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Statuto di Bevagna, le donne nel libro delle cause straordinarie

di Elisabetta Properzi

Nella seconda parte dello studio, realizzato da una nostra lettrice sulla condizione della donna nel 1500 a Bevagna, si analizzano quattro capitoli che regolano lโ€™attivitร  lavorativa esercitata dalle donne, le quali venivano sottoposte dal podestร  al vincolo del giuramento.

Il capitolo XVIII fornisce disposizioni, compensi e sanzioni relativi ai fornarii et fornarie Terre Mevanie, il capitolo XLI stabilisce le norme di comportamento per le panettiere e per chi vende il pane, si prosegue al capitolo XLII con il settore delle pizzicarole e infine il capitolo CLXXVIII tratta dello stipendio delle tessitrici.

Il lavoro della donna era dunque indirizzato alla produzione e al commercio di cibi e tessuti, tra i pochi ad essere retribuiti. La fornaria, la panifocula, la piรงicarella e la textrix rappresentavano il prolungamento dellโ€™attivitร  domestica, riservata unicamente alle donne, le quali riuscivano cosรฌ, sebbene in una posizione subalterna, a inserirsi nella vita economica. Inoltre sembra abbastanza evidente che in questi settori lavorativi gli obblighi e le pene tra esercenti uomini e donne erano le stesse, ma a questโ€™ultime non venivano riconosciuti, in linea di massima, gli stessi livelli salariali e le stesse opportunitร  di associazione. Inoltre, un dato che ricorre spesso per queste categorie di lavoratrici era il divieto di esercitare lโ€™attivitร  lavorativa con la rocca alla cintura, di filare con essa, tenere bambini in braccio o nella culla accanto a sรฉ.ย  Risulta probabile che il filare era, come sostengono le storiche Casagrande e Nico Ottaviani, ยซuna sorta di sfondo lavorativo costanteยป a queste attivitร .

Statuto di Bevagna del 1500

Direttive sulla prostituzione

Tra i lavori femminili presi in considerazione dallo statuto, cโ€™รจ anche quello della prostituzione, considerato tra tutti il meno decoroso, regolamentato al capitolo CXCIII, dove viene fissato il luogo di esercizio del mestiere. In esso veniva stabilito che alle pubbliche meretrici non era consentito stare nella via che si trova tra la vigna Nicole Antelutii e la proprietร  della chiesa di San Vincenzo e nel distretto di Bevagna, se non verso Foligno fuori dai confini stabiliti. Colei che avesse trasgredito sarebbe stata punita, dal podestร  o dai suoi collaboratori, per direttissima con una multa di 10 soldi e fustigata per tutta Bevagna. Nei confronti dellโ€™attivitร  del meretricio, lโ€™atteggiamento della societร  medievale era abbastanza ambiguo; infatti, anche se il fenomeno non fu mai visto di buon occhio, come si poteva desumere dalle numerose leggi che tentavano di contrastarlo per tutelare il decoro cittadino e la salvaguardia delle donne di buona fama, restava comunque sempre tollerato. A testimoniare la loro emarginazione, non solo urbanistica ma anche sociale, per le prostitute facevano eccezione alcune leggi suntuarie; infatti i divieti che in genere venivano imposti alle donne di buona fama potevano essere da esse disattesi. Era concesso loro di truccarsi, di indossare abiti e gioielli, in particolare gli orecchini, senza alcun limite o regole e senza rispettare quel che si imponeva invece alle donne di buon costume. In realtร  queste libertร  erano un segno distintivo del loro status e dunque uno strumento di emarginazione; รจ noto come in alcune cittร , potevano farsi vedere solo di sabato, giorno in cui si svolgeva il mercato, con lโ€™obbligo di indossare un cappello con un sonaglio che desse una connotazione immediata alla loro identitร .

Si cambia decisamente argomento nel capitolo XXXIII del terzo libro dove si stabiliscono le norme di tutela a favore delle donne povere. In esso si dichiara che nessuna donna che non abiti con un maschio di almeno quattordici anni e che possiede beni per un valore di 100 libbre di denaro, sia costretta a partecipare alle spese per i lavori del comune o alla custodia della Terra di Bevagna, o ad andare nellโ€™esercito, nรฉ sia soggetta ad alcunโ€™altra incombenza. Nel capitolo C si prosegue con una norma di ordine pubblico che negava il permesso di uscire di notte dal primo maggio al primo novembre nรฉ, in qualsiasi altro periodo dellโ€™anno, dopo il terzo suono della campana, fino al suono che annuncia il giorno. Fanno eccezione le donne che portano il pane al forno o che vanno a visitare i malati, le fornaie o le levatrici, chi va a spegnere incendi o tutte coloro che si recano alla vendemmia. Chi trasgredisce deve essere condannato a pagare ogni volta al comune una multa di 10 soldi di denaro, da sottrarre alla propria dote.

