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ยซMille cause hanno concorso a fare dellโ€™Italia una specie di museo generale, un deposito completo di tutti gli oggetti che servono allo studio delle arti. (โ€ฆ) Si compone di statue, di colossi, di templi, di stucchi, di affreschi (โ€ฆ) ma si compone altresรฌ di luoghi, di paesaggi, di montagne, di strade, di vie antiche (โ€ฆ) di reciproche relazioni tra tutti i reperti, di memorie, di tradizioni locali, di usanze ancora in vita, di paragoni e di raffronti che non possono farsi che sul postoยป.
Quatrรจmere de Quincy, Lettres ร  Miranda, 1796

In seguito alle prime spoliazioni napoleoniche perpetrate da Bonaparte in Umbria, ne seguirono altre, altrettanto sistematiche, che lacerarono il patrimonio regionale. Il 1815 non รจ solo lโ€™anno della sconfitta di Napoleone a Waterloo e del congresso di Vienna, ma anche lโ€™epoca in cui il famoso scultore Antonio Canova venne convocato da papa Pio VII con una missione: recuperare le opere dโ€™arte requisite a Roma e negli altri centri culturali dalle truppe napoleoniche.
Fondamentali in questo clima furono le Lettere a Miranda del critico dโ€™arte francese Antoine Chrysostome Quatremรจre de Quincy, pubblicate in piena Rivoluzione francese. Le lettere non solo rappresentano un atto politico di resistenza alle spoliazioni delle opere dโ€™arte, ma esprimono concetti fondamentali quali la tutela dei beni culturali e la teoria di contestualitร  delle opere con il proprio ambiente. Grazie al Canova quasi tutte le opere tornarono in Italia: alcune confluirono nella Pinacoteca Vaticana incrementandone la collezione, altre invece tornarono ai loro legittimi proprietari.
Eccelsa opera requisita dai francesi fu il Polittico Guidalotti, capolavoro del Beato Angelico conservato presso la Galleria Nazionale dellโ€™Umbria.[1]

Beato Angelico, Polittico Guidalotti, Galleria Nazionale dell’Umbria

 

Il polittico fu commissionato allโ€™artista da Elisabetta Guidalotti per la cappella di famiglia, dedicata a san Nicola, presso la chiesa di S. Domenico a Perugia. Lโ€™impresa rispondeva alla necessitร  dei Guidalotti, famiglia perugina tra le piรน importanti ma caduta in disgrazia alla fine del Trecento, di riguadagnare prestigio in campo sociale e culturale.
La monumentale pala dโ€™altare รจ composta da ben venti tavole dipinte. Sebbene la divisione a trittico dellโ€™opera sia ancora di gusto tardogotico, la composizione risulta comunque unificata grazie allโ€™impiego di espedienti spaziali di grande efficacia e modernitร : la luce cristallina e puntuale bagna le figure e, impigliandosi nei tessuti e negli oggetti, conferisce veritร  materica. Eccelsi sono i riflessi delle superfici nei vasi ai piedi del trono o la morbidezza tattile del piviale di san Nicola e della veste azzurra della Madonna, definita da ampie pieghe capaci di far trapelare le forme del corpo sottostante. Al centro รจ dipinta la Madonna con il Bambino in trono circondata da quattro angeli, due dei quali tengono tra le mani canestri pieni di fiori. Affiancano la Vergine san Domenico, san Nicola da Bari, san Giovanni Battista e santa Caterina dโ€™Alessandria.
Ad attirare lโ€™attenzione dei francesi sullโ€™opera furono, in particolare, le tavolette della predella: le prime due vennero spedite a Parigi nel 1812, ed oggi sono conservate nella Pinacoteca Vaticana, mentre la terza fu portata a Roma lโ€™anno successivo da Agostino Tofanelli, conservatore del Museo Capitolino; questโ€™ultima riuscรฌ a rientrare a Perugia nel 1817.
Altra eccelsa opera requisita dalle truppe napoleoniche fu la Deposizione Baglioni, di cui Orsini parla come ยซoperette di singolar bellezza, uscite dal pennello del divin Raffaelloยป. Lโ€™opera realizzata da Raffaello รจ datata e firmata 1507. La pala dโ€™altare, stando alle notizie riportate da Vasari, venne commissionata da Atalanta Baglioni, appartenente alla celebre famiglia perugina. Il soggetto della pala centrale, la Deposizione di Cristo, venne probabilmente dettato dalla volontร  di omaggiare il figlio della donna, Grifonetto, assassinato proprio in Corso Vannucci, nel corso di alcuni fatti di sangue interni alla stessa famiglia per il dominio di Perugia nel 1500. Fu proprio la madre Atalanta a pronunciare solennemente: ยซChe questo sia l’ultimo sangue che scorre su Perugiaยป.

