Il 22 gennaio scorso si รจ tenuta a Cascia la 44ยฐ edizione della Rassegna Interregionale delle โPasquarelleโ, Festa delle Tradizioni Rurali della Montagna.
Per Pasquarelle sโintendono i canti questuanti eseguiti, dal 5 al 17 gennaio, da parte di un gruppo formato da cantori e strumentisti che, andando di casa in casa per le campagne, annunciavano la nascita di Gesรน e auguravano la fertilitร delle terre e delle giovani donne. I Pasquarellari sono generalmente vestiti con il costume tradizionale dei pastori e, chi riceveva la visita benaugurale, ricambiava con prodotti tipici agroalimentari, come salsicce, uova e formaggio e a volte del denaro. Pasqua generalmente indicava le festivitร e in questo caso la Pasqua Epifania – da qui Pasquarelle –ย che, nella Valnerina e in tutta la dorsale appenninica dellโItalia centrale, rappresenta uno dei pilastri della tradizione appenninica.
Questโanno a Cascia si รจ svolta la consueta edizione interregionale delle Pasquarelle giunta alla sua 44ยฐ ricorrenza, nella piazza principale dove si sono esibiti numerosi gruppi provenienti da varie regioni del Centro Italia. Tra i partecipanti si sono potuti osservare vari personaggi in costume, come quelli degli antichi pastori, dei Re Magi, della Befana, e i musicanti, anchโessi dotati di strumenti inusuali e tipici del periodo, riportano alla conoscenza delle tradizioni, di antichi canti e tramandano gli usi di una voltaโฆ
Questo evento casciano ha voluto dire vivere le antiche usanze nella pubblica piazza dove si sono ritrovati i vari gruppi folcloristici, in un tripudio di gioia degli spettatori e alla presenza di numerosi giovani che hanno gareggiato in una sfida canora vinta dal Gruppo Folcloristico La Mattonata di Cittร di Castello (PG). La serata รจ continuata sempre nelle vie del borgo, dove hanno preso il via le sfide tra gli stornellatori che, al calore di un fuoco e aiutati da un bicchiere di buon vino, nonchรฉ sostenuti da organetti e tamburelli, hanno deliziato i tanti turisti e partecipanti allโevento con i loro canti in versi improvvisati, allโinsegna degli usi e costumi popolari. La rassegna di Cascia รจ stata organizzata e patrocinata dallโamministrazione comunale, la proloco e lโassociazione dei Santesi, con una grande adesione di pubblico e in particolare di quello giovanile.
Lโantico borgo di Montone torna a rivivere le tradizioni e i piacevoli momenti di ritrovo della comunitร .
E’ in programma lunedรฌ 18 aprile, come tradizione vuole il giorno di Pasquetta, la prima ostensione della Santa Spina. Un momento significativo per ricordare che proprio il lunedรฌ dellโAngelo avvenne la donazione a Montone della Spina della Corona del Cristo, che Carlo Fortebraccio ricevette dalla Serenissima Repubblica di Venezia, al sevizio della quale il figlio di Braccio aveva combattuto fra il 1470 e il 1477. Cโรจ anche una leggenda secondo la quale questa Spina sarebbe fiorita il venerdรฌ Santo, emanando un dolcissimo profumo. Dal 1798, anno dellโincendio della chiesa di San Francesco, la Spina viene custodita dalle suore del convento di SantโAgnese. Una giornata di festa, in attesa della rievocazione storica della Donazione che puntuale tornerร nel mese di agosto, caratterizzata non soltanto dal tema religioso, ma da tanti appuntamenti preparati dallโassociazione pro loco montonese.
In attesa della festa, da venerdรฌ 15 a domenica 17 aprile, alle ore 17, al Museo San Francesco andrร in scena Il racconto della Santa Spina di Montone tra storia e leggenda, una simpatica iniziativa per tutti i bambini che potranno partecipare a un laboratorio artistico, curato da Sistema Museo.
Lunedรฌ di Pasquetta il programma della celebrazione della Santa Spina prenderร il via alle ore 10.30 in Piazza Fortebraccio con la lettura del Proclama del Gran Gonfaloniero, lโarrivo del Conte Carlo Fortebracci seguito dal Corteo Storico, accompagnato dai Tamburi di Braccio. Il reliquiario della Santa Spina sarร visitabile durante tutto il pomeriggio nella Chiesa Collegiata, dove alle 11.30 il vescovo di Cittร di Castello, monsignor Domenico Cancian, celebrerร la santa messa, accompagnata dalla corale Fortebraccio.
La festa proseguirร nel pomeriggio nel Piazzale San Francesco, quando alle 16 gli Arcieri Malatesta di Montone renderanno omaggio alla Corte dei Fortebracci con un grandioso torneo. Tra le iniziative piรน attese quella che si terrร a partire dalle 16.30 nellโAuditorium San Fedele con il ritrovato Organo Morettini del 1828, che dopo i lavori di restauro รจ pronto a incontrare la cittร . Si terrร infatti una maratona organistica no stop del Maestro Claudio Brizi, mentre lโorganaro Marco Velentini illustrerร la storia e le peculiaritร del restauro effettuato.
Sempre nel pomeriggio, alle ore 17 al Museo San Francesco partirร la visita teatralizzata in costume storico per Montone con una sosta alla Santa Spina. Per partecipare รจ consigliata la prenotazione al numero di telefono 075 9306535. La celebrazione si concluderร con lโinaugurazione ufficiale dellโorgano Morettini allโAuditorium San Fedele e a seguire, alle 21, il Concerto del Maestro Claudio Brizi al quale si potrร partecipare su prenotazione al numero di telefono 075 9307019, interno 5.
