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Stefano de Majo, attore e autore ternano, con il duo jazz Angelici-Graziani, sabato 4 marzo al Teatro Secci di Terni, presenterà in prima assoluta il nuovo spettacolo dal titolo evocativo 1971 l’anno che cambiò il rock.

Il connubio tra teatro e rock vide già quattro anni fa Stefano de Majo interpretare con successo la figura del leggendario Syd Barrett con la musica dal vivo dei Final Cut, la famosa cover band dei Pink Floyd. Sabato al teatro Secci sarà la prima di una nuova produzione che abbina il teatro di affabulazione dell’attore alla musica rock suonata dal vivo da una nutrita band di 10 valentissimi elementi: Alberto Cipolla, Emanuele Cordeschi, Tonino Cuzzucoli, Andrea Dominici, alle voci e chitarra, Claudio Baccani e Michele Cricco alle chitarre, Paolo Scappiti al basso, Gian Paolo Ionni alle tastiere, Mirko Brizzi alla batteria e Chiara Pistecchia danzatrice.

Lo spettacolo dal titolo 1971, utilizzando anche proiezioni di video art, come «…quell’anno il dio del Rock decise di cambiare la storia della musica, ispirando una straordinaria produzione discografica da parte di tutti i principali interpreti della scena mondiale» spiega de Majo.

 

 

«Sarà un viaggio nel tempo attraverso la musica rock, la musica sarà la vera protagonista,  il propellente che ci spedirà in orbita, sulle note del rock rivedremo le vicende straordinarie di quell’anno in cui il mondo già schierato nei due blocchi tra Usa e Urss, era diviso tra imprese lunari e sonde su Marte, guerre nel Vietnam e rivendicazioni ai confini dell’Irlanda del nord, l’anno in cui i Beatles intraprendevano una battaglia legale nei tribunali per la divisione del patrimonio e la civilissima Svizzera concedeva solo quell’anno il diritto di voto alle donne, l’anno in cui il mondo sognava col rock di raggiungere nuove dimensioni di pace e fratellanza universale, mentre David Bowie si chiedeva se ci fosse vita su Marte e John Lennon incideva la sua Imagine. Intanto in Italia tra golpe sventati ed elezioni sofferte del nuovo capo di Stato, votato in extremis alla vigilia di Natale di quell’anno 1971, il mite giurista Giovanni Leone, che entrò poi nella storia per le dimissioni a seguito del caso Lockeed, nel frattempo anche i gruppi rock nostrani come le Orme e la Pfm, dallo stivale volgevano lo sguardo al cielo nella malinconica bruma di settembre. Tra la grigia rugiada della campagna e i suoni sintetici della zona industriale. Insomma quel 1971 fu un anno speciale e lo spettacolo sarà un viaggio rock spaziale tra missili, sonde e moduli lunari, ma anche il ricordo della prima e-mail che quell’anno fu inviata dagli Usa, così come del primo E-book della storia che trascrisse per intero la dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America, mentre la sporca guerra del Vietnam invadeva anche il Laos, ma il vero spartiacque fu quando a Pompei i Pink Floyd al minuto 22.40 del loro concerto, l’unico a porte chiuse della storia,  nel silenzio degli scavi cari, mandarono in orbita un eco sintetico e primordiale che cambierà da quel momento la storia, non solo  del rock, ma anche la storia globale. Da quel momento il mondo non sarà più lo stesso, quel misterioso suono si propagherà dell’anfiteatro di Pompei fino allo spazio riecheggiando magari anche sulla luna, forse persino su Marte…».

Al teatro Mancinelli di Orvieto il 16 e 17 aprile, la satira racconta i tempi attuali.

Questo è un periodo di sconvolgimenti e cambiamenti, di perdita di sicurezza e di riferimenti. Tutti noi viviamo dentro questa bolla di indeterminatezza, in cui ognuno prova a proteggersi con gli strumenti che più gli sono congeniali. Lo strumento che utilizza Gianluca Foresi è la satira. Sin dai tempi antichi, da Aristofane, Persio o Giovenale, la satira serviva a castigare e sottolineare le storture, le incongruenze e le ingiustizie della società: ciò veniva fatto mettendo alla berlina determinati comportamenti in modo da suscitare ilarità negli spettatori o negli ascoltatori. Ma non è la necessità di suscitare il riso il primo obiettivo della satira, bensì quello di suscitare una riflessione e provocare uno scarto netto fra la realtà e quello che dovrebbe essere. In molti si sono cimentati nel genere, chi sotto mentite spoglie, chi sotto una veste più filosofica e moraleggiante: pensiamo a Dante Alighieri, che ha utilizzato la poesia, la forma letteraria forse più lontana dalla satira, per mettere in evidenza e criticare costumi, modi di essere e personaggi della sua epoca.