 

Sassoferrato, Deposizione, Basilica di San Pietro. Foto Fondazione per l’Istruzione Agraria di Perugia

 

La predella fu recuperata da Canova il 21 ottobre 1815 ma rimase a Roma nella Pinacoteca Vaticana. Il soggetto dellโ€™opera perรฒ lo possiamo ammirare grazie a due copie: la prima realizzata da Giovanni Battista Salvi detto Sassoferrato nel 1639 ed oggi conservata nella Basilica di San Pietro a Perugia ed una seconda copia di Giuseppe Cesari detto il Cavalier dโ€™Arpino, che eseguรฌ lโ€™opera nel 1608 per volontร  di Paolo V, dopo che lโ€™originale era stata trafugata; questโ€™ultima opera รจ oggi conservata presso la Galleria Nazionale dellโ€™Umbria.
I commissari napoleonici, in particolare, lโ€™esperto dโ€™arte Tinet e Denon denominato lโ€™occhio di Napoleone, setacciarono per reperire capolavori non solo Perugia, ma anche molte altre cittร  umbre, tra le quali Cittร  di Castello. Presso la chiesa di San Francesco nella cittร  tifernate, Filippo Albizzini commissionรฒ a Raffaello lo Sposalizio della Vergine,ย  opera firmata Raphael Urbinas e datata MDIIII, รจ una delle opere piรน celebri dell’artista, che chiude il periodo giovanile e segna l’inizio della fase della maturitร  artistica.[2]
Per questโ€™opera lโ€™Urbinate si ispirรฒ a unโ€™analoga tavola che proprio in quegli anni Perugino stava dipingendo per il Duomo di Perugia, vedendola in tutta probabilitร  in una fase ancora intermedia.[3]
Lo sposalizio di Maria e Giuseppe avviene in primo piano, con al centro un sacerdote che, tenendo le mani di entrambi, officia la funzione. Dal lato della Vergine รจ posto un gruppo di donne, da quello di Giuseppe sono presenti alcuni uomini, tra cui uno che spezza con la gamba il bastone che, non avendo fiorito, ha determinato la selezione dei pretendenti. Maria infatti, secondo i vangeli apocrifi, era cresciuta nel Tempio di Gerusalemme e quando giunse in etร  da matrimonio venne dato ad ognuno dei pretendenti un ramo secco, in attesa di un segno divino: l’unico che fiorรฌ, fu quello di Giuseppe.
Le figure sono legate da una vaga e poetica malinconia in cui nessuna espressione รจ piรน caricata di altre, nemmeno quella del pretendente che spezza il ramo in segno di rancore, in alcun modo corrucciato o teso. La magnifica opera fu requisita e non ha fatto piรน ritorno nel suo luogo di origine, oggi รจ conservata presso la Pinacoteca di Brera. Nella chiesa tifernate รจ perรฒ possibile ammirare un perfetto clone della tavola: grazie a 4250 scatti fotografici รจ stata realizzata una copia cosรฌ fedele da replicare anche le pennellate e le imperfezioni che il tempo ha lasciato sulla superficie dellโ€™originale.
Le eccellenze artistiche tornate in Umbria, ricontestualizzate nel territorio o nel tessuto urbano che le ha generate, sono la testimonianza di come le opere dโ€™arte acquisiscano valore di civiltร  solo dalla profonda relazione con il paesaggio che lโ€™ha suggerite, la cultura che le ha generate e i luoghi che lโ€™hanno custodite.

 


Prima parte


[1] John Pope-Hennessy, Beato Angelico, Scala, Firenze 1981.
[2] Paolo Franzese, Raffaello, Mondadori Arte, Milano 2008.
[3] Pierluigi De Vecchi ed Elda Cerchiari, I tempi dell’arte, volume 2, Bompiani, Milano 1999.

