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L’esistenza preziosa tra mito e scienza di uno degli alimenti più utili all’uomo.

Da simbolo di regalità nell’antico Egitto[1] a tipicità della terra di Canaan – il paese dove scorre latte e miele – da condimento immancabile sulle tavole degli Antichi Romani che lo importavano da Melita [2] a preda del ghiotto indicatore golanera[3]: il miele, elisir di lunga vita per Pitagora, attraversa la storia del genere umano. Nell’antichità è sempre stato considerato nutrimento spirituale perché ritenuto purissimo[4] e per questo nettare degli dei, divino, poiché divine sono le stesse api che lo producono, nate dalle lacrime di Ra[5], il cui nome greco deriva proprio da miele; come da miele deriva Melissa[6], pianta a cui le api sono molto affini, ma anche ninfa nutrice che secondo il mito salva Zeus dalla crudeltà del padre Crono crescendolo a latte e miele, e che diviene nientemeno che ape per mano dello stesso Zeus, a dimostrazione della sua gratitudine. Ma la divinità delle api non è soltanto un mito, essa trova fondamento nelle loro innate capacità.

 

prodotti tipici dell'umbria

 

Le api sanno vivere in comunità con un preciso schema di condivisione, che le porta a provare le stesse cose nel medesimo momento e a comunicare danzando[7]. Sono anche fautrici di vita: «responsabili di circa il 70% dell’impollinazione di tutte le specie vegetali viventi sul pianeta, garantiscono circa il 35% della produzione globale di cibo»[8], alla quale l’Italia contribuisce in modo importante; basti pensare alle oltre 50 tipologie di miele che le conferiscono il primato mondiale per la più grande varietà di miele monoflora, testimonianza della sua ricca biodiversità.
Il miele si distingue in base a polline e propoli[9], contiene zuccheri (fruttosio e glucosio) al 70-80%, acqua al 15-20% e poi acidi organici, amminoacidi liberi, proteine, minerali, vitamine, ed enzimi; questi ultimi però si degradano nel tempo e col calore, perciò la loro quantità è sinonimo di freschezza. Il fruttosio è dotato di proprietà emollienti utili alla bocca, alla gola, allo stomaco, all’intestino[10] e al fegato dove contribuisce allo smaltimento delle sostanze tossiche. Ma a fare la differenza sono le sostanze battericide e quelle antibiotiche che non solo creano un ambiente umido assente di proliferazione batterica adatto alla guarigione[11], ma determinano la lunghissima conservazione del prodotto che va garantita da alcune buone norme: temperatura inferiore ai 20°C, recipienti scuri e/o lontani dalla luce diretta e chiusura ermetica[12].
Il miele, che ha un effetto salutare maggiore rispetto ad altri zuccheri, è perciò considerato un superfood, fondamentale tanto per l’uomo quanto per le api che se ne nutrono; questo infatti le aiuta a vivere più a lungo, a tollerare il freddo, a curare ferite, infezioni, e a disintossicarsi dai pesticidi.

 

 

Secondo uno studio condotto dalla dott.ssa Renata Alleva, risulta che l’introduzione dei variegati polifenoli del miele nelle cellule umane inibisce la formazione di radicali liberi, e attiva un sistema di riparazione delle lesioni provocate dai pesticidi al DNA. Per tanto, alla stregua dell’Olio EVO, il miele è da considerarsi prodotto nutraceutico, con l’unica avvertenza che fanno i medici di non somministrarlo ai bambini sotto l’anno di vita. Non potendo essere pastorizzato[13], potrebbe contenere la pericolosa Clostridium Botulinum, tossina botulinica che le api raccolgono dai fiori, capace di germinare nell’intestino dei bambini poiché la flora batterica ancora immatura non è in grado di espellerla. Ma oggi, il miele, è anche protagonista del prestigioso Concorso Tre Gocce d’Oro – Grandi Miele d’Italia promosso dall’Osservatorio Nazionale Miele, nel quale anche l’Umbria, con le sue apicolture, non solo conquista il titolo di miglior miele millefiori (2015) ma continua a dare dimostrazione di grande valore ad ogni nuova edizione. Ennesimo motivo d’orgoglio a testimonianza dell’importantissima biodiversità che caratterizza il cuore verde d’Italia!

 


[1] Si ritiene che per “la presenza di una testa coronata (l’ape regina) […] il Basso Egitto abbia utilizzato l’ape come simbolo territoriale e che il faraone stesso lo abbia usato, insieme al giunco, quale emblema reale, simbolo di sovranità e di comando. Per tutta la storia di questa civiltà, il Basso Egitto è stato sempre rappresentato dall’ape.”
Le lacrime di Ra. L’apicoltura e l’importanza delle api nell’antico Egitto www.mediterraneoantico.it

[2] Terra del miele – oggi meglio nota come Malta.

