fbpx
Home / 2021 / Marzo

L’Alchermes è un liquore italiano di colore rosso cremisi e veniva prodotto a Firenze già nel XV secolo, dove ancora oggi viene preparato, con l’antica ricetta, presso un emporio.

Tra i suoi ingredienti, oltre all’alcool etilico, zucchero, chiodi di garofano, cannella, acqua, cardamomo, acqua di rose e lamponi, c’è la cocciniglia. La cocciniglia è il colorante tipico, di colore rosso cremisi, e viene ricavato da un insetto della famiglia Coccoidea.

 

 

Attraverso una lunga e particolare lavorazione si ottiene l’acido carmico, da cui si otterrà il colorante. Un chilogrammo ha origine da circa centomila insetti. Il colorante siffatto, da sempre è stato destinato principalmente all’industria alimentare (E 120 è la sigla dell’additivo) e, in piccola misura, alla tintura dei tessuti. Ovviamente l’estrazione dell’acido carnico dagli insetti ha un costo molto elevato e pertanto, nel tempo, la cocciniglia è stata sostituita in modo importante da coloranti di origine sintetica (E 122, E 124, E 132).
Oltre che nell’alchermes, la cocciniglia è stata presente in molte bevande di colore rosso, come aperitivi, bitter e bevande gassate. Il nome cremisi e alchermes derivano dall’arabo qirmizi che significa prodotto da insetti.

 

dolci pasquali umbri

La ciaramicola

In molti dolci umbri…

La ciaramicola è il tipico dolce della provincia di Perugia, di colore rosso con glassa bianca, dove l’alchermes è utilizzato in maniera importante, così come per gli strufoli e le frappe, che vengono spruzzati con il rosso liquore. Non sono da meno l’arrocciata o rocciata, la zuppa inglese, il salame del re, la pizza di Pasqua dolce, i ravioli dolci con ricotta, le pesche dolci e le castagnole sono tipiche e tradizionali preparazioni di dolci umbri che prevedono l’uso dell’alchermes, che piaceva molto ai Medici e piace ancora a molti. D’ora in avanti, quando assaggerete il tipico liquore rosso cremisi o un dolce che preveda il suo utilizzo, vi sorgerà un dubbio: questo alchermes utilizza il colorante fatto con gli insetti o con gli additivi sintetici? Tra gli ingredienti potrebbe esserci scritto E 120… basterà leggere l’etichetta.

 


Ricetta tradizionale della ciaramicola

Presentati i risultati del progetto per la conservazione preventiva e programmata dei suoi beni artistici, realizzato da Archimede Arte per il Nobile Collegio del Cambio, con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia.

Il Nobile Collegio del Cambio scansionato al millimetro, a trecentosessanta gradi: dai dipinti, agli arredi lignei, alle volte, al portale d’ingresso. È un progetto di digitalizzazione importante quello realizzato nella “banca più bella del mondo”, una delle testimonianze più preziose del rinascimento perugino, con l’obiettivo di garantire una conservazione preventiva e programmata dei suoi beni artistici. Un lavoro presentato in videoconferenza dal Rettore del Nobile Collegio, il professor Vincenzo Ansidei di Catrano, assieme all’avvocato Francesco Depretis, in rappresentanza della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia che ha sostenuto il progetto portato avanti dallo stesso Collegio.

 

 

Affidato ad Archimede Arte, azienda umbra leader nel settore dei rilievi 3D, consulente del Ministero dei beni e delle attività culturali per la digitalizzazione, con alle spalle servizi di altissima qualità resi ad importanti enti proprietari di beni di ineguagliabile valore artistico quali i Musei Vaticani, il progetto consente non solo di tutelare il Nobile Collegio del Cambio, ma anche di attuare una minuziosa ricognizione dello stato di salute del patrimonio conservato dentro la straordinaria sede, incastonata tra le mura di Palazzo dei Priori.

