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Nella seconda parte dello studio, realizzato da una nostra lettrice sulla condizione della donna nel 1500 a Bevagna, si analizzano quattro capitoli che regolano l’attività lavorativa esercitata dalle donne, le quali venivano sottoposte dal podestà al vincolo del giuramento.

Il capitolo XVIII fornisce disposizioni, compensi e sanzioni relativi ai fornarii et fornarie Terre Mevanie, il capitolo XLI stabilisce le norme di comportamento per le panettiere e per chi vende il pane, si prosegue al capitolo XLII con il settore delle pizzicarole e infine il capitolo CLXXVIII tratta dello stipendio delle tessitrici.

Il lavoro della donna era dunque indirizzato alla produzione e al commercio di cibi e tessuti, tra i pochi ad essere retribuiti. La fornaria, la panifocula, la piçicarella e la textrix rappresentavano il prolungamento dell’attività domestica, riservata unicamente alle donne, le quali riuscivano così, sebbene in una posizione subalterna, a inserirsi nella vita economica. Inoltre sembra abbastanza evidente che in questi settori lavorativi gli obblighi e le pene tra esercenti uomini e donne erano le stesse, ma a quest’ultime non venivano riconosciuti, in linea di massima, gli stessi livelli salariali e le stesse opportunità di associazione. Inoltre, un dato che ricorre spesso per queste categorie di lavoratrici era il divieto di esercitare l’attività lavorativa con la rocca alla cintura, di filare con essa, tenere bambini in braccio o nella culla accanto a sé.  Risulta probabile che il filare era, come sostengono le storiche Casagrande e Nico Ottaviani, «una sorta di sfondo lavorativo costante» a queste attività.

Statuto di Bevagna del 1500

Direttive sulla prostituzione

Tra i lavori femminili presi in considerazione dallo statuto, c’è anche quello della prostituzione, considerato tra tutti il meno decoroso, regolamentato al capitolo CXCIII, dove viene fissato il luogo di esercizio del mestiere. In esso veniva stabilito che alle pubbliche meretrici non era consentito stare nella via che si trova tra la vigna Nicole Antelutii e la proprietà della chiesa di San Vincenzo e nel distretto di Bevagna, se non verso Foligno fuori dai confini stabiliti. Colei che avesse trasgredito sarebbe stata punita, dal podestà o dai suoi collaboratori, per direttissima con una multa di 10 soldi e fustigata per tutta Bevagna. Nei confronti dell’attività del meretricio, l’atteggiamento della società medievale era abbastanza ambiguo; infatti, anche se il fenomeno non fu mai visto di buon occhio, come si poteva desumere dalle numerose leggi che tentavano di contrastarlo per tutelare il decoro cittadino e la salvaguardia delle donne di buona fama, restava comunque sempre tollerato. A testimoniare la loro emarginazione, non solo urbanistica ma anche sociale, per le prostitute facevano eccezione alcune leggi suntuarie; infatti i divieti che in genere venivano imposti alle donne di buona fama potevano essere da esse disattesi. Era concesso loro di truccarsi, di indossare abiti e gioielli, in particolare gli orecchini, senza alcun limite o regole e senza rispettare quel che si imponeva invece alle donne di buon costume. In realtà queste libertà erano un segno distintivo del loro status e dunque uno strumento di emarginazione; è noto come in alcune città, potevano farsi vedere solo di sabato, giorno in cui si svolgeva il mercato, con l’obbligo di indossare un cappello con un sonaglio che desse una connotazione immediata alla loro identità.

Si cambia decisamente argomento nel capitolo XXXIII del terzo libro dove si stabiliscono le norme di tutela a favore delle donne povere. In esso si dichiara che nessuna donna che non abiti con un maschio di almeno quattordici anni e che possiede beni per un valore di 100 libbre di denaro, sia costretta a partecipare alle spese per i lavori del comune o alla custodia della Terra di Bevagna, o ad andare nell’esercito, né sia soggetta ad alcun’altra incombenza. Nel capitolo C si prosegue con una norma di ordine pubblico che negava il permesso di uscire di notte dal primo maggio al primo novembre né, in qualsiasi altro periodo dell’anno, dopo il terzo suono della campana, fino al suono che annuncia il giorno. Fanno eccezione le donne che portano il pane al forno o che vanno a visitare i malati, le fornaie o le levatrici, chi va a spegnere incendi o tutte coloro che si recano alla vendemmia. Chi trasgredisce deve essere condannato a pagare ogni volta al comune una multa di 10 soldi di denaro, da sottrarre alla propria dote.

