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Un’esibizione di danza aerea prende forma in un anfiteatro naturale: la foresta tra Città della Pieve e Piegaro, in Umbria cuore verde d’Italia, in programma per mercoledì 22 luglio sia mattina che pomeriggio.

Una performance unica nel suo genere, ospitata sul palcoscenico – a dir poco inconsueto e suggestivo –  all’interno dei 146 ettari di foresta di proprietà della famiglia Margaritelli nota, oltre che per il brand di design Listone Giordano, per le sue attività filantropiche attraverso la Fondazione Guglielmo Giordano che sostiene il Progetto.

Le cirque de la forêt: un audace intreccio di corpi e rami, grazie all’utilizzo di tessuti che donano l’inganno del volo, Francesca Matracchi, Valentina Romani e Sonia Brozzi, le tre ballerine – acrobate, si esibiranno sospese agganciate agli alberi del bosco in un set scenografico all’ultimo respiro. Le artiste fanno parte di ImmaginAria, un gruppo di lavoro che organizza spettacoli e corsi in Umbria ma con esperienze in tutta Italia.

 

 

Da tempo il Progetto This My Forest ha messo al centro della propria attività la valorizzazione della foresta di Città della Pieve, che sta assumendo sempre di più il ruolo di laboratorio sperimentale per lo sviluppo di alta tecnologia del legno e di salvaguarda ambientale, attivando varie collaborazioni in questo settore a partire da quella scientifica condotta con il Centro Euro Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici, nella persona dello scienziato Riccardo Valentini e Antonio Brunori, segretario generale di PEFC, che nella foresta hanno realizzato l’unica rete italiana di monitoraggio del cambiamento climatico attraverso i parametri vitali di una foresta: TRACE è il nome del progetto scientifico, che utilizza la tecnologia IOT, in essere fino al 2021. E’ il solo sensore in Italia di una rete mondiale di TALKING TREES, e ospitarlo in Umbria è stato un elemento di grande visibilità: un atto sostanziale, più che formale, di impegno a tutela del pianeta.

Il lungimirante progetto di riforestazione di Città della Pieve è riconosciuto come  officina a cielo aperto di cultura ambientale sostenibile –  certificato dai due enti più rappresentativi a livello mondiale PEFC e FSC. Le visite delle scuole e gli eventi culturali realizzati con il patrocinio della Fondazione Giordano nell’ambito della ricca esperienza di Natural Genius, s‘intrecciano in un denso programma di collaborazioni che unisce la cultura d’impresa al design e al talento naturale ovunque esso si coltivi: musica, fotografia, design, arti visive e molto altro.  Al centro di tante iniziative importanti, dal forte carattere scenografico e culturale, la sperimentazione della foresta che suona proposta con Federico Ortica occupa un posto di primo piano. Il giovane e talentuoso sound artist è riuscito nell’intento di mettere in risonanza alcuni maestosi alberi, realizzando così un concerto live con le piante come orchestrali di una colonna sonora scritta appositamente per loro.

Arte che ritornerà ad essere protagonista in una performance dove danza e natura sono sospese nella magia di un istante, fuse in un corpo unico nei colori della foresta come fondale di una simbiosi tra grazia, arte e natura. In altre parole l’identità dell’Umbria. 

Da venticinque anni frequento l’Umbria e molte persone che ho conosciuto e con cui ho a che fare sono straniere: americani, sudafricani, inglesi, olandesi e belgi, tutte persone che vivono stabilmente sul territorio, che hanno acquistato villette e che pagano anche le tasse. I tedeschi li conosco solo di vista e so che vengono saltuariamente.

Tra gli italiani ho trovato solo lombardi e veneti. Questo è dovuto ai 75 anni di pace europea e alle migliorate condizioni economiche del continente, che hanno favorito i grandi spostamenti interni. Molti hanno lasciato il loro Paese perché invogliati da un clima più mite, da una luce più intensa e, non per ultimo, da un grande seduttore: il cibo italiano. Spesso sono pensionati, altrimenti sono scrittori o giornalisti, comunque persone che potevano lavorare da casa anche prima del Covid-19.
Conosco una signora sudafricana che coltiva rose, un belga che scrive romanzi, alcuni tedeschi che si spostano tra Grecia, Italia e Germania e un olandese che insegna italiano. Persone benestanti che si sono inserite nell’ambiente locale. Ci sono anche extracomunitari o persone provenienti dai paesi dell’Est e questi li vedo lavorare ovunque, come nel resto d’Italia. Naturalmente qualche umbro l’ho conosciuto e dal profilo ho riconosciuto in maniera inequivocabile l’origine etrusca.

