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Tanti gli eventi: restauro dal vivo della Pala Martinelli, da San Sepolcro si trasferisce a Perugia l’Ascensione di Vannucci e “Lo Sposalizio della Vergine” sarà riprodotto da un’azienda di Città di Castello.

La Pala di Sant’Onofrio di Luca Signorelli ha lasciato la sua casa presso il Museo del Capitolo della Cattedrale di San Lorenzo a Perugia per traslocare all’interno della Galleria Nazionale dell’Umbria. Resterà lì fino all’11 giugno in occasione della mostra Il meglio maestro d’Italia. Perugino nel suo tempo, che verrà inaugurata sabato 4 marzo. Il trasferimento di Sant’Onofrio rientra nelle celebrazioni dei 500 anni dalla morte di Perugino e Signorelli, che giorno dopo giorno entrano sempre più nel vivo.

«L’operazione è frutto della collaborazione tra Isola San Lorenzo e Galleria Nazionale dell’Umbria: la Pala del pittore toscano è stata infatti concessa in prestito per la grande mostra e al Museo del Capitolo è arrivata la Pala Martinelli – Martirio di San Sebastiano, opera del Perugino, che realizzò per la Chiesa di San Francesco al Prato e che fino a oggi si trovava nel deposito della Galleria. Qui si terrà anche il suo restauro dal vivo, realizzato dall’impresa CBC – Conservazione Beni Culturali e saranno organizzate delle visite guidate a contatto con l’opera e con chi esegue la riqualificazione.
Inoltre, dal Duomo di San Sepolcro si sposta a Perugia l’Ascensione di Cristo sempre del Perugino e potrà essere ammirata al museo da giugno a settembre. Infine, da metà settembre fino all’8 dicembre, ricreeremo una bottega rinascimentale e l’azienda di Città di Castello Bottega tifernate realizzerà una riproduzione in scala 1:1 dello Sposalizio della Vergine con la tecnica della pictografia. La riproduzione resterà in esposizione in Cattedrale, per poi diventare un pezzo della collezione del Museo. Ma di tutti questi eventi ne riparleremo in modo più approfondito» spiega l’architetto Alessandro Polidori, direttore dell’Ufficio diocesano per i Beni culturali ecclesiastici. Tutto questo rientra nel progetto della Diocesi di Perugia – Città della Pieve, curato da Genesi (che si occupa del Complesso monumentale della Cattedrale Isola di San Lorenzo), Perugino nel segno del tempo, classificato terzo al bando del Comitato Nazionale.
«Il progetto prevede inoltre dei percorsi che, partendo dall’Isola di San Lorenzo andranno a toccare tutti i luoghi dove sono presenti le opere di Vannucci. Sarà pubblicata anche una guida su questi itinerari, edita da Electa. Ma anche di questo avremo modo di parlare in seguito» prosegue l’architetto Polidori.

La Pala di Sant’Onofrio di Luca Signorelli

Il dipinto, datato 1484, si trova nella cappella intitolata a Sant’Onofrio nella Cattedrale di Perugia, sulla quale aveva il patronato la famiglia cortonese dei Vagnucci.

Pala di Sant’Onofri, olio su tavola di Luca Signorelli, 1484

Uno dei membri della famiglia, Iacopo, fu vescovo della città umbra dal 1449 e fu l’artefice del cambiamento in chiave rinascimentale del Duomo. Nel transetto destro trovò posto la cappella in cui Iacopo Vagnucci venne sepolto e che recava sull’altare la Pala di Luca Signorelli. L’opera è molto importante, perché costituisce un punto fermo nel percorso dell’artista toscano, mostra infatti l’acquisizione dei temi centrali della pittura del suo tempo e regala al pubblico un dipinto di grande compiutezza stilistica.
Sulla tavola è dipinta la Vergine che siede al centro su un alto trono, intenta a leggere un volumetto rosso; il Gesù le siede in grembo anch’esso assorto. Quattro santi li affiancano: a destra San Lorenzo e Sant’Ercolano con le fattezze del vescovo Vagnucci, entrambi vestono sontuosi paramenti liturgici che rappresentano mirabile esempio di pitture nella pittura. A sinistra si trovano invece Giovanni Battista e Onofrio. Un angelo suona il liuto seduto ai piedi di Maria, omaggio alle composizioni in voga in area veneta.
La composizione e la disposizione delle figure – immerse in un paesaggio aperto – sono costruite con grande equilibrio e la luce, assieme al colore, definisce con nitidezza corpi e volumi. La natura morta del vaso di vetro in primo piano, rimanda all’arte fiamminga e in particolare al Trittico Portinari di Hugo van der Goes.

