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Che Veronica Giuliani fosse la santa di Cittร  di Castello lo sapevo fin da adolescente, ma non ricordo per quali vie ero giunto a tale conoscenza.

La ritrovai, Veronica, in un dipinto nel monastero della Clarisse sul Lago dโ€™Iseo, ormai adulto, e me ne innamorai: la pensai assiduamente, fino a dover scrivere un libro su di lei quasi per placare questa sete di contatto. Nonostante fosse piรน grande di me di ben 290 anni (nacque a Mercatello sul Metauro, nelle Marche, il 27 dicembre 1660, e io sono del 1950) qualcosa mi legรฒ a lei. Qualcosa di spirituale? Sรฌ, ma non solo; credo che tra noi โ€“ e capisco che lโ€™espressione sia del tutto impropria โ€“ esisteva un elemento erotico.

La storia

Nel 1678, allโ€™etร  di 18 anni, Veronica arriva a Cittร  di Castello, dove conosce le Clarisse Cappuccine, monache francescane di stretta clausura fondate nel 1535 dalla nobildonna spagnola Maria Requenses Longo, vedova dellโ€™italiano Giovanni Longo. Il nome della congregazione, in esteso, รจ Ordine di Santa Chiara delle Cappuccine. Nellโ€™inverno del 2006 giunsi a Cittร  di Castello. Unโ€™occasione imprevista di lavoro (o forse unโ€™energia arcana) mi aveva condotto nella cittadina umbra. Lร  gli anni piรน oscuri del tardo Medioevo riverberano dalle mura dei palazzi nobiliari e degli antichi conventi. Lโ€™anacronismo religioso รจ cultura dominante, una mescola di devozione e superstizione. La magia nera, fatta di bamboline trafitte da spilli e chiodi arrugginiti, si incontra facilmente nei rapporti con le persone, nei racconti di vita e nel dolore delle famiglie tifernati.

Veronica Giuliani

Il piccolo albergo dove solitamente alloggiavo era ubicato nel centro storico, a pochi passi da un crocicchio di quattro strade dove si affacciano ben tre conventi di monache di clausura. Una vecchia leggenda, ormai poco nota agli stessi abitanti del borgo, narra che in quellโ€™incrocio โ€“ dove la via Dei Lanari si immette nella via Fucci intersecando Corso XI Settembre โ€“ si trovasse il punto di convergenza delle Linee del Male. Cosa esse fossero non รจ chiaro, ma si dice che lรฌ venissero a condensarsi particolari energie negative e diaboliche provenienti dai quattro punti cardinali. Il Monastero delle Murate, la cui struttura perimetrale costituisce lโ€™intera via dei Lanari, dovrebbe essere stato il primo baluardo sorto in opposizione alle nefaste influenze del Maligno; dalla parte opposta, in via Fucci, si trova il Monastero delle Clarisse di Santa Cecilia e, su Corso XI Settembre, quello delle Cappuccine, in cui Veronica Giuliani trascorse lโ€™intera vita claustrale.

In un vicoletto, retrostante il complesso di Santa Cecilia, adiacente a un portone di legno marcio che introduceva a un piccolo orto, cโ€™era, appesa al muro, una sorta di bacheca composta da vecchie assi, probabilmente di proprietร  di un mago o di una fattucchiera. Erano esposti, in bella mostra, gli affatturamenti e le malie che questi sinistri personaggi compivano per i loro clienti: rospi trafitti da spilloni, ciocche di capelli annodati da nastrini rossi, bamboline di stoffa inchiodate a un cuore di cartone con un grosso ago. Sul far della sera spesso passavo per quella stradina per cenare in una trattoria poco distante e a volte scorgevo le sagome di individui che sostavano di fronte allโ€™insolito altarino, quasi assorti in preghiera. Il clima, certamente tetro e inquietante, soprattutto dโ€™inverno, col venire avanti delle prime ombre della notte, scoraggiava il passaggio dei viandanti comprensibilmente timorosi: qualcuno transitava rapidamente e senza guardare, altri sceglievano un tragitto piรน lungo al fine di evitare quel luogo. Io non avvertii mai sentimenti di paura, quanto piuttosto di pena, quasi che il dolore di cui era intrisa quella porzione di vicolo si facesse palpabile e divenisse la trama di storie di amori disperati, di speranze infrante e di fallimenti, di rancori mai sopiti e di non placati desideri di vendetta; povera gente, pensavo, mentre diveniva nitida la consapevolezza di come la condizione umana sia sempre drammatica. Da lรฌ, in meno di trecento passi, si arriva al Monastero di Santa Veronica. La Santa mi aspettava chiusa nella teca di vetro, dentro alla piccola cappella sotto la grata ferrea che separa il coro delle monache dalla parte di chiesa riservata ai laici. Era bella anche da morta, col suo corpo esile mummificato avvolto dallโ€™abito religioso delle Clarisse.

