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Tra San Giustino (PG) e Sansepolcro (AR), c’è una zona di terreno che per secoli, tra il 1441 e il 1826, ha goduto di un’indipendenza dovuta a un errore dei cartografi vaticani e toscani. Così è potuta nascere la libera Repubblica di Cospaia.

I delegati cartografi dello Stato Pontificio e del Granducato di Toscana, che dovevano tracciare i confini in quella zona di territorio, sbagliarono la delimitazione del luogo nei loro termini mappali, lasciando così fuori dalle rispettive giurisdizioni quella minuscola area nell’Alta Valtiberina, che si trova tra i torrenti Riascone e Rio di Gorgaccia.

 

Repubblica di Cospaia, foto via La storia di Cospaia

 

La zona, rimasta fuori dalle mappe dei cartografi, era una piccolissima striscia di terra, larga cinquecento metri e lunga due chilometri. Gli abitanti di Cospaia, il borgo appoggiato su quella piccolissima porzione di territorio, accorgendosi dell’errore, si dichiararono fin da subito indipendenti e liberi da altre sovranità; tale condizione rimase immutata per secoli. E così Cospaia visse dimenticata per quasi quattrocento anni, senza appartenere a nessuno se non a sé stessa. Non esisteva un codice, una legge o imposte e in questa situazione, prese vita il contrabbando con gli Stati confinanti. In tal modo la Repubblica di Cospaia ha rappresentato per diversi secoli, un territorio franco e spesso i contrabbandieri vi trovarono accoglienza per i loro traffici che avvenivano tra Umbria, Toscana e Marche, attraverso la percorrenza di sentieri ben definiti da parte dei contrabbandieri/trasportatori che venivano chiamati spalloni.

 

 

I principali prodotti agroalimentari, oggetto di questi traffici illeciti, erano il tabacco e il grano. La Valtiberina, ancora oggi, è una terra di vocazione per la coltivazione del tabacco, una delle tipicità del territorio e rappresenta una fonte economica importante per gli abitanti della zona. La Repubblica di Cospaia ebbe la sua fine nel 1826 con la restaurazione post Napoleonica e il suo territorio venne poi suddiviso tra il comune umbro di San Giustino e quello toscano di Sansepolcro.
La Repubblica di Cospaia non ha riconoscimento giuridico corrente, ma il suo originario motto, scritto sul portale della chiesa parrocchiale della cittadina, è sempre attuale: Perpetua et firma libertas (Perpetua e sicura libertà)… e nei tempi correnti questo antico detto assume un significato di immenso valore e rimane sempre à la page.

Al confine tra Umbria e Marche, in quella zona spartita tra il comune umbro di Foligno e quello marchigiano di Serravalle del Chienti, si estende un sistema di altipiani carsici circondato da una serie di rilievi. Prati fioriti che tendono periodicamente a riempirsi d’acqua, offrendo un paesaggio diverso in ogni stagione.

Ricciano, Arvello, Pian della Croce, Annifo, Colfiorito, Palude e Popola: questi i nomi di quegli altipiani posti a 750 metri di altitudine, residui fioriti di una palude carsica ormai da tempo prosciugatasi. Disperse ormai le esalazioni mefitiche, il terreno, l’altitudine e le variazioni atmosferiche fanno in modo però che si creino degli specchi d’acqua di particolare bellezza, dimora di numerose specie di piante e animali. Il Cavalier Francesco Santoni ne dà un’esemplare rappresentazione in versi.

 

parco di colfiorito umbria

Opere idriche sull’altopiano di Colfiorito

Il più famoso è senza dubbio il Lago di Colfiorito, dove l’acqua permane pressoché tutto l’anno, costeggiato da una pittoresca passerella di legno e già oggetto di opere di ingegneria idraulica dal 1483, quando Giulio Cesare Varano spinse per la costruzione di una galleria, conosciuta come La Botte La Botte dei Varano, che convogliò gran parte delle acque stazionanti nell’altopiano nel fiume Chienti. Ambienti del genere, se lasciati a sé stessi, sono infatti soggetti a un graduale interramento, cosa che, una volta divenuta irreversibile, comporta la sparizione di quel particolare ecosistema che si era creato.
E come non pensare, allora, alle recenti vicissitudini di questi bacini d’alta quota? Si ricordi il canale artificiale, scavato tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, che permise di mettere in comunicazione la Palude di Annifo con quella sopracitata di Colfiorito: opera che, nel dicembre 2017, si è rivelata estremamente utile. Durante la torrida estate precedente, infatti, le temperature elevate avevano causato l’evaporazione totale della palude, lasciando cumuli di pesci prima a morire – e poi a marcire – sotto al sole. Selezione naturale, direte voi; ma la stessa natura ha pensato bene di rimediare creando un altro, nuovo, bacino nella Piana di Annifo, nel dicembre dello stesso anno. Il neonato lago, come in passato, potrebbe durare fino a primavera; così, una volta scioltisi il ghiaccio e la neve che glassano queste contrade, sarà possibile convogliare parte delle sue acque verso il martoriato Lago di Colfiorito, donandogli una seconda vita.