Oggi la satira è un contenitore, è una forma, ma è anche un modo d’essere e di tentare di intervenire in qualche modo sulla realtà sociale, culturale, intellettuale, e politica; lo fa con strumenti che compendiano quelli del passato, aggiungendone di nuovi. Il primo a subire l’effetto della satira deve essere il satiro stesso, che in questo caso da Nemo profeta in patria diventa Scemo profeta in patria.

 

Lo spettacolo Scemo profeta in patria cerca di attraversare questi tempi difficili per sezionare e difendersi in qualche modo dalle vicende che hanno caratterizzato questo ultimo anno in particolare. Ma non tralascerà di attingere a fatti, eventi, e notizie che hanno caratterizzato la storia passata, anche remota. Uno spazio sarà dedicato appunto anche al grande Poeta toscano di cui ricorrono i 700 anni della morte.

Per rimanere al presente invece, la satira di Gianluca Foresi prende spunto principalmente da notizie, verificate nella loro veridicità, che riguardano politica, religione, cronaca, e che vengono affrontate con sarcasmo, corrosività e con un pizzico di quel politicamente scorretto che le rende esplosive: in negativo e in positivo. Tutto questo però sarà affrontato senza però mai perdere l’eleganza verbale e il rispetto implicito per quello che è il bersaglio di turno. Più che governare la satira, Gianluca Foresi è e sarà governato da essa, è e sarà trasportato e quasi ipnotizzato.

In questo spettacolo non sempre il suo pensiero coinciderà con quello della battuta: la battuta diventerà il pretesto per mettere in evidenza quello che la notizia ci ha fatto dimenticare o quello che altre persone potrebbero davvero aver pensato: assolve a una funzione maieutica, terapeutica quasi, porta alla coscienza quello che era stato rimosso. Anche in Scemo profeta in patria Foresi, però, non perderà la consueta verve istrionica e soprattutto la capacità di improvvisare e di creare momenti estemporanei: il pubblico come sempre sarà una parte importante dello spettacolo e verrà chiamato a giocare sulle assi del palcoscenico. Dunque mettetevi comodi, ne avrete bisogno!

“La sera dei Miracoli” è lo spettacolo che si è tenuto, con un grande consenso di pubblico, al Teatro dell’Accademia di Tuoro sul Trasimeno, dove il binomio musica e sand art ha donato emozioni e catturato gli animi.

Dire Antonio Ballarano, Gabriella Compagnone, Antonio Ruvo, Gianni Maestrucci e Sara Jane Ceccarelli, vuol dire regalare emozioni in un’esibizione che ha appagato pienamente i sensi dello spettatore che ha assistito entusiasta a La sera dei miracoli, il cui nome prende spunto dalla celebre canzone di Lucio Dalla, brano riproposto, insieme a suoi altri, durante la serata. I cinque artisti, nel loro specifico linguaggio, sono stati complementari e integrativi nel messaggio composto da musica, voce e figurativo, ampiamente apprezzato da tutti quelli che hanno colmato, in ogni ordine di fila, i posti disponibili.
Gabriella Compagnone, sand artist italiana, in una sorta di magia, ha giocato con la sabbia e prodotto con delicata maestria: le sue figure sono state trasmesse sul fondale del palco per la visione e il meritato apprezzamento della platea. Le realizzazioni di Gabriella, fin da subito, sono apparse in perfetta sintonia con le note musicali prodotte dal trio composto dalla voce di Antonio Ballarano, dalla chitarra di Antonio Ruvo e dalle percussioni di Gianni Maestrucci, il tutto impreziosito dalla voce di un altro pezzo da novanta, Sara Jane Ceccarelli.

 

In scena “La sera dei Miracoli”. Foto by Proloco di Tuoro sul Trasimeno

 

«Io e Gabriella abbiamo unito i nostri progetti, così che i giochi di sabbia e la musica sono in perfetta armonia. Il risultato è stato ottenuto dopo lunghe prove che ci hanno visto impegnati per la preparazione di questo spettacolo, che offre delle visioni incantevoli e ascolti suggestivi per il pubblico. Così come la soave musica di Antonio e Gianni e la splendida voce di Sara Jane» racconta Antonio Ballarano.
Fabrizio Magara, presidente della locale Proloco ci ha detto: «È una grande soddisfazione aver avuto a Tuoro sul Trasimeno questi artisti, che sono di un’elevatissima caratura. Il pubblico che è venuto anche da lontano, ha riempito il nostro teatro, dimostrando che la buona arte attira le persone con i suoi messaggi sociali e di pace, come La sera dei Miracoli che ne presenta nelle sue forme e contenuti».
Impeccabile l’organizzazione della Proloco che con tutto lo staff capitanato da Fabrizio Magara e dal suo vice, Andrea Grasselli, hanno reso possibile assistere all’unicità del graditissimo evento.

Il Teatro Stabile dell’Umbria e il Comune di Gualdo Tadino presentano la nuova Stagione di Prosa, quest’anno in una versione speciale primavera/estate.

