Perugia era sotto shok. La smania di potere aveva fatto sprofondare la città nell’orrore. I Baglioni, signori della città, si erano scannati tra di loro.
Chi era il peggiore, Astolfo I che con le sue truppe aveva insanguinato mezza Umbria? Oppure Grifonetto, suo cugino, che l’ammazzò nel sonno assieme a tutti i maschi di quel ramo della famiglia? Oppure gli sgherri, che uccisero il bellissimo Grifonetto su ordine del cugino Gian Paolo Baglioni? Era il 1507.
Sono passati 500 anni da quell’episodio così efferato e ogni giorno qualcuno ricorda il fatto cruento guardando una grande tavola dipinta la Deposizione Borghese. Tra l’episodio e la tavola c’è in mezzo l’arte sublime del giovane Raffaello
Atalanta, mamma di Grifonetto, chiese a Raffaello un quadro da mettere nella chiesa di famiglia per ricordare il suo figliolo. Come tema scelse il Trasporto di Gesù al Sepolcro.
La presenza di Raffaello a Perugia non era cosa nuova. Aveva incontrato il Perugino, aveva già dipinto anche per gli Oddi – avversari dei Baglioni – e avrebbe dipinto di nuovo per i Baglioni, ormai perdenti. Era una scelta imbarazzante che poteva rivelarsi pericolosa. Però Raffaello accettò l’incarico.

Il quadro rubato
La Deposizione è un quadro complesso che si stacca dagli schemi della pittura del maestro di Raffaello, il Perugino, sia come composizione sia come colori, che sembrano smaltati. Sono colori forti, quasi da fumetto; non ci sono sfumature perché il dramma non le vuole. La figura che colpisce subito chi guarda è il giovane uomo al centro, quello che, con grande sforzo, sorregge le gambe di Gesù. C’è chi dice che sia il ritratto di Grifonetto il quale, in punto di morte, si sia pentito della strage compiuta, mentre la Madonna che sviene mostra lo strazio della madre Atalanta.
La pala per alcuni anni restò appesa nella chiesa di San Francesco al Prato, ma era destinata ad avere una vita complessa come la storia che simbolicamente illustrava. Tanti hanno ammirato quel quadro e una persona, in particolare, ne rimase affascinata.
Era Scipione Borghese, cardinale, uomo colto e appassionato collezionista che, da giovane, aveva studiato a Perugia. Molte volte si era recato alla chiesa di San Francesco. Molte volte aveva ammirato quella tavola e molte volte aveva fatto dei pensieri peccaminosi. Scipione però non era un ammiratore qualsiasi.
Suo zio era papa Paolo V Borghese e lui voleva quella pala. Voleva aggiungerla alla sua collezione a Villa Borghese. Non si è mai saputo come sia stato possibile, ma a pala, in una notte buia, sparì. I fraticelli della chiesa non si accorsero di niente. Avevano il sonno profondo. La pala riapparve a Roma di lì a poco. Ma si può impunemente trattenere un bene altrui senza pagarlo e senza avere sanzioni? Si può, se si è nipoti del Papa. Il Papa scrisse una gentile letterina, detta Breve, dove affermò che «La pala resta lì dov’è perché apparteneva al nipote». Era il 1608.
Da Roma a Parigi
Il tempo va veloce, passano anni, decenni, secoli e arriva Napoleone. La pala prende la via di Parigi in mezzo a centinaia di altre opere d’arte italiane. Napoleone riempie il Louvre con i nostri capolavori, tra cui la Deposizione. Ma, come dicevano i latini, sic transit gloria mundi e tramonta anche la gloria di Napoleone. Era il 1815.
Il Papa manda in Francia Canova che riesce a recuperare la maggior parte delle opere d’arte trafugate, tra cui il quadro di Raffaello. La pala non tornerà più a Perugia, la sua casa ormai è la Galleria Borghese e la Deposizione Baglioni è per tutto il mondo la Deposizione Borghese.
Ogni anno non meno di 600.000 persone sostano davanti a quella grande opera e qualcuno si chiederà se sia possibile portarla a casa una terza volta senza sborsare un solo euro. È il 2020.

Renata Covi

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