 

Allora sono andata a spulciare tra le statistiche dell’ISTAT e ho scoperto che l’Umbria ha una popolazione di 882.015 abitanti e di questi 97.541 sono stranieri e residenti (dati ISTAT del 2019). Un numero di tutto rispetto che corrisponde a Foligno e Città di Castello messe insieme. Poi mi sono accorta che molti maschi umbri tra i 50 e 60 anni hanno per compagne delle donne dell’Est. Perciò gli umbri stanno mescolando il loro DNA con quello di tutto il mondo.

Un bel frullato di geni

Ma per tornare agli umbri, siamo sicuri che esistano davvero? Prima, quasi tremila anni fa, c’erano le popolazioni autoctone, poi, quando sono arrivati i Romani, l’Umbria è diventata un’importante via di passaggio per eserciti e merci. Si sa, ed è ovvio, dove ci sono i passaggi le popolazioni si mescolano e i geni fanno festa. In seguito sono arrivati i Longobardi che si sono trattenuti per oltre 200 anni e di tracce ne hanno lasciate tante. Ad esempio nei cognomi Bernardini, Nardi, Leonardi, Baldoni, Federici, Baldelli. Poi c’è traccia nei nomi dei paesi: Gualdo o Fara. Hanno lasciato una traccia anche nei dolci, ne è un esempio la famosa Rocciata di Assisi: un dolce arrotolato come lo strudel, lasciato in eredità dai nordici longobardi, fatto con la stessa pasta dello strudel di mele che faceva mia nonna austriaca con la ricetta di famiglia. Sono passati 13 secoli e la ricetta non è variata o, se lo è, è stato pochissimo.
Le ricette non variano, si modifica però il DNA e l’Umbria ha continuato a essere attraversata da eserciti e da pellegrini che scendevano a Roma sulla tomba di Pietro. Viaggiare per noi ha un significato diverso da quello di un secolo fa. Noi ci muoviamo con macchine, treni, aerei e navi, mentre prima andavano soprattutto a piedi, e a piedi ci si stanca molto ed è opportuno fermarsi per riprendere le forze. Petrarca fa partire per Roma il «vecchierel canuto e stanco», ma questa è poesia, mentre la realtà è prosaica e vuole che chi si muoveva per viaggi così lunghi e pericolosi fosse giovane e robusto, proprio come i ragazzi che oggi vediamo sbarcare dai barconi.

 

 

Con tutto questo andare e fermarsi, con tutti questi giovani che passavano e vedevano ragazze coetanee, bisogna mettere in conto anche la biologia, che pretende che i giovani facciano sesso per riprodursi. Si tratta di un bisogno primordiale a cui difficilmente si sfugge e ragazzi e ragazze si saranno piaciuti e avranno fatto sesso e magari molti di loro si saranno fermati qui per sempre, mettendo su famiglia e facendo figli. Perciò accanto alle migrazioni c’è anche la biologia ad aver fatto la sua parte. Allora io adesso mi chiedo se i miei amici umbri siano davvero umbri oppure, facendo un esame del DNA, scopriamo che umbri e stranieri sono molto più simili di quanto noi si possa credere. Lo diceva Luca Cavalli Sforza, genetista, tanti anni fa.

«Il maestro Pavarotti mi ha insegnato tanto. Abbiamo fatto lezione per sei anni, mi disse che ero bravo e che dovevo seguire i suoi consigli».

Ammetto che è stata una delle interviste più lunghe che abbia mai fatto, oltre quarantacinque minuti di chiacchiere. Ne è però valsa la pena, perché Claudio Rocchi – tenore nato e vissuto a Bettona – ha tanti aneddoti e curiosità da raccontare: «Potrei scriverci un libro» mi confessa. In effetti ha ragione. Senza nessun freno abbiamo parlato delle lezioni con Luciano Pavarotti, di come vive il suo lavoro, del mondo della lirica e della musica di oggi che non apprezza. Il tenore umbro ha calcato tanti palcoscenici in giro per il mondo e sogna di essere il protagonista alla Prima del Teatro alla Scala. «Non mi do limiti!»

 

Claudio Rocchi

Claudio, qual è il suo legame con l’Umbria?

È un legame di vita, un legame fortissimo. Mi sento umbro al 100% e questa sensazione mi accompagna quando sono all’estero. Porto la regione in giro per il mondo: mi è capitato spesso di cucinare per gli amici stranieri la torta al testo o di raccontare loro aneddoti e storie sull’Umbria.