ยซโฆPer questo, nei programmi delle feste, le proposte culinarie tendono allโattualizzazione. Gustosi piatti a tema medievale con lโutilizzo di ingredienti semplici e genuini potranno essere serviti da locandieri in costume dโepoca ma questa cucina calata nel passato, come per darle piรน sapore, sarร disegnata secondo i parametri dโoggi. Il Medioevo che si rievoca รจ sospeso tra realtร e fantasia, ma la fantasia fatica ad entrare in cucina: il Medioevo fantastico si esaurisce nei costumi e nelle scene; le ricette sono, nella maggior parte dei casi, quelle di oggi, appena mascherate da un ingrediente insolito o da un nome curioso, ma ben riconoscibili, cosรฌ da suggerire un viaggio nel passato, perรฒ tranquillizzando i commensali che questo viaggio non li porterร troppo distanti da casaยป. Massimo Montanari, โGusti del Medioevo. II prodotti, la cucina, la tavolaโ. Editori Laterza 2012.
Massimo Montanari insegna Storia Medievale allโUniversitร di Bologna, dove รจ anche direttore del Master in Storia e cultura dellโalimentazione. ร considerato uno dei maggiori specialisti di storia dellโalimentazione a livello internazionale. ร stato giudice delle nostre gare (Gastronomica e Mercato) e ha partecipato a numerose conferenze organizzate dallโAssociazione Mercato delle Gaite. La cucina medievale, nella festa, ricopre un ruolo notevole e negli anni ha appassionato alcuni volontari delle gaite, facendone bravi cuochi ed esperti importanti. E si estrinseca in:
La gara gastronomica
Una delle quattro gare in cui le gaite si sfidano รจ la gara gastronomica, che impone alle quattro gaite la preparazione di un piatto di carne o pesce (il nostro secondo). Il regolamento prevede, infatti, la preparazione di una vivanda di epoca medievale (periodo 1250-1350) appartenente al territorio europeo. Oggi conosciamo oltre un centinaio di manoscritti di cucina tre-quattrocenteschi, una decina di questi appartengono allโarea culturale francese, e altrettanti allโarea italiana. Il Liber de coquina di Anonimo trecentesco alla corte angioina, il Libro della cocina di Anonimo trecentesco toscano, il Libro per cuoco di Anonimo trecentesco veneziano, il Libro della cucina del secolo XIV e il Libro de arte coquinaria di Maestro Martino sono i testi a cui abbiamo attinto per affrontare il nostro percorso gastronomico non sempre facile perchรฉ le ricette trascurano gran parte della procedura, dando scontato che il lettore giร le conosca. Da qui la necessitร di provare e riprovare, poichรฉ la cucina medievale รจ sรฌ una cucina semplice, ma i suoi ingredienti devono essere sapientemente combinati e dosati.ย In realtร non รจ affatto detto che la fedeltร filologica al testo sia il modo migliore per ricostruire la sensazione di un tempo: gli ingredienti non sono piรน quelli di un tempo e anche noi siamo profondamente diversi dagli uomini e dalle donne di settecento anni fa. Ricostruire la ricetta autentica sarebbe un controsenso, contrario non solo allโarte della cucina che รจ innanzitutto arte dellโinvenzione, ma contrario anche allo spirito piรน autentico del Medioevo a cui stiamo cercando di dare forma. La quantitร incredibile di varianti che si trovano nei ricettari medievali per vivande del medesimo titolo rappresenta la metafora del principio base che ogni bravo cuoco dovrebbe osservare: un testo italiano del Trecento afferma ยซil discreto cuoco potrร in tutte le cose essere dotto, secondo le diversitร dei regni, e potrร i mangiari variare o colorare secondo che a lui parrร ยป. Ogni gaita presenta, dunque, un piatto che verrร a essere giudicato da tre esperti di cucina medievale e di storia dellโalimentazione secondo questi criteri: aderenza del piatto alla ricetta storicamente documentata: ingredienti, tecniche di esecuzione ed eventuale mise en place; la ricetta e la sua fonte; attinenza storica dellโanimazione scenica e della scenografia complessive. Questi alcuni piatti gara: Per far pavoni vestiti con tutte le sue penne che cocto parrร vivo, sardamone di carne, daino arrosto in sapore, farinata con carne di cinghiale, spalle de castron implite, Del coppo di castrone, manza e agliata, a empire una gallina, del pastello di capretti.
Questi alcuni giudici: Massimo Montanari, Allen Grieco, Alex Revelli, Rosella Omicciolo Valentini, Maria Salemi, Irma Naso, Galoppini Laura, Isabelle Chabot, Antonella Salvatico, Maria Giuseppina Muzzarelli, Antonella Campanini.
Il banchetto medievale
Rappresenta lโevento di apertura del Mercato delle Gaite ed รจ allestito, dal 2010, nello splendido scenario della piazza medievale, la platea comunis, delimitata dalle chiese romaniche di San Silvestro, San Michele, San Domenico e dal gotico Palazzo dei Consoli. Dal 1989 al 2009 il banchetto veniva allestito nel bellissimo Chiostro di San Domenico. Ogni anno, una gaita รจ addetta alla preparazione dei piatti, allโallestimento della tavola e allโanimazione, seguendo regole precise.
Nella grande abbondanza della cucina medievale cโerano alcune assenze che oggi considereremmo clamorose e che la scoperta dellโAmerica avrebbe colmato. Non esisteva il tacchino, non esisteva il mais, nรฉ le patate, nรฉ i pomodori, nรฉ il peperoncino.