Veronica Giuliani รจ certamente una grande mistica cattolica, proclamata dottore della Chiesa e resa agli onori degli altari da Papa Gregorio XVI nel 1839. Trascorse una vita di intensissima penitenza; stese un diario di migliaia di pagine per 34 anni, in un italiano confuso e sgrammaticato, descrivendo il proprio percorso di unione con Dio e le relative, incredibili esperienze sovrannaturali. Molti passi del diario mettono in luce una relazione col Cristo intrisa di un amore profondo, travolgente, passionale, che in certi tratti sembra avere addirittura una valenza erotica e risvolti sadomasochisti. Nel venerdรฌ santo del 1697 riceve le stigmate e viene indagata dal Santโ€™Uffizio, da cui subisce ripetute umiliazioni, anche messa alla prova da mortificanti punizioni corporali. Nel 1703 รจ pienamente assolta e le vengono restituiti i diritti capitolari. Diviene Badessa del monastero di Cittร  di Castello il 5 aprile 1716 e qui morirร , giร  in odore di santitร , il 19 luglio del 1727.

Il mio breve saggio, il cui sottotitolo รจ Introduzione ad unโ€™analisi realistica della personalitร  di Veronica Giuliani, la Santa di Cittร  di Castello (Cf. Veronica โ€“ Ed. EVA, 2008, prefaz. del Prof. Gianangelo Palo) รจ prevalentemente finalizzato a indagare se le eccezionali esperienze mistiche di Veronica Giuliani siano il frutto di una personalitร  schizoide e autolesionista o abbiano una loro dignitร  ontologica e sovrannaturale. Pongo la domanda, ma mi astengo dal dare una risposta definitiva.

Il volumetto di cui sono il principale autore (due capitoli sono stati scritti da Lucia Barbagallo e da Michela Collina, con prefazione dello psicanalista Gianangelo Palo) non fu ben accolto a Cittร  di Castello. Il metodo dโ€™indagine con cui provai a studiare la personalitร  della Santa fu quello cosiddetto psicostorico, ideato dallo psicologo e teologo canadese Jean Marc Charon, autore della pregevolissima opera Da Narciso a Gesรน: la ricerca dellโ€™identitร  in Francesco dโ€™Assisi (Ed. Messaggero, Padova 1995), con la quale fonda il metodo. Era prevedibile comunque che un tentativo di intromissione delle discipline psicologiche e cliniche del mondo del sacro fosse mal visto dal bigottismo di certi storici clericali. Di fatto alla presentazione del libro cโ€™era pochissima gente ed alcune persone addentro agli studi veronichiani non mi risparmiarono i loro strali. Inviai qualche copia del saggio alle religiose dei tre monasteri, ma non ricevetti nรฉ un ringraziamento, nรฉ un commento: col Maligno รจ meglio non dialogare. Ebbi tuttavia la soddisfazione di trovare citato il mio lavoro nellโ€™enciclopedia multimediale Wikipedia, senza che avessi promosso alcuna azione a tal fine.

Le Clarisse Cappuccine

Il monastero della Clarisse Cappuccine di Cittร  di Castello nacque su un fondo acquistato dalle monache nel 1630. La costruzione dellโ€™intero complesso durรฒ 13 anni. Al tempo in cui Veronica fece domanda come postulante (1677) era tradizione della maggior parte degli Ordini religiosi femminili richiedere alla famiglia della probanda una dote, di solito abbastanza cospicua, da portare in offerta alla comunitร .