 

Mercato delle Gaite, foto by Facebook

La dote

Il capitolo CLVII interessa nuovamente i beni dati in dote alla donna. Si stabilisce il principio secondo cui i poderi ceduti in dote alle donne sposate fuori Bevagna, debbono essere conservati integri e il comune potrร  ricevere da essi giovamento nelle imposte e nelle collette; per questo si ordina che i beni, cioรจ le case, le terre, i possedimenti non potranno essere venduti, alienati o pignorati senza avere lโ€™espressa licenza ed il consenso di sei consanguinei o di chi ha un vincolo di parentela con le donne, fino al terzo grado. Chiudono questa analisi dei capitoli del terzo libro riguardanti la condizione femminile due rubriche che si inseriscono nellโ€™ambito delle norme suntuarie.

Il primo capitolo a cui si fa riferimento รจ il CLII dove si danno disposizioni su ciรฒ che la donna in lutto deve indossare. Viene dichiarato che nessuna donna, in occasione della morte di qualcuno potrร  dismettere i propri panni e gli ornamenti nรฉ dopo un mese, nรฉ dopo quindici giorni dalla stessa, sotto pena di 100 soldi per ogni infrazione, a eccezione della madre, moglie, sorella, nipote carnale o cognato. Nel CLXXXIX si dispone che nessuna donna, sposata a Bevagna o nel suo distretto, di qualsiasi condizione sociale, potrร  portare il corredo in pezze tessute in testa o sul dorso.

Non potrร  avere il corredo infilato nelle stesse pezze tessute, cucito o tessuto insieme, andando oltre la quantitร  o il valore di 100 soldi e oltre, nรฉ abbia la presunzione di farlo, sotto pena di 25 libbre di denari da detrarre dalla propria dote a ogni trasgressione. Vari furono i governi cittadini che si diedero, soprattutto nel tardo medioevo, una legislazione suntuaria per disciplinare le spese e i lussi, ma il piรน delle volte, non attenuarono la passione di donne e uomini per vesti e ornamenti ricercati. Una delle maggiori occasioni che richiedeva lโ€™obbligo di esibire il lusso quanto piรน possibile era la cerimonia del matrimonio, rito sociale di rilevanza sempre piรน centrale, dove lโ€™attenzione collettiva era ai massimi livelli. Se il corredo esibito dalla sposa in occasione delle nozze era il simbolo di quanto fosse distinta e decorosa la propria casata dโ€™origine, non da meno erano gli abiti elargiti dal marito che rappresentavano un pegno della rispettabilitร  che avrebbe ricevuto nella sua nuova famiglia. Inoltre era tradizione che le due parti si scambiassero doni reciproci e ovviamente ciascuna di esse voleva prevalere sullโ€™altra per far risaltare il proprio stato sociale. La sposa entrava nella casa del marito portandosi dietro tuniche, sopravvesti, maniche, separate dagli abiti per essere cambiate a proprio piacimento, veli, cappelli, scarpe, pantofole, gioielli, borse ed altri piccoli accessori. Quando il corredo cominciรฒ sempre piรน ad assumere un ruolo di prestigio sociale per la famiglia, crebbe in dimensioni e complessitร  fino a sostituire il denaro liquido della dote, causando oltre a numerose disapprovazioni, lโ€™intervento di una normativa volta a frenare la nuova tendenza. Infatti, mentre il denaro avrebbe potuto essere utile per le spese affrontate per il matrimonio o per la futura famiglia, le stoffe del corredo sarebbero state soggette alla volubilitร  e allโ€™esasperata mutevolezza della moda che faceva diventare il corredo prematuramente obsoleto e gli abiti, beni non durevoli, non sarebbero stati utili neanche per essere donati alle figlie. Se dunque la moglie avesse seguito la moda che diveniva sempre piรน variabile, avrebbe potuto distruggere in brevissimo tempo il patrimonio spettante agli eredi, trascinando la famiglia alla rovina economica. Anche la Chiesa aveva affrontato la polemica contro le donne che usavano trucchi e abiti troppo sfarzosi in molti testi della letteratura didattica e pastorale dalla fine del secolo XII fino a tutto il XV. La donna truccata e vestita sfarzosamente privilegiava lโ€™esterioritร  e dunque la cura del corpo a quella dellโ€™anima virtuosa, andando contro quello che era lโ€™equilibrio richiesto da Dio. Lโ€™eccessiva cura esteriore andava dunque necessariamente ridotta con una dura e tenace opera di controllo e repressione, in certi casi vietando il trucco e raccomandando alle donne un adeguato abbigliamento.

 


La prima parte

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