Il servizio della tavola inizia a prendere forma alla seconda metร del Trecento. ร a quel punto che si fissano e si codificano alcuni comportamenti che regolano gli atti del personale di servizio. Regista di questo complesso cerimoniale รจ lo scalco, al quale รจ affidata la responsabilitร dellโorganizzazione generale: cura lโandamento della cucina, il servizio, lโallestimento del banchetto; presente pure un trincianteper tagliare la carne e un coppiereche si occupa del rito di lavare le mani allโinizio e alla fine del banchetto e di servire acqua e vino. Il pasto si articola in numerosi servizi successivi, ognuno composto da piรน vivande, presentate sopra semplici taglieri di legno calcolato per due persone. Presentato il primo servizio sulla tavola i commensali attingono dai piatti di portata posti dinanzi a loro direttamente con le dita, selezionando i bocconi preferiti e posandoli sopra il proprio tagliere e cosรฌ di seguito servizio dopo servizio. Il pasto si doveva aprire con insalata di erbe, lattuga e frutta dal potere lassativo come mele, ciliegie, prugne. Seguivano minestre e zuppe classificate calde e umide, per la loro funzione di aprire lo stomaco; quindi le carni leggere (polli, capretti); le carni pesanti (manzo, maiale); i pasticci che con la loro crosta temperano gli alimenti che racchiudono; il formaggio; la frutta astringente come castagne, mele cotogne, melograni acerbi; vino speziato e spezie confette, in un percorso alimentare ideale dove lo stomaco deve presentarsi allโinizio libero di accogliere il cibo e alla fine del pasto venir sigillato da sostanze costipanti affinchรฉ la digestione si svolga in ambiente perfettamente chiuso. La caratteristica saliente della cucina trecentesca รจ rappresentata dallโuso costante di spezie: pepe, cannella, chiodi di garofano, noce moscata, coriandolo, zenzero, galanga, zafferano, cumino. Infatti uno dei caratterizzanti รจ lโagro sposato al dolce in un connubio espressamente voluto dai cuochi del tempo. Sempre nellโintento di stupire e meravigliare i commensali il cuoco inventa preparazioni multicolori nel tentativo di promuovere lโimmagine di una cucina attenta anche alla presentazione e non solo al contenuto: cosรฌ dal giallo di zafferano e tuorli dโuovo, al blu di more e mirtilli; dal verde scuro del prezzemolo al rosso delle fragole; e poi, ancora, oro, argento, nero (di spezie). Cosรฌ i cuochi medievali facevano della tavola un vero acquerello di sapori da gustare con gli occhi e il palato. Alcuni dei piatti proposti: fructa fresca et vinum dolci, porrata, raffioli di carne, rosto de castrone cum salsa viridis, Cormary, fritatem de pomeranciis, nucato, ypocras, brodo de ciceri rossi, raffioli gialli, insaleggiata di cipolle, chireseye, gnocchi de cascio fresco, manza e agliata, fava franta, frustello, mostaccioli, chiarea.
Le Taverne
Ogni Gaita possiede una taverna dove i visitatori possono gustare i tradizionali cibi medievali, alla luce delle fiaccole e al suono di liuti e vielle. Tratte dagli antichi ricettari del Trecento, gustose immissioni sono servite, profumate di spezie e innaffiate con i vini della piรน antica tradizione umbra. Le taverne frequentate, ogni sera, da 300, 600, 800 avventori rappresentano lโunica fonte di guadagno che permette alle gaite di affrontare le spese con cui finanziare i loro numerosi progetti, una sorta quindi di autofinanziamento.
Come nel Medioevo, le taverne delle gaite sono un vero e proprio centro di vita sociale, dove gli scambi avvengono sia tra le persone del posto, sia con i forestieri che portano notizie da lontano. Come nel Medioevo ci si ritrova con viaggiatori diversi, mercanti, pellegrini, clerici vagantes, e magari donne di malaffare. Come nel Medioevo lโimperativo รจ dimenticare le incertezze del mondo e lasciarsi andare al divertimento.ย Il poeta Cecco Angiolieri, famoso per la sua vita dissoluta, scrisse in un sonetto: ยซTre cose solamente mi soโ in gradoโฆciรฒ รจ la donna, la taverna e โl dado/ queste mi fanno โl cuor lieto sentireยป. Ogni taverna รจ gestita dai volontari della gaita: cuochi e cuoche, camerieri e cameriere. La scelta del menu รจ chiaramente circoscritta a prodotti da taverna, a eccezione del fatto che, come da regolamento, รจ obbligatorio servire il piatto gara della manifestazione in corso. Alcuni piatti identificano la gaita: cosรฌ si possono trovare antipasti e dolcetti de Sancto Giorgio, de Sancto Pietro, de Santo Giovanni e de Sancta Maria; e poi: torta de herbe e cacio, crema di fave e cacio, coratella, zuppa di ceci, zuppa di farro e ortiche, torta bianca con salsicce, lasagne, limonia di pollo, strozzapreti dello speziale, porcona de mastro luca, acqua, vino e cervogia.
Cene medievali a tema. Incontri gastronomico-culturali
Nellโambito della manifestazione, la Gaita Santa Maria si รจ impegnata fin dallโinizio a conoscere a fondo le abitudini alimentari del Medioevo cosรฌ da presentare, ogni anno, pietanze che fossero espressione non solo del gusto ma anche della cultura della civiltร medievale: il tutto frutto di una accurata ricerca storico-bibliografica e di una scrupolosa sperimentazione pratica. In questi ultimi anni si sono moltiplicate anche in Italia, le ricerche in chiave antropologica e storica, psicologica e sociologica sul significato della cultura della tavola. Basti pensare a ciรฒ che offre il mercato dellโeditoria e quello televisivo in materia di pratica culinaria; una offerta che trova sempre un suo posto in edicola, in libreria e in una trasmissione televisiva. Nella prospettiva, quindi, del fruitore del ventunesimo secolo, attratto dalle cose riguardanti la tavola – e in chiave pratica e in chiave di gusto e comprensione della storia e delle curiositร della cucina – la Gaita organizza dal 2005 delle cene a tema, nel corso delle quali vengono fornite ai fruitori informazioni in merito e che fungono da sfondo a manifestazioni quali conversazioni e seminari. Alle cene, organizzate con il patrocinio dellโAccademia Italiana della Gastronomia Storica e animate da musici e giullari, gli avventori indossano i nostri abiti medievali.