Nellโ€™immaginario collettivo, allโ€™idea di Rivoluzione francese si associa la terribile immagine della ghigliottina, cosรฌ come a Napoleone Bonaparte (Ajaccio, 15 agosto 1769 – 5 maggio 1821, Longwood House, Longwood, Sant’Elena) corrisponde il ricordo delle incessanti campagne di guerra, che sconvolsero lโ€™Europa per oltre un ventennio, travolgendo nazioni e regimi e causando cinque milioni di morti.

A questo periodo dovrebbe essere associata anche unโ€™altra immagine: le sistematiche spoliazioni delle nazioni vinte che venivano umiliate nel loro patrimonio storico-artistico. I quadri e le sculture passarono in mano alla nazione francese, non per furto o per saccheggio, ma in seguito ad accordi internazionali. I drammatici eventi che portarono alle requisizioni segnarono indubbiamente il patrimonio regionale. Le spoliazioni vennero costantemente perpetrate nellโ€™arco di venti anni, dal 1797 fino al Congresso di Vienna del 1815.
Secondo lo storico Paul Wescher, le spoliazioni napoleoniche rappresentarono ยซil piรน grande spostamento di opere d’arte della storiaยป, inoltre lo storico sottolinea che Napoleone, pur non avendo una profonda cultura artistica, comprese subito ยซquale valore, in termini di prestigio e di propaganda, potevano avere le arti e le scienze per un regime politicoยป.

Il patrimonio umbro

In Umbria venne data grande importanza storica a Cimabue e Giotto e soprattutto al genio di Raffaello: ad aumentare la fama dellโ€™urbinate fu lโ€™uscita nel 1784 a Perugia di una guida della cittร , scritta dallโ€™architetto e teorico Baldassarre Orsini, intitolata Guida al forestiere per lโ€™Augusta cittร  di Perugia, moderna e agile descrizione finalizzata alla divulgazione degli straordinari tesori della cittร . Questo testo divenne ben presto un agile strumento nelle mani dei commissari napoleonici. Al suo interno la scelta delle opere piรน significative era facilitata da un comodo sistema di asterischi: gli asterischi andavano da uno fino a tre, ad esempio i capolavori di Raffaello e Barocci erano evidenziati da tre. Tinet, esperto dโ€™arte, scelto da Bonaparte per requisire le opere, fu a Perugia almeno in tre occasioni: durante questi soggiorni si dotรฒ della guida dellโ€™Orsini.
Alcuni capolavori non furono giudicati allโ€™altezza delle collezioni del Louvre e furono destinati ai musei dipartimentali in via di costruzione. Tinet scrisse al magistrato di Perugia per informarlo di essere stato incaricato, dietro ordine di Bonaparte, di ยซfare la scelta nelle chiese ed altri luoghi pubblici di questa cittร  di quadri, libri, manoscritti, e generalmente di tutti gli oggetti di Scienze e di Arti, che degne saranno di essere raccolte per poi trasportarsi in Francia nel museo della Repubblicaยป. Furono veramente poche le chiese e i complessi monastici e conventuali che furono risparmiati dalla visita del commissario francese. I quadri che furono individuati a Perugia calzavano alla perfezione con gli ideali estetici della cultura francese. Vennero requisite moltissime opere dโ€™arte: nel palazzo dei Priori la Pala dei Decemviri del Perugino, nella chiesa di Santa Maria di Monteluce lโ€™Incoronazione della Vergine, di Giulio Romano e Giovan Francesco Penni su disegno di Raffaello, e la Pala Oddi nella chiesa di San Francesco al Prato.