L’obiettivo del Nobile Collegio del Cambio: tutelare, conservare e valorizzare il patrimonio. “Il Nobile Collegio del Cambio, sede della Corporazione dei Cambiavalute, edificata nella splendida cornice di Palazzo dei Priori, rappresenta uno scrigno unico di tesori artistici, tra i più importanti della città, meta di turisti e studiosi da tutto il mondo – ha esordito nella presentazione del progetto il Rettore, professor Vincenzo Ansidei di Catrano -. Custodisce al suo interno autentici capolavori della storia dell’arte italiana, come gli affreschi della Sala dell’Udienza realizzati da Perugino, gli arredi e gli intarsi lignei, opera di Domenico del Tasso e Giampiero Zuccari, le decorazioni della Cappella di San Giovanni, eseguite da Giannicola di Paolo. Negli ultimi decenni, grazie al generoso sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, sono stati eseguiti importanti interventi di restauro, sia degli affreschi che dell’arredo ligneo. Più recentemente si è provveduto al restauro conservativo dei Portoni e della preziosa Matricola del 1377. Oggi, ci è apparsa quindi particolarmente interessante – ha sottolineato Ansidei – la possibilità di commissionare un progetto che consentisse di accertare con estrema precisione lo “stato di salute” dei luoghi, in modo tale da poter tutelare preventivamente i preziosi e delicati beni artistici presenti nell’antica sede dei Cambiavalute. Le innovative tecniche di digitalizzazione aprono inoltre inediti scenari di studio, e la minuziosa e dettagliata ricostruzione fotografica consente già oggi agli storici dell’arte di effettuare valutazioni ancora più approfondite sugli affreschi di Perugino e dei suoi collaboratori. Questa iniziativa, tecnologicamente avanzata, testimonia ancora una volta l’attenzione e la cura del Nobile Collegio del Cambio nello svolgimento del suo compito istituzionale precipuo, che è quello di conservazione, tutela e valorizzazione del patrimonio storico-artistico di cui è custode. E attesta la sensibilità della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, da sempre vicina al Collegio in questo percorso di tutela e valorizzazione”.

Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, si punta all’innovazione culturale. “La Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia – ha detto Francesco Depretis – ha sempre prestato molta attenzione alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio artistico, inteso come valore da conservare e tramandare quale eredità culturale del nostro territorio ma anche un elemento importantissimo per le sue ricadute sociali ed economiche, ad esempio in termini di sviluppo turistico. Attraverso la nostra programmazione abbiamo, quindi, sostenuto negli anni numerosi progetti che vanno in questa direzione, alcuni attivati dalla Fondazione stessa, altri attraverso i bandi a tema nel settore dell’arte, uno strumento che vuole stimolare la collaborazione tra Enti, Associazioni ed Istituzioni su temi specifici per cogliere al meglio le opportunità di portare un’innovazione concreta e duratura nelle attività culturali. Il progetto che presentiamo oggi, orientato alla salvaguardia e alla conservazione di uno dei luoghi culturali simbolo della città di Perugia, rappresenta dunque un traguardo importante, certamente per chi lo ha realizzato –  dimostrando come la salvaguardia delle risorse ereditate dal passato siano una responsabilità individuale, oltre che collettiva –  ma anche per la Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, per la quale il tema dell’innovazione culturale sta assumendo sempre più rilevanza anche in seguito all’emergenza sanitaria: realtà aumentata, percorsi virtuali e digitalizzazione sono e saranno sempre di più  gli strumenti del futuro per proteggere e conservare il nostro patrimonio artistico, per offrirlo alla più ampia fruizione e per mantenere vivo il dialogo con il mondo dell’arte. Non è casuale che uno dei bandi a tema del programma 2021, la cui apertura è in programma nel mese di aprile, sia indirizzato proprio alla digitalizzazione del patrimonio storico artistico, bibliografico e archivistico del territorio”.

 

 

La filosofia di Archimede Arte: una passione per diffondere l’arte alle future generazioni. “Siamo felici di aver potuto essere al fianco di una icona della città e dell’arte rinascimentale perugina. Operiamo con una precisa filosofia, una passione che ci porta a dare il massimo per tutelare l’arte e poterla trasmettere alle future generazioni, unita al desiderio di trasmettere a tutti la bellezza dell’arte come strumento di crescita individuale”, ha spiegato Aldo Pascucci, amministratore unico di Archimede Arte, intervenuto alla presentazione del progetto. L’opera di rilievo laser scanner, fotogrammetrico e termografico del Nobile Collegio del Cambio – ha poi continuato a spiegare Pascucci -, ha consentito la digitalizzazione nella sua interezza, con rilievi laser georeferenziati integrati con tecniche di fotogrammetria, a livello di immobile e di opere, e monitorata con indagini termografiche, per una tutela completa ed accurata di tutto il patrimonio. Un lavoro realizzato attraverso strumenti laser e altre tecnologie altamente professionali in grado di rilevare gli immobili artistici con una densità maggiore di 0,5 millimetri pixel. I rilievi garantiranno, innanzitutto, la salvaguardia dei beni selezionati attraverso la loro digitalizzazione e la possibilità di conoscere tutti gli aspetti più minuziosi. Le attività di rilievo artistico supporteranno un obiettivo di conservazione programmata nel medio e nel lungo periodo delle opere architettoniche (pareti, soffitti, volte e pavimenti) attraverso interventi di rilievo a cadenze temporali pluriennali di controllo.

