Da venticinque anni frequento l’Umbria e molte persone che ho conosciuto e con cui ho a che fare sono straniere: americani, sudafricani, inglesi, olandesi e belgi, tutte persone che vivono stabilmente sul territorio, che hanno acquistato villette e che pagano anche le tasse. I tedeschi li conosco solo di vista e so che vengono saltuariamente.
Tra gli italiani ho trovato solo lombardi e veneti. Questo è dovuto ai 75 anni di pace europea e alle migliorate condizioni economiche del continente, che hanno favorito i grandi spostamenti interni. Molti hanno lasciato il loro Paese perché invogliati da un clima più mite, da una luce più intensa e, non per ultimo, da un grande seduttore: il cibo italiano. Spesso sono pensionati, altrimenti sono scrittori o giornalisti, comunque persone che potevano lavorare da casa anche prima del Covid-19.
Conosco una signora sudafricana che coltiva rose, un belga che scrive romanzi, alcuni tedeschi che si spostano tra Grecia, Italia e Germania e un olandese che insegna italiano. Persone benestanti che si sono inserite nell’ambiente locale. Ci sono anche extracomunitari o persone provenienti dai paesi dell’Est e questi li vedo lavorare ovunque, come nel resto d’Italia. Naturalmente qualche umbro l’ho conosciuto e dal profilo ho riconosciuto in maniera inequivocabile l’origine etrusca.
Allora sono andata a spulciare tra le statistiche dell’ISTAT e ho scoperto che l’Umbria ha una popolazione di 882.015 abitanti e di questi 97.541 sono stranieri e residenti (dati ISTAT del 2019). Un numero di tutto rispetto che corrisponde a Foligno e Città di Castello messe insieme. Poi mi sono accorta che molti maschi umbri tra i 50 e 60 anni hanno per compagne delle donne dell’Est. Perciò gli umbri stanno mescolando il loro DNA con quello di tutto il mondo.
Un bel frullato di geni
Ma per tornare agli umbri, siamo sicuri che esistano davvero? Prima, quasi tremila anni fa, c’erano le popolazioni autoctone, poi, quando sono arrivati i Romani, l’Umbria è diventata un’importante via di passaggio per eserciti e merci. Si sa, ed è ovvio, dove ci sono i passaggi le popolazioni si mescolano e i geni fanno festa. In seguito sono arrivati i Longobardi che si sono trattenuti per oltre 200 anni e di tracce ne hanno lasciate tante. Ad esempio nei cognomi Bernardini, Nardi, Leonardi, Baldoni, Federici, Baldelli. Poi c’è traccia nei nomi dei paesi: Gualdo o Fara. Hanno lasciato una traccia anche nei dolci, ne è un esempio la famosa Rocciata di Assisi: un dolce arrotolato come lo strudel, lasciato in eredità dai nordici longobardi, fatto con la stessa pasta dello strudel di mele che faceva mia nonna austriaca con la ricetta di famiglia. Sono passati 13 secoli e la ricetta non è variata o, se lo è, è stato pochissimo.
Le ricette non variano, si modifica però il DNA e l’Umbria ha continuato a essere attraversata da eserciti e da pellegrini che scendevano a Roma sulla tomba di Pietro. Viaggiare per noi ha un significato diverso da quello di un secolo fa. Noi ci muoviamo con macchine, treni, aerei e navi, mentre prima andavano soprattutto a piedi, e a piedi ci si stanca molto ed è opportuno fermarsi per riprendere le forze. Petrarca fa partire per Roma il «vecchierel canuto e stanco», ma questa è poesia, mentre la realtà è prosaica e vuole che chi si muoveva per viaggi così lunghi e pericolosi fosse giovane e robusto, proprio come i ragazzi che oggi vediamo sbarcare dai barconi.
Con tutto questo andare e fermarsi, con tutti questi giovani che passavano e vedevano ragazze coetanee, bisogna mettere in conto anche la biologia, che pretende che i giovani facciano sesso per riprodursi. Si tratta di un bisogno primordiale a cui difficilmente si sfugge e ragazzi e ragazze si saranno piaciuti e avranno fatto sesso e magari molti di loro si saranno fermati qui per sempre, mettendo su famiglia e facendo figli. Perciò accanto alle migrazioni c’è anche la biologia ad aver fatto la sua parte. Allora io adesso mi chiedo se i miei amici umbri siano davvero umbri oppure, facendo un esame del DNA, scopriamo che umbri e stranieri sono molto più simili di quanto noi si possa credere. Lo diceva Luca Cavalli Sforza, genetista, tanti anni fa.

Renata Covi

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