 

Pietร , Pietro Vannucci detto il Perugino

Il ritorno a casa

Gli oggetti dโ€™arte requisiti giunsero a Parigi nel mese di luglio del 1798. Vennero organizzate una serie di celebrazioni per festeggiare l’entrata dei convogli in cittร , realizzando un vero e proprio corteo delle meraviglie. I commissari napoleonici requisirono tantissime opere, alcune delle quali tornarono in Italia, alcune anche in Umbria, grazie ad Antonio Canova, Ispettore Generale delle Belle Arti. Tra le opere che tornarono nel loro luogo di origine, e che oggi possiamo ammirare per la loro bellezza, spiccano sicuramente le opere del Perugino: il Polittico di San Pietro e la Pietร .
Il primo รจ databile al 1496-1500 e comprendeva vari pannelli da inserire in una grandiosa macchina d’altare. Ci fu una solenne inaugurazione dellโ€™altare il 13 gennaio 1500, dove Vasari lodรฒ il polittico e lo descrisse come la migliore opera esistente dell’artista a Perugia.[1]
Con le requisizioni napoleoniche del 1797 lโ€™opera venne trafugata, finendo divisa tra piรน musei francesi; ma grazie al recupero del Canova alcune parti del polittico oggi sono conservate presso la Galleria Nazionale dellโ€™Umbria.
La seconda opera requisita รจ la Pietร  che giunse al Louvre, ma anche essa fu recuperata il 29 ottobre del 1815 e oggi conservata nella Basilica di San Pietro a Perugia. Si tratta di uno dei pannelli piรน elogiati da Orsini: ยซPietro in questa tavola ha voluto piuttosto seguitare il piacere dellโ€™occhio che soddisfare alla devozioneยป.[2]
Anche la Deposizione della croce di Federico Barocci, opera di inestimabile valore, venne trafugata dalla cittร  di Perugia. Il dipinto commissionato dal Collegio della Mercanzia, fu messo in opera, sullโ€™altare della cappella di San Bernardino, nel dicembre del 1569. La pala venne requisita il 24 febbraio 1797 e fu esposta al Louvre nel novembre 1798 e nel 1802 nella chiesa parigina di Nรดtre-Dame.
La pala bellissima e coinvolgente con i suoi splendidi, accesi e brillanti colori, porta lo spettatore a vivere un grande momento di pathos nello svenimento della Madonna, verso la quale accorrono le pie donne spaventate. รˆ presente un giovanissimo san Giovanni che abbraccia i piedi di Cristo ed inoltre รจ visibile il vento che muove le vesti degli uomini che stanno togliendo Gesรน dalla croce.[3]

 

Deposizione dalla croce, Federico Barocci.

 

Nellโ€™opera si intravede lโ€™evoluzione creativa del pittore che punta su una novitร  di tipo cromatico-strutturale; si รจ infatti avanzata lโ€™ipotesi che il Barocci fosse a conoscenza delle teorie sul colore di Leonardo da Vinci descritte nel suo Trattato della pittura.
Eccelso capolavoro di Raffaello, prelevato dalle truppe napoleoniche il 20 febbraio 1797 ed esposto al Louvre nel 1798, fu lโ€™Assunzione della Vergine, realizzata tra la fine del 1502 e gli inizi del 1503, per la cappella di Alessandra Baglioni, figlia di Braccio, magnifico signore di Perugia. Nella tavola centrale รจ visibile il tema dellโ€™Assunzione, mentre nella predella sono dipinte lโ€™Annunciazione, lโ€™Adorazione dei Magi e la Presentazione al tempio.
Lo scomparto centrale e la predella furono recuperati da Canova il 2 e il 21 ottobre 1815, ma furono trattenuti a Roma nella Pinacoteca Vaticana: la famiglia Oddi tentรฒ di recuperare il dipinto, inoltrando numerose richieste al segretario di Stato, cardinal Consalvi, ma il dipinto rimase nelle sale della Pinacoteca Vaticana.
Lโ€™opera, che era destinata ad una committenza di particolare prestigio, ripropone i modelli perugineschi, soprattutto nella parte inferiore dello scomparto centrale e nella predella.
Questo meraviglioso soggetto รจ possibile ammirarlo a Civitella Benazzone, frazione del comune di Perugia, dove nella chiesa parrocchiale รจ presente una copia datata 1518 e attribuita a Domenico Alfani. Dopo le spoliazioni napoleoniche molte opere di inestimabile valore storico-artistico lasciarono la nostra regione per non farvi piรน ritorno, altre confluirono nella collezione della Pinacoteca Vaticana, altre ancora invece tornarono in Umbria: cosicchรฉ ancora oggi possiamo ammirare il loro eccelso splendore.