I dati risultanti da tali analisi potranno supportare progettazioni avanzate di interventi volti a ridurre i rischi che gravano sull’integrità di beni di immenso valore, come quelli del Nobile Collegio del Cambio. “I rilievi termografici – ha concluso Pascucci – hanno consentito di verificare la situazione degli affreschi delle pareti e della volta affrescata dal Perugino. Inoltre, grazie a software di post elaborazione grafica si ottengono rappresentazioni tridimensionali estremamente minuziose nella qualità del dettaglio, facilmente esportabili e utilizzabili su piattaforme digitali e gestionali”.

Oggi, il “DanteDì” ha un sapore molto particolare, perché il 2021 è l’anno di Dante, dei 700 anni dalla sua morte. Per questo il 25 marzo 2021 – la data in cui prende il via il viaggio letterario nell’aldilà della “Divina Commedia” – va celebrato con ancora più devozione.

Vista di Assisi, foto di Enrico Mezzasoma

 

Il Sommo Poeta amava l’Umbria. La descrive nell’XI canto del Paradiso della Divina Commedia quando incontra San Francesco nel cielo del Sole con gli spiriti sapienti. In due terzine ci parla di Gubbio e Sant’Ubaldo, del clima di Perugia, di Nocera e di Gualdo Tadino e naturalmente di Assisi, città natale del Santo, che dovrebbe chiamarsi Oriente perché ha dato alla luce il Sole.
«Intra Tupino e l’acqua che discende / del colle eletto dal beato Ubaldo, / fertile costa d’alto monte pende, / onde Perugia sente freddo e caldo / da Porta Sole; e di rietro le piange / per grave giogo Nocera con Gualdo. Di questa costa, là dov’ ella frange/più sua rattezza, nacque al mondo un sole/come fa questo talvolta di Gange. / Però chi d’esso loco fa parole, / non dica Ascesi, ché direbbe corto, / ma Orïente, se proprio dir vuole».
Si dice che questa parte fu scritta nel territorio eugubino, all’interno del castello di Colmollaro dove risiedeva il Conte Bosone Novello Raffaelli, amico di Dante.

Il colophon della Divina Commedia stampata a Foligno.

La prima stampa a Foligno

L’Umbria e la Divina Commedia sono legate anche in modo più materiale: a Foligno infatti, l’11 aprile del 1472 viene stampata l’editio princeps dell’opera del Sommo Poeta. La prima copia a stampa sembra essere nata nella casa dell’orafo e zecchiere pontificio Emiliano Orfini, fondatore, assieme al trevano Evangelista Angelini, della prima società tipografica della città di Foligno.

Un Dante inedito a Orvieto

Proprio in questi giorni a Orvieto è stato individuato un quadro – che era sfuggito probabilmente per secoli – che raffigura un Dante inedito, sempre di profilo nella sua iconica posa, ma con la barba. L’opera, di autore ignoto, sarebbe databile tra il 1500 e il 1600.  La raffigurazione sembra prendere spunto dalla dettagliata descrizione che Giovanni Boccaccio fa del volto di Dante Alighieri nel Trattatello in laude di Dante scritto tra il 1351 e il 1355. Boccaccio scrive: «Il suo volto fu lungo, e il naso aquilino, e gli occhi anzi grossi che piccioli, le mascelle grandi, e dal labro di sotto era quel di sopra avanzato; e il colore era bruno e i capelli e la barba spessi, neri e crespi, e sempre nella faccia malinconico e pensoso”» Ulteriori indagini daranno risposte più certe.
Orvieto già conservava a suo modo pezzi di Divina Commedia: nel Duomo, infatti, sono raccontate scene tratte dai canti del Purgatorio e dipinte dal Signorelli.

 

Foto di Comune di Orvieto

Dolenti note

L’unica nota dolente nel rapporto fra Dante e l’Umbria è Cante Gabrielli di Gubbio che, in veste di podestà di Firenze (1298), emanò due sentenze di condanna contro Dante: con la prima lo condannò a una multa pecuniaria, al divieto a vita di partecipare al Governo di Firenze e all’esilio per due anni dalla Toscana. Con la seconda sentenza, non avendo il poeta ottemperato a quanto stabilito, lo condannò al rogo, alla distruzione delle sue case e alla confisca dei suoi beni.

La natura calcarea dell’Umbria ha determinato nel corso di milioni di anni la formazione di numerose cavità sotterranee.