Ci racconti la sua esperienza col maestro Luciano Pavarotti…

È iniziata per caso. All’epoca – nel 1999 – studiavo al Conservatorio e lavoravo in fabbrica: la zia dell’infermiere di mio nonno era la cuoca di Pavarotti a Pesaro: il Maestro aveva nella città marchigiana una casa bellissima, sul mare, dove spesso trascorreva del tempo. Ovviamente nessuno avrebbe mai pensato che questo passaggio di voci sarebbe andato a buon fine. E invece sì. Un mese dopo – inizio 2000 – mentre ero al lavoro, mi chiamò mia mamma per dirmi che Pavarotti mi aspettava nel pomeriggio per un’audizione. Senza nemmeno prepararmi sono partito. Lui a fine provino mi disse: «Quando ci rivediamo?» Da quel giorno, ogni volta che si trovava a Pesaro, facevamo lezione insieme.

Quanto tempo sono durate le vostre lezioni?

Sei anni. Ci vedevamo tre-quattro volte all’anno, ma sono stati momenti fondamentali, mi ha insegnato tantissimo: la respirazione, l’emissione, l’apertura del palato e della gola, il giro degli armonici e tanto altro.

Qual è l’insegnamento che non dimenticherà mai?

Mi diceva sempre: «La voce la devi dare, non la devi fare». Inoltre, l’ultima volta che l’ho visto, mi ha detto che non dovevo avere altri insegnanti: «Sei bravo, devi fare solo quello che ti dico io e aspettare». Così ho fatto, ho aspettato che arrivasse il mio momento. Il ricevere un bravo dal lui mi ha riempito d’orgoglio.

Quand’è che un ragazzino decide di diventare un tenore?

Non si decide… ci nasci o non ci nasci. Io fin da piccolo cantavo, spesso quando ero nell’officina di mio padre. Cantavo soprattutto musica leggera italiana. Un giorno, alla fine della terza media, la mia professoressa di tecnica, durante la cena di fine anno scolastico, si accorse della mia voce e mi prese appuntamento con un maestro di Napoli che veniva in Umbria per far lezione ai Cantori di Assisi. Andai così ad Assisi per il provino: mi fece fare dei vocalizzi per sentire l’estensione della voce e poi mi disse: «Ora vai in farmacia a comprare dei pacchi di cerotti… Nostro Signore è stato troppo buono con te e se qualcuno ti sente cantare ora, ti rovina. Devi mettere i cerotti davanti alla bocca fino a 18-19 anni» io all’epoca avevo 12 anni «quando la voce sarà maturata». Non fu proprio così, a casa mia l’entusiasmo era talmente forte che mi mandarono alla Scuola Comunale di Musica a Bastia Umbra e iniziai a studiare pianoforte. Poi arrivò il Conservatorio, a Perugia.

Sogna mai di essere il protagonista della Prima al Teatro alla Scala di Milano?

È un sogno. Ci penso e ci ho sempre pensato, perché non mi do limiti: così come cantare nei teatri di New York e Londra, anche se La Scala resta sempre l’élite, nonostante in questi anni sia calata un po’.

Ci spieghi meglio.

Oggi è molto più importate l’aspetto, l’essere televisivo e avere una voce che piace a chi sceglie gli interpreti per una rappresentazione. Molte belle voci non vengono scelte perché non giuste. Poi ci sono delle lobby molto forti che incidono moltissimo. Il mondo della lirica è molto difficile e spesso si va avanti solo con le raccomandazioni. Ma lasciamo stare…

Qual è l’opera che le piace più interpretare?

La Tosca. In quest’opera ci sono delle musiche talmente belle che anche chi non si è mai avvicinato alla lirica, ascoltandola, si emoziona. Tosca, per me, è un’opera meravigliosa.

 

Lo spieghi a noi profani: che cos’è lo studio dello spartito?

Non è solo lo studio delle note, ma anche la storia, il personaggio, il perché fa quello, cosa voleva esprimere l’autore, quali sono le sue emozioni, i suoi pensieri… Un’opera non va solo eseguita, va soprattutto interpretata, si deve entrare appieno nel personaggio. Lo studio dello spartito è questo, una visione a 360 gradi dell’opera, e per questo serve un bravo maestro per avere le direttive giuste ed entrare nel profondo.

Cosa vuol dire per lei cantare?

Nel cantare noi ci consumiamo, siamo sul palcoscenico nudi e tiriamo fuori l’anima. Non è solo un eseguire. È questa la differenza tra un cantante e un esecutore: è facile trovare tanti esecutori, più difficile è trovare bravi cantanti, quelli che ti fanno emozionare quando li ascolti.

Pochi giorni fa se n’è andato il maestro Ennio Morricone… lo ha mai incontrato?

Purtroppo no. Resterà sempre tra i più grandi. Che musica, ragazzi! Con solo quattro note ha creato dei capolavori e ha lasciato musiche che resteranno eterne.

Ascolta musica pop?

Ascolto tutta la musica, di ogni genere.

Le piace la musica che circola in questo periodo?