 

musei nei pressi di foligno umbria

Museo Archeologico di Colfiorito

Natura e civiltà

Sarebbe un peccato, infatti, se questa zona umida – peraltro protetta da un parco regionale e dalla Convenzione di Ramsar – si alterasse a tal punto da sparire per sempre. Circondata infatti da boschi di cerri e agrifogli, la piana di Colfiorito ospita animali rari come il tarabuso, l’airone rosso e il tarabusino, così come pavoncelle, pittime reali, chiurli, germani reali, gallinelle d’acqua, poiane e falchi di palude. Allo stesso modo, vi crescono ninfee bianche, brasche d’acqua, millefoglio, il giaggiolo d’acqua, il ranuncolo, diverse piante officinali e la carnivora erba vescica. Nella zona occupata, fino al 1950, dalla torbiera, ormai esaurita, vi crescono pennacchi e orchidee acquatiche.
Nei pressi di questa magnifica porzione di terra, vi è anche il MAC, il Museo Archeologico di Colfiorito, che raccoglie le testimonianze di tutti quei popoli che, in queste zone di passaggio tra l’Appennino umbro e quello marchigiano, si sono avvicendati: i Romani, i Cartaginesi e, prima ancora, i Plestini, che conferirono alla zona il secondo nome di Altipiani Plestini.
Per chi invece voglia immergersi in un’atmosfera da Signore degli Anelli, ogni anno, ad agosto, la zona di Montelago è animata dal pittoresco Montelago Celtic Festival, evento imperdibile per gli amanti del genere.

 


Fonti: R. Borsellini, Riflessi d’acqua: Laghi, fiumi e cascate dell’Umbria, Città di Castello, Edimond, 2008.

Un itinerario turistico fuori dagli schemi, tra suggestivi borghi medievali: si parte dal territorio perugino e si attraversa un lungo tratto della Valle Umbra per arrivare in terra marchigiana.

Ho scritto questo lungo articolo non nascondendo il mio amore per l’Umbria. Ho percorso questo itinerario in estate e ne ho tratto un giro turistico-leggendario che forse potrà piacere anche ad altri. Il resoconto, con notizie anche note – ma non sempre e non a tutti – mette insieme  un vero e proprio viaggio di oltre 130 chilometri da Casa del Diavolo (PG) ad Acquasanta Terme (AP). Il testo è molto lungo e così potete decidere di leggerlo a pezzi, scegliendo le località che più vi interessano, o per intero, compiendo intanto questo viaggio virtuale per poi, perché no, programmarne uno reale, che difficilmente vi deluderà. E quindi chi lo ha detto che non si può unire il Diavolo con l’Acquasanta?

In viaggio

Per chi vuol fare un giro turistico attraverso borghi e località conosciute e non e piene d’incanto, per chi ha un budget ristretto e poco tempo a disposizione propongo questo itinerario che certamente vi sorprenderà dal punto di vista paesaggistico, storico ma soprattutto leggendario.

Casa del Diavolo

Si parte da Casa del Diavolo, che è una frazione del comune di Perugia a 237 metri sul livello del mare. Il suo nome è intriso di mistero e di segreto tale da farne il luogo più inquietante di tutta la regione e tale da stuzzicare la curiosità del viaggiatore e del turista. È proprio il caso di dire: «Perché diavolo si chiama così questo posto?». Le origini del nome non sono certe e per questo si sono moltiplicate le leggende. Secondo alcuni storici l’origine è legata al passaggio di Annibale (216 a.C.) che causò così tanta distruzione e tanta morte che portò il luogo a essere considerato come la dimora del male e quindi del Diavolo.
Un’altra tesi, basata anche su reperti archeologici, fa risalire questo nome all’età medievale, quando molti bambini nascevano morti o morivano prematuramente. Non essendo stati battezzati in tempo, i bambini non potevano così accedere al Paradiso e il loro destino era l’Inferno. Secondo un’altra leggenda, d’ispirazione medievale, questo luogo era sede di una locanda dove solitamente vi soggiornavano banditi, assassini e briganti delle zone vicine. Queste frequentazioni attirarono l’attenzione del Diavolo stesso, che non esitò ad intrattenersi e a stringere patti con questi loschi figuri, per poi aprire una profondissima buca e tornare all’Inferno.
Uscendo da Casa del Diavolo si percorre la E45 e poi la strada provinciale 174 e dopo circa 19 km si arriva a Perugia.