“Abbiamo voluto dare un segnale di normalità. I tragici fatti di questi giorni ci ricordano ancora di più quanto sia importante coltivare l’arte e la cultura – le parole di Barbara Bucari, Assessore alla cultura del Comune di Gualdo Tadino –. Una Stagione di Prosa con ben 7 spettacoli in 5 mesi, dalla primavera all’estate, in tutti i palchi della nostra città e che ci porta di nuovo dentro i nostri teatri chiusi da troppo tempo: al Teatro Don Bosco, al Teatro Talia e alla Rocca Flea, location suggestiva ed unica ormai sede di una sua dedicata Stagione estiva. Insieme al Teatro Stabile dell’Umbria, all’Associazione Educare alla Vita Buona e all’UniGualdo, che ringrazio per la straordinaria collaborazione, abbiamo fatto delle scelte per tutti i gusti, anche rivolte a un pubblico giovane che crediamo si stia avvicinando sempre più al Teatro. La Stagione di Prosa è un segno di civiltà per ogni comunità, anche la più piccola e con pochi mezzi e strutture. È un’esperienza importante che cercheremo di portare avanti, a prescindere dalle crisi e dalla lontananza da centri culturali più grandi, a dimostrazione che la cultura non isola”.

Il primo appuntamento della Stagione sarà mercoledì 6 aprile al Teatro Don Bosco con l’attesissimo spettacolo Mi amavi ancora, già in programma nella primavera 2020 e annullato a causa dell’emergenza sanitaria. Gli attori Ettore Bassi e Simona Cavallari, diretti da Stefano Artissunch, sono i protagonisti della raffinata ed eccellente scrittura, ricca di colpi di scena e densa di umorismo, di Florian Zeller – giovane autore vincitore di numerosi premi in Francia –, che coinvolgerà gli spettatori in una ricerca fatta di dubbi e apprensioni, in cui si mescolano realtà, immaginazione, paura, risate e fantasia.

 

Mi amavi ancora, foto Ignacio Maria Coccia

 

Giovedì 28 aprile al Teatro Talia, è la volta di MADONNA, dai racconti della scrittrice contadina Rina Gatti, un monologo di e con Caterina Fiocchetti che si sviluppa in un dialogo con il violoncello di Andrea Rellini. Attraverso un linguaggio schietto, semplice, genuino come la comunità agreste che descrive, lo spettacolo è un affresco dell’Italia tra le due Guerre nel vivo dei mutamenti sociali, economici e costituzionali visti con gli occhi di una bambina che impara ad essere donna.

Venerdì 13 maggio  si torna al Teatro Don Bosco con il monologo emotivo e appassionante del popolare attore Marco Bocci, interprete e coautore de Lo Zingaro. Lo spettacolo racconta la storia esemplare di un pilota di auto sconosciuto il cui destino è però indissolubilmente legato al mito della Formula 1 Ayrton Senna.

Al Teatro Talia, Caroline Baglioni e Michelangelo Bellani portano in scena, giovedì 26 maggio, il loro Mio padre non è ancora nato, un  intenso ed emozionante spettacolo dedicato al tema universale dei legami familiari, in particolare al rapporto inespresso fra padri e figli. Un uomo di sessant’anni che ha avuto un’amnesia temporanea; la voce di una figlia a comporre il dialogo, a prefigurare il ricordo di un vissuto o soltanto l’illusione che un giorno tutto possa accadere davvero. In scena l’attrice Caroline Baglioni, vincitrice della prima edizione della Biennale Autori under 40 nel 2020.

Anche quest’anno il Rotary Club di Gualdo Tadino è sponsor ufficiale della Stagione. La Campagna Abbonamenti inizierà venerdì 1 aprile presso l’Info point.

Per quanto riguarda gli appuntamenti estivi, realizzati in collaborazione con il Polo Museale, si comincia domenica 24 luglio alla Rocca Flea con un artista particolarmente amato dal pubblico umbro: Matthias Martelli, protagonista de Il Mercante di Monologhi, accompagnato dalla musica dal vivo di Matteo Castellan. Uno spettacolo che fonde divertimento, cultura e satira, vincitore di diversi Premi Nazionali (Premio Alberto Sordi, Premio Fnas, Premio Locomix, Premio A L’Avogaria-Venezia). In scena un teatro surreale: una carrellata di personaggi grotteschi, che fra comicità, poesia e follia smuovono risate e provocano i cervelli.

 

Paolo Hendel, Foto Rudy Falomi

 

Ad agosto in scena La storia di Re Lear, uno spettacolo scritto da Melania G. Mazzucco, una delle più apprezzate narratrici italiane contemporanee, affidato alla poliedrica attrice Vanessa Scalera, protagonista della celebre serie televisiva “Imma Tataranni – Sostituto Procuratore”. Una delle storie più raccontate, rappresentate, tradotte e adattate di sempre, qui in una versione contemporanea e originale, con la sonorizzazione e live electronics di Antonello Aprea.