 


[1] Vittoria Garibaldi, Perugino, in Pittori del Rinascimento, Firenze 2004

[2] Baldassarre Orsini, Vita elogio e memorie dellโ€™egregio pittore Pietro Perugino e degli scolari di esso, Perugia 1804.

[3] Francesca Abbozzo e Maria Teresa Castellano, Federico Barocci: il deposto di croce alla cappella di san Bernardino nella Cattedrale di Perugia: il restauro, studio e conservazione, Ancona, 2010

Perugia era sotto shok. La smania di potere aveva fatto sprofondare la cittร  nellโ€™orrore. I Baglioni, signori della cittร , si erano scannati tra di loro.
Chi era il peggiore, Astolfo I che con le sue truppe aveva insanguinato mezza Umbria? Oppure Grifonetto, suo cugino, che lโ€™ammazzรฒ nel sonno assieme a tutti i maschi di quel ramo della famiglia? Oppure gli sgherri, che uccisero il bellissimo Grifonetto su ordine del cugino Gian Paolo Baglioni? Era il 1507.

Sono passati 500 anni da quellโ€™episodio cosรฌ efferato e ogni giorno qualcuno ricorda il fatto cruento guardando una grande tavola dipinta la Deposizione Borghese. Tra lโ€™episodio e la tavola cโ€™รจ in mezzo lโ€™arte sublime del giovane Raffaello
Atalanta, mamma di Grifonetto, chiese a Raffaello un quadro da mettere nella chiesa di famiglia per ricordare il suo figliolo. Come tema scelse il Trasporto di Gesรน al Sepolcro.
La presenza di Raffaello a Perugia non era cosa nuova. Aveva incontrato il Perugino, aveva giร  dipinto anche per gli Oddi – avversari dei Baglioni – e avrebbe dipinto di nuovo per i Baglioni, ormai perdenti. Era una scelta imbarazzante che poteva rivelarsi pericolosa. Perรฒ Raffaello accettรฒ lโ€™incarico.

quadro di raffallo sanzio con la deposizione di cristo

La Deposizione Borghese di Raffaello

 

Il quadro rubato

La Deposizione รจ un quadro complesso che si stacca dagli schemi della pittura del maestro di Raffaello, il Perugino, sia come composizione sia come colori, che sembrano smaltati. Sono colori forti, quasi da fumetto; non ci sono sfumature perchรฉ il dramma non le vuole. La figura che colpisce subito chi guarda รจ il giovane uomo al centro, quello che, con grande sforzo, sorregge le gambe di Gesรน. Cโ€™รจ chi dice che sia il ritratto di Grifonetto il quale, in punto di morte, si sia pentito della strage compiuta, mentre la Madonna che sviene mostra lo strazio della madre Atalanta.
La pala per alcuni anni restรฒ appesa nella chiesa di San Francesco al Prato, ma era destinata ad avere una vita complessa come la storia che simbolicamente illustrava. Tanti hanno ammirato quel quadro e una persona, in particolare, ne rimase affascinata.
Era Scipione Borghese, cardinale, uomo colto e appassionato collezionista che, da giovane, aveva studiato a Perugia. Molte volte si era recato alla chiesa di San Francesco. Molte volte aveva ammirato quella tavola e molte volte aveva fatto dei pensieri peccaminosi. Scipione perรฒ non era un ammiratore qualsiasi.
Suo zio era papa Paolo V Borghese e lui voleva quella pala. Voleva aggiungerla alla sua collezione a Villa Borghese. Non si รจ mai saputo come sia stato possibile, ma a pala, in una notte buia, sparรฌ. I fraticelli della chiesa non si accorsero di niente. Avevano il sonno profondo. La pala riapparve a Roma di lรฌ a poco. Ma si puรฒ impunemente trattenere un bene altrui senza pagarlo e senza avere sanzioni? Si puรฒ, se si รจ nipoti del Papa. Il Papa scrisse una gentile letterina, detta Breve, dove affermรฒ che ยซLa pala resta lรฌ dovโ€™รจ perchรฉ apparteneva al nipoteยป. Era il 1608.