 

Mercato delle Gaite, foto by Facebook

La dote

Il capitolo CLVII interessa nuovamente i beni dati in dote alla donna. Si stabilisce il principio secondo cui i poderi ceduti in dote alle donne sposate fuori Bevagna, debbono essere conservati integri e il comune potrà ricevere da essi giovamento nelle imposte e nelle collette; per questo si ordina che i beni, cioè le case, le terre, i possedimenti non potranno essere venduti, alienati o pignorati senza avere l’espressa licenza ed il consenso di sei consanguinei o di chi ha un vincolo di parentela con le donne, fino al terzo grado. Chiudono questa analisi dei capitoli del terzo libro riguardanti la condizione femminile due rubriche che si inseriscono nell’ambito delle norme suntuarie.

Il primo capitolo a cui si fa riferimento è il CLII dove si danno disposizioni su ciò che la donna in lutto deve indossare. Viene dichiarato che nessuna donna, in occasione della morte di qualcuno potrà dismettere i propri panni e gli ornamenti né dopo un mese, né dopo quindici giorni dalla stessa, sotto pena di 100 soldi per ogni infrazione, a eccezione della madre, moglie, sorella, nipote carnale o cognato. Nel CLXXXIX si dispone che nessuna donna, sposata a Bevagna o nel suo distretto, di qualsiasi condizione sociale, potrà portare il corredo in pezze tessute in testa o sul dorso.

Non potrà avere il corredo infilato nelle stesse pezze tessute, cucito o tessuto insieme, andando oltre la quantità o il valore di 100 soldi e oltre, né abbia la presunzione di farlo, sotto pena di 25 libbre di denari da detrarre dalla propria dote a ogni trasgressione. Vari furono i governi cittadini che si diedero, soprattutto nel tardo medioevo, una legislazione suntuaria per disciplinare le spese e i lussi, ma il più delle volte, non attenuarono la passione di donne e uomini per vesti e ornamenti ricercati. Una delle maggiori occasioni che richiedeva l’obbligo di esibire il lusso quanto più possibile era la cerimonia del matrimonio, rito sociale di rilevanza sempre più centrale, dove l’attenzione collettiva era ai massimi livelli. Se il corredo esibito dalla sposa in occasione delle nozze era il simbolo di quanto fosse distinta e decorosa la propria casata d’origine, non da meno erano gli abiti elargiti dal marito che rappresentavano un pegno della rispettabilità che avrebbe ricevuto nella sua nuova famiglia. Inoltre era tradizione che le due parti si scambiassero doni reciproci e ovviamente ciascuna di esse voleva prevalere sull’altra per far risaltare il proprio stato sociale. La sposa entrava nella casa del marito portandosi dietro tuniche, sopravvesti, maniche, separate dagli abiti per essere cambiate a proprio piacimento, veli, cappelli, scarpe, pantofole, gioielli, borse ed altri piccoli accessori. Quando il corredo cominciò sempre più ad assumere un ruolo di prestigio sociale per la famiglia, crebbe in dimensioni e complessità fino a sostituire il denaro liquido della dote, causando oltre a numerose disapprovazioni, l’intervento di una normativa volta a frenare la nuova tendenza. Infatti, mentre il denaro avrebbe potuto essere utile per le spese affrontate per il matrimonio o per la futura famiglia, le stoffe del corredo sarebbero state soggette alla volubilità e all’esasperata mutevolezza della moda che faceva diventare il corredo prematuramente obsoleto e gli abiti, beni non durevoli, non sarebbero stati utili neanche per essere donati alle figlie. Se dunque la moglie avesse seguito la moda che diveniva sempre più variabile, avrebbe potuto distruggere in brevissimo tempo il patrimonio spettante agli eredi, trascinando la famiglia alla rovina economica. Anche la Chiesa aveva affrontato la polemica contro le donne che usavano trucchi e abiti troppo sfarzosi in molti testi della letteratura didattica e pastorale dalla fine del secolo XII fino a tutto il XV. La donna truccata e vestita sfarzosamente privilegiava l’esteriorità e dunque la cura del corpo a quella dell’anima virtuosa, andando contro quello che era l’equilibrio richiesto da Dio. L’eccessiva cura esteriore andava dunque necessariamente ridotta con una dura e tenace opera di controllo e repressione, in certi casi vietando il trucco e raccomandando alle donne un adeguato abbigliamento.