Giovedì 18 agosto Paolo Hendel chiude il Cartellone con La giovinezza è sopravvalutata, una sorta di confessione autoironica sugli anni che passano, con tutto ciò che questo comporta: “ansie, ipocondria, visite dall’urologo, la moda dei ritocchini estetici e le inevitabili riflessioni, sia di ordine filosofico che pratico, sulla dipartita”. Avvalendosi della preziosa complicità del regista Gioele Dix, Hendel si racconta con una sincerità disarmante e attraverso una esilarante carrellata di commenti di “utenti indignati” sul web racconta l’Italia di oggi.

 


Per info: Comune di Gualdo Tadino Ufficio politiche culturali da lunedì a venerdì dalle 9.30 alle 13.30 | T 075 9150264 cultura@tadino.it | www.tadino.it

www.teatrostabile.umbria.it

 

Un trionfo già realizzato al Morlacchi si ripeterà questa sera (ore 21) nell’arena del Frontone.

Confermato l’entusiasmo di coloro che avevano chiesto una replica del grande evento dello scorso febbraio, e che e lucevan le stelle lo ascolteranno sotto il firmamento che fa da scenografia naturale al grande spettacolo portato a Perugia da Ermanno Fasano e la Solti snc.

Una Gabrielle Mouhlen altera ed elegante, nello stesso tempo appassionata, è la Floria Tosca che incanterà il pubblico perugino. Una grande artista sorretta da un cast di esperienza per recitare i tre atti di una delle più belle opere di Puccini, la stessa con cui il Teatro La Scala ha aperto la stagione. Il soprano, che ha già interpretato lo stesso personaggio al Festival Pucciniano di Torre del Lago e al Musikthetaer di Essen, si è già detta innamorata di Perugia, ed è bene lieta di tornare, e magari fare anche qualche giro da turista. Lo stesso vale per Davi Ryu che ha interpreterà con intensità Mario Cavaradossi, un personaggio che può dare spazio alla sua potenza vocale e al suo impeto interpretativo.

 

 

Ermanno Fasano, l’impresario, ci aveva promesso per questa data la Boheme, ma l’emergenza sanitaria ha ristretto i tempi di preparazione, e riferisce: “Siccome siamo abituati a una certa qualità cui non vogliamo rinunciare, abbiamo deciso di trasformare il limite in virtù, e accontentare tutti coloro che a febbraio non erano riusciti a entrare al Morlacchi per il veloce sold out e per l’impossibilità di realizzare una replica”. Ho Joun Lee impersonerà il terribile Scarpia è un baritono ormai riferimento per spettacoli lirici in tutto il mondo.

Nell’intervista al Direttore e Maestro Concertatore, Lorenzo Castriota Skanderbeg ci regala alcune chicche ricordando che non a caso Tosca era l’opera preferite e dirette da Gustav Mahler, ed è una delle opere più amate anche da altri direttori per la genialità della musica pucciniana da cui sono nati gli stessi Musical americani, da cui discendono e a cui si sono ispirati molti altri compositori successivi, anche di musica Pop.

La regia è affidata a Guido Zamara che nel rispetto della tradizione riesce sempre a sorprenderci con qualche particolare innovativo che coinvolge il pubblico con la ricerca del significato che generalmente nello stile zamarese si svela nel finale.

La presenza dell’orchestra sinfonica della città di Grosseto insieme al Coro Lirico dell’Umbria ha creato un connubio artistico toscoumbro sperimentato ormai da tre anni e che si rinnova e rafforza in ogni evento, confermato anche nelle tournée fuori regione.

Una menzione speciale a Stefano Rinaldi Miliani, che nella sua lunga carriera ha interpretato molti ruoli, e ha calcato le scene di teatri di tutto il mondo, e dopo averlo già rappresentato all’Arena di Verona, anche domani interpreterà Angelotti ha offerto un’ottima interpretazione sia scenica che vocale.

Una presenza di freschezza fanciullesca comunque connotata da professionalità matura è stata portata dalla presenza del Coro delle Voci Bianche del Conservatorio di Perugia, con la direzione del Maestro Franco Radicchia, il quale riferisce che: “Il coro ha da tempo obiettivi artistiche ed educativi che portino i piccoli e i giovani alla conoscenza della musica di alto livello, come formazione del futuro fruitore del bello”. In un iter educativo che responsabilizza notevolmente i cantori e le famiglie a un senso di formazione e preparazione. Fra tutti emerge la figura del pastorello che sarà interpretato da Tommaso Tortoioli in un tripudio di sentimenti e passioni forti quale è Tosca, ha porterà con naturalezza e grande espressività la purezza dell’età novella.

Importanti collaboratori del Coro Lirico e in questo contesto di tutta l’opera messa in scena i maestri preparatori Sergio Briziarelli ed Ettore Chiurulla, che oltre alla preparazione degli artisti del coro, contribuiranno con grandi effetti sonori afferenti ai vari contesti musicali.