Il Tacuinum sanitatis di Bevagna
Il Tacuinum sanitatis รจ un manoscritto di medicina medievale che ebbe un grande successo in Italia e in Europa a partire dal XIII secolo. Il testo รจ la traduzione latina dellโoriginale arabo redatto intorno alla fine del XI secolo da Ibn Butlan, filosofo e medico di Bagdad. A oggi sono rimasti 16 manoscritti non miniati in Italia (4 a Roma, 1 a Venezia, Bevagna, Pisa, Firenze). Il Tacuinum di Bevagna si presenta come volume di ottima fattura. Sono 40 fogli in carta pergamena, con chiara scrittura italica del XIV secolo, lettere capitali rubricate rosso e azzurro e arricchite di fregi filiformi. Ci appare come unโopera molto moderna per il suo tempo, un testo medico pratico che ha in sรฉ anche uno scopo sociale, quello di comunicare a un pubblico vasto le buone pratiche mediche attraverso dettami semplici e campi di applicazione comuni: dagli alimenti, alle bevande, allโigiene, al riposo e al tempo libero, ai sentimenti, allโarte, alla musica. La trascrizione e la traduzione di questo manoscritto si presenta quindi, per questa sua ampiezza di trattazione, come unโapprofondita conoscenza della dietetica e della alimentazione medievale e al contempo come un grande affresco sulle abitudini e stili di vita del tempo.
ย ยซEsiste un problema chiave nel fare cucina storica ed รจ quello di individuare il corretto confine tra comprensione del passato e adattamento dellโoggi, ricostruzione e rielaborazione, studio filologico (per i libri di ricette) e restituzione pratica (in cucina). Se la cultura gastronomica di una data epoca si puรฒ studiare e decodificare con sufficiente esattezza e credibilitร , il passaggio a livello sperimentale rimane in larga misura velleitaria. Il fatto รจ che il soggetto e lโoggetto non sono piรน gli stessi e la loro educazione sensoriale รจ diversa; i prodotti sono anchโessi certamente cambiati anche se portano lo stesso nome. Avviciniamoci alle culture, ai personaggi, e agli eventi del passato con impegno e curiositร , ricordando sempre di documentarci in modo preciso e senza presunzione di superioritร . Solo in questo modo ci sarร possibile capire e al tempo stesso divertirciยป. Massimo Montanari
Il nostro lettore Giovanni Alunni ci ha mandato queste poesie di Carnevale scritte da due poeti dialettali perugini, Umberto Calzoni e Nello Cicuti, per celebrare il Martedรฌ Grasso con un pizzico di goliardia e nostalgia.
La prima poesia in lengua perugina รจ di Umberto Calzoni (1881/1959), ben piรน noto per essere stato ยซun appassionato cultore di Archeologia e Preistoria. Conseguรฌ la libera docenza presso lโUniversitร di Roma nel 1935. Fu direttore dei Musei Civici di Perugia dal 1925 al 1958ยป il quale, nelle sue Le trappele del monno, (tipografia Donini e Tilli) pubblicate fine anni Cinquanta, scrive:
CARNOVELE
Carnovรจle: mโaguardo nsu lo specchio
e stento dโarconosceme chi sรฒe:
mโartrovo trasformรจto โn gran bel pรฒe,
nun resta piรน da illรนdese: soโ vecchio!
ร โn pezzo che a cavรจ lโacqua ncol secchio
dal fonno diโ mรฌ anne โncuminciรฒe,
e โl nummero de quanti ne cavรฒe
ve โl posso anco svelรจ, ma nto โn orecchio.
Carnovรจle: jโรฒ ditto stamatina
de preparamme i strรนfoli ncol miรฉle
ta la miโ moje e โl brodo de galina.
E si ntlo specchio cโรฉsse visto mรจle
o mโรฉsse aposta lue โna mascarina?
Lassรจmolo โn poโ fรจ, โgni burla vรจle.
L’altra poesia รจ di Nello Cicuti e fa parte dalla raccolta De gnโerba โn fascio del 1983.
Sembra incredibile, ma la tradizione dei tipici dolci umbri รจ legata al fiume che attraversa la regione per andare fino a Roma: inutile dire che si tratta del Tevere.
Una volta il Tevere era un fiume navigabile e non quel misero rigagnolo, sempre in secca, che vediamo ora. Se torniamo indietro di almeno 2500 anni scopriamo che il Tevere era un confine quasi invalicabile; ci saranno stati forse dei traghettatori, ma le due sponde non erano ancora collegate da ponti. A quellโepoca sulla sponda destra vivevano gli Etruschi, mentre sulla sponda sinistra si estendeva la regione degli Umbri, che comprendeva Foligno, Spoleto e Norcia. Possiamo dire: tanto vicini e tanto diversi.
Il territorio etrusco si estendeva fino al mare Tirreno e fu proprio attraverso il mare che gli Etruschi entrarono in contatto con popolazioni, culture e cibi diversi. Gli Umbri invece, sulla destra del fiume, erano lontani dal mare, perciรฒ si servivano solo di cibi a chilometro zero.
La mandorla e la noce
La caratteristica delle due popolazioni si puรฒ riassumere in due frutti piccoli, ma ricchi di significato: la mandorla e la noce. Gli Etruschiusavano le mandorle, gli Umbri le noci. Giacchรฉ sono state trovate tracce di mandorli nella zona di Cittร di Castello, si pensa che lโalbero fosse presente in epoca etrusca. A sinistra invece, il noce era la pianta tradizionale della civiltร contadina.
Cโรจ anche da dire che in quei tempi lontani gli alberi erano legati a un concetto di sacralitร e di buon auspicio. Il mandorlo era visto come foriero di benessere e si perde nella notte dei tempi lโuso di mangiare confetti in occasione dei matrimoni per augurare agli sposi di vivere felici e contenti per 100 anni.
Per contro il noce ha una storia cupa che parla di streghe e di malefici vari. Tuttavia, malgrado la cattiva fama dellโalbero, si mangiava il frutto e si usava il legno, esattamente come il castagno della zona di Amelia/Santa Restituta.