 


La prima parte

L’azienda magionese, leader nel Centro Italia nel settore della distribuzione diretta al mondo Ho.Re.Ca, della ristorazione e dell’ospitalità, festeggia un compleanno importante, reso possibile da anni di impegno, dedizione, capacità di evolvere e trasformarsi in base alle sempre nuove esigenze del mercato.

Logo 60 anni

Questa lunga storia aziendale, che è anche e soprattutto una storia di famiglia, inizia nel 1962 a Magione, quando Domenico Cancelloni, insieme a sua moglie Imperia, decide di aprire una macelleria che, grazie alla lungimiranza del giovane imprenditore, presto diventa un centro all’ingrosso di prodotti alimentari, già punto di riferimento per molti ristoranti della zona.

Da lì l’ascesa è costante: nel 1995 alla guida subentrano i figli Fabio e Simona (oggi rispettivamente presidente e vicepresidente) e nel 2006, con il superamento di 24 milioni di fatturato, nasce la holding Fa.Si., che detiene Cancelloni Food Service e Innovazione, specializzata nel noleggio in movimento e nell’attività editoriale, con la rivista Orizzonte.

Nel 2007 la Cancelloni Food Service diventa una società per azioni e riesce ad espandere ulteriormente il suo mercato tanto che nel 2019 il suo fatturato sfiora i 60 milioni di euro, con oltre 200 collaboratori, una rete vendita di 60 professionisti, un’offerta che include 10.000 referenze food e non food e 5.000 clienti attivi su Umbria, Toscana, Marche, Lazio, Abruzzo ed Emilia Romagna.

 

 

Fabio e Simona Cancelloni basano il proprio operato sull’innovazione ma anche sulla centralità delle persone, il rispetto dell’ambiente e la valorizzazione del territorio. L’azienda che guidano è da sempre impegnata a offrire un servizio completo e personalizzato, intercettando al meglio le esigenze dei professionisti della ristorazione e cercando di anticipare le richieste del mercato del food service.

Cancelloni Food Service con i suoi 60 anni resta una solida realtà, un punto di riferimento nel tessuto imprenditoriale dell’Italia centrale, pronta a ripartire appieno, all’insegna di quei valori che sono da sempre le linee guida dell’azienda: gratitudine, fiducia e innovazione.

 


www.rivistaorizzonte.com

Ingredienti per 4 persone:

  • 400 g di polpa di maiale tritata
  • 200 g di polpa di vitello tritata
  • 6 cucchiai di pecorino grattugiato
  • 2 uova
  • 1 cucchiaio di pinoli
  • scorza grattugiata di un’arancia non trattata
  • 1 cucchiaio d’uvetta
  • 1/2 cucchiaio di maggiorana fresca tritata
  • 1 spicchio d’aglio
  • 1 l di brodo di carne, possibilmente di gallina
  • 3 cucchiai d’olio extravergine d’oliva
  • sale
  • pepe

Preparazione:

Porre le carni in una casseruola assieme all’olio e farle cuocere. Una volta cotte e raffreddate, porle in una terrina con pecorino, pinoli, scorza d i un’arancia, uva secca, maggiorana e aglio tritato. Salare, pepare e legare con l’uovo. Formare delle polpette, immergerle nel brodo di gallina bollente e cuocerle. Servire ben calde.


Queste polpette, in uso nel perugino il martedì di Carnevale in alternativa alle polpette di fegato, a volte venivanoo fritte e ripassate in umido. Durante tutto l’anno e in tutta l’Umbria, di tanto in tanto si facevano le polpette, ma è difficile ricostruirne le ricette perché, in genere, servivano per non buttare gli avanzi. Quando si poteva, però, per insaporire si metteva la scorza dell’arancia e un po’ di salsiccia.

 

Per gentile concessione di Calzetti & Mariucci Editore

La personale dell’artista perugino sarà visibile fino al 5 marzo alla Rocca di Umbertide. 54 opere e tre nuove installazioni.