 

cosa vedere a perugia umbria

Perugia

Perugia

Nota per le mura difensive, il Palazzo dei Priori e la Fontana Maggiore, Perugia è il capoluogo di Regione. La leggenda che caratterizza maggiormente questa città è quella che vede coinvolta anche Narni. Si narra infatti che, in epoca medievale, un Grifo, creatura dal corpo di leone e testa di aquila, tormentava gli abitanti e faceva razzia di animali dei due centri cittadini e delle campagne circostanti. Perugini e narnesi allora unirono le forze, mettendo da parte la loro rivalità, per eliminare questa bestia che alla fine, dopo dure battaglie, fu catturata. Come trofeo Perugia prese la pelle e Narni il corpo scuoiato. Da qui l’origine degli stemmi: Perugia, Grifo bianco (la pelle) in campo rosso e, Narni, Grifo rosso (il corpo scuoiato) in campo bianco.
La tappa successiva, dopo circa 20 minuti di auto, è Assisi.

Assisi

È qui che, nel 1180, nacque Francesco divenuto Santo e fondatore dell’Ordine dei Francescani. Intorno a San Francesco si mescola storia e leggenda, così agli oltre 40 miracoli riconosciuti dalla Chiesa, si aggiungono altrettante leggende che lo vedono protagonista. Vediamone una tra le più rappresentative: quella del pesce.
Si narra che un pescatore, vedendo passare Francesco, lo avesse fermato e gli avesse regalato una tinca appena pescata. Francesco accettò il regalo, ma rigettò la tinca in acqua ed iniziò a cantare le lodi di Dio. La leggenda racconta che il pesce rimase vicino al Santo a giocare e ad ascoltare le lodi e che, appena gli fu dato il permesso, tornò libero tra gli altri pesci. Ad Assisi non ho resistito a comprare i Baci, morbidi pasticcini con pasta di mandorle e granella di pistacchio e il Bocconcello, focaccia biscottata arricchita da formaggio. Continuando sempre in direzione sud, dopo circa 15 minuti arriviamo a Spello.

 

Spello

Spello

Spello è un borgo ricchissimo di storia e di arte, carico di tradizioni ma anche di leggende. La più famosa è quella legata alla figura del paladino Orlando, il celebre compagno dell’Imperatore Carlo Magno. La leggenda vuole che Orlando passasse per Spello e, nonostante la sua fama fosse grandissima, non fosse riconosciuto dagli abitanti del luogo e così rinchiuso dalle guardie in una specie di prigione. Una volta accortisi chi veramente era, gli spellani lo liberarono e lo nominarono protettore della città.
Un segno del leggendario passaggio di Orlando a Spello lo troviamo nelle mura, dove c’è un’epigrafe che allude all’eroe. A Spello ho fatto acquisti in una salumeria; palle del nonno e ciauscolo. Le avrei provate in serata, terminato il viaggio, anche se dall’aspetto mi era venuta voglia di provarle subito.
Neanche 10 minuti di auto e giungiamo a Foligno.

Foligno

Terra mistica l’Umbria, dove molti racconti, tramandati anche per via orale, hanno origini che si perdono nella memoria. Foligno per la sua posizione è considerata, fin dai tempi antichi, lu centru de lu munnu e i suoi abitanti, oltre a chiamarsi folignati si chiamano pure Cuccugnau, cioè civetta. Ci sono tre leggende che spiegano questo appellativo. La prima fa riferimento alle monete d’oro fabbricate nella zecca di Foligno e chiamate occhi di civetta. La seconda narra di una colomba di cartapesta fatta calare dal campanile della cattedrale durante la festa di Pentecoste, ma più che una colomba assomigliava a una civetta. La terza leggenda ci parla invece di come i folignati fossero degli esperti nella caccia alla civetta.
Dopo appena 12 km arriviamo a Trevi.

Trevi

Continua così il nostro viaggio attraverso le meraviglie e le leggende dell’Umbria. Nel Comune di Trevi, ma non semplicissima da trovare e tra l’altro completamente immersa nella vegetazione, si trova un luogo di culto affascinante ma anche dimenticato: l’Abbazia di Santo Stefano in Manciano. Quasi totalmente divelta, di essa oggi rimangono parte delle mura, una parte della cripta e dell’abside. Attorno a questa chiesa aleggia una leggenda che la vorrebbe come sede di un tesoro nascosto. Si narra che i monaci ivi residenti fossero talmente ricchi e pieni d’argento da poter ferrare con questo metallo i propri cavalli. La leggenda continua a narrare che i lupi, mentre attaccavano i cavalli, spaventati per la luminosità dell’argento, scapparono via senza colpo ferire. Si dice che questo tesoro è ancora sepolto sotto l’Abbazia.
Passeggiando tra gli oliveti è obbligo visitare anche il Santuario della Madonna delle Lacrime e, a proposito di oliveti, non può mancare l’acquisto di una bottiglia d’olio extravergine, il più rinomato dei prodotti tipici trevani. Con una bottiglia di Trebbiano e con del sedano nero ho terminato i miei acquisti enogastronomici.
Dieci minuti di macchina e siamo a Campello sul Clitunno.