[3] Indicatore golanera o greater honeyguide, che in Inglese significa letteralmente grande guida del miele, è un piccolo uccello del Mozambico ghiotto di cera (uno dei pochi uccelli in grado poterla digerire) di larve e pupe, che rispondendo al richiamo dell’uomo lo guida alla ricerca delle arnie selvatiche.
L’uccellino che guida alla scoperta del miele www.focus.it

[4] Miele deriva infatti dall’antico etimo elelu che vuol dire libero da impurità.

[5] Le lacrime di Ra. L’apicoltura e l’importanza delle api nell’antico Egitto www.mediterraneoantico.it

[6] La Melissa delle api: www.terranuova.it

[7] La danza elle api è l’unico esempio di linguaggio simbolico nel mondo animale, attraverso la quale un’ape bottinatrice comunica alle altre di aver trovato una nuova fonte di cibo; nella danza risiedono le informazioni di direzione (orientamento della danza rispetto al sole), di distanza (proporzionale alla velocità della danza) e tipo di raccolto (piccolo assaggio riportato).
Guida ai Mieli d’Italia, pdf di “Osservatorio Nazionale miele” <www.informamiele.it>

[8] Il ruolo delle Api per l’uomo e l’ambiente www.isprambiente.gov.it

[9] Il polline, ricco di proteine ed enzimi, è raccolto dai fiori, la propoli è una sostanza resinosa raccolta dalle gemme e dalla corteccia delle piante.

[10] L’azione osmotica provoca un afflusso di acqua nell’intestino che ne facilita l’evacuazione.

[11] Perfetto per il trattamento di ulcere gastriche, piede diabetico, ustioni e piaghe, e per contrastare la comparsa di brufoli e acne.

[12] Il miele ha capacità igroscopica: è in grado di assorbire le molecole dell’acqua dall’ambiente circostante e con esse anche tutti gli odori.

[13] La pastorizzazione è una tecnica impiegata nel settore alimentare che ha come fine ultimo quello di garantire una lunga conservazione degli alimenti eliminando i batteri presenti in essi con l’utilizzo di alte temperature.

Per essere precisi non si tratta di un piccolo rospo e in realtà non immaginatevi un ululato come quello del lupo: stiamo parlando dell’ululone appenninico (Bombina pachypus), un piccolo anfibio anuro, quindi privo di coda allo stadio adulto, dalla struttura generale simile a quella delle rane, dei rospi e delle raganelle.

Come dicevamo però non si tratta di un rospo di piccole dimensioni ma di una specie molto particolare appartenente ad una famiglia di anfibi che prende il nome di Bombinatoridi.
Il nome la dice lunga… ululone appunto. Questo termine curioso deriva dal verso emesso dal maschio durante il periodo riproduttivo per attirare la femmina e avviare il rituale che porterà i due ad accoppiarsi con un tipico amplesso lombare e la conseguente deposizione delle uova.

 

Ululoni in accoppiamento – Foto di Cristiano Spilinga

 

Questo piccolo anfibio, che non supera i 6 cm di lunghezza, è presente in Italia dalla Liguria all’Aspromonte, mentre sulle Alpi si trova una specie molto simile, l’ululone dal ventre giallo (Bombina variegata). Questa distribuzione apparentemente molto ampia non deve trarre in inganno perché l’ululone, così come molte altre specie di anfibi, non se la passa affatto bene.
La scomparsa degli habitat riproduttivi, nella stragrande maggioranza dei casi particolarmente effimeri ed esposti a forte rischio di alterazione, è certamente una delle principali minacce per la specie, a questo si aggiunge la chitridiomicosi, una patologia derivante dall’attacco di un fungo che sta mietendo vittime tra molte specie di anfibi in tutto il pianeta.
In molte aree dell’appennino la specie riesce a riprodursi quasi esclusivamente grazie alla presenza sul territorio di vasche per la raccolta dell’acqua ad uso agricolo e per l’abbeveraggio del bestiame.

 

Ululone appenninico (Bombina pachypus) all’interno di un abbeveratoio – Foto di Cristiano Spilinga

 