Da Roma a Parigi

Il tempo va veloce, passano anni, decenni, secoli e arriva Napoleone. La pala prende la via di Parigi in mezzo a centinaia di altre opere dโ€™arte italiane. Napoleone riempie il Louvre con i nostri capolavori, tra cui la Deposizione. Ma, come dicevano i latini, sic transit gloria mundi e tramonta anche la gloria di Napoleone. Era il 1815.
Il Papa manda in Francia Canova che riesce a recuperare la maggior parte delle opere dโ€™arte trafugate, tra cui il quadro di Raffaello. La pala non tornerร  piรน a Perugia, la sua casa ormai รจ la Galleria Borghese e la Deposizione Baglioni รจ per tutto il mondo la Deposizione Borghese.
Ogni anno non meno di 600.000 persone sostano davanti a quella grande opera e qualcuno si chiederร  se sia possibile portarla a casa una terza volta senza sborsare un solo euro. รˆ il 2020.

Natale 1942, Bing Crosby incide White Christmas ed entra nella storia cantando:

I’m dreaming of a white Christmas

Just like the ones I used to knowโ€ฆ

(Sto sognando un Natale bianco

come quelli che ricordoโ€ฆ)

 

In Europa infuria la guerra, fa freddo e la gente ha fame.ย  A Colfiorito fa freddo e cโ€™รจ la neve, e la strada non รจ percorribile. Al Campo 64 i confinati e i prigionieri di guerra sono allo stremo. Militari e civili sognano la casa e la famiglia lontana, un pasto decente e un poโ€™ di caldo.
Colfiorito, altopiano tra Umbria e Marche, era stato scelto per internare i dissidenti e gli antifascisti. Un luogo, a soli 750 metri di altezza, dove lโ€™inverno durava sei mesi e quando nevicava rimaneva isolato. Troppo freddo e troppo paludoso per coltivare alcunchรฉ. Buono solo per il confino.
Migliaia di persone sono state ospitate sullโ€™altopiano e tutte hanno patito freddo e fame, vivendo nelle casermette. Erano cosรฌ alla buona, le casermette, che non poterono essere usate a lungo perchรฉ il freddo dellโ€™altopiano e la mancanza di riscaldamento negli alloggi era incompatibile con la sopravvivenza.

 

Una ex casermetta

 

Durante il ventennio fascista Colfiorito รจ stato usato alla stregua di Ponza, Lipari, Ventotene, Ustica, Pantelleria, Tremiti, Lampedusa, Favignana: luoghi isolati, poco frequentati dove confinare gli avversari del regime. Tra tutti un nome famoso, Lelio Basso, che รจ stato ospite delle casermette nel 1939. Poi, durante la guerra, hanno ospitato prigionieri albanesi, montenegrini, britannici e neo zelandesi.
Le chiamavano casermette per addolcire Campo 64 che diceva crudamente quello che erano quei capannoni: un campo di concentramento. Erano solo otto per 1500 persone. Erano troppo grandi per essere riscaldate con mezzi di fortuna. Erano troppo precarie per dare un vero riparo. Settantโ€™anni dopo sono ancora in piedi. Adesso sono localini e ristoranti e negozi che accolgono i turisti con le specialitร  della zona.
Quel luogo cosรฌ ingrato, che non offriva altro che paludi oggi รจ diventato parco, ed รจ unโ€™area di particolare interesse naturalistico-ambientale. La palude รจ un biotopo tutelato e protetto, mentre il terreno dellโ€™altopiano offre numerose specialitร  alimentari. Le patate e i legumi di Colfiorito sono rinomati e ormai migliaia di turisti salgono velocemente a rifornirsi. Una superstrada collega in 10 minuti Foligno a Colfiorito.
Accanto alla realtร  storica circola una simpatica leggenda.
Si dice che tra le persone transitate da Colfiorito ci sia stato anche un francese famosissimo: Napoleone. Nel 1797 andรฒ a Tolentino per firmare il trattato di pace con papa Pio VI, quindi potrebbe essere passato da Colfiorito. Qui si inserisce la leggenda che vuole che sia stato il Primo Console, non ancora imperatore, a dare lโ€™ordine di piantare le patate. Nel 1797 le patate le conosceva solo Antoine Parmentier e pochi altri e si pensava anche che fossero velenose.
Poco importa, conta il fatto che Napoleone รจ la leggenda che mette una coroncina sulla produzione di patate della zona che non sono piรน patate qualsiasi, ma sono diventate patate imperiali.