Il nuovo allestimento del Museo della Cattedrale

Il Museo del Capitolo della Cattedrale – Isola di San Lorenzo di Perugia ha riaperto al pubblico mostrando una nuova veste e un nuovo allestimento. Il progetto coincide coi cento anni dalla sua apertura (1923-2023) e col quinto centenario della morte del Perugino e del Signorelli (1523-2023). L’allestimento, realizzato grazie al sostegno della Fondazione Perugia, segue un criterio tematico e non più cronologico: si tratta di un nuovo percorso in cui le opere selezionate raccontano la propria storia anche come espressione di un messaggio autentico in grado di arrivare al cuore del visitatore. Un fil rouge tra pittura, scultura, oreficeria, miniatura e tessile, che documenta il lungo dialogo che unisce e accomuna le diverse espressioni artistiche, testimonianza diretta di una committenza che ha trovato nella ricerca del bello uno strumento per incontrare Dio.

 

Il nuovo allestimento

 

«Si tratta di un percorso non più cronologico, ma di carattere scientifico-tematico a cui si può accedere non solo con visite guidate, ma anche in autonomia, grazie a moderni pannelli esplicativi. Ogni sala è intitolata a personalità e a opere significative caratterizzanti epoche della storia di Perugia e non solo. Basti pensare alle sale: Leone XIII, il Papa della Rerum Novarum e vescovo di Perugia dal 1846 al 1880; Perugia dei Papi; Sant’Anello che la cattedrale custodisce; Parato Armellini; Luca Signorelli dove si trova la Pala di Sant’Onofrio; Speranza e affidamento che vede esposte le opere con carattere devozionale che i perugini hanno fatto realizzare in momenti di difficoltà come la peste; Agostino Di Duccio con all’altare che lui fa nel 1473 all’interno della Cattedrale; Diocesi-Cattedrale-Museo, dedicata alla storia del museo» illustra l’architetto Alessandro Polidori, curatore del nuovo progetto.

«Come sempre sto lavorando alla pittura ma anche a dei progetti paralleli, forse è più esatto dire intrecciati, in cui le riflessioni sullo spazio, sul tempo, sulla natura della visione vengono assunte anche attraverso le istallazioni, la scultura, la scrittura».

Fog olio e bitume su tela

Danilo Fiorucci è nato a Perugia dove vive e lavora. Si è diplomato all’Accademia di Belle Arti Pietro Vannucci di Perugia con i docenti Nuvolo, Antonio Gatto, Bruno Corà e Aldo Iori. Nel 1989 ha fondato l’Associazione Arti Visive Trebisonda insieme a Moreno Barboni, Lucilla Ragni e Robert Lang. Intraprende poi un’intensa attività espositiva e organizzativa con mostre in Italia, Germania, Stati Uniti e Israele tra cui ricordiamo: Premio del Golfo 2006 Biennale Europea Arti Visive Camec La Spezia; XV Quadriennale di Roma Palazzo delle Esposizioni; Stemperando Biennale di pittura su carta Biblioteca Nazionale di Roma e Padiglione Italia Biennale di Venezia, Sala Nervi, Torino. Oggi collabora alla realizzazione di numerose esposizioni curate dall’Associazione Trebisonda presso l’omonimo centro per l’arte contemporanea.

I suoi dipinti sono evanescenti ed eterei, dalle pennellate fluide e veloci. Qual è stata la spinta che l’ha avvicinata al mondo dell’arte?

È difficile rintracciare un momento preciso. Non c’è dubbio che la mia infanzia – e credo valga per tutti – era pervasa da questa capacità di costruire mondi, attribuire alle cose una propria vita, una inesauribile spinta generatrice; poi c’è stato l’incontro con il colore, il segno, la forma. Da questa condizione iniziale è scaturita una curiosità inesauribile nei confronti dell’arte, un assorbimento continuo d’immagini, di storia, di pensiero; successivamente la formazione e l’incontro con compagni sodali con cui scambiare e confrontarsi.