Un periodo così basso, forse, non c’è mai stato, basta vedere quello che è stato presentato a Sanremo. Ci sono testi che passano in radio che sono terribili, senza parlare delle voci. Si sentono delle rime assurde e spesso mi chiedo: «Ma i cantautori del passato… li avranno mai ascoltati? Lucio Dalla, Mogol, tanto per dire i primi che mi vengono in mente, li avranno mai letti?». Basta leggere i testi per capire le differenze.

Non mi dica che non c’è nessun cantante che le piace…

Gli unici cantautori che apprezzo sono Max Gazzè e Brunori Sas.

E a livello vocale?

No, non c’è nessuno. Si punta più sull’immagine e sul personaggio che sulla voce, i talent hanno distrutto il mondo della musica invece di farlo evolvere. Il commercio comanda su tutto, devi essere un personaggio che piace al pubblico. Ahimè, non si punta più sulla voce.

Ha dei progetti in cantiere?

Nei prossimi giorni parto per un concerto nel nord della Polonia, poi andrò i primi di agosto ad Anghiari e poi a Castiglione del Lago. Piano piano abbiamo ripreso le nostre attività.

Come descriverebbe l’Umbria in tre parole?

Genuina, sorprendente, unica.

La prima cosa che le viene in mente pensando a questa regione…

Pace.

La convivenza con l’emergenza sanitaria porta a fare considerazioni importanti sui propri spazi abitativi e su nuove esigenze.

Il settore micro-ricettivo è stato individuato come meta privilegiata dei prossimi viaggiatori. L’Umbria possiede un tale giacimento di strutture che ci fa ben sperare per guardare al futuro con ottimismo.

 

pergolato circondato da boschi

Foto di Muriel Plombin

 

Ognuno può diventare ambasciatore dell’identità della propria Terra e protagonista della sua ri-partenza. Pensiamo una strategia, traendo, da questo periodo talmente inedito, un’opportunità per farsi trovare pronti e per essere scelti al momento giusto.

 

Foto di Muriel Plombin

 

Il viaggiatore non si accontenterà più. Potrebbe non bastare adeguare le strutture ricettive ai nuovi standard in merito a sanificazione e pulizie, poiché da questo punto di vista si potrebbe fare esattamente quello che tutti saranno obbligati a fare per legge. Come differenziarsi, rispondere alle nuove esigenze e allo stesso tempo potenziare le ricchezze, la bellezza e l’accoglienza della nostra Umbria?

 

Camera da letto con fiori

Foto di Muriel Plombin

 

Il contesto nel quale si inseriscono le nostre strutture ricettive è criterio di scelta. Chi meglio di noi umbri, puòraccontare l’esperienza di questo legame tra paesaggio, patrimonio e il nostro modo di vivere?
Prendiamci il tempo, magari in un periodo di non-prenotazione, per scattare il racconto emozionale di vivere questi spazi di transizione.

 

Foto di Muriel Plombin

 

È arrivato il momento di comunicare al meglio la cura che dedichiamo alla valorizzazione degli spazi esclusivi all’aperto, che siano destinati a zone pranzo, spazi giochi o angoli relax. Inoltre, con l’esplosione dello smart working, assistiamo alla nascita di un turismo misto, non più esclusivamente legato al piacere. Adattare la propria struttura, attrezzare un angolo o uno spazio dedicato allo smart working diventa una necessità per offrire un soggiorno confortevole a chi deve lavorare con serenità anche in vacanza.

 

Giardino con sdraio

Foto di Muriel Plombin

 

Chi cerca casa – che sia per una notte, una vacanza o, perché no, per tutta la vita – potrebbe essere sensibile a questi aspetti fondamentali nati dall’emergenza. Con questa nuova rubrica, Home Staging – Umbria da Valorizzare, cercheremo proprio di capire come rendere appetibile questo enorme patrimonio che ci circonda.

La rosa dei venti è una rappresentazione grafica a forma di stella a 4 o a 8 o a 16 punte, che indica il nome dei venti in base alla loro direzione e provenienza.

 

Gli antichi Greci, così come la Repubblica Marinara di Venezia, la ponevano come riferimento sull’isola di Zante, mentre i Romani la collocavano al centro del Mare Nostrum (Mediterraneo), nell’isola di Creta.
La rosa dei venti viene utilizzata per lo più nel mondo aeronautico, meteorologico e nautico e da tutti quelli che hanno la necessità di sapere la direzione di un vento che potrebbe condizionarne l’attività, sia professionale sia sportiva.