Torciglione
Dolci umbri
Gli usi diversi li ritroviamo ancora oggi perchรฉ la tradizione si รจ mantenuta nei dolci. Ripartiamo da destra dove sโincontra Perugia e a Perugia si mangia il Torciglione: un serpentone che si morde la coda ripieno di mandorle e canditi, tipica composizione natalizia. Lo si trova anche a Chiusi, cittร ancora piรน etrusca e pure a Cittร di Castello e sul lago Trasimeno. Forse, anzichรฉ un serpente il Torciglione rappresentava unโanguilla e serviva a propiziare le pesca.
Il Torciglione si mangia durante le feste del Natale, mentre cโรจ un altro dolce perugino, a base di mandorle, che si consuma un mese prima: le Fave dei Morti. Sono piccoli biscotti a forma ovviamente di fava, fatti di pasta di mandorle e zucchero. Le Fave dei Morti si preparavano in occasione di un funerale e si consumavano sulla tomba del defunto durante il banchetto funebre. Usare le mandorle equivaleva a dire ricchezza e per secoli le mandorle hanno fatto la loro comparsa solo sulle tavole dei ricchi e nelle spezierie, dove si allestivano medicinali sempre per ricchi.
Fave dei Morti
Noci e nocciole erano invece cibo per poveri e questo caratterizzava il lato sinistro del Tevere. ย Anche se poveri gli Umbri hanno elaborato un dolce che รจ il loro vanto e che tutti conoscono: la Rocciata. ร conosciuta come la Rocciata di Assisi, ma si tratta di un dolce che si prepara tra Umbria e Marche. Pare che la sua origine sia antichissima e se ne trova una traccia non troppo dissimile nelle Tavole Eugubine, tavole di bronzo, scritte in lingua umbra, risalenti al III secolo a.C. e che riportano fatti risalenti a secoli prima. In questo dolce poi hanno messo lo zampino anche i Longobardi: รจ infatti simile a uno strรผdel, con mele e noci e avvolte in una pasta sottile.
Per me fu una sorpresa scoprire che la pasta della Rocciata fosse fatta proprio come la pasta dello strรผdel che faceva mia nonna altoatesina, e anche mia nonna mescolava mele e noci. Sono passati piรน di 10 secoli e non cโรจ stata alcuna variazione nella pasta e poca nel ripieno. Il ripieno invece si รจ differenziato perchรฉ in Umbria รจ stata aggiunta una spruzzata di alchermes che gli conferisce quel bel colore rosato. Lโalchermes fa dunque la grossa differenza tra Nord e Centro, ma ci sono pure delle piccole differenze locali: a Spoleto รจ stato aggiunto il cacao e a Foligno si sparge sullโimpasto del pan grattato per assorbire i liquidi in eccesso.
Rocciata di Assisi
Le noci entrano anche nella ricetta dei Maccheroni dolci. Lโorigine? Potrebbe trattarsi di una parola greco-bizantina legata allโuso della cena funebre, perchรฉ maccheroni proviene dal greco makarios (beato). Si preparano infatti in occasione delle feste dei Morti, dei Santi e si mangiano anche la sera della vigilia di Natale. La ricetta prevede come ingredienti: maccheroni, noci, zucchero/miele e alchermes.
Comunque, qualunque sia lโorigine di questi dolci, rimane chiaro che a destra del fiume i dolci, ancora oggi, sono farciti o addirittura fatti con le mandorle mentre quelli di sinistra, anche se sono intervenuti i nordici Longobardi, nel loro ripieno hanno sempre le noci.
La palomba alla ghiotta รจ unโantica specialitร di Todi, che nei ristoranti si trova in autunno e neanche sempre, mentre fuori stagione รจ quasi introvabile.
La ghiotta, quella della palomba, รจ solo la leccarda dove si raccoglie il sugo di cottura degli uccelli, che girano adagio sullo spiedo senza essere lambiti dalla fiamma e, mentre sono spennellati di olio, i loro umori scendono nella ghiotta. Gustare la palomba alla ghiotta รจ, scusate la ripetizione, una vera ghiottoneria!
Io lโho mangiata per la prima volta questโestate, cotta in maniera raffinata dalla mia amica Pina. Pina ha imparato a cucinare prima ancora di camminare e nel forno dei genitori ha preparato pane, dolci e ogni genere di squisitezze: delicatessen per gli stranieri della zona. Adesso che si รจ ritirata, solo poche persone fortunate possono gustare i suoi piatti speciali.
Tornando alla palomba, dopo una cottura di due giorni si presenta a pezzi, immersa in un sughetto denso da mettere sul pane bruscato. Ci sono varie scuole di pensiero disposte a scannarsi per affermare che il loro sughetto sia il solo valido. Cosa contiene quel sughetto cosรฌ denso e saporito: olive nere o verdi, fegatelli, vino rosso e chissร quali altre prelibatezze.
Regina delle tavole umbre
Queste palombe sono uccelli migratori che, volando dallโUngheria allโAfrica, passavano sopra i boschi di Todi e di Amelia. Lรฌ erano attese dai cacciatori che, fra capanni, richiami e uccelli addestrati (i palombini), studiarono ogni genere dโinganno per far scendere le palombe verso le pentole che le aspettavano. La caccia alla palomba era unโattivitร tipicamente umbra, anche se ora che i boschi sono stati sostituiti dai seminativi le palombe hanno modificato il loro percorso migratorio. Certi piatti, che oggi sono diventati prelibate raritร , qualche decennio fa erano invece piatti di sussistenza per i poveri, che mangiavano una palomba di tanto in tanto, di nascosto dai proprietari terrieri.
I signori, proprietari dei latifondi, ne cacciavano invece a centinaia, ma mai da soli, sempre con amici. La caccia alla palomba piaceva inoltre ai laici e ai religiosi; anzi i religiosi erano molto attenti che la caccia si svolgesse secondo le regole.