Questa consuetudine non era applicata nella congregazione delle Clarisse Cappuccine di Cittร  di Castello, dove il voto di povertร  veniva considerato, sia in senso individuale sia collettivo, in maniera radicale. La giornata di una monaca di clausura del XVII secolo non era molto diversa da quella che vive una religiosa di oggi: certo, i rigori della vita claustrale sono stati mitigati soprattutto dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II; in molti conventi sono comparsi il riscaldamento, lโ€™acqua calda, gli elettrodomestici, fin anche gli strumenti informatici, ma le ore di preghiera, le pratiche devozionali e penitenziali, i silenzi, sono rimasti piรน o meno quelli, retaggio di una tradizione secolare. Ma ciรฒ che non รจ cambiato e mai cambierร  รจ la strana commistione di santitร  e debolezza umana, di umiltร  e orgoglio, di audacia e viltร , di anelito alla trascendenza e invischiamento nella materialitร  piรน meschina, di tenacia psicologica e fragilitร , che sempre ho trovato in queste comunitร  femminili (forse non da meno sono quelle maschili), dove il fervore spirituale si mescola sovente a sentimenti assai meno nobili. Dโ€™altra parte convivere per anni e anni nel contesto della vita cenobitica, fianco a fianco, con penuria di stimolazioni esterne, investimento libidico nullo (fosse anche per innocui oggetti di desiderio) costringe a fenomeni di amplificazione della realtร  interiore, delle proiezioni, che non di rado aprono lโ€™accesso alla dimensione psicopatologica. Invidie, rancori e dispettucci sono altrettanto frequenti degli slanci dโ€™abnegazione, dei nascosti ed eroici sacrifici, delle notti di fervida preghiera.

 

Monastero delle Clarisse Cappuccine di Cittร  di Castello.

 

La giornata delle monache di Santa Chiara inizia ben prima delle luci dellโ€™alba con la recita del Mattutino. Seguono le Lodi, lโ€™Ora Terza, poi Sesta e Nona, fino ai Vespri e alla Compieta: con questโ€™ultima inizia il grande silenzio. Due volte alla settimana, dopo il canto del Vespro le monache Cappuccine si dedicano alle pratiche di mortificazione corporale. Lo strumento penitenziale piรน in uso รจ la disciplina, una serie di corde annodate o catenelle metalliche con cui le religiose si percuotono le spalle nude. Spesso indossano anche il cilicio, cintura con punte aguzze che si infliggono nella pelle. Oggi le queste pratiche hanno ormai una valenza simbolica e non arrivano a produrre vere ferite o importate dolore fisico. Veronica Giuliani, invece, con esse si martoriava, si massacrava lโ€™esile corpo, memore della sofferenza patita dal suo amato Sposo Gesรน sul Calvario. Come racconta nel diario fu proprio Gesรน di Nazareth a proporle di divenire sua sposa in una visione del 1693; lei accetto, aveva 33 anni, come il suo maestro e amante che, come narra la tradizione, alla stessa etร  salรฌ il patibolo della Croce. Questo amore la divorerร  letteralmente per il resto della vita, cosรฌ ogni penitenza, ogni dolore, ogni sofferenza, ogni silenzio suggelleranno lโ€™unione col suo Cristo-Dio: Deus meus et omnia, recitava di continuo San Francesco, e in questo Tutto si lasciรฒ sprofondare Veronica.

Ancor oggi, affacciandoci nella piccola chiesa dove riposa il corpo della Santa, al numero 21 di Via XI Settembre, unโ€™atmosfera solenne e cupa ci avvolge, mentre il silenzio e la vibrazione di quel luogo vengono a regalarci qualche prezioso momento di lontananza dal frastuono del mondo. Mi sorge la domanda: perchรฉ una suora di clausura si fa suora di clausura? Quel silenzio รจ la risposta.

Stavo facendo un volo allโ€™interno degli Stati Uniti quando ho conosciuto delle donne che venivano dallโ€™Inghilterra, dalla Francia e dalla Germania e stavano andando a un congresso internazionale di coperte patchwork.

Mi hanno raccontato che avevano lโ€™abitudine di riunirsi e lavorare insieme. รˆ sempre un piacere ritrovarsi tra amiche e fare delle cose assieme come giocare a burraco o lavorare a maglia, fare biscotti oppure intrecciare cesti. Lโ€™idea di intrecciare cesti รจ venuta a una signora tuderte, Francesca Marri, che si diverte con le sue amiche e assieme si rilassano dopo una giornata impegnativa. La casa della signora Marri รจ piena di cesti di ogni tipo, colore e funzione; Francesca non si limita solo a intrecciare rami e rametti, ma conosce anche la storia dei cesti, che si perde indietro nei secoli.