 

Di seguito lo schema tradizionale:

PUNTO CARDINALE DIREZIONE VENTO
Nord Tramontana
Nord-Est 45° Grecale
Est 90° Levante
Sud-Est 135° Scirocco
Sud 180° Ostro o Mezzogiorno
Sud-Ovest 225° Libeccio
Ovest 270° Ponente
Nord-Ovest 315° Maestrale

 

Il lago Trasimeno è da sempre solcato dai pescatori con le loro tipiche barche e viene caratterizzato ancora oggi dall’occupazione-simbolo della pesca. E chi lo frequenta da lungo tempo sa che il nostro antico lago ha i suoi venti. Da sempre i pescatori regolano la loro arte quotidiana, tenendo conto dei venti lacustri che possono mutare frequentemente e repentinamente anche durante la stessa giornata e cambiare le sorti di un’uscita di pesca. Certi tipi di venti condizionano, senza alcun dubbio, la giornata lavorativa, così come l’uscita in acqua dei diportisti e dei velisti.

 

Foto di Cooperativa dei Pescatori

 

Saper riconoscere un vento è quindi fondamentale per coloro che navigano il lago e un esperto pescatore lacustre ci ha confessato come vengono chiamati i venti del Trasimeno dalla sua gente:

    • Traversone per Grecale
    • Bojone per Levante
    • Sirocco per Scirocco
    • Certano per Ostro o Mezzogiorno
    • Bufolese per Libeccio
    • Fagogno per Ponente
    • Aquilone per Maestrale
    • Tramontana per Tramontana
    • Bojoncello per lo Scirocco Levante
    • Siroccale per l’Ostro Scirocco
    • Certanello per l’Ostro Libeccio
    • Pelagajo per il Libeccio Ponente
    • Fagognolo per il Maestro Ponente
    • Traversino per il Maestro Tramontana.

Buon vento a tutti.

 La scrittrice inglese Violet Paget (1856 – 1935) per molti è conosciuta con lo pseudonimo maschile di Vernon Lee.

Violet Paget/Vernon Lee

Violet Paget/Vernon Lee parlava un italiano perfetto e aveva un motto che l’ha accompagnata per tutta la vita: labora et noli contristari (lavora e non essere triste). Si stabilì a Firenze nel 1873 e fu un’assidua viaggiatrice. La sua vita fu anche caratterizzata dalle relazioni che ebbe con altre donne e non esitò a fare coming out. A Firenze si innamorò prima di Annie Mayer e poi di Mary Robinson.
Pacifista e femminista, fu riabilitata proprio da questi movimenti alcuni decenni dopo la sua morte, avvenuta nel 1935. Fu accudita dalla sua ultima compagna Irene Cooper Willis. Uno dei suoi più raffinati estimatori, il critico letterario Mario Praz, ha avuto modo di affermare che Vernon Lee stupì, con i suoi brillanti saggi, tutto l’ambiente intellettuale italiano. Divenne così una personalità di riferimento grazie al suo stile elegante e versatile.
Dal 1889 visse costantemente alla villa Il Palmerino sulle colline sopra Firenze. Tuttavia la passione per i viaggi, coltivata fin da piccola, non l’abbandonerà mai e così la ritroviamo nel 1895 in Umbria. La lettera che scrive a sua mamma viene spedita proprio da Foligno.
E di Foligno e dell’Umbria così scrive: «I boschi di leccio dell’Umbria, così scuri, compatti e misteriosi sono una costante e continua attrazione per me. Ti arrampichi sulle colline caratterizzate da quella pietra calcarea rosa che ha il potere di illuminare qua e là nel puro colore della carne le città di Assisi, Spello, Foligno e Trevi. Le macchie di quercia delle colline danno l’opportunità al boscaiolo di fare fascine che non di rado rotolano giù nei letti dei torrenti. Si continua avanti e ancora verso la montagna, iniziano i lecceti e all’improvviso ci si imbatte in un monastero parzialmente rovinato con le sue mura fortificate con torri e colonne».

 

Lettera da Foligno

Le Possessioni

Violet Paget/Vernon Lee aveva una personalità originale e controcorrente,, al punto di viaggiare in una direzione sia personale sia culturale in netto anticipo rispetto ai suoi tempi. L’amore per il nostro Paese fu sempre forte e costante, le città e i borghi esercitavano su di lei un fascino irresistibile. Tutto ciò si rifletteva nella sua scrittura e nella produzione di romanzi e storie, anche di genere fantastico, delle quali fu una sorta di pioniera. Fu autrice di saggi di estetica e di pubblicazioni sul Rinascimento, ma anche di romanzi e racconti fantastici come quelli presenti nella raccolta Possessioni.
Possessioni costituisce forse il suo capolavoro letterario. È composto da tre novelle incantevoli, da tre racconti fantastici di ambientazione italiana: un Urbino fiabesca, una Venezia dissolta nella caligine lagunare e un fatiscente palazzo di Foligno. Da un polveroso guardaroba del palazzotto di Foligno emergono i fantasmi dell’inconscio. Incantevoli scorci del pensiero, colto e a volte allusivo, fanno da sfondo alla storia da lei denominata The doll (la bambola).