La distribuzione delle grotte nella regione ricalca quella dei massicci carbonatici che, sottoposti al fenomeno del carsismo, hanno originato uno spazio, in buona parte ancora inesplorato, dove sono presenti organismi perfettamente adattati alle particolari condizioni di vita determinate dalla scarsità o dalla completa assenza di luce.
A oggi sono state censite oltre 800 cavità naturali, catalogate e georeferenziate all’interno del Catasto Speleologico dell’Umbria gestito dalla Federazione Umbra Gruppi Speleologici. Le grotte hanno da sempre suscitato nell’uomo moderno interesse e curiosità, la possibilità concreta di esplorare un mondo parallelo senza necessariamente dover spostare il proprio orizzonte geografico.
Senza il perfezionamento delle tecniche di progressione speleologica non saremmo mai arrivati a scoprire un numero così elevato di grotte e proprio grazie a una branca della speleologia che si occupa di indagare le forme di vita presenti negli ambienti ipogei – la biospeleologia per l’appunto – abbiamo avuto la possibilità di descrivere per la prima volta specie animali del tutto peculiari.

 

Ferro di cavallo maggiore (Rhinolophus ferrumequinum). Foto di Cristiano Spilinga

 

Peculiari proprio perché le particolari condizioni di vita degli ambienti sotterranei hanno determinato una spinta evolutiva che, nel corso di migliaia di anni, ha portato a forme altamente specializzate e perfettamente adattate a quel particolare ambiente.
Tradizionalmente gli studiosi della vita ipogea dividono gli organismi legati alle grotte in tre categorie: i Troglobi, considerati cavernicoli obbligati, cioè perfettamente adattati alla vita ipogea e non più capaci di svincolarsene, i Troglofili, specie che sono presenti con maggiore regolarità nell’ambiente ipogeo e i Troglosseni, specie che si trovano in ambiente ipogeo solo accidentalmente, come quelli che cadono all’interno dei pozzi verticali o vengono trasportati dalle acque.
Le cavità umbre – da quelle più piccole fino ad arrivare all’imponente grotta di Monte Cucco che, con i suoi circa 35 km di sviluppo e una profondità verticale di oltre 900 metri, rappresenta uno dei complessi carsici più importanti d’Italia – costituiscono un importante ecosistema da preservare e qualunque tipo di fruizione, da quella legata all’esplorazione e alla ricerca, passando per quella tipicamente ad appannaggio degli speleologi, fino ad arrivare all’utilizzo turistico, deve prevedere un profondo rispetto per l’ambiente che si va a visitare.
L’estrema specializzazione delle forme di vita adattate alle grotte è direttamente proporzionale alla loro sensibilità rispetto alle perturbazioni provenienti dall’esterno, che, andando ad alterare, in alcuni casi in maniera irreversibile, quelle particolari condizioni microclimatiche possono determinare la scomparsa di forme di vita del tutto uniche e peculiari.

La strada per la ricostruzione dell’Abbazia di S. Eutizio in Preci, ferita dai terremoti del 2016, si fa finalmente in discesa.

Ieri, nel centro di comunità della parrocchia a Preci, è stato avviato ufficialmente il tavolo tecnico-giuridico per il recupero del complesso. Erano presenti: l’on. Giovanni Legnini commissario straordinario del Governo alla ricostruzione per le zone del cratere sismico; l’arcivescovo di Spoleto-Norcia mons. Renato Boccardo; il sindaco di Preci Massimo Messi; l’ing. Fulvio Maria Soccodato sub commissario alla ricostruzione; funzionari e tecnici della Regione, della Diocesi e di altri enti; imprenditori del luogo.

Per l’Abbazia negli ultimi mesi si è lavorato in modo alacre per presentare al commissario Legnini una proposta concreta di fattibilità. L’Archidiocesi, la Soprintendenza, la Regione, il Comune e lo studio associato di ingegneria Capaldini di Giano dell’Umbria hanno lavorato intorno a varie ipotesi di ricostruzione. A Legnini è stata consegnata quella che sembra più funzionale e che prevede il consolidamento della rupe e la ricostruzione del complesso abbaziale nella sua interezza, compreso il campanile. Esteticamente, dunque, tutto sarà come prima, ma lo scheletro sarà realizzato con le tecniche antisismiche più all’avanguardia. Da sottolineare che si è scelto di procedere al recupero-ricostruzione unitario dell’Abbazia e quindi i lavori per la chiesa, il complesso adiacente e il campanile procederanno di pari passo.

La Diocesi, inoltre, comunica che a breve prenderanno il via 24 cantieri, sugli 82 in programma in base all’ordinanza 105 del 17 settembre 2020 e al decreto 395 del 30 dicembre 2020.

La vera rivoluzione industriale italiana fu quella degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso: gli anni del boom, gli anni del “tutti in macchina”.

La regola che imperava era benessere: la pizza iniziava l’invasione del mondo e panna e rucola stavano entravano in tutte le cucine. L’Italia era un cantiere in movimento. I danni della guerra venivano riparati, tutto andava veloce, tutto si rinnovava. Eravamo poveri ma geniali. Le vecchie vie consolari, quelle che da Roma portavano ovunque, furono potenziate e migliorate.