Nelle sue opere è spesso presente il colore nero, il bitume corposo degli sfondi che guida costantemente lo sguardo nella profondità, in cui la luce è la forza generatrice. Ci racconta come nascono le sue opere?

La mia pratica nella pittura, fiume sotterraneo e continuo, si muove da un’originaria necessità di evidenziare la profondità dello sguardo. I primi lavori apparentemente monocromi erano ottenuti da un susseguirsi di velature per produrre addensamenti e punti di luce; una visione in immersione, ho cercato di essere dentro la pittura e non di fronte superando il modello prospettico. Questa modalità è andata avanti per anni, lo scarto è avvenuto ribaltando il processo, partendo quindi da una oscurità abissale (progetto cosmico) per rintracciare la luce originaria. Tecnicamente il lavoro procede sempre per velature e sovrapposizioni che producono non solo spazio ma temporalità.

 

Lo spazio assente

Se posso chiederlo, a cosa sta lavorando in questo periodo?

Come sempre sto lavorando alla pittura ma anche a dei progetti paralleli, forse è più esatto dire intrecciati, in cui le riflessioni sullo spazio, sul tempo, sulla natura della visione vengono assunte anche attraverso le istallazioni, la scultura, la scrittura. Sto sviluppando per esempio un progetto, Lo Spazio assente, che ragiona sul vuoto, sulla centralità di questa tematica nell’arte contemporanea. Credo di aver aperto il vaso di Pandora tali e tante sono le direzioni percorribili…

Vorrei concludere chiedendole di lasciarci con una parola su cui meditare, che per lei rappresenti il connubio tra la sua arte e l’Umbria.

Se tra queste colline intermedie tra Toscana, Umbria e Marche è nato il Rinascimento credo che la parola giusta sia armonia.

L’evento, che si è appena concluso al Club Velico Trasimeno di Passignano sul Trasimeno, ha visto coinvolti oltre 80 artisti tra pittori, scrittori, musicisti, attori, drammaturghi e stilisti, nei vari linguaggi d’arte che il ricco e vario programma del 2022 ha messo a disposizione dei visitatori di Cartoline dal Trasimeno.

Nomi come quelli del celebre maestro d’orchestra Gianni Mazza, del cantante Alex Baudo, della performer e scrittrice Floriana La Rocca, dell’archeologa Barbara Venanti, dei promotori artistici e maestri pittorici Fabrizio Fabbroni e Stefano Chiacchella, del drammaturgo Francesco Bianchi, del compositore e performer Cesare Verdacchi, dell’attore e scrittore Mirko Revoyera, della stilista e influencer Maggy Style e del critico d’arte Luciano Lepri, oltre a 35 pittori conosciuti e affermati provenienti da tutta Italia, hanno tenuto il palco da protagonisti.

 

 

I vincitori della mostra pittorica sono Anna Chiaraluce e Alida Mancini (Raphael Leon) mentre i tre vincitori dei Baccarelli, l’estemporanea di pittura dove le opere sono state create con l’ausilio del vino dei Colli del Trasimeno, sono Dario Silvestri, Simona Costa e Fabiola Lazzarini.

 

Le vincitrici

 

Giuliana Baldoni, Jean Luc Bertoni e Marco Pareti, organizzatori dell’evento, hanno dichiarato: «La seconda edizione di Cartoline dal Trasimeno ci ha regalato grandi soddisfazioni di presenze e partecipazione dei tanti artisti intervenuti. Ci ha fatto piacere trovare una sinergia con il CVT per la realizzazione della vela di Cartoline dal Trasimeno, dipinta con l’ausilio dei pittori intervenuti all’evento che hanno lasciato il loro segno artistico sulla vela che sarà montata su una barca Optimist e condotta da dei ragazzi che prossimamente veleggerano in segno di Pace sulle acque lacustri. Poi sono state distribuite le consuete cartoline postali illustrate riportanti le opere dei pittori che hanno esposto in mostra e che potranno essere spedite e viaggiare in tutto il mondo, portando l’immagine dei vari dipinti ispirati al Trasimeno come ambasciatori di bellezza artistica e territoriale. Un catalogo illustrato della mostra è a memoria perenne di questa edizione – continuano gli organizzatori – Ringraziamo il CVT, L’Assemblea Legislativa della Regione Umbria, il GAL Trasimeno-Orvietano, il Comune, l’URAT, Europa Comunica, Bertoni Editore, la Cantina Berioli, i B&B Isole e Tramonti e La Rocca Residence, Arcuri e Burico abbigliamento, Vivo a Colori nonché il co-organizzatore AboutUmbria e i media MEP Radio, RTN Radio, TEF e Umbria+TV».
Gli organizzatori hanno svelato che sono al lavoro per la prossima edizione dove ci hanno garantito delle nuove sorprese all’insegna dell’arte e della cultura.