Lettera inviata da Foligno

In questo racconto Violet Paget/Vernon Lee così si esprime: «Foligno non è quello che la gente chiama un posto interessante, ma a me è piaciuta. C’è un piccolo fiume pieno e impetuoso con argini ricoperti di edera. Ci sono affreschi del quindicesimo secolo e dei bei palazzi antichi con porte scolpite in pietra rosa. Foligno è una città di mercato e un incrocio, una specie di metropoli della valle. Mi è piaciuta principalmente perché ho conosciuto un delizioso commerciante di curiosità. Il suo nome è Oreste ha una lunga barba bianca, occhi gentili di colore marrone e delle belle mani. Porta sempre con sé un braciere di terracotta sotto il mantello. Conosce tutte le vecchie cronache e sa esattamente dove è successo tutto negli ultimi seicento anni. Parla dei Trinci e dei Baglioni come se li avesse conosciuti. Sono stata molto felice a Foligno vagando per tutto il giorno. Oreste venne una mattina a dirmi che un nobile voleva vendermi un set di piatti cinesi e anche se alcuni erano incrinati, a suo dire, avrei, comunque, avuto modo di vedere uno dei palazzi più raffinati della città. Il palazzo era della fine del diciassettesimo secolo, all’interno grandi spazi, addirittura una fabbrica di sapone ed un calzolaio, un ampio cortile ed una sala da ballo grande come una chiesa ma anche pavimenti sporchi, mobili appannati e sbrindellati ed orribili cremagliere. Vicino alla stanza dei domestici c’era una bambola enorme con un volto classico stile canova». È attorno a questa bambola, oggetto di desiderio e di acquisto della scrittrice, che si sviluppa la storia.
Ma per carpire gli aspetti magici e allusivi è opportuno tuffarsi pienamente nella lettura di questo libro, facilmente reperibile in libreria oppure online.
Alla sua morte, avvenuta nel 1935, la compagna Irene Cooper Willis, che era anche esecutrice testamentaria della scrittrice, donò al British Institute di Firenze una collezione di oltre 400 volumi. È lo stesso British Institute che riporta una curiosità di Violet Paget/Vernon Lee: oltre a numerosi appunti, i libri della scrittrice riportano le date di lettura ed è da queste date che si capisce come fosse abituata a rileggere i diversi testi più volte.

Il Commissario straordinario, Gioacchino Napoleone Pepoli, il 15 dicembre 1860 con il decreto n. 197 istituiva la Provincia dell’Umbria: venivano in tal modo riunite le preesistenti quattro delegazioni pontificie di Orvieto, Perugia, Spoleto e Rieti e a esse veniva accorpato anche il mandamento di Gubbio, sottratto alla delegazione di Urbino e Pesaro, in cambio del mandamento di Visso che veniva invece ceduto a Camerino. La Provincia dell’Umbria si trovò dunque articolata in 6 circondari, suddivisi in 176 comuni e 143 appodiati per una superficie complessiva di 9702 km2.

 

La Provincia dell’Umbria nacque in mezzo a grandi polemiche e scontenti che il marchese Pepoli cercò di sedare sia con la parola, richiamando le popolazioni a dare prova di abnegazione «sacrificando al bene della patria le tradizioni e gli interessi municipali»[1], sia con la forza, sedando sul nascere possibili reazioni armate. Il Palazzo della Provincia, fin dalla scelta strategica del luogo della sua edificazione, ossia dove un tempo sorgeva la Rocca Paolina, odioso simbolo del potere papale, ha una forte valenza simbolica. La scelta di affidare a Domenico Bruschi l’impresa decorativa del Palazzo non risulta in quest’ottica certo casuale e, se da un lato deve essere stata favorita dall’aver egli lavorato in più occasioni a fianco dell’architetto Antonio Cipolla, a cui era stata affidata la perizia del nuovo palazzo, di sicuro essere stato il figlio di Carlo che aveva partecipato alla prima guerra di indipendenza diventa garanzia di adesione profonda alla modernità e di fedeltà all’Italia unita con le proprie istituzioni. Il ciclo degli affreschi del Bruschi, iniziato nell’estate del 1873 e terminato in occasione del primo Consiglio provinciale tenutosi il 10 settembre di quell’anno, ha pertanto un fortissimo valore simbolico volto a sancire l’ufficialità della nuova istituzione. Nella Sala del Consiglio il Bruschi rappresenta 8 figure allegoriche, personificazioni delle entità politiche di recente creazione. Colloca l’Italia e la Provincia dell’Umbria l’una di fronte all’altra, affiancate dalle città di Foligno, Orvieto, Perugia, Rieti, Spoleto e Terni «in una disposizione radiale e sostanzialmente agerarchica che sottolinea l’armonico concorso delle parti all’unità»[2]. La Provincia dell’Umbria viene collocata, e non a caso, in corrispondenza dello scranno del Presidente ed è rappresentata seduta su un trono di pietra che reca gli stemmi delle città di Perugia, Foligno, Terni, Spoleto, Rieti e Orvieto ed è sormontato dal gonfalone della Provincia dell’Umbria (un grifo azzurro passante su sfondo rosso).