La Regina Elisabetta, Gianni Agnelli, spray disinfettanti giganti e la Statua della Libertà tutta nera. Questo, e molto altro, vi aspetta nella mostra d’arte contemporanea Queen Pass dell’artista perugino Massimiliano MaMo Donnari, che si svolge fino al 5 marzo 2022, con il patrocinio del Comune di Umbertide, all’interno della Rocca.

La Rocca di Umbertide

Un drappo che scende dalla torre indica la strada della personale dell’eclettico artista che, con il suo carattere esplosivo, rende viva ogni realizzazione e riesce a trasporre nei suoi personaggi, con le tecniche più disparate e innovative, sentimenti e sogni che esaltano e rendono suggestive tutte le sue opere. Racconta, alla sua maniera, i personaggi del nostro tempo che, grazie al suo estro, sfuggono dal loro ruolo per divertirsi e far divertire tutti coloro che li ammirano: un’ironia che però lancia messaggi importanti e soprattutto contemporanei.
«È la personale più grande che abbia mai fatto, oltre alle 54 opere ci sono anche tre installazioni. L’ironia della mostra parte proprio dal titolo: dobbiamo usare il Green Pass anche per prendere un caffè e allora ho pensato, per accedere alla mostra serve il Pass della Regina, da qui Queen Pass» spiega l’artista. L’inaugurazione si è svolta con circa 280 persone tra mandorle portafortuna incapsulate in provette e M&M’S realizzate per l’occasione con la Regina disegnata.

In giro per la mostra

All’interno della Rocca del 1300 la mostra è suddivisa in tre piani: all’entrata ci accoglie la zona degli spruzzini, proprio a voler dire che, come prima cosa dobbiamo disinfettarci le mani. Qui svetta Upgrade – il famoso spuzzino – esposto già in diverse mostre d’Italia. È un’opera che ha come protagonista il comune spray disinfettante, prodotto diventato improvvisamente prezioso in questo momento storico, rivisto in chiave ironica rievocando l’etichettatura dello Champagne Dom Perignart. Altra installazione imperdibile è la Statua della Libertà nera che in una mano ha la solita fiamma, mentre nell’altra uno spray dal quale tira fuori la sua energia positiva e si riappropria del suo colore originale.

 

Nel primo livello ci aspettano diversi personaggi e ad accoglierci c’è un vecchio cameriere dell’hotel Brufani che, con un cocktail in mano, invita a proseguire la mostra. C’è Gianni Agnelli con i nipoti, Raffaello Sanzio, Donald Trump e Strawberry War, un carro armato che spara fragole. Ma è la Regina Elisabetta la fashion queen indiscussa della mostra e in alcuni quadri sveste i suoi classici tailleur pastello per indossare magliette e jeans. Sull’apice della torre infatti si trovano tutte le regine: Elisabetta con i nipoti vestiti da guardie reali e il suo sarto Domenico Dolce, ma anche la regina della musica Ornella Vanoni e la regina del fashion style Iris Apfel. Gironzolando si scoprono anche le altre opere… ma non vogliamo svelarvi troppo!

 

«Oltre alla mostra, ho creato anche un nuovo catalogo che si chiama sempre Queen Pass; si tratta un volume ricco di suggestioni in cui hanno dato il contributo varie personalità (Matteo Grandi, Michele Fioroni, Michela Proietti, Carolina Cucinelli, Enrico Vanzina, Eugenio Guarducci, Simona Esposito Elisabetta Furin, Daniele Corvi, Umberto Maiorca, Angelo Bacci e Fabio Marcelli) prese in prestito dagli ambienti più disparati per connotare le mille sfaccettature della mia arte. In questi due anni di stop ho creato molto, ho realizzato anche un mio hangar-laboratorio di circa 100 m² all’interno della mia azienda, dove le creazioni prendono vita» conclude MaMo.
Ad aprile la mostra si dovrebbe spostare a Città della Pieve mentre in estate a Todi. Sabato invece (ore 16.30) è previsto un incontro con la scrittrice Eva Grippa che parlerà del suo libro Elisabetta e le altre proprio in linea con il tema della mostra.

 


Per informazioni contattare il numero 075 9413691

«In un mese vengono sfogliate oltre 2 milioni di pagine del sito. Siamo diventati un prodotto editoriale a tutti gli effetti».