Lo stesso Ermanno Fasano, titolare della S.O.L.T.I , che già da oltre tre anni porta l’Opera Lirica nella nostra città, entusiasta dell’accoglienza e dalla calorosità del pubblico perugino promette che febbraio al Morlacchi sarà un appuntamento annuale con  l’Opera, dove ci incanterà con un altro importantissimo titolo, e facendo i dovuti scongiuri che sul palcoscenico sono doverosa consuetudine.

Il Decamerone di Boccaccio è stato letto da Tullio Solenghi al Teatro dell’Accademia di Tuoro. L’artista è stato calorosamente accolto e acclamato da un pubblico rapito dalla sua interpretazione. In una breve intervista, Solenghi si racconta e racconta il suo legame con l’Umbria.

Tullio Solenghi, foto by Fabio Magara

 

Le luci sul palco sono ancora spente quando ci avviamo verso il camerino di Tullio Solenghi, accompagnato da Fabrizio Magara, il presidente della ProLoco, entusiasta di aver contribuito a far arrivare a Tuoro lo spettacolo dell’artista, inserito nel programma del Teatro Stabile dell’Umbria e per la competenza di Gianfranco Zampetti. Il Comune e il suo assessore alla Cultura, Thomas Fabilli, hanno fatto la loro parte nell’accogliere l’attore nella cittadina lacustre e, insieme alla sua gente, nell’averlo discretamente coccolato, durante la sua permanenza.
Solenghi è vegano e lo chef Emanuele De Biase, nell’home restaurant vegano che gestisce insieme alla moglie Francesca Ricci a Tuoro, ha risposto alle esigenze dell’artista con grande soddisfazione. Da lì a poco, Solenghi avrebbe letto e interpretato sei note novelle del Decamerone di Boccaccio: Chichibio e La Gru, Peronella, Federigo Degli Alberighi, Masetto Di Lamporecchio, Madonna Filippa, Alibech, con la regia di Sergio Maifredi.
Tullio ci è venuto incontro con uno sfolgorante sorriso e degli occhi luminosi che ti lasciano immaginare il profondo del suo animo e nella tranquillità del suo camerino è iniziata la nostra conversazione.

Tullio Solenghi, ci racconti del suo spettacolo e com’è nato.

È da quattro anni che porto in giro la lettura di sei novelle del Decamerone del Boccaccio che mi piace fare, perché spesso i grandi capolavori, come il Manzoni che ho già fatto, hanno un ricordo scolastico nefasto in quanto eravamo costretti a studiarli e non capivamo la loro bellezza. Quando mi hanno proposto di fare questa lettura, dopo un iniziale scoramento, me ne sono innamorato e quindi riproporre questi capolavori in forma libera e riscoprirne insieme al pubblico la grande valenza, è una grande soddisfazione che sera per sera mi porto a casa, al di là dell’afflato della gente che viene allo spettacolo.

Le sei storie che lei interpreta, per i loro contenuti, si rispecchiano nei tempi attuali?

Il punto di contatto è la vita. Boccaccio, infatti, è definito popolare: racconta la furbizia e l’arguzia popolare e diciamo che la vita è sempre quella, cambiano le figure, ma le tematiche – tipo il marito tradito o quello che vuole incastrare qualcun altro – fanno parte anche dell’oggi e sono sempre molto attuali.

Lei è attore, regista, scrittore, imitatore e molto altro e viene considerato, per le sue caratteristiche artistiche e umoristiche, uno dei più importanti personaggi della storia dello spettacolo italiano. Qual è il suo segreto, come fa a essere così polivalente?

Non riscontro una particolare difficoltà perché ogni settore per me corrisponde a un’avventura a sé. La lettura dei capolavori come l’Iliade o l’Odissea o il teatro che faccio insieme a Massimo Lopez sono compartimenti stagni che non mi creano nessuna difficoltà nel passare dall’uno all’altro. Le grandi compagnie comiche dei primi del Novecento avevano spesso un repertorio di sei o sette titoli e quando arrivavano in una città, ogni sera era uno spettacolo diverso. Per me è la stessa cosa.

Ci dica dell’incontro con la straordinaria e compianta attrice umbra Anna Marchesini, così come un suo ricordo.

L’ho conosciuta a Torino e dopo il primo impatto mi sono detto: «Ma dove l’hanno tenuta tutto questo tempo?». Anche se giovane, era di un talento straordinario. Dopo tutta la nostra avventura artistica, la porto dentro di me e ne fa parte. Dopo 12 anni trascorsi intensamente al Trio (Lopez, Marchesini e Solenghi) e dopo il modo in cui noi tre abbiamo vissuto questo tempo, le esperienze inevitabilmente hanno scavato e portato qualcosa di ognuno di noi negli altri due.

 

Tullio Solenghi, foto by Fabio Magara

Il suo rapporto con l’Umbria e il Trasimeno?