 

Domenico Bruschi, Provincia dell’Umbria, 1873 (Perugia, Palazzo della Provincia)

 

Sullo sfondo un paesaggio collinare che, insieme ai rami di ulivo e di quercia che la donna sorregge con la mano destra e al grano e ai frutti che escono dalla cornucopia sulla sinistra, suggeriscono la vocazione agricola e al contempo la fecondità del territorio della Provincia dell’Umbria. La donna è vestita con un ricco abito di broccato azzurro e oro. I colori ribadiscono ancora, con la loro simbologia, l’immagine che si vuole trasmettere e, mentre il blu prefigura la lealtà e la pietà, l’oro garantisce la legittimità del potere, la gloria e la potenza. Non a caso l’aquila, che da sempre simboleggia la potenza cosmica e che viene scelta come animale per reggere il cartiglio con il nome Provincia dell’Umbria nella Camera n. 10 dello stesso Palazzo, è immersa in un cielo stellato eseguito con gli stessi identici colori.

 


[1] Citazione tratta da G.B. Furiozzi, La Provincia dell’Umbria dal 1861 al 1870, Perugia, Provincia di Perugia, 1987, p. 7 e n. 10.

[2] S. Petrillo, La decorazione pittorica tra nuovi simboli, storia e politica per immagini, in F.F. Mancini (a cura di), Il Palazzo della Provincia di Perugia, Perugia, Quattroemme, 2009, p. 218.

Papa Francesco ha acquistato terre in Umbria? Così sembra. Sembra, ma in realtà si tratta di una fake news, anche se tutto lascia credere il contrario.

Terre che fino al 1860 sono state sotto la giurisdizione dello stato della Chiesa adesso sono Del Papa. Un chiarimento si impone. Del Papa è il nome del titolare di una società che si chiama Terre Del Papa, la quale ha acquistato all’asta circa 300 ettari di terra nella zona del castello di Sismano, ad Avigliano Umbro. Papa Francesco non è della partita.

 

Quercia ballerina

 

Non è più della partita nemmeno il principe Corsini, che ha venduto all’asta quelle terre che un suo antenato aveva acquistato all’Asta della Candela nel 1607. Trecento ettari sono tanti e visti dall’alto sembrano immensi. Il colpo d’occhio si ha arrivando da un tratto della via Amerina: si esce dal bosco dopo la salita, dopo aver superato un ponte romano, dopo aver incontrato una quercia molto insolita che crede di essere un rampicante. Potenza della natura: insetti, parassiti e clima hanno trasformato una possente quercia in una gaia ballerina. Comunque, finita la salita si raggiunge la chiesetta della Mestaiola e lì si apre un panorama vastissimo che spazia da Todi a Terni, dai monti Martani al Terminillo.

Una nuova coltura di olivi

Su quelle terre si costruisce il futuro per rilanciare l’olio italiano. Il futuro ha l’aspetto di olivi piccoli, ma innumerevoli. Del Papa ne ha fatti piantare 400.000, rigorosamente allineati, che scendono da tutti i lati delle colline. Si tratta di un nuovo cultivar che non cresce molto, rimane piccolo favorendo la raccolta delle olive con le macchine. Questo cultivar ha delle caratteristiche totalmente diverse dai tradizionali olivi umbri. Non solo è piccolino, ma cresce e va a frutto in due anni soltanto, però avrà vita breve: vent’anni. Il panorama umbro cambierà molto passando dalla visione degli olivi secolari a questi giovanetti di corta esistenza. Il panorama cambierà, ma già tante volte è cambiato. All’epoca di San Francesco gli olivi erano pochi, poi a metà Ottocento Papa Pio IX ne ha fatti piantare 362.000. Poi è stata la volta della vigna. Venticinque anni fa il Sagrantino era un solo un vino locale, adesso è diventato famoso e le vigne si sono moltiplicate. Poi c’è stata la coltivazione estesa del tabacco, che adesso è molto ridotta. Insomma, l’aspetto della natura selvatica e addomesticata varia con il clima e con l’economia delle zone.
Questi piccoli olivi rappresentano il nuovo che avanza anche dal punto di vista dell’irrigazione. Il nostro clima è sempre più secco e il sole implacabile fa evaporare l’acqua d’irrigazione. La società che gestisce queste piante ha introdotto una tecnica d’irrigazione copiando quello che la natura fa già spontaneamente a Pantelleria. Le vigne di Pantelleria non vengono mai irrigate perché il terreno che sopra è polvere, venti centimetri più giù è umido. La vigna cresce bene malgrado la siccità e i venti fortissimi che battono l’isola.