Fu in quegli anni che la parola vacanze divenne realtà per milioni di persone. Ad agosto al Nord chiudevano le fabbriche e c’era chi andava al mare o in montagna, chi invece preferiva tornare dai parenti al Sud. Il risultato? Si imboccava l’autostrada del Sole a Milano sognando di arrivare rapidamente laggiù ma, inesorabilmente, si finiva incolonnati per 600 chilometri. Per i nuovi automobilisti che sfrecciavano qua e là erano state pensate delle piccole, ma in realtà grandi, cose per agevolare il viaggio e la sosta: riposarsi dalla guida, sgranchirsi le gambe, mangiare e bere. In autostrada avevano costruito gli autogrill a ponte, così divertenti: «Tu vieni da Milano, io da Firenze e ci incontriamo a Cantagallo». Si era aperto il vaso di Pandora e il viaggio diventava divertimento.

Tutto bene finché si viaggiava sulla A1, ma fuori dall’autostrada le cose si complicavano. Cercare un distributore o un meccanico era un’avventura, ma ancora peggio era trovare un bar dotato anche di servizi igienici. Furono Enrico Mattei e l’architetto Mario Bacciocchi a rinnovare, anzi a inventare un modo nuovo e moderno di fare benzina, rilassarsi e fare pipì. Prima c’era solo la pompa di benzina, poi ci fu la stazione di servizio che offriva oltre alla benzina spazio per camminare, spesso anche il meccanico, il bar e pure la toilette, così che neppure la pipì fu più un problema.

L’Umbria era attraversata dalla SS 3 bis Tiberina che seguiva pigramente il Tevere fino a Perugia per poi continuare verso le sorgenti del fiume e scendere a Cesena. Sui due lati c’erano alberi con il tronco dipinto di bianco catarifrangente, le distanze erano scandite dalle pietre miliari di romana memoria; passava in mezzo ai paesi che incontrava sulla sua strada e ogni tanto c’era una pompa di benzina: una pompa nuda e cruda, chiusa a ore pasti e la notte.
La Tiberina passava da Ponterio, la frazione di Todi ai piedi della collina, dove transitava anche la Ferrovia Centrale Umbra con relativa stazione ferroviaria. In quella zona, tra la SS 3 bis e il Tevere si stava sviluppando una zona industriale, perciò la Tiberina, che attraversava tutta la valle del Tevere, era importante e molto trafficata.
Una pompa di benzina si era resa necessaria e l’incarico fu affidato all’AGIP di Enrico Mattei e la pompa divenne una stazione di servizio d’autore; fu infatti disegnata dall’architetto dell’AGIP, che la volle grande con un piazzale davanti. Le stazioni di servizio dell’architetto Bacciocchi erano accoglienti e coperte da una tettoia che assomigliava a un’ala di gabbiano ideata per non bagnarsi se pioveva o avere ombra sotto il sole rovente, ma soprattutto la si scorgeva da lontano. Inconfondibile. La tettoia poggiava su un corpo di fabbrica con il bar, un’officina, il lavaggio auto e altre cose utili a chi viaggia in automobile.

 

 

Ma poi il traffico si era fatto via via più intenso e andava sempre più veloce così, alla fine degli anni Settanta fu costruita la superstrada E45, la più lunga d’Europa, 5.000 chilometri senza pedaggio, che attraversava tutta l’Italia, tutta l’Europa e arrivava a capo Nord. Ma, ogni cambiamento ha i suoi risvolti negativi: infatti sono stati tagliati fuori paesi e paesetti e città e anche Ponterio. Di conseguenza la Tiberina cadde miseramente in disuso e la sua stazione di servizio divenne un reperto di archeologia industriale. Il comune di Todi però, grazie a un accordo con ENI, è riuscito a trasformare questo reperto industriale in un luogo diverso, pur mantenendo l’idea originale. Da posto di ristoro per automobilisti è diventato luogo di aggregazione e di passeggio e forse museo. Il grande spiazzo davanti alla stazione di servizio, diventato Piazza delle Arti, non si affaccia più sulla strada, la cara via Tiberina, ma guarda verso il Tevere dove sta sorgendo il nuovo centro commerciale. Da qui, con l’apertura del parco lungo il fiume e del ponte Bailey, si potrà andare da una parte all’altra del fiume. Per sottolineare ancora di più questa nuova vocazione di piazza e di parco, il lato via Tiberina è stato chiuso con le opere del grande ceramista Nino Caruso.
Si tratta di una sequenza di setti di calcestruzzo colorato che riproducono a basso rilievo una composizione di formelle che il maestro ha chiamato Bassorilievo Selinunte. Si tratta di un’arte modulare spazialmente integrata con effetti di chiaro/scuro che si susseguono o, come disse il Maestro: «ricordano uno spartito musicale, dove gli elementi modulari agiscono come note con ritmi e pause, dove la luce assume un ruolo importante.» I setti creano una separazione, ma non sono una barriera perché l’arte unisce e non separa.