 

Trevi

Campello sul Clitunno

Principale caratteristica del luogo sono le Fonti del Clitunno, parco naturale con un laghetto di acque limpide e calme, polle sorgive e salici piangenti. Si racconta che le acque del Clitunno fossero una fonte di purificazione dell’anima: chiunque s’immergeva nel fiume ne usciva migliorato. La leggenda sul Clitunno ci dice che i buoi che si fermavano ad abbeverarsi al fiume ne uscivano con un manto più pulito. Siamo in orario sulla tabella di marcia e lo stomaco comincia a dare segni inequivocabili; abbiamo fame. È ora di trovare un’osteria o locanda e assaggiare i piatti tipici di questa zona. Da queste parti non riesco a rinunciare alla strapazzata con il tartufo, agli strangozzi e alle lumache. Per finire un’ottima porzione di rocciata, dolce che assomiglia un po’ allo strudel. Da bere? Un calice di Sagrantino e uno di Montefalco.

Spoleto

Soddisfatti del pranzo arriviamo a Spoleto, famosa soprattutto per il Festival dei Due Mondi. La leggenda di Spoleto è legata al Ponte Sanguinario. Il Ponte Sanguinario è situato nel sottosuolo, a pochi metri dalla Basilica di San Gregorio Maggiore, l’ingresso è possibile grazie ad una breve scala che si interra sotto il piano stradale.
La leggenda narra che, intorno al II secolo d.C., viveva a Spoleto un giovane nobile di nome Ponziano che iniziò a predicare la religione dei cristiani. Le politiche anticristiane dell’epoca erano implacabili e anche Ponziano non fu risparmiato dalle persecuzioni. Condotto sul ponte che al tempo conduceva allla via Flaminia oltre il fiume Tessini, venne decapitato. La testa mozzata raggiunse il luogo dove poi è sorta la chiesa e prese a zampillare una fonte di acqua purissima.
Percorrendo la strada statale 685 in 50 minuti arriviamo a Norcia.

 

Norcia

Norcia

Norcia è posta a 600 metri s.l.m. ed è inserita nel comprensorio del Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Sappiamo quanto è stata colpita dal terremoto del 2016 ma il carattere tenace dei suoi abitanti la riporterà a nuovi splendori. Norcia è soprattutto famosa per le sue norcinerie piene di prosciutti, salsicce e ogni ben di Dio. Famosa altrettanto per il tartufo, le lenticchie, la pasta alla norcina, la birra dei monaci benedettini e i coglioni di mulo, il salume irriverente. La birra me la sono comprata direttamente dai monaci presso il Monastero. La Guida alle birre d’Italia l’ha definita imperdibile!
La leggenda che avvolge il Parco Naturale è la leggenda della Sibilla. Secondo la comune credenza, lungo le pareti dei monti si troverebbe la grotta, luogo ora incantato ora stregato in cui una fata o una megera riceveva la visita dei più coraggiosi che volevano conoscere il proprio futuro. Dopo secoli di favole tramandate della grotta non resta che un cumulo di macerie e un’infinità di teorie si sono sviluppate intorno a questa favola magica. Da notare che la leggenda si è diffusa in tutta Europa grazie al romanzo cavalleresco Il Guerin Meschino.
Uscendo da Norcia s’imbocca la strada provinciale 477 e dopo 18 km si arriva a Forca Canapine.

Forca Canapine

Innanzitutto c’è da specificare bene che Forca Canapine non ha niente da condividere con la Foce di Canapino. I nomi sono simili ma i luoghi sono distanti. La Foce di Canapino non è altro che un impegnativo fuoripista dell’appennino tosco-emiliano, sconosciuto a molti. Forca Canapine invece è un valico stradale dell’appennino umbro-marchigiano situato sui monti Sibillini, ad un’altezza di 1541 metri s.l.m.; siamo quindi sul confine tra Umbria e Marche. Il toponimo deriva da due termini: Forca che vuol dire valico, mentre Canapine fa riferimento alla coltivazione e alla raccolta della canapa. Interessante notare che la località fa parte dell’itinerario del Sentiero E1 che congiunge Capo Nord a Capo Passero, in provincia di Siracusa.
Con un passo siamo nelle Marche.