Marco Weiss

Il nome Marco Weiss non vi dirà molto, ma se vi dico Mentire di fronte alle spunte blu, sapete di cosa sto parlando – o quantomeno molti di voi lo sanno. Il trentunenne perugino ha creato nel 2014 questa pagina Facebook che pubblica chat divertenti – anche con un piccolo risvolto sociale – inviate direttamente dagli utenti e oggi conta quasi 2 milioni di follower tra Instagram e Facebook. Un’idea nata per caso che è diventata col tempo un prodotto editoriale e un vero lavoro per Marco: «All’inizio ero solo, oggi ho 15 persone che mi aiutano a scegliere tra i migliaia di screenshot che ogni giorno arrivano».

Che cos’è, per chi non lo sapesse, Mentire di fronte alle spunte blu?

È una pagina Facebook collegata a un sito web (SpunteBlu.it) in cui raccontiamo storie – anticipate da una descrizione – che provengono da chat di Whatsapp, Instagram Messenger e Telegram. Oggi tutti usano questi social e spesso si creano racconti a puntate molto divertenti che la gente legge in pochi minuti.

Quando è nata questa pagina?

Nel 2014. All’epoca studiavo psicologia all’università e mi ero accorto che su Facebook nascevano tantissime pagine. Più o meno sempre in quel periodo Whatsapp cambiò le spunte da verdi a blu, questo provocò il panico tra gli utenti; da quel momento era visibile se un messaggio venisse visualizzato o meno. Da qui l’idea di creare – con un gioco di parole – Mentire di fronte alle spunte blu, ispirato anche da un mio amico che non voleva far sapere alla fidanzata che aveva visualizzato un suo messaggio. Io gli consigliai di mentire, da qui il nome! Nel primo giorno di vita siamo arrivati a 20.000 follower. Oggi abbiamo oltre 1.200.000 mila follower su Facebook e 400.000 su Instagram.

Com’è esploso il tutto?

In quel momento Facebook spingeva molto sugli eventi: per lanciare la pagina ho creato un evento divertente che in un giorno ha raccolto 200.000 partecipanti. Da qui ho portato avanti l’idea che alla fine ha funzionato.

Quali sono le chat che hanno più successo?

Sicuramente quella che ha lanciato la pagina è stata la storia di Luca e Cristina. La coppia si era lasciata, ma lei stalkerava il fidanzato con messaggi tragicomici e appostamenti sotto casa. Lui me li ha mandati, li ho pubblicati e in due settimane i follower sono diventati 600.000. Un successo! Siamo finiti nella trasmissione radio Lo zoo di 105 e mi hanno contattato Le Iene. Questo mi ha fatto capire dove poteva arrivare questa pagina, fino a quel momento non lo avevo ben chiaro neanche io.

C’è un argomento che attira di più?

Ovviamente le storie d’amore, fidanzate o fidanzati che litigano, che si lasciano e si insultano, anche se adesso bisogna stare molto attenti con gli argomenti di odio sui social. Però, avendo il sito, i nostri utenti cliccano il link ed entrano, in questo modo siamo un po’ più liberi, anche se Google – col quale abbiamo una collaborazione per la pubblicità – mette delle limitazioni. Ma non sono solo le storie d’amore ad attirare.

 

Al cuor non si comanda  Uno psicogramma che arriva direttamente da Perugia

Quali altre?

Quelle su argomenti più sociali. Durante il lockdown tutto si era spostato sulle chat, dove avvenivano addirittura colloqui di lavoro o richieste di informazioni su un particolare annuncio lavorativo: le risposte erano allucinanti e portavano alla luce problematiche reali come la retribuzione di 2,50 euro all’ora per un lavoro. Siamo diventati così una testimonianza diretta dei problemi attuali della società.

Ci sono stati mai messaggi che hai dovuto censurare?

Sì. A volte arrivano chat di gente che si insulta pesantemente e quindi non possono essere pubblicate.

Spiegaci come avviene la scelta…

Facciamo una selezione, perché arrivano ogni giorno 200-300 chat. Inizialmente ero solo, oggi siamo 15 a fare questo lavoro. Selezioniamo gli screenshot migliori, chiediamo una breve descrizione e censuriamo i dati sensibili, dopo aver chiesto l’autorizzazione alla pubblicazione. In un giorno riusciamo a pubblicare una decina di storie, sia su Facebook che su Instagram.