Il Gal Trasimeno-Orvietano si prepara a svolgere un ruolo da protagonista per la promozione dei distretti del cibo del Trasimeno e dell’Orvietano.

È stato questo lo spirito con il quale lunedì 15 marzo scorso è stata organizzata una riunione, in collegamento remoto, con la presenza dell’Assessore Regionale alle Politiche Agricole Roberto Morroni, il consigliere regionale Eugenio Rondini, 28 Aziende Leader del settore Agroalimentare con sede negli otto comuni dell’area del Trasimeno e il Parco Tecnologico Agroalimentare dell’Umbria. Il prossimo appuntamento sarà invece organizzato per Orvieto tra la fine di marzo e la prima decade di aprile. Infatti il Gruppo di Azione Locale si candida ad essere soggetto proponente, dei distretti del cibo ritenendo questa opportunità un trampolino di lancio per creare un nuovo modello di sviluppo del settore agroalimentare, in una area nella quale la varietà di prodotti, dal vino all’olio, dai legumi al pesce di lago, dallo zafferano alla fagiolina, alle carni, ai salumi e ai formaggi di qualità coinvolgono un considerevole numero di aziende che, in genere, uniscono a tutto questo anche l’accoglienza turistica creando una importante economia locale. Rilevante è anche la presenza di Aziende Biologiche, un altro tassello fondamentale per promuovere la qualità dei prodotti.

 

 

Un ringraziamento sincero all’assessore Morroni da parte degli organizzatori, non solo per il prezioso contributo all’evento, ma anche per aver voluto inserire i Gal tra i soggetti proponenti i distretti del Cibo. “Bisogna avere consapevolezza che in Umbria abbiamo luoghi di produzioni di qualità, veri e propri giacimenti che ci richiedono capacità di intraprendere per creare un volano di sviluppo in tema di crescita – ha ricordato l’assessore Morroni – e i distretti del cibo sono una opportunità da cogliere consapevoli del fatto che sulla qualità non scende mai il tramonto neanche in periodi di crisi. Questi progetti possono rappresentare una opportunità unica, affinché le piccole aziende possano collaborare, fare rete, in una ottica di innovazione, sperimentando nuovi modelli organizzativi in particolare nella digitalizzazione e nella ricerca”. Ha ricordato inoltre Morroni, che i fondi dei distretti del cibo vengono dal Ministero delle Politiche Agricole sono quindi aggiuntivi rispetto al PSR e ai fondi europei e che, nel bando dell’anno scorso sono rimasti inutilizzati a livello nazionale, 18 milioni di euro. In considerazione di questo fatto e anche della uscita del prossimo bando ha invitato i promotori a mettersi al lavoro per candidarsi celermente all’accreditamento regionale.

 

 

Il compito del Gal sarà impegnativo, ma di fronte alla possibilità di attrarre quatto milioni di euro per ognuno dei due territori per investimenti, promozione e ricerca, destinati alla rete delle imprese che parteciperanno, occorre passare subito alla fase operativa. Quindi il Gal inizierà a espletare tutti quegli adempimenti che ci dovranno vedere pronti a cogliere le opportunità del bando del MIPAAF, primo dei quali il coinvolgimento dell’Università per le attività di ricerca, ma anche l’animazione presso gli imprenditori del settore che sono i veri protagonisti del progetto. Soddisfazione peraltro è stata dimostrata, già in questo primo incontro, dalla qualificata presenza delle aziende che hanno partecipato.

Ha chiuso l’incontro il consigliere regionale Eugenio Rondini, referente per l’area del Trasimeno, che ha portato il suo contributo all’iniziativa garantendo lavoro e vicinanza al territorio alle imprese e al Gal sottolineando che il Trasimeno è un’area ricca di potenzialità, che vanno messe a sistema, e consapevole del fatto che i distretti del cibo possano essere l’occasione per lanciare un nuovo modello di sviluppo per il settore agroalimentare umbro.

Avere il coraggio di cambiare, avere il coraggio di affrontare nuovi orizzonti, avere il coraggio di nuove sfide. Si può fare… questo è quello che ci ha fatto capire Caterina Betti, perugina, artista d’animo e di pensiero, che ha trascorso i passaggi della propria vita e maturazione personale trovando la forza, dapprima, di fare una lunga esperienza come fotografa professionista per poi catapultarsi in quella di chef di successo.