 

Forca Canapine

Arquata del Tronto

Percorrendo la strada provinciale 64, poi la strada statale 685 e ancora le strade provinciali 230 e 129, in circa 25 minuti arriviamo ad Arquata del Tronto, provincia di Ascoli Piceno.
È un piccolo Comune di poco più di mille abitanti ed anche questo è stato gravemente danneggiato dal terremoto del 2016. Anche Arquata ha la sua leggenda. Si narra infatti che il locale castello sia infestata da fantasmi, o meglio, da un fantasma femminile. La leggenda racconta che il re Giacome di Borbone rinchiuse la moglie e regina Giovanna II d’Angiò nella torre più alta del maniero dopo averla dichiarata pazza perché più volte macchiatasi del peccato di lussuria. Si dice che, in base alla qualità della prestazione, la regina aveva il potere di dare in pasto ai lupi i pastori che non raggiungevano la sufficienza sotto le lenzuola. Povero Giacomo di Borbone! Giovanna II D’Angiò abiterebbe ancora dentro quelle mura sotto forma di fantasma; qualcuno dice ancora di sentire dei rumori sinistri riecheggiare dalla rocca.
Dopo circa 12 km, percorrendo la provinciale 129 e la statale 4, arriviamo alla nostra ultima tappa: Acquasanta Terme.

 

Acquasanta Terme

Acquasanta Terme

Acquasanta Terme è un comune di 2600 abitanti in provincia di Ascoli Piceno e si trova nel comprensorio del Parco Nazionale del Gran Sasso. Già il nome della località è un programma: dal sottosuolo infatti sgorga un’acqua termale sulfurea alla temperatura di 38 gradi. Il territorio poi è ricco di tesori artistici e di principale interesse sono il Castel di Luco e il monastero di San Benedetto in Valledacqua. La piccola leggenda di questo paese vuole che le sue terme abbiano dato sollievo, nel 712, a un console romano, tanto che da quel momento vennero segnate sulla mappa per curare i feriti dopo le battaglie.

Con questo itinerario, che consiglio veramente a tutti ma specialmente ai forestieri, sono riuscito a unire il Diavolo (Casa del Diavolo) con l’Acquasanta (Acquasanta Terme). Buon Viaggio!

Un viaggio lungo 7.000 km, 2 anni e mezzo e 354 tappe: i ragazzi di Va’ Sentiero riprendono il loro percorso attraverso il sentiero più lungo del mondo, il Sentiero Italia. Prima tappa: Visso-Norcia.

Definito dalla CNN «Il più grande tra i grandi cammini», il Sentiero Italia è l’alta via che percorre le catene montuose dello Stivale, collegando tutte le regioni (comprese quelle insulari) e oltre 350 borghi montani. Un percorso, lungo otto volte il Cammino di Santiago, è stato realizzato circa una trentina di anni fa dall’Associazione omonima e dal Club Alpino Italiano, ma è stato, col passare del tempo, pressoché dimenticato. Fino al 2018, quando il CAI ne annuncia il progetto di restauro, attraverso non solo interventi di ripristino del tracciato e della segnaletica, ma anche tramite una serrata campagna di promozione.

 

Il percorso, courtesy of www.vasentiero.org

Il progetto Va’ Sentiero

È proprio nel tratto centrale di questo percorso che sfiora i 7.000 km che incontriamo i ragazzi di Va’ Sentiero, la spedizione che, nel maggio 2019, è partita da Muggia (TS) per attraversare prima tutto l’arco alpino e poi discendere verso le estremità dello stivale, in nome dell’amore per la montagna e del turismo lento, nonché della volontà di rispettare le peculiarità locali e di contribuire al sostegno del tessuto socio-economico di aree interne in via di spopolamento. Il progetto, nato dalle menti dei fondatori Yuri Basilicò, Giacomo Riccobono e Sara Furlanetto, è basato su due principali sfumature del termine condivisione, quella digitale – attraverso il racconto in tempo reale sui social (Facebook, Instagram) e di media partner di primo livello (Touring Club Italiano, Radio Francigena, Gazzetta dello Sport) – e quella fisica. Chi vuole, infatti, può aggregarsi per una o più tappe, così da creare spazi di condivisione per idee, progetti e storie di vita, nonché per camminare qualche ora in compagnia circondati dalla bellezza autentica dei paesaggi italiani.

 

I ragazzi di Va’ Sentiero sulla cima del monte Patino (Norcia)

Il collante dei luoghi spezzati

In apertura del secondo anno di progetto – sebbene slittato di qualche mese a causa del Covid-19 – si sono poste tappe a cavallo tra Marche, Umbria, Abruzzo e Lazio, in zone che recano ancora gli evidenti segni di un terremoto devastante e dove la presenza umana sembra sia stata quasi sopraffatta dalla natura. Norcia, Castelluccio di Norcia, Arquata del Tronto, Accumoli, Colle d’Accumoli e Campotosto sono luoghi in cui l’unica forma di turismo possibile è ormai quello lento, che permette di stare a contatto con la natura, di mangiare buon cibo e di fare esperienza di rapporti umani più genuini.