Con un editto del 1815 rivolto ai tuderti, il Cardinal Bartolomeo Pacca, Camerlengo di Santa Romana Chiesa, proibรฌ a ยซciascuna persona, secolare o ecclesiasticaยป di ยซtagliare legna, far chiassi, e qualsiano altri rumori nei siti, ove sono i palchi deโ cacciatoriยป nella stagione della caccia ai palombacci, ยซsotto pena di scudi cinquanta per ciascheduno, ed altre pene anche corporaliยป. Multa e botte per i disturbatori della caccia alla palomba: se lo dice un cardinale vuol dire che era un rito della massima importanza. Fino a pochi anni fa sulla tavola delle famiglie benestanti di Todi il pranzo di Natale prevedeva lapalomba alla ghiotta che, prima dellโentrata in uso dei frigoriferi, veniva conservata nelle neviere (o ghiacciaie) dallโautunno al Natale: tradizioni che sarebbero scomparse se non ci fosse il Clubdella palomba. Cecanibbi di Todi รจ la sede dellโUniversitร della Palomba, ovvero dellโassociazione venatoria da dove provenivano i migliori capocaccia e che รจ fondamentale per la promozione di eventi dove la palomba รจ la regina e i commensali sono i suoi adoratori.
Nella Tabula Cortonensis, manufatto in bronzo del II secolo a.C., per la prima volta in assoluto appaiono il nome etrusco del lago Trasimeno – chiamato Tarsminass – e il riferimento ad alcuni possedimenti terrieri, in particolare a un vigneto.
La tabula รจ stata ritrovata spezzata in 8 parti, di cui solo una รจ dispersa. ร ospitata presso il MAEC, il celebre Museo dell’Accademia Etrusca di Cortona ed รจ la terza scrittura etrusca conosciuta piรน lunga per i suoi contenuti. Si tratta di un ยซatto giuridico di 40 righe in lingua etrusca, che riporta lโarbitrato relativo ad una ereditร contestata di un importante patrimonio fondiario dislocato tra il Lago Trasimeno e Cortonaยป (Massimo Pittau).
Tabula Cortonensis
L’influenza dell’etrusca cittร di Cortona arrivava, con il suo territorio, fino al tratto spondale lacustre che va da Tuoro a Borghetto. Nelle 7 parti della tabula a noi giunte, al di lร della loro importanza linguistica, scientifica e storica, ci preme sottolineare l’importanza del Tarminass per gli Etruschi; un lago, unitamente alla Val di Chiana, ricco e generoso dal punto di vista alimentare (pesce, olio, vino e grani).
Infatti nella sacralitร della civiltร etrusca il mangiare era considerato un fatto religioso e il vecchio lago Trasimeno era ritenuto un luogo sacro: era considerato la rappresentazione terrena della volta celeste.
Secondo l’etruscologo Giovanni Colonna l’immagine del lago Trasimeno รจ stata trasposta nel fegato di Piacenza o fegato etrusco; รจ un modello bronzeo di fegato di pecora con iscrizioni, suddiviso in settori riservati alle diverse divinitร . Era usato dai sacerdoti etruschi, gli aruspici, per leggere le viscere degli animali sacrificati per ricavarne auspici.
Gli Etruschi consideravano il Trasimeno il luogo d’unione tra le dodecapoli di Cortona, Chiusi e Perugia dove fiorivano gli scambi commerciali, l’artigianato, la pesca e l’agricoltura. A proposito di coltivazioni, nella tabula cortonensis si fa riferimento a un vigneto: รจ il piรน antico atto notarile della storia del vino. ร stato questo documento che, nel 2015, ha aperto la mostra Arte e Vino che si รจ svolta a Verona, un evento importantissimo collegato all’Expo. Ricordiamo che gli Etruschi consumavano grandi quantitร di vino in varie occasioni; avevano l’usanza di miscelarlo, anche per coprirne i difetti, con acqua e con miele, insieme a spezie, fiori o formaggio.
Della magnificenza del Tarminass se ne accorse, come raccontato nel XVI secolo da Matteo dall’Isola nella sua Trasimenide, anche Trasimeno, il principe etrusco figlio del Re Tirreno, che si innamorรฒ della ninfa lacustre Agilla. I due giovani vissero una bellissima e struggente storia d’amore sulle rive lacustri che finรฌ tragicamente con la scomparsa, tra le acque del lago, del giovane principe.
Si racconta che, ancora oggi, la triste ninfa stia cercando il suo amato: quando un’onda fa muovere repentinamente una barca non รจ altro che Agilla che sta cercando tra le acque il suo Trasimeno e quando le foglie al vento si muovono provocando un suono simile a un lamento, pare che sia la dolce ninfa che piange il suo amato… ascoltare per credere.
La mostraL’amore al tempo del collodio. Antichi arti e mestieri del Trasimeno nella foto al collodio umidodi Marco Pareti, Stefano Fasi e Rosanna Milone, si รจ tenuta a Castiglione del Lago presso Isola Verde Resort & Restaurant, dal 20 al 28 ottobre, in occasione di Umbre-Excellence Week e nell’ambito di una collaborazione tra UMBRE ed Eurochocolate Festival. Per l’occasione รจ stato organizzato un forum dove si รจ parlato di cosa va e cosa non va dell’amato lago Trasimeno.
Uno scatto del forum
Gli antichi mestieri e le arti del Trasimeno sono stati impressi su una lastra di vetro grazie all’ottocentesca tecnica fotografica al collodio umido e a una macchina fotografica Astoria in ciliegio del XIX secolo. Il pescatore, il cestaio, il giuncaio, il cordaio, lo scalpellino, il maestro d’ascia, il frantoiano, il potatore, la ricamatrice, sono solo alcune delle antiche arti che sono state congelate per l’eternitร con immagini al collodio. La mostra fotografica ha accolto un forum che, partendo dagli antichi mestieri, ha trovato argomentazioni di dibattito grazie agli interventi delle persone che vivono il lago e sanno cosa va e cosa non va e, soprattutto, cosa andrebbe fatto.