Caterina Betti è apprezzata e riconosciuta fin dai suoi primi passi culinari, tant’è vero che è stata scelta come rappresentante dell’Umbria nella seguitissima trasmissione televisiva Cuochi d’Italia condotta dal famoso chef Alessandro Borghese.
Chef Caterina, durante la nostra intervista avvenuta come un’amabile conversazione, ha raccontato di sé e della sua esperienza, e ci ha trasmesso la passione e l’amore per il suo lavoro. Nell’emozione della narrazione, ci ha orgogliosamente confidato del sostegno e del grande affetto di suo marito Roberto Fattori e della loro figlia, la dolcissima Maria Letizia, fan e prima tifosa di mamma Caterina.

 

Caterina Betti

Caterina, ci racconti come sei diventata chef?

Il mio lavoro è stato da sempre quello di fotografa, che ho fatto per vent’anni, e poi il destino mi ha fatto incontrare Diana Capodicasa, la mia attuale socia, con la quale ho iniziato a collaborare con l’azienda e la scuola di cucina che lei aveva al tempo. Ci siamo trovate, fin da subito, in forte sintonia. Da quel momento ho capito che quella che era stata da sempre una mia grande passione, che praticavo solo tra le mura domestiche e per gli amici, stava sbocciando e piano piano, quando le cose si incastravano, ho capito che il lavoro nel mondo della cucina era quello che volevo fare. Dopo una consultazione familiare, ho fatto un salto nel buio, lasciando la mia attività di fotografa. All’inizio non è stato facile, soprattutto per mia figlia Maria Letizia, anche perché lei mi ha conosciuto come fotografa ed è stata sempre abituata a frequentare lo studio, dove è cresciuta tra scatti e foto. Adesso Maria Letizia è la mia prima sostenitrice. A quasi cinquant’anni ho deciso che dovevo cambiare rotta e con il cuore ho fatto questa follia, seguendo il mio sogno.

Più che follia hai avuto il coraggio di scegliere, passando dal certo all’incerto.

Per un anno e mezzo ho tenuto i piedi in due staffe. Per un periodo ho continuato a lavorare come fotografa di matrimoni e contemporaneamente mi occupavo di cucina. Piano piano sentivo che il lavoro di fotografa si stava spegnendo e a quel punto mi sono gettata sempre più nella mia nuova sfida. Dopo aver fatto per tanti anni la fotografa di matrimoni, dove ero esposta in prima persona, adesso mi ritrovo sempre negli eventi matrimoniali, ma dietro le quinte, in cucina; mentre Diana, la mia socia, è in sala e cura le relazioni di marketing con clienti e aziende. Oggi organizziamo, tramite la nostra azienda Cucinare Catering Eventi, anche delle cooking class per turisti, a cui faccio conoscere i piatti della tradizione, oltre a lavorare per gli eventi in genere.

Raccontaci la strada della tua formazione da chef, in modo che possa essere un esempio per qualcuno che volesse intraprendere questo percorso.

Iniziare questo lavoro non più da giovanissimi è più difficile e serve maggior impegno. Per la mia formazione ho sempre fatto ricerca in tutti i campi, prima all’Istituto dell’Arte e poi per raggiungere la mia laurea in Storia dell’Arte. Il lato artistico, la progettualità e la sperimentazione sono anche in cucina, mia costante valvola di sfogo. Mio padre era bravissimo nella preparazione dei piatti e anche mia madre era un’ottima cuoca, che appuntava le sue ricette tradizionali umbre in un prezioso libricino che ancora oggi custodisco gelosamente. Tutto ciò mi ha sempre portato a far ricerca, nel rispetto delle tradizioni culinarie locali e, quando mi sono accorta che la cucina stava diventando un lavoro, ho frequentato l’Accademia Italiana Chef a Roma e mi sono diplomata. Questa certificazione ha rappresentato l’avvio ufficiale della mia nuova attività.

Caterina, com’è stata la tua partenza da chef?

Sono partita, grazie al costante lavoro di Diana come esperta di marketing, preparando le mie ricette durante gli eventi organizzati per aziende private e istituzioni pubbliche. Un mio ricordo bellissimo è quello di aver preparato il buffet, alla Biennale di Venezia, per la mostra di apertura dell’artista americana Beverly Pepper, scomparsa recentemente e che ha vissuto per molto tempo a Todi, dove è stata amorevolmente apprezzata e a cui ha donato le sue opere per un parco monumentale. Lei ha rappresentato l’Umbria alla Biennale veneziana e noi abbiamo curato il catering per la sua mostra.

Recentemente hai partecipato alla trasmissione Cuochi d’Italia di Alessandro Borghese. Le tue sensazioni?