 

 

I cesti di ogni dimensione sono sempre stati usati da che esiste lโ€™uomo. Lโ€™uomo primitivo ha imparato a intrecciare rami e farne dei contenitori per trasportare le cose asciutte, ma non si potevano trasportare i liquidi. Allora si comincia a usare la terra argillosa come semplice rivestimento dellโ€™interno dei cesti per renderli impermeabili. Poi lโ€™argilla uscirร  dai cesti e diventerร  ceramica uno dei capisaldi delle prime civiltร . Il cesto รจ un prodotto naturale, perchรฉ รจ il risultato di intrecci di rametti di ogni tipo di pianta. Francesca intreccia rametti di olmo, di ginestra, di vitalba, di ornello, di salice e i rametti dritti degli olivi. Cosรฌ ho scoperto che il salice da intrecci รจ la varietร  detta Salix Viminalis.
Ne consegue che il colle Viminale, dove ha sede il Ministero degli Interni, era un colle coperto di salici. Lโ€™uomo ha imparato a non distruggere la natura nemmeno per fare i cesti. Infatti, i rami si raccolgono prima delle gemme e si raccolgono solo i ributti o i polloni che sono quei rami legnosi che crescono alla base delle piante e che andrebbero eliminati. Appena raccolti sono freschi e umidi e necessitano di essere asciugati ma non troppo perchรฉ non si secchino.
Una volta asciugati si bagnano leggermente per far riprendere la plasticitร  e si procede. E qui nascono le sorprese. Ogni paese, ogni zona ha il suo cesto e ogni ramo permette di essere lavorato con una tessitura particolare. In Francia, nel Perigord, la tecnica รจ tutelata ed รจ caratterizzata da una particolare lavorazione a spirale che si fa con il vimini, osier in francese.

In Spagna cโ€™รจ il cesto Zarzo, tipico delle Asturie che si fa con rami di salice di vari colori. In Kenya usano le fibre di sisal, unโ€™agave importata dal Messico. Dalle foglie si estraggono delle fibre morbide che le donne tingono ed intrecciano. Le sporte keniote sono famosissime come gli stuoini di sisal che si mettono davanti alle porte. Le forme diverse dei cesti annunciano anche utilizzi diversi. Cโ€™รจ il cestino da ciliegie che ha il fondo tondo e non si ribalta mentre quello per le noci รจ fatto per essere appeso alla vita. In Sardegna di usa la rafia che ha un intreccio piรน fitto e ha tinte chiare.

Prima di conoscere la signora Marri credevo che i cesti fossero oggetti non particolarmente interessanti. Invece mi sono accorta di averne visti tanti e con tante funzioni diverse. Nei miei ricordi di bambina ci sono i cestini porta merenda dellโ€™asilo, le gerle che i montanari caricavano sulle spalle come zaini e le sporte per la spesa che le donne avevano al mercato. Ne ho visti anche in mano ai raccoglitori di funghi su e giรน per i boschi, ho visto i cestini porta trote addosso ai pescatori, ho avuto la borsa keniota e il cestino porta pane sardo. Insomma, ero circondata da questi silenziosi aiutanti che non apprezzavo a sufficienza.

 


Se qualcuno si vuole cimentare a intrecciare vimini e altri rami basta che vada su Instagram e vedrร  la signora Marri in azione.

Instagram: cesteria _ telospiegoconlemani

Tra San Giustino (PG) e Sansepolcro (AR), cโ€™รจ una zona di terreno che per secoli, tra il 1441 e il 1826, ha goduto di un’indipendenza dovuta a un errore dei cartografi vaticani e toscani. Cosรฌ รจ potuta nascere la libera Repubblica di Cospaia.

I delegati cartografi dello Stato Pontificio e del Granducato di Toscana, che dovevano tracciare i confini in quella zona di territorio, sbagliarono la delimitazione del luogo nei loro termini mappali, lasciando cosรฌ fuori dalle rispettive giurisdizioni quella minuscola area nellโ€™Alta Valtiberina, che si trova tra i torrenti Riascone e Rio di Gorgaccia.

 

Repubblica di Cospaia, foto via La storia di Cospaia

 

La zona, rimasta fuori dalle mappe dei cartografi, era una piccolissima striscia di terra, larga cinquecento metri e lunga due chilometri. Gli abitanti di Cospaia, il borgo appoggiato su quella piccolissima porzione di territorio, accorgendosi dellโ€™errore, si dichiararono fin da subito indipendenti e liberi da altre sovranitร ; tale condizione rimase immutata per secoli. E cosรฌ Cospaia visse dimenticata per quasi quattrocento anni, senza appartenere a nessuno se non a sรฉ stessa. Non esisteva un codice, una legge o imposte e in questa situazione, prese vita il contrabbando con gli Stati confinanti. In tal modo la Repubblica di Cospaia ha rappresentato per diversi secoli, un territorio franco e spesso i contrabbandieri vi trovarono accoglienza per i loro traffici che avvenivano tra Umbria, Toscana e Marche, attraverso la percorrenza di sentieri ben definiti da parte dei contrabbandieri/trasportatori che venivano chiamati spalloni.

