ecco, prima di fare l’ultima, ho fatto una chiacchierata molto divertente con Eleonora e Carlo, appassionati di veracità ternana, che per gioco hanno realizzato adesivi e magliette con scritte dialettali: «Nzenzati (insensati) è il nostro nome e per gioco abbiamo stampato questi gadget che hanno avuto un discreto successo in città. I ternani infatti tengono molto al dialetto e a tutto il territorio che si trova dentro la conca della provincia: vorrebbero annettere Spoleto – che per parlata sentono molto vicino – e cedere Orvieto a Perugia (scherza!). Il ternano puro viene parlato in città e nella campagna circostante, ma basta spostarsi di pochi chilometri e cambia. Ad esempio, gli schiaffi da noi si chiamano sbarbazzoni, mentre in alcuni paesi limitrofi diventano le frappe. Per noi le frappe sono i dolci di Carnevale».

chiese di terni
Basilica di San Valentino

Tra un colpo e insulto

La vera peculiarità di questo dialetto è insultarsi o mandarsi gli accidenti: ne esiste una gamma così vasta che sarebbe difficile ricordarseli e scriverli tutti. Con Eleonora abbiamo provato a fare una carrellata dei più usati e più divertenti (ci scusiamo in anticipo perché qualcuno ci sarà sicuramente sfuggito!). «I colpi e gli insulti sono un’antica tradizione a Terni, vengono detti anche in modo benevolo. Le U molto presenti; la D al posto delle T, le R, la Z che sostituisce la S: tutto questo rende la pronuncia molto rude e aumenta l’aggressività dell’insulto, risultando tutto più verace» spiega Eleonora.
Ed ecco quindi gli immancabili nel vocabolario del ternano D.O.C.: Che te pozzano guardà e piagne, Che pozzi fa l’urdima (Che potessi fare l’ultima cosa o l’ultimo respiro), Agguastate quantu si bruttu (Guarda quanto sei brutto), Che te pozza pijà ‘n gorbu a tracolla cuscì non te lu perdi, È arrivatu penzace (È arrivato quello che capisce tutto), Quanno pozzo m’appallozzo, spessu pozzo (Quando posso mi rilasso, spesso posso), Cazzuvoli?, Ma che dormi da piedi? (Si dice quando una persona non è molto sveglia), Te svago li denti (Ti butto giù i denti con un cazzotto), Che pozzi fa la fiamma e te smorzano co la naffetta, (Che tu possa prendere fuoco e che ti vengano a spegnere con la nafta), Pozzi arnasce millepiedi co tutte l’ogne ‘ncarnite, (Che tu possa rinascere millepiedi con tutte le unghie incarnite), Che te pozza pija ncorbu e ‘na sassata… cuscì se non te pija lu corbu, te pija la sassata (Che ti possa prendere un colpo e una sassata, così se non ti arriva il colpo, ti arriva la sassata. Insomma, qualcosa ti succede sicuro) e N’gorbu chetteggeli.

Portamo a spasso li dolori

La parlata di Terni si contraddistingue anche per i modi di dire e per le parole che riassumono alla perfezione situazioni e caratteristiche. Non possiamo non ricordare: Non facessi lu muffo (Non fa lo gnorri), Guarda quillu che bajengo (Bajengo vuol dire cafone ed è riferito in genere ai reatini), Venemo facenno (lo faccio un po’ alla volta), S’è jitu Preci? (sei andato a Preci, in riferimento al terremoto del 1300. Si dice quando va tutto male), Si fattu co lu ronciu (Sei fatto con la falce, non sei cortese, educato), Magnace lu pane (Facci la scarpetta si usa quando si incontra una coppia di amici in atteggiamenti amorosi).

Palazzo Spada

«Non posso non citare anche Stago stago poi te dago (Aspetto aspetto e alla fine ti do addosso, ti meno, ti sbatto al muro) – che è tra i miei preferiti – e Ce sendi cerqua? (Ci senti – Hai capito come?). Oppure parole che sono nel nostro vocabolario quotidiano: come birrocchiu (tamarro, coatto), fiarati (gasati), bardascio (ragazzo), lu svejamammocci (una cosa che ti sveglia di soprassalto o un evento inaspettato), Che frasca! (quando una persona ha bevuto troppo), a ventogne (a venti unghie, a carponi quando si è troppo ubriachi) poro cillittu (poverino) e l’immancabile, scappamo? (usciamo?). Infine, un motto importantissimo per la provincia di Terni, un vero state of mind Portamo a spasso li dolori (un po’ così…), tornato di moda anche grazie a noi.
Il dialetto ternano e tutte le sue numerose sfaccettature sono un bagaglio culturale importante per la nostra città e per la provincia di Terni: mantenere vive le tradizioni ci rende parte di una storia che hanno scritto i nostri nonni, di una storia che forgia il nostro futuro come si forgia l’acciaio» conclude Eleonora.


Le puntate precedenti

Perugino
Eugubino
Castellano
Folignate
Spoletino

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Agnese Priorelli

Laureata in Scienze della comunicazione, è giornalista pubblicista dal 2008. Ha lavorato come collaboratrice e redattrice in quotidiani e settimanali. Ora collabora con un giornale online e con un free press. È appassionata di cinema e sport. Svolge attività di inserimento eventi e di social media marketing e collabora alla programmazione dei contenuti. Cura per AboutUmbria Magazine, AboutUmbria Collection e Stay in Umbria interviste e articoli su eventi.