E allora il passaggio dei ragazzi di Va’ SentieroYuri Basilicò, guida del team sul sentiero e coordinatore del progetto; Sara Furlanetto, fotografa e responsabile della comunicazione; Giacomo Riccobono, ufficiale logistico; Andrea Buonpane,  videomaker; Francesco Sabatini, cambusiere e responsabile della ricerca culturale; Martina Stanga, social media manager, Giovanni Tieppo, driver del furgone – assume qui un valore ancora maggiore, tanto da coinvolgere anche sezioni locali del CAI e associazioni come Trekkify (Perugia), Arquata Potest e Monte Vector (Arquata del Tronto, AP), Il Cammino delle Terre Mutate (Roma) e Discover Sibillini (Macerata).

 

Parco Nazionale Monti Sibillini, foto di Sara Furlanetto

Una sfida su più fronti

Si tratta senza ombra di dubbio di un’enorme sfida. Non solo fisica – i ragazzi hanno già affrontato forti nevicate, uragani, pioggia, zecche, tendiniti, infiammazioni e vesciche – ma anche personale, data dalla difficoltà del percorso e dal fatto di trovarsi sotto i riflettori, tutti insieme, per almeno sette mesi all’anno. Di grande aiuto, in questo senso, sono l’accoglienza data dalle comunità locali e il sostegno della community di oltre 40.000 followers, nonché quello della campagna di crowdfunding e degli sponsor (Montura, Ferrino, Oxeego, Lenovo, Motorola, Fondazione Cariplo, F. Carispezia, Wonderful Outdoor Week, F. di Venezia, F. Agostino De Mari, F. CariLucca, F. dei Monti Uniti di Foggia ed EOM Italia).

Ma c’è anche un’altra sfida, forse la più grande: far conoscere un percorso unico al mondo, capace di unire l’Italia nonostante le sue differenze, godibile attraverso un punto di vista privilegiato, quello della montagna. «Il nostro sogno è che il progetto sia il seme per una svolta nell’approccio dei giovani alla montagna. Siamo consapevoli si tratti di un percorso impegnativo: la montagna stessa è una strada in salita. Ma Walter Bonatti, cui dedichiamo il progetto, disse che “chi più in alto sale, più lontano vede”. E noi proprio là puntiamo, in alto!» dichiara Sara Furlanetto, co-founder di Va’ Sentiero.

E noi, vedendo quanto coinvolgimento, quanta speranza e quanto senso comunitario ha scatenato tale impresa, non possiamo che essere d’accordo con lei.

«Vi assicuro che non bisogna che tiri vento perché si sarebbe in grandissimo pericolo. Anche senza vento si prova grande orrore a vedere la vallata da tutti i lati e in modo particolare a man destra; perché essa è così tanto orrida per il precipizio e l’altezza che ben difficile da credere (…) perché se per disgrazia il piede manca, non c’è altra forza se non quella di Dio che potrebbe salvarlo». (Antoine de la Sale, Il Paradiso della Regina Sibilla)

Il vento è senza dubbio una delle caratteristiche predominanti dei Monti Sibillini, con quel soffio insistente e prepotente che sembra trasportare nell’aria una voce arcana, dal sapore talvolta sinistro, lassù, in quel massiccio che svetta imponente fra l’Umbria e le Marche, in una zona duramente colpita dal recente sisma, ma che serba, immutate, bellezza e meraviglia.

 

Sibilla Appenninica di Adolfo de Carolis

L’intelligibile oracolo

Proprio lassù, fra il Monte della Sibilla, le gole dell’Infernaccio e il Lago di Pilato, aleggiano storie e leggende antiche, che si tramandano, si intrecciano e si trasformano di generazione in generazione e mantengono ancora oggi un fascino magico e ammaliatore. Già dall’antichità il Monte Sibilla suscitò interesse e attenzione da parte dei popoli di tutta Europa perché si pensava che, in prossimità della sua cima, si aprisse una grotta, dimora di un antico oracolo, la Sibilla appunto.
Sappiamo come il culto della Sibilla sia infatti molto antico, risalente all’epoca classica, durante la quale le Sibille erano profetesse che fornivano predizioni dal significato ambiguo, affidandole alle foglie sparpagliate dal vento.
Fra le dieci Sibille classiche non compare però la Sibilla appenninica, quella che ha dato il nome ai nostri monti. Che il suo mito abbia avuto origine, come sostengono alcuni studiosi, dalla divinità frigia Cibele, la Grande Madre, la dea della natura e della fecondità che possedeva il dono della profezia?
O forse è posteriore, risalente al Medioevo, quando le divinità pagane si trasformano in profetesse cristiane? Che sia proprio lei, la “nostra” Sibilla, quella che la leggenda vuole abbia predetto la nascita di Cristo e che poi, offesa perché Dio scelse Maria come madre del Redentore, si ribellò a lui che la confinò per punizione in quella grotta sperduta?