La brava e attiva artista Linda Lucidi ha organizzato la scorsa estate, con il supporto dell’Associazione AISTEL, un’estemporanea di pittura a Sellano dal titolo Tesori nascosti della Val Vigi: borghi, monti e sorgenti, celebrando così questo territorio ricco d’acqua e boschi, ancora incontaminato, che ospita fascinosi borghi da visitare.

 

La Val Vigi è la culla del fiume Vigi e ha le sue sorgenti tra i declivi del Monte Pizzuto, nel maceratese; i suoi 22 chilometri di lunghezza, prima di gettarsi nel fiume Nera, sono percorsi prevalentemente nel Comune di Sellano. Il fiume corre rapido tra i meandri della valle montana e incontra la bellezza naturalistica dei luoghi ricchi di fiori spontanei ed erbe aromatiche, di ginepri, ontani, lecci e faggi. Anche la fauna selvatica come lepri, volpi, lupi, aquile, tassi, martore e gufi ha trovato un habitat pressoché inviolato dal tempo e dalle offese del consueto bipede demolitore.
Nella Val Vigi si possono ammirare molte attrazioni sia naturali sia costruite, come le Cascate delle Rote, il laghetto artificiale dalle acque chiare e limpide, il fiume Vigi e il suo mulino, Sellano, Cerreto di Spoleto, Montesanto, Chiese, opere d’arte e borghi disseminati sul territorio, oltre alla fauna e alla flora dei luoghi e a molte altre particolarità. Una valle incontaminata che evoca emozioni e suggestioni naturalistiche, una rarità.

 

Sellano, tra acqua e agricoltura

Il borgo di Sellano si trova su un colle a 640 metri s.l.m. ed è una cittadina nei cui dintorni si possono ritrovare numerose sorgenti e falde acquifere: alcune di queste vengono utilizzate per l’imbottigliamento delle loro preziose e ricercate acque. Di origini romane, il suo territorio è stato inserito, in alto Medioevo, nel Ducato longobardo di Spoleto e, dopo circa due secoli di indipendenza, è tornato sotto il controllo spoletino; in ultimo assurge, nel XIX secolo, a Comune del neo costituito Stato Italiano.
La ricchezza del territorio sellanese da sempre è stata rappresentata dall’abbondanza di acqua e dai prodotti dell’agricoltura, selvicoltura e pastorizia, così come dai legumi, i tartufi e i formaggi che prevalgono, nei generi, per caratteristiche e qualità.

L’estemporanea di pittura

In questo bellissimo contesto paesaggistico e naturistico si è tenuta l’estemporanea di pittura coordinata dall’artista Linda Lucidi, che ci ha detto: «Il tema individuato sui tesori della Val Vigi è per dare un tributo pittorico a questi luoghi magici; un tributo che nasce da un senso creativo e innato per il bello e per il suggestivo paesaggio storico e naturale della zona, a cui io sono ovviamente molto affezionata». L’estemporanea è diventata una valida cartolina artistica per la promozione del territorio e a favore di un turismo ecologico e sostenibile.
I pittori intervenuti si sono portati supporto, materiale per l’esecuzione, sedia e tanta creatività, la quale è stata poi imprigionata cromaticamente sulle tele, ciascuna poggiata saldamente sul proprio cavalletto. Gli artisti hanno dipinto tra le vie del paese sotto occhi curiosi che, in un silenzio suggeritore, avrebbero voluto vedere le singole opere terminate il prima possibile. Una giuria popolare ne avrebbe poi decretato la classifica. Ha vinto Valter Sensini; a seguire, Giovanna Gubbiotti e ha chiuso il podio l’organizzatrice Linda Lucidi.
Non con meno soddisfazione hanno partecipato, bellamente e con tecniche diverse, Patrizia Latini, Lella Simonetti, Susana Graciela Rastelli e Marina Sereda.
Le opere sono state esposte in serata con modalità di vendita, nei pressi degli stand alla Sagra della Fojata di Villamagina. La Fojata, una sfoglia di pasta salata farcita con verdure e formaggio, è un altro dei tesori della zona, assolutamente da assaggiare e gustare in questo meraviglioso ambiente naturale.
I bravi pittori che hanno partecipato e dipinto con gioia, hanno visto la loro felicità accresciuta in modo cospicuo, dopo aver apprezzato le molteplici bontà culinarie proposte come tipicità dei luoghi.
Vale la pena venire nella Val Vigi, splendido paesaggio ispiratore per un bel dipinto o per un prelibato e delizioso sfizio per il palato…