In particolare sono state sottolineate le magnificenze del Trasimeno, l’eccellenza dei prodotti enogastronomici, la bellezza del patrimonio artistico e dell’arte del ricamo, l’accoglienza delle genti.
Alcune problematiche fanno perรฒ da contralto, tanto che ne sono nate delle proposte: la ripresa dei dragaggi, la manutenzione delle sponde, il ripristino della vigilanza sulle acque, la cura delle darsene e degli adduttori al lago, il completamento della pista ciclabile, la limitazione dei chironomidi, l’opposizione all’eutrofizzazione, la creazione di percorsi artistici ad hoc, il rinvigorimento delle sinergie tra arte, artigianato e turismo.
La mostra รจ stata inaugurata dal sindaco Matteo Burico e da Michela Sciurpa, titolare di IsolaVerde, perfetta padrona di casa e presidente di UMBRE, il network umbro al femminile dedicato al settore turistico anche internazionale. Sono intervenuti Aurelio Cocchini, presidente della Cooperativa Pescatori e il suo A.D. Valter Sembolini, Francesca Caproni, direttore del GAL, Michele Benemio, presidente URAT, Andrea Baffoni, docente e critico d’arte, Alessandro Ghezzi, artigiano orafo, Ugo Mancusi, editore e imprenditore, Mariella Morbidelli, dirigente dello Sportello del Cittadino e di Italia Nostra e hanno partecipato Ezio Rosa, artigiano stuoiaio, Guido Materazzi, presidente ARBIT, Claudio Monellini, presidente ass. Rasetti e molti altri. Ha moderato l’incontro il vostro inviato lacustre.
Vi ricordate quando Samuele Bersani cantava ยซDimmi dellโIndia. Hai piรน pensato a esportare la piadina romagnola?ยปย Un progetto che รจ rimasto solo nella canzone e non se ne รจ fatto niente.
Invece cโรจ chi ha esportato a Tokio la torta al testo dellโUmbria e ne ha fatto un piatto di alta cucina innovativa. Lo chef Narisawa ha soggiornato in Europa per conoscere il meglio della cucina italiana, francese e tedesca. Ha visto, gustato, apprezzato, imparato e riportato nel suo Paese tanti piatti diversi, che ha trasformato secondo il suo estro e secondo una moda che vuole appagare tutti i sensi.
Dalle foreste vergini giapponesi
Cosรฌ ha introdotto nel suo ristorante minimalista un prodotto raffinato, che miscela antico e moderno, e che si chiama Il Pane della Foresta.ย Questo pane รจ fatto con la farina di grano, con la polvere di castagno e con la composta di castagne giapponesi. Queste sono castagne raccolte in una foresta vergine priva di inquinanti, dove i sapori e i profumi sono espressi al loro massimo. Una novitร in Giappone.
In tempi remoti ma non troppo, il castagno era chiamato lโAlbero del Pane, perchรฉ dai suoi frutti si ricavava una farina nutriente e a buon mercato. Questo accadeva quando la farina di grano era cara e riservata ai ricchi, mentre la farina di castagne era lasciata ai poveri di tuttโEuropa. Buona per non morire di fame.
Adesso le parti sono invertite. La farina di grano costa poco, quella di castagne รจ cara, stagionale e chic. Narisawa ha fatto de Il Pane della Foresta uno spettacolo da gustare.
Il pane della foresta
Primo atto.
Due forme di pasta cruda vengono portate in tavola. Sul posto si aggiungere una dose di lievito naturale e si impasta con le dita. Tutto davanti ai clienti.
Secondo atto.
I clienti osservano il miracolo della crescita della massa farinosa. In pochi minuti il futuro pane raggiunge la lievitazione prevista, quindi va cotto.ย Dove?
In tavola, naturalmente.
Terzo atto.
Arriva in tavola una pentola di pietra, naturalmente caldissima – 240ยฐ gradi – dentro cui si posano le due forme di pasta lievitata.
In soli 10-12 minuti il pane รจ cotto.
Emozionante e nuovo, per i giapponesi.
In Umbria si fa una cosa simile dalla notte dei tempi
La prima volta che ho visto preparare questa specialitร , ho immaginato Mr. Neanderthal e signora che, scoperto il fuoco, imparavano a cucinare dentro una bella grotta decorata con i graffiti. Chi vede preparare la torta al testo ne rimane affascinato.
La pasta, giร lievitata, viene stesa come una pizza e appoggiata su una grande ruota di pietra che si chiama testo, posizionata allโinterno del camino davanti al fuoco. Sopra la pasta viene posato un coperchio di ferro e sopra di esso sfrigola la brace arroventata. La torta-pizza cuoce sotto e sopra, mentre il fuoco del camino scalda il tutto. 10-12 minuti – come in Giappone – e la torta รจ pronta. La si taglia e si porta in tavola con accanto salumi e formaggi. Qui, inizia il rito umbro che prevede di aprire con le mani le fette di torta e farcirla con i salumi, come il capocollo, e mangiarla con le mani.
Come si usa dire adesso, ci si riappropria del cibo che si mangia.ย Lo si manipola, si sente la consistenza e il profumo. Una bella esperienza.
Al supermercato si trova la miscela di farina lievitata per torta al testo, che in pochi minuti permette di portare in tavola una merenda sfiziosa. Dimenticavo, per cuocere in casa la torta serve una padella di ghisa piatta e spessa, che si trova ovunque. In Umbria naturalmente.
ยซChi ha provato a descrivere Bastia e i bastioli non รจ quasi mai riuscito a sfuggire ai luoghi comuni delle tipizzazioni e degli stereotipi [โฆ] Perchรฉ poi cercare unโidentitร collettiva, improbabili radici e coltivare un sensodโappartenenza per chi in buona sostanza non sembra soffrire poi molto della mancanza? Forse che la loro identitร collettiva non รจ piรน legata a quello che fanno, piuttosto che a quello che hanno fatto?ยป [Bottacchiari 1987, 69-70].