Milano: finanza, moda, editoria, televisione, panettone, Duomo, teatro alla Scala. Foligno: lu centru de lu munnu, come da delibera comunale.

Foligno e Milano non sono gemellate, ma sono unite da un sottile fil rouge – che poi tanto sottile non รจ – che si chiama Giuseppe Piermarini. Milano deve molto a questo figlio di Foligno. Dire Piermarini vuol dire vuol dire palazzo Reale, palazzo Belgioioso, vuol dire villa reale di Monza, ma soprattutto vuol dire Teatro alla Scala. Quel folignate ha fatto di Milano lu centru de lu munnu per la Lirica.
Il gioco di pieni e vuoti messo in opera dal Piermarini ha un equilibrio matematico, con il risultato che lโ€™acustica della Scala รจ ancora perfetta.

 

Teatro alla Scala

Una vita da archistar

Arriva a Milano come assistente dellโ€™architetto piรน in voga del momento, lโ€™olandese Van Wittel da noi conosciuto come Vanvitelli. Venivano da Caserta, dove Vanvitelli aveva appena finito di costruire la magnifica Reggia di Caserta. Gli Asburgo vogliono il meglio e lo convocano per restaurare il palazzo Reale. Milano รจ finita sotto lo scettro dellโ€™Impero austriaco e giustamente la corte di Vienna vuole una residenza moderna e prestigiosa nei suoi possedimenti meridionali.
Il progetto Vanvitelli non piace, viene rigettato. Viene approvato invece quello del giovane Piermarini. A 30 anni fu subito un archistar del Neoclassicismo. Come Renzo Piano, che a 30 anni costruรฌ il Beaubourg e fu subito archistar. Dieci anni dopo, nel 1779, allโ€™etร  di 45 anni, Piermarini venne nominato Imperial Regio Architetto e tale restรฒ fino allโ€™arrivo di Napoleone.
Gli eventi politici lo costrinsero a tornare a Foligno. Ormai ha 64 anni, non ha commesse da portare avanti ed รจ giร  fuori moda; il Neoclassicismo รจ soppiantato dallo stile impero portato da Napoleone. Finalmente trova il tempo da dedicare ai suoi studi amati matematici. Quando muore, nel 1808, Foligno non se ne accorge e la sorte contribuisce a cancellare le sue tracce.
Riposava tranquillo nella chiesa di Santa Maria Maddalena, quando giovani sostenitori della Repubblica Romana – siamo nel 1848 – distrussero la chiesa e dispersero le ossa dei morti fuori dalla cittร . Impossibile quindi dargli una sepoltura autorevole.

L'omaggio di Foligno

Finalmente – e siamo giร  nel 1897 – Foligno decide di dedicare il teatro Apollo allโ€™Imperial Regio Architetto, chiamandolo Teatro Piermarini. Poi, i bombardamenti alleati nella Seconda Guerra Mondiale, hanno raso al suolo anche il teatro.

Il monumento dedicato a Piermarini

Malgrado gli sforzi fatti, il tempo e la storia non hanno raso al suolo la sua memoria. Gli รจ sopravvissuta la casa di via Pignatara dove ha abitato, che รจ diventata un centro studi a lui dedicato e dove si conservano ben 640 disegni originali.

Un teatro, una scuola e il centro studi portano il suo nome, ma mancava un doveroso monumento commemorativo. Finalmente cโ€™รจ. Lโ€™incarico รจ stato assegnato, pochi anni fa, a Ivan Theimer un artista ceco amante del classicismo italiano, bronzo compreso. Ivan Theimer proviene da un ex territorio dell’Impero austro-ungarico e ha realizzato il monumento per uno che ha lavorato sotto lโ€™Imperial Regio governo austro-ungarico. Il cerchio รจ perfetto.

Theimer ha visto Piermarini come Ercole che sostiene un obelisco sottile, che rappresenta il tempo e la storia. Il monumento ricorda un poโ€™ lโ€™elefantino della Minerva a Roma, che porta sulla schiena un obelisco. Dice la leggenda che lโ€™elefantino rappresenti lo stesso Bernini gravato dal lavoro. Bernini รจ marmo, Theimer รจ bronzo. Infatti, sono di bronzo le grandi lastre alla base del monumento che celebrano le opere del Piermarini.