«Come sempre sto lavorando alla pittura ma anche a dei progetti paralleli, forse è più esatto dire intrecciati, in cui le riflessioni sullo spazio, sul tempo, sulla natura della visione vengono assunte anche attraverso le istallazioni, la scultura, la scrittura».
Danilo Fiorucci è nato a Perugia dove vive e lavora. Si è diplomato all’Accademia di Belle Arti Pietro Vannucci di Perugia con i docenti Nuvolo, Antonio Gatto, Bruno Corà e Aldo Iori. Nel 1989 ha fondato l’Associazione Arti Visive Trebisonda insieme a Moreno Barboni, Lucilla Ragni e Robert Lang. Intraprende poi un’intensa attività espositiva e organizzativa con mostre in Italia, Germania, Stati Uniti e Israele tra cui ricordiamo: Premio del Golfo 2006 Biennale Europea Arti Visive Camec La Spezia; XV Quadriennale di Roma Palazzo delle Esposizioni; Stemperando Biennale di pittura su carta Biblioteca Nazionale di Roma e Padiglione Italia Biennale di Venezia, Sala Nervi, Torino. Oggi collabora alla realizzazione di numerose esposizioni curate dall’Associazione Trebisonda presso l’omonimo centro per l’arte contemporanea.
I suoi dipinti sono evanescenti ed eterei, dalle pennellate fluide e veloci. Qual è stata la spinta che l’ha avvicinata al mondo dell’arte?
È difficile rintracciare un momento preciso. Non c’è dubbio che la mia infanzia – e credo valga per tutti – era pervasa da questa capacità di costruire mondi, attribuire alle cose una propria vita, una inesauribile spinta generatrice; poi c’è stato l’incontro con il colore, il segno, la forma. Da questa condizione iniziale è scaturita una curiosità inesauribile nei confronti dell’arte, un assorbimento continuo d’immagini, di storia, di pensiero; successivamente la formazione e l’incontro con compagni sodali con cui scambiare e confrontarsi.
Nelle sue opere è spesso presente il colore nero, il bitume corposo degli sfondi che guida costantemente lo sguardo nella profondità, in cui la luce è la forza generatrice. Ci racconta come nascono le sue opere?
La mia pratica nella pittura, fiume sotterraneo e continuo, si muove da un’originaria necessità di evidenziare la profondità dello sguardo. I primi lavori apparentemente monocromi erano ottenuti da un susseguirsi di velature per produrre addensamenti e punti di luce; una visione in immersione, ho cercato di essere dentro la pittura e non di fronte superando il modello prospettico. Questa modalità è andata avanti per anni, lo scarto è avvenuto ribaltando il processo, partendo quindi da una oscurità abissale (progetto cosmico) per rintracciare la luce originaria. Tecnicamente il lavoro procede sempre per velature e sovrapposizioni che producono non solo spazio ma temporalità.
Se posso chiederlo, a cosa sta lavorando in questo periodo?
Come sempre sto lavorando alla pittura ma anche a dei progetti paralleli, forse è più esatto dire intrecciati, in cui le riflessioni sullo spazio, sul tempo, sulla natura della visione vengono assunte anche attraverso le istallazioni, la scultura, la scrittura. Sto sviluppando per esempio un progetto, Lo Spazio assente, che ragiona sul vuoto, sulla centralità di questa tematica nell’arte contemporanea. Credo di aver aperto il vaso di Pandora tali e tante sono le direzioni percorribili…
Vorrei concludere chiedendole di lasciarci con una parola su cui meditare, che per lei rappresenti il connubio tra la sua arte e l’Umbria.
Se tra queste colline intermedie tra Toscana, Umbria e Marche è nato il Rinascimento credo che la parola giusta sia armonia.
Giulia Venturini
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