Il doppio volto della Regina

Il primo a parlare della Sibilla Appenninica, nel 1430, fu Andrea da Barberino, con il suo romanzo Guerrin Meschino, un cavaliere che si recò al cospetto della Sibilla nel tentativo di farsi svelare l’identità dei suoi genitori, mai conosciuti. Da questo momento in poi la Sibilla iniziò ad assumere le sembianze della regina crudele e ammaliatrice, la seduttrice in grado di portare un uomo alla rovina, allontanandolo da Dio e dai suoi precetti. E se Guerrin Meschino riuscì a resistere alle sue lusinghe e, dopo un anno, a fuggire dall’insidioso regno e a ottenere il perdono da parte del Papa, non successe altrettanto al cavaliere germanico narrato pochi anni dopo da Antoine de La Sale nella sua opera Il Paradiso della Regina Sibilla. Il cavaliere giunse nella grotta della Sibilla per spirito d’avventura, ma rimase irretito dalle sue arti ammaliatrici tanto che solo con grande fatica, riuscì a fuggire. Recatosi anch’egli dal Papa per chiedere il perdono per i suoi peccati, restò sconvolto dall’esitazione da parte del pontefice nel concedergli la sua indulgenza e, disperato, tornò nel regno della Sibilla senza farne mai più ritorno.
La leggenda popolare vuole comunque la Sibilla come una fata buona circondata dalle sue ancelle, le Fate Sibilline, che escono dalla grotta prevalentemente di notte nei paesi di FoceMontemonacoMontegallo, tra il Pian Grande, il Pian Piccolo e il Pian Perduto di Castelluccio di Norcia e Pretare, con l’obbligo di dover far ritorno prima del sorgere del sole. Pare che una volta durante un ballo abbiano perso la cognizione del tempo e, precipitatesi ormai troppo tardi sulla strada del ritorno, correndo disperatamente con i lori piedi caprini, abbiano formato la Strada delle Fate, una faglia a 2000 metri sul monte Vettore.

 

sibilla

Disegno di Antoine de La Sale

Un luogo consacrato al diavolo

Miti e leggende, nati probabilmente per la necessità di comprendere e, per certi versi, giustificare la conformazione impervia e imponente di un territorio che nei secoli ha affascinato e al contempo spaventato gli abitanti e i forestieri che si sono trovati ad affrontarne la complessità.
E così il lago di Pilato, bellissimo quanto impervio è il cammino per raggiungerlo, diventò il terribile luogo dove fu condotto Ponzio Pilato che, legato a un carro di buoi per volere dell’imperatore Vespasiano, fu trascinato dagli animali impazziti proprio in fondo al piccolo lago “occhialuto”, dove annegò. Molti scrittori e poeti parlano del lago di Pilato come di un luogo consacrato al diavolo, meta prediletta di maghi e negromanti e Giovan Battista Lalli nel Seicento lo descrive così: «L’un l’altro lago tenebroso e nero/ Ove di spiriti immondi acqua spumante/ Accoglie un nembo abbominoso e fiero».
Per fortuna il grazioso laghetto alpino, l’unico degli Appennini, è ancora lì, e contrariamente a quanto sembrava dopo il terremoto del 2016, seppur con qualche contraccolpo, gli occhiali più originali del mondo continuano a osservarci dalla cima del monte Vettore.
Chi ama le escursioni e la maestosità della natura, perché no, dal sapore un po’ magico e un po’ fiabesco, non perda l’occasione di addentrarsi in questi luoghi unici, magari partendo da Castelluccio di Norcia che, a proposito di leggenda, pare fosse la meta prediletta delle Fate della Sibilla durante le loro movimentate fughe notturne.

 


Andrea da Barberino, Guerrin Meschino

Antoine de la Sale, Il Paradiso della Regina Sibilla)

http://www.sibilliniweb.it/citta/la-sibilla-appenninica/

http://www.lifemarche.net/grotta-sibilla-linterpretazione-leggenda.html

http://ilcastellodelsole.blogspot.it/p/la-sibilla-appenninica.html

http://www.coninfacciaunpodisole.it/index.php/sibillinisegreti-il-blog-tour/189-sulle-tracce-della-sibilla-appenninica

Monti Sibillini, le più belle escursioni – Alberico Alesi e Maurizio Calibani (Società Editrice Ricerche)

 

Per saperne di più su Norcia

«ScheggiAcustica nasce dalla volontà di valorizzare i luoghi più particolari e affascinanti del territorio di confine tra l’Umbria e le Marche, molto bello ma poco conosciuto».