 

 

I principali prodotti agroalimentari, oggetto di questi traffici illeciti, erano il tabacco e il grano. La Valtiberina, ancora oggi, รจ una terra di vocazione per la coltivazione del tabacco, una delle tipicitร  del territorio e rappresenta una fonte economica importante per gli abitanti della zona. La Repubblica di Cospaia ebbe la sua fine nel 1826 con la restaurazione post Napoleonica e il suo territorio venne poi suddiviso tra il comune umbro di San Giustino e quello toscano di Sansepolcro.
La Repubblica di Cospaia non ha riconoscimento giuridico corrente, ma il suo originario motto, scritto sul portale della chiesa parrocchiale della cittadina, รจ sempre attuale: Perpetua et firma libertas (Perpetua e sicura libertร )โ€ฆ e nei tempi correnti questo antico detto assume un significato di immenso valore e rimane sempre ร  la page.

Per chi non รจ propriamente umbro sentir parlare di Brancaleone, Testanera e del Pellegrino suscita curiositร  e rimanda sovente a ricordi storici legati al Medioevo. Ma non รจ cosรฌ, รจ tutta un’altra storia.

Guardiamo dunque di cosa sto parlando. Chi scrive รจ umbro da qualche mese, esattamente dal novembre 2020, avendo scelto di vivere in un meraviglioso borgo medievale con tanto di Bandiera Arancione. Ho cercato di conoscere il paese e i comuni limitrofi non tanto per le loro peculiaritร  storiche, artistiche o architettoniche (prossimamente dedicherรฒ loro parte del mio tempo), ma per le loro tipicitร  gastronomiche visitando vigneti, cantine, oliveti, frantoi, caseifici e macellerie. Una collettivitร  e le sue caratteristiche vengono conosciute anche attraverso il cibo che viene prodotto e che viene consumato, senza scomodare troppo il filosofo tedesco Feuerbach famoso per la sua massima l’uomo รจ ciรฒ che mangia.

Ospiti e cibus

Cosรฌ, terminata la fase di lockdown, molti sono stati gli amici e i parenti che sono venuti a trovare me e mia moglie nel cuore verde d’Italia. Abbiamo cercato, credo con successo, di far assaggiare loro i prodotti tipici della regione mantenendo il nostro tipico intercalare toscano, da cui mai ci separeremo. Mangiando umbro ci siamo perรฒ sentiti tutti piรน vicini a questa regione che ha quel misterioso alone di spiritualitร . Chi viene in Umbria torna a casa piรน buono.
Le lumache in umido, gli spiedini di fegato di maiale, pasta fresca alla norcina, grigliate di agnello, fette di porchetta, testina di agnello al forno, la tamanta (lombata di maiale con pancetta in taglio unico), la porcaccia (capocollo inpanato e cotto alla brace).
Poi fra negozi, norcinerie e caseifici ho iniziato a sentir nominare il Brancaleone, il Testanera e il Pellegrino. Non ho immediatamente chiesto di cosa si trattasse, ho voluto mantenere la curiositร  alta senza scoprirla subito. A chi o cosa si riferiscono? Chi diavolo erano questi tipi? Ho fatto uno sforzo di memoria riaprendo quei cassetti chiusi una volta terminata la scuola e l’Universitร  e ho provato a risolvere il mio mistero.

Storia e leggende intorno a questi nomi

Ho cosรฌ ripercorso le vie dei ricordi tra villani, faccendieri, ordini cavallereschi, vecchi mestieri, personaggi immaginari e spunti di spiritualitร .

 

L’armata Brancaleone e Brancaleone

Brancaleone

Quando sentiamo parlare di Brancaleone non possono non venirci in mente i film L’armata Brancaleone e Brancaleone alle crociate, magistralmente interpretati da Vittorio Gassman. Il personaggio principale รจ per l’appunto il cavaliere di ventura Brancaleone da Norcia, nato intorno all’anno 1000. Tale cavaliere ha rappresentato lo stereotipo dell’italiano sbruffone protagonista di rocambolesche disavventure. Ambientati nella societร  medievale narrano, fra altre situazioni, dell’incontro con la bellissima principessa Matelda, della cattura dei pirati saraceni, dell’ardua prova di camminare sui carboni ardenti e della ricerca di nuove avventure attraversando il deserto.