Io sono molto legato all’Umbria e non solo per Anna, ma perché sono affascinato, a livello storico, da tutto il periodo che riguarda la formazione dei primi comuni, il Medioevo, San Francesco. È quel tipo di epoca che sempre mi affascina e ogni paese dell’Umbria, del Trasimeno e in particolare Tuoro, ha un pezzetto di storia che mi riporta a quell’epoca che per me è meravigliosa.

Quali sono i suoi programmi e prossimi appuntamenti?

I miei programmi sono quelli di proseguire uno spettacolo dal titolo Tullio Solenghi e Massimo Lopez Show e poi sto preparando un progetto con altri due attori che si intitolerà Volevo essere Woody Allen, in omaggio al famoso attore d’oltreoceano.

 

Solenghi, il sindaco Maria Elena Minciaroni, l’assessore alla Cultura Thomas Fabilli e il presidente della ProLoco Fabrizio Magara

 

Le luci sul palco si stanno per accendere, Tullio Solenghi si dirige verso il suo pubblico a cui leggerà le sei novelle e al termine, coinvolto dal grande affetto dei toreggiani, ha donato un’applauditissima interpretazione della Quercia del Tasso di Achille Campanile e l’esilarante racconto della Bomba al Sistina, esperienza vissuta al tempo del Trio. Al termine della serata, ogni spettatore è tornato a casa con un sorriso in più, pensando alla straordinaria interpretazione regalata da Messer Tullio Solenghi da Genova.

«Sono un perugino di Ponte San Giovanni, nato e cresciuto lungo il Tevere. Questo fiume ha rappresentato – e rappresenta – molto per me».

Il mio telefono squilla.

«Buongiorno, sono Serse Cosmi. Possiamo fare l’intervista ora, che più tardi sono impegnato?».

«Va bene, mi dia cinque minuti».

Ammetto che ancora non avevo acceso il computer ed ero mezza assonnata, ma mi sono subito svegliata. Rare volte qualcuno mi ha chiamato per anticipare un’intervista e non per annullarla: non Serse Cormi, lui è uno di parola!

Non gliel’ho confessato (ora lo leggerà qui), ma ero sugli spalti dello stadio Curi quando allenava il Perugia. Chiacchierare con lui è stato divertente, c’è scappata più di una risata. Nonostante abbia girato l’Italia per allenare tante squadre – dalla Pontevecchio all’Arezzo, dal Perugia al Genoa, fino all’Udinese, Brescia, Livorno, Palermo, per citarne alcune, resta un perugino D.O.C. anzi come tiene a specificare lui: «un perugino di Ponte San Giovanni».

Serse Cosmi

Mister qual è il suo legame con l’Umbria?

Gli umbri sono legati in maniera viscerale alla loro terra e alle loro radici: io, facendo una professione che mi porta in giro per l’Italia, sento molto questo legame. Quando sei fuori apprezzi ancora di più dove sei nato e la tua terra. Per me è, e rimane, un legame fortissimo.  

Si considera ancora l’Uomo del fiume, uomo di Ponte San Giovanni?

Assolutamente sì. Io sono un perugino di Ponte San Giovanni (n.d.r. frazione di Perugia) e in questo c’è differenza: quando ero piccolo c’erano i perugini del centro e quelli dei ponti. Io rivendico a gran voce di essere di Ponte San Giovanni e di essere nato vicino al Tevere, un fiume al quale sono legato fin dall’infanzia.

Il Tevere cosa ha rappresentato per lei?

La mia generazione è forse l’ultima che ha fatto il bagno nel Tevere: ho imparato a nuotare nelle sue acque, giocavo lì e ovviamente andavo a ballare al Lido Tevere. Ho passato la mia infanzia vicino al fiume, crescere vedendolo scorrere è qualcosa che ti porti dentro per sempre.     

Oggi c’è un’ondata di allenatori che non ha fatto una vera gavetta, partendo da squadre di categoria minore come ha fatto lei: cosa ne pensa, è un cambiamento del nostro tempo o la fretta di mettere un “nome” in panchina?

È un po’ tutte e due. Chi è stato un grande calciatore ha già avuto in quel mestiere dei grandi privilegi, ma non reputo giusto che, nel momento in cui si cimenta in un altro mestiere – cioè quello di allenatore – non debba fare la stessa gavetta che ha fatto per arrivare ai massimi livelli di calciatore. Mi spiego meglio: chi ha giocato con la Juve, l’Inter o il Milan ha fatto un suo percorso, partendo dalle serie minori per arrivare a vestire quella maglia. Stessa cosa dovrebbe valere per un allenatore, considerando che si tratta di un altro mestiere. Se poi l’allenatore viene visto come il prolungamento della carriera di calciatore, allora sto zitto! Ovviamente un grande calciatore può diventare anche un grande allenatore…

Però non è scontato nemmeno il contrario: che un grande calciatore per forza diventi un grande allenatore…

Sì, infatti. Io ricordo sempre una frase di Arrigo Sacchi: «Non è che per essere un buon fantino devi essere stato un cavallo».     