La sfilata, foto by Palio de San Michele
In questo saggio di qualche anno fa cโรจ forse il senso, oltre che della cittร di Bastia, della sua festa Il palio de San Michele, lโevento annuale che ricrea ogni volta e cementifica unโintera comunitร , un senso di appartenenza a qualcosa che si ricostituisce e rigenera partendo dal fare, dal costruire insieme per raggiungere un obiettivo comune e condiviso.
Lo aveva ben capito don Luigi Toppetti quando nel 1962, in occasione dellโinaugurazione della nuova chiesa dedicata a San Michele Arcangelo, Patrono della cittร , decise di istituire una festa che fosse in grado di aggregare una collettivitร variegata, in forte crescita economica e, di conseguenza, demografica. Il Priore, cosรฌ i bastioli chiamavano il loro parroco, intuรฌ che quella cittadina in continua espansione, che stava accogliendo un numero consistente di persone provenienti dai paesi limitrofi, aveva bisogno di un collante, di un pretesto intorno cui ritrovarsi e scoprirsi comunitร .
Nacque coรฌ il Palio de San Michele, una realtร straordinaria nel senso letterale del termine: quanto di piรน lontano dallโordinario possa essere una festa di paese.
Nel saggio di Fiorella GiacaloneIl Palio di San Michele di Bastia (Umbria), Un nuovo modello festivo, viene specificato cosa il Palio non รจ: ยซNon รจ la festa religiosa nei termini del cattolicesimo popolare, non รจ una festa in costumi medioevali, non รจ una festa turistica, nรฉ arcaizzante [โฆ], non รจ interessata alle dinamiche della patrimonializzazioneยป.
Ma quindi, che cosโรจ questo Palio?
ร un insieme di agonismo e teatro, enogastronomia e musica, dove la piazza รจ la protagonista e la facciata della chiesa la scenografia naturale difronte a cui tutto transita e tutto si dipana. Tutti sono attori, ballerini, camerieri e protagonisti di un evento che compatta persone di diversa cultura, estrazione, provenienza. Anche i ragazzi stranieri, i bastioli acquisiti, in quei giorni gareggiano con orgoglio per il rione che sentono proprio come se lรฌ fossero davvero nati, come se quella fosse – e in realtร di fatto lo รจ – casa loro.
La festa
Si tratta di una sfida fra i quattro rioni:
Portella: deve il suo nome alla piccola porta Nord di Bastia (la piรน piccola delle quattro, ampliata nei primi anni Venti). I suoi simboli sono la porta, il ponte sul fiume Tescio e la ferrovia. Il colore del rione รจ il blu.
Moncioveta: prese il suo nome dallโomonima sorgente naturale posta nei pressi della porta Bettonese, la porta Sud di Bastia. Il rione Moncioveta รจ caratterizzato dal colore rosso e ha come stemma una fortificazione medievale e un rivo dโacqua che simboleggia la sorgente.
San Rocco: il rione dal colore verde come il corpetto del Santo che al suo passaggio fece cessare lโepidemia di peste. In suo onore nel โ600 venne eretta la piccola chiesa a lui intitolata, fuori porta Romana, la porta Est di Bastia, demolita nel 1924. La facciata stilizzata della chiesa รจ il simbolo del rione.
SantโAngelo: il suo colore รจ il giallo, il colore che simboleggia lโArcangelo Michele. Prese il suo nome dalla piccola chiesa di SantโAngelo (oggi Auditorium), situata in piazza Umberto I dove si affaccia la porta Ovest di Bastia. I suoi simboli sono la porta e il fiume Chiascio.
Lโiniziale natura religiosa del Palio, viene perpetrata sia nella solenne benedizione che apre ogni edizione della festa, momento particolarmente intenso dove il parroco benedice i mantelli e gli stendardi affidando le sorti della contesa al Santo Patrono, sia nella processione conclusiva che si svolge il 29 settembre, giorno che chiude la manifestazione, dove la statua di San Michele Arcangelo viene accompagnata per le vie della cittร dal rione vincitore del Palio.
Sfilata Rione Sant’Angelo, foto Palio de San Michele
Le sfilate
Vere e proprie rappresentazioni teatrali, le sfilate si svolgono nella piazza della cittร . Il teatro รจ la piazza, il sagrato della chiesa il suggestivo sfondo, ogni volta addobbato in modo diverso, con luci colorate, chiaroscuri, proiezioni scenografiche che lo rendono parte integrante dello spettacolo. I carri che sfilano sono le macchine sceniche di rappresentazioni ogni volta diverse, dove attori e ballerini sono per lo piรน non professionisti, un vero e proprio teatro popolare di piazza. A valutare le sfilate sono chiamate personalitร competenti e di prestigio, di caratura nazionale.
I Giochi in Piazza
Possono partecipare esclusivamente i residenti del rione, che abbiano compiuto i sedici anni di etร .
Le quattro gare in cui i rioni si cimentano sono: Corsa con i sacchi, Tiro alla fune, Albero della Cuccagna e un gioco di moderna invenzione.
La Lizza
Corsa a staffetta disputata nel circuito della piazza principale, รจ la gara conclusiva โ e spesso decisiva โ della competizione. ยซL’atmosfera, carica di ansia e di elettricitร , si comprime in un silenzio irreale al momento della partenza, per poi esplodere in un enorme boato sino al traguardoยป.
La Lizza e l’assegnazione del Palio
Le taverne
Ogni rione allestisce una taverna dove รจ possibile gustare piatti tipici della cucina umbra, preparati naturalmente dai rionali. La taverna diventa anche luogo di incontro dove si susseguono intrattenitori di vario genere.
Al di lร della gara, che pure รจ un elemento fondamentale della festa, per dirla con lโassessore alla cultura del comune di Bastia, PaolaLungarotti, nel Palio: ยซIl tutto รจ piรน della somma delle singole partiยป, da oltre mezzo secolo a settembre le diverse anime della cittร diventano una cosa sola, diventano, dicevamo, comunitร .