Ovviamente solo uno dei due interlocutori è a conoscenza della pubblicazione?

Sì. Dall’altra parte c’è sempre una persona all’oscuro di tutto, che diventa una vittima incosapevole, per questo censuriamo cognomi, nomi, vie e tutti i dati sensibili.

Hai mai avuto problemi?

Una volta ho avuto una sfiga tremenda, perché avevo pubblicato la chat tra due avvocati, ho rischiato tantissimo ho eliminato subito tutto perché la vittima si era accorta e mi aveva minacciato in tutti i modi. Gli avvocati che ci seguono sono sempre sull’attenti e pronti a intervenire (ride).

Dall’Umbria arrivano screenshot?  

Qualcosa è arrivato: mi ricordo di una coppia che si era vista al parcheggio del Quasar a litigare, ma la chat era tutta in dialetto perugino e l’ho eliminata perché era anche piena di insulti pesanti e bestemmie.

Pensi che ci sarà un’evoluzione, un cambiamento dei social?

Veniamo da un decennio decisamente social e non so dove si andrà, tutto cambia così velocemente. Sicuramente la cosa positiva è che si stanno creando dei competitor, internet ormai è in mano quasi esclusivamente a Facebook, già la presenza di TikTok è un passo in avanti. Noi ci limitiamo a conoscere come funzionano i social solo in Italia, ma ci sono altre realtà: in Germania ad esempio Facebook è praticamente morto, in Inghilterra si usa molto Snapchat e poi c’è Twitter che va molto di moda all’estero e meno da noi. Quindi è molto difficile capire come si evolveranno e quali saranno i prossimi cambiamenti. I diversi paesi si comportano in modo diverso.

Sono previste novità nella pagina?

C’è in progetto la realizzazione di video o piccoli cortometraggi tratti dai testi delle chat. È un’idea iniziata due anni fa ma la pandemia l’ha bloccata. Abbiamo poi – da più di un anno – una collaborazione con la pagina Commenti Memorabili, e anche con un’agenzia pubblicitaria di Milano. Il sito è diventato un prodotto editoriale a tutti gli effetti con un milione di utenti al mese e 30/40 milioni di pagine visualizzate sempre in un mese. Siamo in crescita e per me è diventato un vero e proprio lavoro.

Ora ce lo puoi confessare: tu menti di fronte alle spunte blu?

Assolutamente no, altrimenti rischierei di finire su Mentire di fronte alle spunte blu (ride).

L’antico linguaggio dell’amore: nel tardo pomeriggio del 14 febbraio è possibile partecipare a visite guidate dedicate all’eros e alla storia dell’acropoli sotterranea di Perugia. Il percorso sarà accompagnato da tre calici di vino della Cantina La Spina.

Cosa si dicevano due innamorati guardandosi negli occhi mentre passeggiavano? Come amavano gli antichi? E come si comportavano sotto le lenzuola nelle loro domus? Vi accompagneremo alla scoperta del mondo dell’amore al tempo di Romani ed Etruschi. Vi aspettiamo per raccontarvi le relazioni amorose del passato immergendovi nella Perugia Sotterranea attraverso le atmosfere e i luoghi di quei tempi.

 


Info per partecipare

Ore: Partenze alle 18:00, 18:30, 19:00

Durata: 1 ore e 15 minuti

Luogo: Perugia Sotterranea, Isola San Lorenzo, Chiostro della Cattedrale di San Lorenzo, Piazza IV novembre

Costo: Biglietto Singolo 20€, Biglietto Coppia 35€

I posti sono limitati e la prenotazione obbligatoria. È possibile prenotare tramite: info@secretumbria.it;  0755724853 – 3701581907

È obbligatorio il Green Pass rafforzato.

Cortona, cittadina aretina, si erge su una collina da cui si può godere di un suggestivo belvedere sulla Chiana Umbra e Toscana e sull’antico lago Trasimeno. Ha, come tanti altri meravigliosi borghi italiani, origini leggendarie che traggono spunto dalla storia.