È in continuo divenire la collezione del Museo di Calvi dell’Umbria, autentica perla artistica e culturale incastonata nelle verdi colline che ammantano la propaggine più meridionale della regione.

Continua infatti ad arricchirsi la collezione Chiomenti-Vassalli che, come un uovo che si schiude dopo una lunga gestazione, dopo la pausa invernale ha presentato lo scorso 21 aprile i suoi due nuovi nati: la Veduta di Roma: Arco di Costantino (1764) di Gian Paolo Panini e nientemeno che la Vocazione degli Apostoli Pietro e Andrea di Pietro da Cortona (1630).

 

Parabola dei Ciechi di Pieter Brueghel il Giovane

La collezione Chiomenti-Vassalli

Entrambe donate dal professor Chiomenti, le due opere seguono quelle giunte nel 2009 e nel 2014, a testimonianza dell’imperitura volontà del professore di vivacizzare questo piccolo borgo alle pendici del Monte San Pancrazio. Già nota per i suoi presepi artigianali e i murales, Calvi dell’Umbria trae così lustro dalla presenza di capolavori che non tutti possono vantare: per fare qualche illustre esempio, la collezione Chiomenti-Vassalli annovera la Parabola dei Ciechi di Pieter Brueghel il Giovane, la Madonnina penitente di Guido Reni, il Ritratto del Cardinale Scipione Borghese di Lavinia Fontana e la Veduta di Roma con il Campo Vaccino del Campidoglio con a sinistra la Loggia dell’Ara Coeli di Gaspar Van Vittel.

Il complesso museale

Il Museo occupa quello che era il Monastero delle Orsoline, lì presenti fino al 1991, beneficiarie del lascito di quel Demofonte Ferrini che aveva voluto la costruzione del palazzo poi riconvertito. Questo notaio della Reveranda Camera apostolica di Roma, originario di Calvi, aveva infatti decretato che, all’estinzione della sua discendenza, il Palazzo Ferrini che aveva fatto costruire dal Magister Melle di Lugano sarebbe dovuto diventare di proprietà del Comune che, a sua volta, avrebbe dovuto fondarvi un monastero femminile. Cosa che, di fatto, avvenne nel 1715, tantoché nel 1717 vi si stabilirono le Benedettine di Narni sostituite, appena un anno dopo, dalle Orsoline di Roma. Seguirono interventi di ampliamento e di collegamento con due chiese, così da creare il complesso che conosciamo oggi e lungo il quale si sviluppa il percorso museale.
Percorso che prevede sia la visita al Presepe monumentale di Terracotta – XVI secolo, opera di Giacomo e Raffaele Montereale – sia quella alle cucine storiche settecentesche, al lavatoio con annessa cisterna, alla legnaia e alla spezieria, autentiche testimonianze della vita quotidiana nel monastero.

 

Scoprendo l’Umbria: Luce, foto by Marco Giugliarelli

Le mostre temporanee

Il museo è un vero e proprio contenitore culturale che, dal 2012, ospita anche numerose mostre temporanee. La prossima in programma è Scoprendo l’Umbria: Luce che, dal 1 giugno al 25 agosto, apporterà dieci foto di grande formato realizzate da Marco Giugliarelli, omaggio alla vitalità dell’Umbria. Il percorso tematico affronterà il concetto di illuminazione e di percezione della luce, guidando i visitatori, alla luce di torce elettriche, nella penombra delle sale museali al fine di scoprire il rapporto della luce con l’arte. Non mancheranno attività e laboratori per bambini: il percorso Disegni di Luce li guiderà alla scoperta della rappresentazione della luce stessa.