 

Olivi Del Papa

La leggenda di Eurosia

Il terreno tra Avigliano Umbro e il Castello di Sismano si prestano a introdurre la nuova tecnica di irrigazione. Questi olivi saranno bagnati mediante sub-irrigazione, cioè l’acqua arriverà alla pianta da sotto terra, così manterrà il terreno umido e in inverno non gelerà. L’estremante nuovo si congiunge con l’estremamente antico di Pantelleria.
La zona è inoltre ricca di leggende, in particolare quella della Mestaiola di Santa Eurosia. La cappellina che si incontra viaggiando lungo la via Amerina è dedicata alla santa spagnola o forse slava Eurosia.
La leggenda vuole che, mentre i Saraceni sui monti Pirenei avevano già cominciato a torturarla, sia scoppiato un violento temporale e un fulmine sia caduto vicino alla ragazza senza farle niente. I Saraceni si spaventarono, ma continuarono il lavoro e la decapitarono. Da allora Eurosia, divenuta santa, è considerata la protettrice della grandine e dei fulmini e basta dire il suo nome per sedare le tempeste. Quindi la presenza della cappellina è quanto mai idonea per assicurare la sopravvivenza del nuovo impianto.

Giovedì 2 luglio ore 18,00 (disponibile da venerdì 3 luglio alle 12:00 sulla pagina Facebook di AboutUmbria), secondo appuntamento con Otium et negotium a cura di Marco Pareti, una rubrica di approfondimento promossa da AboutUmbria e nata per affrontare un tema cruciale e di grande attualità: la mobilità dolce.

Fra gli ospiti il Sindaco di Perugia Andrea Romizi, a testimonianza di come l’argomento sia di grande importanza anche per il capoluogo umbro. In una città come Perugia con un rapporto auto/abitanti più alto di Italia – ben 72,7 auto ogni 100 abitanti (dati Osservatorio Euromobility 2018) – e in una regione, l’Umbria, dove già prima dell’emergenza Covid-19 e il conseguente crollo nell’uso della mobilità pubblica solo 7000 lavoratori al giorno, appena il 2,2% della popolazione, facevano uso dei mezzi pubblici per raggiungere il luogo di lavoro (dati Istat 2019), la neonata associazione sportiva e culturale Pedala il Futuro (come altre già attive sul territorio perugino tra cui Fiab Perugia Pedala), intende promuovere culturalmente l’uso della bicicletta e la mobilità alternativa e dolce (pedonale e ciclabile in primis) sia per gli spostamenti casa-lavoro-scuola, sia come occasione per esaltare salute, socialità e rigenerazione urbana orientata alla sostenibilità ambientale.

 

 

Per farlo, l’associazione Pedala il Futuro lancia una serie di dibattiti web e un evento pubblico che si svolgerà entro l’estate con il coinvolgimento di altre associazioni che operano nel territorio. In queste occasioni vogliamo invitare a discutere pubblicamente tutti i soggetti interessati per creare possibili sinergie e progetti in favore di una mobilità dolce a Perugia.

Durante il primo confronto web La mobilità dolce al tempo del coronavirus svoltosi l’8 maggio scorso durante la fase di lockdown, si è discusso con Lorena Pesaresi, ecologista, già assessore all’ambiente e alle politiche energetiche del comune di Perugia e membro dell’associazione Europa Comunica, e il dott. Gianluigi Rosi, medico e appassionato di salute e benessere, del progetto Bike sharing di Perugia che i due idearono assieme nel 2012 e che oggi purtroppo langue nell’abbandono.

Si è parlato con l’architetto Viviana Lorenzo, esperta di progettazione urbana e processi partecipativi e docente presso The Umbra Institute, di esempi nazionali e internazionali di tactical urbanism orientati alla mobilità dolce, e con il prof. Luca Ferrucci, economista e professore ordinario di Economia presso l’Università degli Studi di Perugia, dell’economia del turismo in bicicletta e delle sue potenzialità.

Giovedì 2 luglio alle ore 18,00 – ma disponibile da venerdì 3 luglio alle ore 12 nella pagina Facebook di AboutUmbria – il Sindaco di Perugia Andrea Romizi assieme a Francesco Consalvi, operatore del settore e del bike tourism, a Ruggero Campi, Presidente ACI di Perugia, dibatterà e approfondirà nuove idee per la Perugia di oggi e di domani.

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