Dopo varie selezioni, ho fatto il provino finale e dopo una trepidante attesa, mi hanno comunicato che ero stata scelta a rappresentare l’Umbria. È stata un’emozione fantastica! Partecipare con i miei piatti mi ha fatto crescere e riflettere per migliorarmi professionalmente.

 

Caterina Betti con Alessandro Borghese in “Cuochi d’Italia”

Le tue preferenze culinarie e i tuoi progetti?

Per i profumi e i ricordi, ho una preferenza per la lavorazione dei lieviti. Mentre il mio prossimo e ambizioso progetto è quello di pubblicare un libro di cucina, a cui sto già lavorando. Sarà molto particolare e non voglio anticipare niente.

Caterina, vuoi mandare un saluto ai nostri lettori, regalandogli una tua ricetta?

Volentieri. In questo lungo periodo di difficoltà legato al Covid, dobbiamo sorridere e andare avanti. È un momento durissimo dove il lavoro latita ed è precario, ma nelle difficoltà vediamo gli aspetti positivi, dove la natura si è riappropriata di alcuni spazi e noi abbiamo potuto ripensare alla progettazione del nostro lavoro. Bisogna guardare oltre e tutto rifiorirà, in quanto la gente ha voglia di uscire e incontrare persone, tornando alla normalità. Saluto tutti con una ricetta, a me molto cara…

 


TORTA DELLA NONNA IDA

 

Per la frolla:

150 g di farina 00

1 tuorlo

40 g di zucchero

70 g di burro

 

Per la farcia:

250 g di ricotta

50 g di zucchero

Mezzo cucchiaino di estratto di vaniglia

Buccia di mezzo limone grattugiata

1 tuorlo d’uovo

1 bicchierino di maraschino

Per la meringa:

2 albumi

100 g di zucchero

 

 

 

Procedimento:

Impastare velocemente gli ingredienti per la frolla, fare una palla e lasciare riposare in frigorifero per 10 minuti. Stendere poi in una teglia imburrata o antiaderente, senza fare i bordi. Cuocere a forno moderato per 15 /20 minuti. Intanto mescolare gli ingredienti del ripieno, quando la base di frolla sarà cotta estrarla dal forno e coprirla con questa farcia. Infornare nuovamente e cuocere per altri 15 minuti circa. Intanto montare a neve i due albumi con lo zucchero, sfornare la torta e ricoprirla interamente con la meringa, lasciandola cuocere a 100° per circa 30/40 minuti, o almeno finché non vedrete che la meringa si sarà leggermente dorata.

Inizia l’edizione 2021 dell’Umbria Guitar Festival 2021 – Agimus Perugiadel, festival dedicato alla chitarra. Per gli ovvi motivi legati alla pandemia il concerto inaugurale verrà mandato in streaming nel canale dell’Università per gli stranieri di Perugia.

19 marzo ore 18
Perugia – Sala Goldoni dell’ Università per gli stranieri
TRIO D’ARNA

Luca Ricci, canto e percussioni
Barbara Abati, flauto
Lucia Bellucci, chitarra

 

Link: https://www.youtube.com/channel/UCyaTHwdiG3H7VpqUWZ5Uh3g

Il terremoto del 2016, che ha colpito, ancora una volta, il Centro Italia, ha causato 299 vittime, ha distrutto città, abitazioni, edifici scolastici, opifici, comunicazioni, monumenti. Ha colpito, spesso in modo irreparabile, il patrimonio artistico di tutta l’area del cratere, in particolare quello della Valnerina, il territorio a cavallo fra Umbria e Marche.

Il libro, che sarà presentato oggi alle ore 21.15 nell’ambito della rubrica LIBRI&PENSIERI, collegata Festa di Scienza e di Filosofia-Virtute e Canoscenza, ha per titolo; Un patrimonio ferito. la Valnerina. Il libro è stato scritto da Vittoria Garibaldi, storica dell’arte, tra le altre cose già direttore della Galleria Nazionale dell’Umbria, studiosa entusiasta e profonda conoscitrice del patrimonio culturale umbro. Il libro è la raccolta di ben quarantotto articoli, a firma di Vittoria Garibaldi, pubblicati dal Corriere dell’Umbria dal dicembre 2016 al dicembre 2017, è stato edito dall’Associazione Orfini Numeister di Foligno, il cui scopo principale è la diffusione della cultura e delle conoscenze storico-artistiche della Città e dell’Umbria.

Il libro sarà presentato questa sera alle ore 21.15, sui canali Facebook e Youtube di Festa di Scienza e di Filosofia sul canale Facebook del Laboratorio di Scienze Sperimentali di Foligno, dall’autrice Vittoria Garibaldi e dal dott. Giuseppe Serafini, Magistrato, Presidente di Sezione de Consiglio di Stato.

  • 1