Cortona è stata una delle dodici lucumonie etrusche, molto florida e potente e con territori molto ampi, come si può evincere dalla Tabula Cortonensis: essi giungevano fino alla costa nord-occidentale del lago Trasimeno. La Tabula, conservata presso il Museo dell’Accademia Etrusca di Cortona, è stata realizzata in bronzo nel II secolo a.C., dove, tra le altre cose, si cita di un vigneto che si trovava nei pressi del Trasimeno. Oltre alla testimonianza che viene riportata nel testo e alla sua lunghezza, che ha aiutato gli studiosi nella miglior comprensione di questa lingua, contiene un paio di rimandi che vogliamo mettere in evidenza: è il più antico documento ritrovato dove si fa riferimento al mondo del vino (un vigneto appunto) e a Tarsminass, il nome etrusco del lago umbro più antico d’Italia, il Trasimeno.

 

Cortona

La leggenda di Dardano

Cortona, l’aretina città che si erge vicino al confine tra Umbria e Toscana, sembra debbe le sue origini a Dardano, figlio di Giove ed Elettra. Virgilio, nella sua Eneide, fa riferimento a Dardano e a Cortona. Seguendo il racconto leggendario, Dardano stava combattendo in un luogo collinare dominante la Val di Chiana e durante il combattimento una lancia tirata da un avversario gli portò via l’elmo. Questo non fu più ritrovato, ma gli aveva salvato la vita. Un indovino raccontò che la Madre Terra se l’era preso a sé, poiché voleva che in quel punto fosse costruita una città inespugnabile e forte, come l’elmo dell’eroe. Allora Dardano costruì le robuste mura, proprio dove aveva perduto il suo elmo, e alla città fu dato il nome di Curtun, poi Corito, dal greco corys, elmo appunto. Da qui Cortona. Quindi il cortonese Dardano si sarebbe recato in Asia, presso lo stretto dei Dardanelli, che da lui prende il nome e, non lontano da lì la sua stirpe avrebbe fondato la mitica Troia. Virgilio, come è noto, racconta nella sua Eneide, che dopo la vittoria greca, il troiano Enea fuggì per mare e dopo un lungo peregrinare approdò nel Lazio dove diede inizio, tramite i suoi successori Romolo e Remo, alla fondazione e alla fantastica storia dell’antica Roma. Per questa incantevole leggenda e grazie al suo epico eroe Dardano, si dice che Cortona è mamma di Troia e nonna di Roma.

Quello che vi proponiamo oggi è la prima parte – ne seguiranno altre – di uno studio fatto da una nostra lettrice sulla condizione della donna nel 1500 a Bevagna.

A dieci anni dalla mia laurea, ricordo ancora quanto fui incuriosita dalla pubblicazione dello Statuto del Comune di Bevagna e ciò che mi spinse a intraprenderne la lettura. Sapere e immaginare come potesse essere la vita bevanate nel lontano Medioevo, nei luoghi dove, figlia del Mercato delle gaite, sono nata, cresciuta e ancora vivo, mi colpì particolarmente. Quello che ho avvertito mentre mi addentravo nella lettura è stata l’attenzione estrema, regolata dal buon senso, che i governanti ponevano verso i singoli aspetti della vita cittadina. Man mano che la lettura procedeva, il mio interesse si è concentrato soprattutto sui capitoli dedicati alla categoria delle donne, e ho deciso di farne materia di approfondimento e studio per la mia tesi di laurea.
Il testo originale dello statuto risale alla prima metà del Trecento circa e a noi è pervenuto in due copie, entrambe conservate presso l’Archivio storico comunale di Bevagna. La prima è un codice membranaceo manoscritto che comprende una trascrizione datata 1500, redatta durante il pontificato di papa Alessandro VI ed emendata dal giureconsulto Giovanni Pantaleoni che contiene tre redazioni precedenti: la prima, antecedente il pontificato di Martino V; la seconda, rinnovata grazie a Tommaso Matteucci; la terza, ricompilata al tempo di Martino V.

La seconda copia, inserita in un codice cartaceo manoscritto e commissionata all’abate Rinaldo Santoloni dalla Congregazione del Buon Governo, risale al 1794 ed è il risultato della ricostruzione e rilettura della copia cinquecentesca su cui lo statuto edito nel 2005 si basa.
Il testo è suddiviso in cinque libri (uffici, cause civili, cause straordinarie, cause criminali, danni dati), per un totale di 431 capitoli e i capitoli relativi alle donne sono racchiusi precisamente nel secondo, nel terzo e nel quarto libro.