 


Per informazioni: Sistema Museo

«Pensiamo a Marc Chagall come al pittore-poeta del ventesimo secolo». (Werner Haftmann)

Le meravigliose sale interamente affrescate di Palazzo della Corgna a Castiglione del Lago si colorano con le opere di uno dei massimi esponenti dell’arte del Novecento: Marc Chagall.

La mostra, Marc Chagall. L’anima segreta del racconto, curata da Andrea Pontalti, promossa dal comune di Castiglione del Lago e organizzata da Sistema Museo e Cooperativa Lagodarte in collaborazione con Aurora Group e The Art Company, propone una significativa selezione di opere dell’artista, prendendo in esame la serie Le Favole, il ciclo Chagall Litographe e Re David suona la cetra. La mostra consacra a buon diritto Chagall quale artista letterario e mitologico. Il visitatore potrà ammirare le opere del grande maestro, sotto un soffitto interamente decorato; l’esposizione infatti si apre nella sala di Fetonte (Camera di Diomede), affrescata dal Circignani, il quale raffigura la tragica fine di Fetonte; un monito a Diomede della Corgna a rimanere nei limiti naturali, indicati dalle quattro parti del giorno e dalla successione delle stagioni.

 

Le fasi di Chagall

Nella prima serie, Chagall inizia a illustrare Le Favole di La Fontaine su richiesta del mercante d’arte Voillard. In queste venti acqueforti l’accento cade sulla componente mitologica e universale della favola con la consueta padronanza nel posizionamento dei personaggi: le figure sembrano stagliarsi sul foglio come per dominarlo. Questo lavoro illustra i grandi temi della vita: amore, morte e follia umana, temi antitetici ma sempre presenti nella vita di ogni uomo.

 

Les Amoureux au soleil rouge

 

Il secondo ciclo invece comprende un nucleo di quattro opere: Le Cirque, La Jongleuse, Le Clown musicien e Carte d’invitation, le quali ruotano attorno al tema del circo; questo soggetto attraverserà tutta l’arte del Novecento. Chagall rimase sempre affascinato dagli spettacoli circensi e vide il circo come uno dei fulcri più interessanti della vita artistica e sociale. L’artista inoltre compare in due autoritratti: Le Peintre à la palette e Auto-portrait.

 

Auto-portrait

 

Nel Re David suona la cetra, il riferimento è sicuramente biblico; questo tema sarà affrontato da Chagall ben due volte: nella prima il giovane David calma i mali di Re Saul con la musica, nella seconda il Re è intento a suonare nella solitudine di un paesaggio vitreo.

E infine, nella composizione Musicien et danseuse, vengono privilegiate la semplicità e la vivacità coloristica della musica; emerge infatti il tema del violinista, che sarà una figura chiave del linguaggio figurativo di Chagall tanto da divenire allegoria stessa della musica. È chiaro il riferimento alla sua infanzia e in particolare all’universo folkloristico e rurale di Vitebsk.
Il percorso si completa con la sala ComeChagall, interamente dedicata alla creatività di grandi e piccoli. I visitatori possono diventare creatori di favole o racconti fantastici, grazie a fogli, penne colorate e parole magnetiche con cui comporre sul muro la propria favola; infatti un’intera parete è a uso dei visitatori per lasciare i propri disegni oppure per scrivere una personalissima favola alla maniera di Chagall, ispirandosi alle opere presenti in mostra.

 

Sala ComeChagall

«Le favole non dicono ai bambini che i draghi esistono. Perché i bambini lo sanno già. Le favole dicono ai bambini che i draghi possono essere sconfitti», scriveva Gilbert Keith Chesterton. Ancora una volta Chagall riesce a stupire con le sue suggestioni, portandoci alla scoperta del mondo con l’animo di un bambino.