L’ottava edizione di ScheggiAcustica – I Luoghi da Ascoltare andrà in scena dal 5 al 9 agosto nello scrigno dell’entroterra fra Umbria e Marche. Il format conferma cinque giornate con eventi e protagonisti, dove cruciale è la simbiosi tra luoghi, musica e pubblico che il festival ha sempre sperimentato, favorendo il coinvolgimento di artisti e spettatori in magnifiche location. Mattia Pittella, ideatore di ScheggiAcustica, e presidente dell’Associazione Musicale Culturale Tuttisuoni ci svela i segreti dell’evento.

 

Com’è nata l’idea di questo particolare festival?
Ho sempre desiderato realizzare un’esperienza che coniugasse la mia infanzia e adolescenza in Umbria e la mia formazione professionale in Nord Italia. Da qui anche l’idea di un’occasione per raccogliere giovani talenti e nuove energie rimaste finora inespresse e di ospitare tanta gente da fuori, anche stranieri, a partire dagli stessi artisti, che diventano i primi a scoprire le bellezze – ad esempio del Parco del Monte Cucco e di borghi come Pascelupo o il Castello di Frontone, giusto per citarne alcuni. Ho una grande passione per l’acustica, che deriva anche dal lavoro che svolgo. Di conseguenza ho sempre pensato che un modo per poter riscoprire questi luoghi fosse proprio quello di mostrarne le potenzialità acustiche. Un luogo su tutti è l’Abbazia di Sitria. È magica. Un luogo dove puoi parlare tranquillamente con un’altra persona a 20 metri di distanza! Ricordo che, durante una mia esibizione in questo scrigno meraviglioso, mi resi conto che la sua acustica era eccezionale. Così, una decina di anni fa, nacque tutto…

 

Tre parole per descrivere quest’evento?
Va da sé: Luoghi da Ascoltare!

 

 

Sono otto anni che va in scena questo festival. Cosa lo caratterizza?
Valorizza proprio i luoghi più belli e insoliti, rendendoli i veri protagonisti del festival, con un punto di partenza del tutto particolare: l’acustica degli stessi. A quanto pare sembra che il concept funzioni ogni volta un po’ di più, tra l’altro anche con alcuni tentativi di imitazione provenienti da più parti. In più, il territorio di confine tra Umbria e Marche, può – e deve essere – una risorsa turistica e culturale per entrambe le regioni e il nostro obiettivo è fare il possibile affinché ciò accada: quando certi luoghi così belli vengono conosciuti o riscoperti, poi, in genere, “funzionano”.

Qual è il filo conduttore di quest’anno?
Il viaggio: in un festival così legato al territorio, c’è la possibilità di viaggiare attraverso i suoni e le suggestioni di diverse culture, spaziando dall’Africa all’Oriente, passando per una ballata messicana, un tango argentino e un valzer siciliano. Quindi è un percorso che porta con sé musica folk e popolare da tutto il mondo.

Quali sono gli eventi da non perdere?
È difficile dire quale evento sia imperdibile rispetto ad altri… Ogni momento è pensato come un “incastro” ideale tra luogo-evento-partecipanti. Sicuramente la giornata di domenica 6 agosto sarà molto intensa, perché si comincia la mattina presto con un’escursione nel Parco del Monte Cucco e nella zona del Catria verso Fonte Avellana, poi c’è lo yoga nella splendida Abbazia di Sitria, un seminario di canto e voce, steet food all’aperto e un concerto nel tardo pomeriggio a Sassoferrato.

L’ospite più atteso?
Forse l’ospite imperdibile in assoluto sarà di scena mercoledì 9 agosto al Castello di Frontone: Gafarov e la sua ensemble, La stella d’Oriente, musicista azero molto noto e davvero interessante per concludere il giro del mondo di ScheggiAcustica 2017. Ma, appunto, per concluderlo al meglio prima andrebbe intrapreso in ogni sua tappa.

Gafarov

Ci sono novità rispetto alle passate edizioni?
Gli eventi collaterali mattutini e pomeridiani: dal 2016 abbiamo intrapreso un nuovo approccio alla programmazione, cercando di far vivere i luoghi in modi e orari diversi rispetto a quelli consueti. Quest’anno c’è una novità assoluta, come l’escursione mattutina da Isola Fossara all’Abbazia di Sitria passando per i sentieri e sfiorando anche Fonte Avellana. Oppure le pratiche yogiche e lo street food con piadineria, oltre alle ormai consolidate master class. Come artisti, oltre a Gafarov, stupirà Camilla Barbarito con musiche, canti e balli popolari da ogni latitudine. E per i luoghi, oltre ai confermati, riscopriremo il centro storico di Scheggia, dove manchiamo dall’edizione 2014 e, per la prima volta, saremo al Chiostro di Palazzo Merolli a Sassoferrato. In un’edizione dedicata soprattutto alla musica folk e popolare, l’itinerario del festival non può che virare verso scenari più “centrali” rispetto agli abitati principali dei Comuni che andrà a toccare.

Il programma completo: www.scheggiacustica.it