Gaucci, Zamparini, Preziosi… ha incontrato dei veri mastini: in questi anni pensa che sia cambiato il rapporto tra allenatori e presidenti?   

I tempi sono decisamente cambiati. I presidenti ora sono più dei manager, l’aspetto passionale è diminuito – fermo restando che il loro ruolo manageriale c’è sempre stato. Col tempo nel calcio sono cambiate tante figure, di conseguenza è cambiata anche quella dei presidenti, che oggi si occupano di aspetti molto diversi rispetto a 20-30 anni fa. Si confrontano apertamente con gli allenatori e parlano con loro di calcio come se facessero lo stesso mestiere, ma la cosa non è intercambiabile. Gaucci, ad esempio, è stato uno dei presidenti meno invadenti con cui ho lavorato. Lui era più un tifoso e le sue reazioni erano di conseguenza da tifoso, però non ho mai avuto la sensazione che mi spingesse – anche in modo velato – a far giocare un calciatore al posto di un altro. Se è successo, è stato talmente abile che non me ne sono mai accorto! (ride).

C’è un calciatore al quale è particolarmente legato?

Ce ne sono tanti, ma sono rimasto più legato con quelli di inizio carriera con i quali ho condiviso tanti avvenimenti umani e sportivi. Penso ai ragazzi della Pontevecchio, dell’Arezzo e dei primi anni del Perugia. Poi ho conosciuto anche altri calciatori che spesso sento, ma il rapporto più diretto l’ho mantenuto con quelli con i quali ho iniziato. 

Chi avrebbe voluto allenare e non lo ha mai fatto?

Francesco Totti. È un giocatore che mi ha sempre incuriosito.

Ha nostalgia del Perugia? Ha mai pensato di tornare ad allenarlo o è un’epoca che si è conclusa?

Nostalgia no. Si è nostalgici di un qualcosa che non si potrà mai più verificare. Finché farò questo mestiere ci potrebbe essere sempre un’opportunità per ritornare sulla panchina del Perugia, fatto sta che – in 30 anni che alleno – non sono mai ritornato in una società dove sono già stato. Questo è un dato indicativo.

Magari per il Perugia lo farebbe…

Diciamo che è una delle poche squadre per cui lo farei.

C’è un episodio della sua carriera che ricorda con più affetto?

La telefonata di Luciano Gaucci nello spogliatoio dopo la vittoria a San Siro contro il Milan: era prima di Natale e prima del suo compleanno. Quell’episodio per me rimarrà indelebile perché ho avuto la percezione di quanto tenesse alla squadra, ai giocatori e di quando fosse coinvolto umanamente. In quel momento non era un presidente, ma un tifoso che aveva capito che la propria squadra aveva fatto un’impresa eccezionale: era la prima volta nella sua storia che il Perugia vinceva a San Siro.   

Serse Cosmi “versione” dj

Se non avesse fatto l’allenatore quale mestiere avrebbe fatto, il dj?

In realtà sono un dj che per hobby fa l’allenatore! (scherza). Sono un insegnate di attività motoria, ho avuto per 10 anni una palestra quindi credo che sarei rimasto nell’ambito sportivo. Anche se, a 60 anni, a volte penso di reinventarmi e fare un altro mestiere. Per me la musica è un hobby ed è rimasto tale, il calcio è iniziato come hobby, ma poi è diventato un lavoro.

Ci racconti qualcosa di lei che i suoi tifosi non sanno…

Quando ho vinto il campionato con la Pontevecchio e siamo andati in serie D, siccome mio padre era stato un fondatore della società e la squadra non era mai arrivata in quella categoria, ho girato con la macchina per tutta la notte, pensando alla mia infanzia e a tante altre cose. È stata la cosa più coinvolgente da quando alleno.  

E un suo segreto non legato al calcio?

Mi piacerebbe lavorare a teatro, conoscere persone e scoprire tutto di questo mondo. È un mondo che mi affascina molto.  

Fa dei gesti scaramantici?

Quando allenavo i dilettanti cambiavo per ogni partita l’indumento intimo, non mettevo mai lo stesso. Oppure dopo aver vinto una partita facevo sempre lo stesso percorso, ma col tempo le scaramanzie sono molto diminuite.

Ha un aneddoto legato al Perugia, quando era solo un tifoso?

Col Perugia club di Ponte San Giovanni andai a vedere lo spareggio a Foggia: a metà strada eravamo già mezzi morti, tra birre e bevute varie. Per fortuna le tante ore di pullman ci hanno fatto recuperare e siamo arrivati allo stadio in modo dignitoso.  

Come vede le scuole calcio umbre, come andrebbero potenziate?