Le donne nel libro delle cause civili

Nel secondo libro, quello delle cause civili, sono quattro i capitoli dello statuto riguardanti alcuni aspetti della sfera femminile: si parla di dote e testamenti. La dote rappresentava l’unico modo con cui veniva conferita alle donne una parte del patrimonio della famiglia d’origine, parte che era comunque destinata a essere amministrata dai mariti per tutta la durata del matrimonio. Inoltre, come stabilito nel capitolo XVIII, qualora sopraggiunga la morte prematura di una donna sposata senza figli, la terza parte della dote della moglie deceduta dovrà rimanere al marito come compensazione alle spese affrontate per il matrimonio.
Il capitolo XIX dello statuto definisce il modello di comportamento da rispettare da parte di tutte quelle donne a cui è stata elargita una dote e che decidono di entrare in monastero. La norma da seguire dichiara che dal momento in cui esse entrano in monastero, qualora non dovesse esserci il consenso del padre, automaticamente saranno costrette a rinunciare a ogni diritto sulla dote.
Si prosegue sulla stessa linea anche nel capitolo XX dove si evidenzia l’obbligo e la riconoscenza che la figlia deve avere nei confronti della famiglia, proprio perché all’epoca la dote veniva riconosciuta come un privilegio per la donna che, nella maggior parte dei casi, non godeva di alcun diritto. Viene infatti sottolineato che, qualora fossero ancora in vita figli maschi, fratelli o nipoti carnali, alla donna dotata non è concesso chiedere altro, se non ciò che le veniva lasciato nel testamento. Il capitolo XXI notifica la norma secondo cui i testamenti delle donne sono sotto la tutela paterna. Il contesto familiare pone dunque limiti all’azione femminile anche in materia giuridica; infatti viene stabilito che la donna che ha ricevuto la sua dote dal padre, dovrà avere il consenso di quest’ultimo nel caso in cui decidesse di delegare, lasciare o sostituire il suo erede nel testamento.

 

Continua…


Bibliografia:

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Casagrande e M. G. Nico Ottaviani, Donne negli statuti comunali: sondaggi in Umbria, in Donne nel Medioevo. Ricerche in Umbria e dintorni, a cura di G. Casagrande, Perugia 2005
Casagrande e M. Pazzaglia, Bona mulier in domo, in Donne nel Medioevo. Ricerche in Umbria e dintorni, a cura di G. Casagrande, Perugia 2005
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G. Muzzarelli, Guardaroba medievale. Vesti e società dal XIII al XVI secolo, Bologna 1999
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Rosi, Donne attraverso le carte dell’Abbazia di S. Croce di Sassovivo (1023-1231), in “Annali della Facoltà di Lettere e filosofia. 2. Studi Storico – Antropologici”, n. s. XVII – XVIII (1993/1994 – 1994/1995)
Rossiaud, La prostituzione nel medioevo, Bari 1984

Ingredienti per i penchi:

  • 400 g di farina
  • 4 uova
  • sale

Ingredienti per il condimento:

  • 3 salsicce
  • 60 g di guanciale
  • 2 uova
  • 3 cucchiai di succo di limone
  • 3 cucchiai di panna liquida
  • pepe
  • noce moscata
  • sale

Per accompagnare:

  • pecorino o parmigiano

Preparazione:

Con la farina, le uova e un pizzico di sale, ricavare una sfoglia più spessa di quella normale; farne delle tagliatelle larghe. Porre in un tegame il guanciale a pezzetti e, quando il grasso sarà quasi sciolto, le salsicce sbriciolate. Quando guanciale e salsiccia saranno cotti, scolare il grasso. Sbattere le uova in una terrina, insieme al succo di limone, la panna, la noce moscata, il sale e il pepe.
Versare nel tegame i penchi lessati al dente e ben scolati, farli insaporire per un attimo, poi unire la salsa e amalgamare a fuoco basso. Unire il formaggio grattugiato e servire.


Secondo la leggenda, questa preparazione è nata nel castello di Vetranola di Monteleone di Spoleto nel 1494: pare che a inventarli, per rabbonire i capitani di un esercito invasore, sia stata una giovane del luogo. Preparati in tutta la zona tra Monteleone e Cascia, i penchi – che qualcuno chiama anche strascinati – si possono preparare anche senza panna. In mancanza dei penchi, con la stessa salsa si possono usare i rigatoni. Sono tipici del periodo di Carnevale.