Il russo parigino

Chagall (1877-1985), trascorre l’infanzia nella sua città natale Vitebsk, in un ambiente esclusivamente ebraico che influì profondamente sulla sua produzione artistica. I suoi esordi hanno uno stile neoprimitivo, influenzato fortemente dalle icone russe e dall’arte popolare. Chagall arriva, per la prima volta a Parigi nel 1910 dove entra in contatto con le avanguardie artistico – letterarie, in particolare con il fauvismo, il cubismo e l’orfismo. Da questo momento in poi un tratto distintivo della sua poetica e della sua arte sarà l’elemento fantastico.
Pochi anni dopo, nel 1917, viene nominato commissario delle Belle Arti; nello stesso anno fonda l’Accademia di Vitebsk da cui però prende le distanze tre anni più tardi per alcuni contrasti con Malevič. Decide così di dedicare la sua arte alla realizzazione di decori, costumi e scenografie per il teatro ebraico. I dipinti di questo periodo si focalizzano prevalentemente su vedute della sua città natale e opere ispirate al suo matrimonio con Bella. A causa delle persecuzioni naziste, l’artista è costretto a rifugiarsi negli Stati Uniti e solo nel 1947 farà ritorno in Francia.
Come molti artisti a lui contemporanei, tra cui Matisse, Braque e Picasso, Chagall esplora nuovi mezzi espressivi dedicandosi alla ceramica, al mosaico, alla scultura, all’arazzo e alla pittura su vetro. In questi anni realizza le vetrate della Cattedrale di Metz, le decorazioni per l’Opéra di Parigi e il Palazzo dell’ONU a New York. Intorno al 1945 Chagall si avvicina alla litografia; insieme a Picasso frequenta il laboratorio dei fratelli Mourlot, dove vedranno la luce molti dei capolavori della litografia del Novecento.

 

 


Per maggiori informazioni.

Nei vari centri di cultura che emergono in Italia e in particolar modo in Umbria, la produzione tessile sostiene un ruolo non secondario nell’esprimere il gusto, l’idea di bellezza e i valori di un’epoca. Il settore tessile è una forma di artigianato fortemente radicata nella realtà economico-sociale umbra.

Arte popolare

Il fascino di questa regione si scopre anche attraverso questa gloriosa arte popolare, che si traduce nella produzione tra il Trecento e il Quattrocento delle famose Tovaglie Perugine, realizzate in tela di lino bianco. I cosiddetti pannili alla peroscina furono apprezzati e commercializzati in tutta Europa dal Medioevo al Rinascimento. Nel centro storico di Perugia, ancora si trova lo storico laboratorio di tessitura a mano di Giuditta Brozzetti. È uno degli ultimi laboratori di tessitura d’Italia dove vengono usati esclusivamente telai originali.

Oltre a Perugia un punto di riferimento interessante è a Città di Castello dove, nelle splendide sale di Palazzo Tommasini, si trova il laboratorio Tela Umbra, nato come istituzione a carattere benefico per opera della baronessa Alice Franchetti Hallgarten al fine di tutelare la conservazione di questa antica arte. 

Madonna della Misericordia

Tecniche e ricami

In Umbria le lavorazioni su tessuto vengono riprodotte anche da pittori locali e forestieri nelle splendide pale d’altare e gonfaloni, attraverso una varietà di forme e di tecniche; i tessuti così sottolineano la bellezza quasi irreale di Madonne coperte da ampi mantelli interamente dipinti, ma che sembrano ricamati sulla tela. Nel Quattrocento e sempre di più nel secolo seguente, molte officine tessili si dotano della presenza di artisti, di maestri sempre più imprenditori e di forestieri che portano nuove tecniche e fanno conoscere nuovi ricami: gli artisti quindi si appoggiano anche alle botteghe dei ricamatori, che godono di una considerazione non inferiore a quella dei pittori.

Le vesti così raffigurate nelle varie opere presenti nel territorio umbro sono grandiose. I tessuti che vengono maggiormente dipinti sono velluti, damaschi, lampassi e broccati, simboli di grande preziosità. Accanto alla lavorazione dei tessuti anche quella dei ricami, raffigurati a punti tagliati o sfilati, è di grande prestigio. Nei pittori le vesti dei personaggi sono ricche di fascino ed eleganza e l’abito diventa parte integrante della figura. Il disegno è costruito con una magnifica e solenne concezione di equilibrio: i decori floreali nelle vesti della Vergine si fanno sempre più importanti, ricordando i tralci di acanto, di memoria classica, che si snodano lungo un percorso sontuoso. Il vestito dipinto sul personaggio lo completa: è lo spirito della sua eleganza e l’espressione della sua raffinatezza.