Quando smetterò di fare l’allenatore, il mio sogno è quello di creare o far qualcosa nel settore giovanile del calcio. Sicuramente non si chiamerà scuola calcio, ma settore giovanile. Secondo me, uno dei mali peggiori in questo ambiente è quello di aver abbinato la parola scuola a calcio: la parola scuola ha un valore ed è un luogo in cui ci sono insegnati che formano i ragazzi, nelle scuole calcio invece il vero problema sono proprio coloro che insegnano perché presentano il calcio in modo distorto o comunque nel modo in cui non lo vedo io. Per questo il mio sogno è creare un settore giovanile dove non si paghi, dove emerga il talento e dove il calcio possa essere un vero valore sociale. Un luogo aperto a tutti, dove si premia il talento, ma anche dove tutti posso giocare.

Come descriverebbe l’Umbria in tre parole?

Aspra – nell’atteggiamento delle persone – autentica, lontana.

La prima cosa che le viene in mente pensando a questa regione…

Spello.

Ai Giardini del Frontone il mese d’agosto è iniziato con Madama Butterfly della produzione Musica e Palcoscenico di Roma

Madama Butterfly, foto Giancarlo Belfiore

 

Un evento con una straordinaria partecipazione di pubblico. La coda, già un’ora prima della recita, faceva presagire l’interesse, ma «la realtà è andata oltre le più rosee aspettative» dice il produttore Ermanno Fasano. Infatti l’opera ha fatto sold out. Oltre cento le maestranze messe in campo, tra l’orchestra della Città di Grosseto, gli acclamati solisti, e al seguito attrezzisti, tecnici luci, tecnici audio, costumisti, truccatori, parrucchieri.
Importante coordinatore, insieme a Cinegatti, il Coro Lirico dell’Umbria, capitanato dal prof. Paolo Galmacci. Quest’ultimo riferisce dell’importante e imponente lavoro di squadra che inizia mesi e mesi prima dello spettacolo. A tal motivo si ringrazia in particolare l’Associazione Borgo Bello e in specie il presidente Orfeo Ambrosi e tutte le restanti associazioni patrocinatrici, evidenziando l’Associazione Amici della Lirica che, in due serate precedenti la recita, con la presidente Carla Mantovani ha raccontato la trama dell’opera e lo spirito pucciniano, contribuendo a creare cultura musicale e un ascolto più consapevole.

 

Il numeroso pubblico che ha partecipato all’evento, foto Giancarlo Belfiore

 

Lo straordinario afflusso di pubblico per Madama Butterfly al Frontone è la conferma che abbiamo tutti bisogno di bellezza, e il Bel Canto italiano è un patrimonio culturale molto apprezzato nel mondo che appartiene a chiunque lo sappia amare.
La lunghissima coda davanti alla cassa, la composta attenzione, la partecipazione emotiva e i ripetuti applausi per gli artisti, confermano che quello che pensava il Maestro Giuseppe Verdi del pubblico perugino – il fatto che sia un pubblico colto – è ancora e quanto mai vero.
Lo stesso Maestro Alessandro Nisio, scomparso lo scorso maggio e a cui è stato dedicato l’evento, ripeteva spesso «ragazzi ricordate che noi ci mettiamo tutta la competenza e la passione possibile, ma la magia dello spettacolo l’accende l’energia del pubblico. noi siamo qui per loro e grazie a loro».

 

Madama Butterfly, foto Giancarlo Belfiore

 

L’idea dell’Opera all’aperto nasce da un’idea del Coro Lirico dell’Umbria in accordo con l’impresario teatrale Ermanno Fasano e Cinegatti, gestore dell’arena del Frontone. Con il Patrocinio del Comune di Perugia, e il particolare favore dell’Assessore alla Cultura Maria Teresa Severini, da alcuni mesi si è dato il via a un progetto che ha portato per la prima volta, nel cuore della nostra città, uno spettacolo grandioso, come può esserlo soltanto un’opera lirica tra le più note e amate nel mondo.      Il che ha significato lavoro, studio, contatti e tanta determinazione, per tradurre idee e parole nei fatti che contano.
Ha significato la venuta a Perugia di una macchina organizzativa di lunga esperienza, quale è Musica e Spettacolo, e l’investimento in prima persona dell’impresario Ermanno Fasano che, a rischio di fare un evento nel fulcro delle vacanze estive, aggiungeva anche un luogo senza un’alternativa a possibili temporali estivi. La sfida è stata vinta, e con grande soddisfazione. Anche gli artisti di fama internazionale quale Diana Jung (nei panni di Chochosan), Massimo Sirigu (nel ruolo di Pinkerton), e il Maestro Castriota Skanderbeg, hanno molto apprezzato Perugia e l’entusiasmo con il quale è stato accolto lo spettacolo. Conferma tangibile e inequivocabile che, tra i tanti eventi importanti, lo spazio per la stagione dell’opera lirica, a Perugia, c’è.

 

Madama Butterfly, foto di Oscrina di Simone