 

Testanera

Per Testanera รจ stato un percorso piรน difficile da fare, non ho ricordi specifici di personaggi storici o immaginari con questo tipico nome. Ho pensato a Giovanni dalle Bande nere, condottiero del Rinascimento, a Maschera Nera (Black Mask) personaggio dei fumetti disegnati da Tom Mandrake, al Corsaro Nero di Emilio Salgari e all’investigatore Nero Wolfe. Ho esaurito la mia ricerca con le Teste di Moro tipici vasi ornamentali siciliani, ma oltre non sono riuscito ad andare.

 

Il Pellegrino

Quando si parla di pellegrino e pellegrinaggio si fa generalmente riferimento a un viaggio compiuto per devozione, per una ricerca spirituale e perfino per una penitenza. La destinazione รจ un luogo considerato sacro. Il pellegrinaggio devozionale e quello penitenziale ha anch’oggi lo scopo di raggiungere il vantaggio spirituale e il perdono. Come non citare il Cammino di Santiago, che ha resistito nei secoli ai prolungati periodo di fame, di crisi economica e di pensiero nonchรฉ alla Guerra dei cento Anni e alla peste nera.

 

Ma non รจ cosรฌ… รจ tutta un’altra storia

Ma tutto questo che ho esposto non c’entra niente con il vero Brancaleone, il vero Testanera e il vero Pellegrino. Ebbene sรฌ, รจ tutta un’altra storia e parliamo di formaggio o meglio quell’alimento tipico, in queste tre specialitร , che ti fanno pensare che qualcosa di divino c’รจ davvero: basta assaggiarli.
Il Brancaleone รจ un formaggio con una storia particolare, infatti si racconta che veniva fatto stagionare all’interno dei molini situati all’interno delle Marcite di Norcia, dove i prati sono molto umidi. Questa caratteristica del terreno permette al Brancaleone di formare delle muffe nobili permettendo al formaggio di restare molle. La pasta cremosa ha un sapore aromatico e gusto intenso, alcuni profumi richiamano il taleggio. รˆ prodotto con 60% di latte vaccino e 40% di latte ovino proveniente da animali che pascolano in Valnerina a circa 600 metri di altezza. La lavorazione รจ quella classica dei misti. Dopo la cagliata, la posa in forma e la salatura si va per una stagionatura di circa sei mesi su tavole di legno.
Il Testanera รจ un pecorino prodotto con latte ovino del territorio di Norcia. Ha una crosta rossiccia dovuta al trattamento della stessa con pomodoro o concentrato di pomodoro. Raggiunge la sua maturazione dopo una stagionatura di circa un mese, questa รจ la variante Fresco, ha un sapore equilibrato e una consistenza friabile. Deve essere conservato in luogo fresco, a una temperatura che puรฒ oscillare fra + 6ยฐ e + 12ยฐ.
La variante Stagionato ha una stagionatura da 4 a 8 mesi con sapori intensi e consistenza granulosa. In generale possiamo affermare che il suo sapore, forte e deciso, specialmente nella versione stagionata, lo rende un formaggio unico nel suo genere e che, una volta in bocca, tende a sciogliersi rilasciando gli aromi tipici del latte di pecora.

Testanera

Il Pellegrino รจ un formaggio misto stagionato a pasta compatta. Presenta un colore avorio e un sapore aromatico e il suo tipico retrogusto rimanda al sapore di panna. Ha una stagionatura di oltre 16 mesi. Prodotto con latte vaccino e latte ovino, caglio, fermenti lattici e sale presenta una crosta non edibile. Una combinazione che sembra abbia molto successo รจ quella di fare la pasta fresca in casa e condirla con acciughe (lavate, diliscate, cotte in padella e passate al setaccio) e formaggio Pellegrino abbondantemente grattugiato.

Conclusioni

Concludo con una ricetta che ho personalmente provato in casa: mezze maniche con zucca e formaggio Brancaleone. Preparazione: cuocere la zucca a tocchetti in una padella con aglio e cipolla tritata, aggiungere il Brancaleone a cubetti e panna fresca. Scolare la pasta, tenendo da parte un po’ di acqua di cottura, e versarla in padella dove l’aspetta la salsa. Aver cura che non rimanga troppo asciutta, casomai aggiungete un po’ di acqua di cottura della pasta, mescolate e macinate al momento abbondante pepe nero. Un trebbiano o un grechetto penso che ci possano stare piรน che bene.