Madonna del Belvedere di Ottaviano Nelli

Abito, specchio di un’epoca

Osservando il modificarsi della foggia dell’abito e dei tessuti, è possibile intuire l’alternarsi nelle opere d’arte, di epoche e di stili. Di particolare importanza, per la ricchezza delle vesti, è la Madonna del Belvedere (1413), capolavoro del più celebre pittore eugubino Ottaviano Nelli. L’abito segue con delicatezza la linea del corpo, mentre le ampie maniche testimoniano l’estro del tempo: non solo le vesti sono impreziosite in oro, ma con la stessa tecnica sono stati riprodotti anche gli abiti degli angeli musicanti. L’indumento fondamentale nel Quattrocento era infatti la gamurra: un abito lungo fino ai piedi, chiuso da bottoni o da stringhe laterali, più o meno ricco a seconda della classe sociale.

Beato Angelico di Polittico Guidalotti

Non solo la Vergine ha ampi e preziosi vestiti, ma nella pala di gusto tardogotico (1420-1430) di Antonio Alberti, conservata nella Pinacoteca di Città di Castello, anche San Benedetto e San Bartolomeo rispettivamente a destra e a sinistra della Vergine, hanno abiti molto ricercati con decorazioni floreali in oro. San Nicola invece, del Polittico Guidalotti (1437), opera celebre di Giovanni da Fiesole, noto come Beato Angelico, è assorto nella lettura. Nelle sue vesti, l’oro non è un elemento sovrapposto, ma è tessuto insieme alla tela. Il broccato prezioso del piviale è indagato con un’ottica fiamminga della luce che scorre tra le pieghe e crea motivi a losanghe, segmenti e riflessi di luce. Lo stesso trattamento è usato per la veste bianca e rossa che fuoriesce decisa dal piviale. Percepiamo la morbidezza e il fruscio della seta che si adatta in mille pieghe rese vive dalla luce.

Madonna dell’Orchestra di Giovanni Boccati

All’interno di un hortus conclusus, inveceè dipinta in modo monumentale la Madonna dell’Orchestra (1448-1458) di Giovanni Boccati. Quello che più colpisce è il vestito della Vergine in broccato azzurro scuro con motivi floreali in oro. Una tipologia di Madonna molto rappresentata in Umbria è la Madonna della Misericordia, cioè la Vergine che accoglie i fedeli sotto il proprio manto. La bellissima Vergine di un seguace di Niccolò di Liberatore (seconda metà XV sec.), oggi conservata nel Museo Civico di Trevi, indossa un abito rosso amaranto decorato con ornamenti floreali sulla tonalità del rosso, un sontuoso mantello grigio olivastro, anche esso decorato, le scende sulle spalle. Molto simile è un’altra Madonna della Misericordia (1482) di Bartolomeo Caporali, conservata nel Museo Comunale di Montone: una tunica stretta in vita in oro con fiori dalle sfumature rosse e rosa è la protagonista di tutta la scena. Infine degne di essere ricordate, per la preziosità delle loro stoffe dipinte sono la Madonna in trono e Santi (1462) di Matteo da Gualdo, oggi conservata nel Museo Comunale di Gualdo Tadino e la Madonna del Soccorso (fine XV sec.) di Francesco Melanzio, nel Museo Comunale di S. Francesco a Montefalco, da poco restaurata, la pala è tornata a comunicare quei valori di bellezza per i quali era stata commissionata.

Madonna in trono e Santi di Matteo da Gualdo

Infine belle donne elegantemente vestite, sono raffigurate nei piatti da pompa, tipici della ceramica derutese: le dame ricordano, per delicatezza dei tratti e per fisionomia, la tipologia di Vergine dipinta dal Pinturicchio. Una di esse, conservata nel Museo Civico della Ceramica di Deruta (XVI sec.), è raffigurata con un vestito azzurro e oro. A Deruta anche Santa Caterina d’Alessandria, di epoca più recente alle nobildonne precedenti, è vestita con un lungo e raffinato abito con una decorazione in blu e arancio. La Santa, protettrice dei ceramisti derutesi, fa da cornice all’antica arte di tessuti, merletti e decorazioni, non ricamati sulla stoffa ma bensì dipinti sulla tela, nelle opere d’arte umbre.

Madonna del Soccorso di Francesco Melanzio