L’Umbria non fa eccezione: le piccole popolazioni note risultano strettamente legate alla presenza di questi vecchi manufatti molti dei quali in stato di abbandono a causa dello spopolamento della montagna.
Se da una parte l’abbandono si è tradotto in un minor disturbo per gli ululoni che hanno così potuto sfruttare queste piccole zone umide artificiali per riprodursi, dall’altra ha comportato una mancata gestione di questi siti che nel tempo sono andati persi perchè completamente interrati o non più in grado di trattenere acqua in quanto profondamente lesionati.
Per sviluppare una proficua sinergia tra i pochi allevatori rimasti e chi si occupa di conservazione di questo importante endemismo appenninico, da alcuni anni in Umbria sono stati sviluppati alcuni progetti che hanno visto protagonisti la Regione Umbria, il Comune di Spoleto e l’Agenzia Forestale Regionale.
Dal primo progetto pilota in cui è stato ripristinato un abbeveratoio completamente diruto, si è arrivati a recuperare circa 20 vasche che sono state progettate con rampe di ingresso e di uscita per i piccoli anfibi per favorire l’entrata in acqua e l’uscita, soprattutto in caso di drastici abbassamenti del livello idrico.
Da queste prime iniziative hanno preso il via altre azioni di conservazione della specie supportate anche da The Mohamed bin Zayed Species Conservation Fund, una Fondazione internazionale che si occupa di conservazione della natura su scala globale.
Nell’ottobre del 2020 ha preso il via il Progetto Life Integrato IMAGINE Umbria (Integrated MAnagement and Grant Investments for the N2000 NEtwork in Umbria) che tra le altre azioni prevede la realizzazione di un centro di riproduzione dell’ululone appenninico in Umbria per poter poi procedere con il ripopolamento della specie in alcuni siti che verranno ripristinati nell’ambito del progetto.
Le azioni in campo sono molte perché abbiamo il dovere di non far scomparire dal nostro pianeta un altro prezioso ed insostituibile frammento di biodiversità

 


BIBLIOGRAFIA

  • Ragni B., Di Muro G., Spilinga C., Mandrici A., Ghetti L. (2006). Anfibi e Rettili dell’Umbria. Distribuzione geografica ed ecologica, Petruzzi Editore, Città di Castello, pp. 111.

Rete Natura 2000 è uno strumento dell’Unione Europea per conservare il patrimonio di biodiversità.

Non tutti sanno che in Umbria, oltre ai parchi regionali (Monte Cucco, Lago Trasimeno, Fiume Nera, Colfiorito, Monte Subasio, Fiume Tevere), al Sistema Territoriale di Interesse Naturalistico Ambientale – S.T.I.N.A. e al Parco Nazionale dei Monti Sibillini condiviso con la Regione Marche, sono presenti ben 102 aree, più o meno grandi, appartenenti alla Rete Natura 2000. Ma capiamo un po’ meglio di cosa si tratta. La Rete Natura 2000 è uno strumento dell’Unione Europea per conservare il proprio patrimonio di biodiversità attraverso la definizione di una rete di aree istituite ai sensi della Direttiva 92/43/CEE Habitat per garantire il mantenimento a lungo termine degli habitat naturali e delle specie di flora e fauna minacciati o rari a livello comunitario.

La Rete è formata dai Siti di Interesse Comunitario (SIC) che vengono successivamente designati quali Zone Speciali di Conservazione (ZSC) e comprende anche le Zone di Protezione Speciale (ZPS) istituite ai sensi della Direttiva 2009/147/CE Uccelli concernente la conservazione degli uccelli selvatici.
La particolarità di queste aree è che non vanno considerate delle riserve rigidamente protette dove le attività umane sono escluse, ma delle zone dove la protezione della natura deve tenere conto anche delle esigenze economiche, sociali e culturali, nonché delle particolarità regionali e locali.
I siti delle Rete Natura 2000 in Umbria interessano oltre il 15% del territorio, sono diffusi in tutta la regione e vanno a tutelare habitat e specie di particolare interesse naturalistico meritevoli di attenzione a livello comunitario. In questi siti sono presenti 41 tipologie di habitat (elencati nell’Allegato I della Direttiva Habitat) di cui 11 definiti come prioritari in quanto a rischio di scomparsa a livello continentale. Per quanto riguarda flora e fauna, le specie di interesse comunitario, inserite negli Allegati II, IV e V della Direttiva Habitat, sono in totale 91; nello specifico sono presenti 8 specie vegetali (di cui 1 prioritaria) e 83 specie animali (di cui 4 prioritarie) così ripartite: 30 mammiferi, 11 rettili, 9 anfibi, 11 pesci e 22 invertebrati. Inoltre, sono presenti 50 uccelli, inclusi nell’Allegato I della Direttiva Uccelli.

 

Salamandrina dagli occhiali settentrionale (Salamandrina perspicillata). Foto Archivio Studio Naturalistico Hyla

 

La Rete Natura 2000 rappresenta un patrimonio che necessita l’attenzione di tutti i cittadini dell’Unione Europea, in quanto anche i siti particolarmente marginali possono beneficiare della politica comunitaria proprio grazie alla presenza di specie di piante, di animali e di habitat di particolare interesse conservazionistico.

 


BIBLIOGRAFIA

  • Gigante D., Goretti E., La Porta G., Lorenzoni M., Maneli F., Pallottini M., Pompei L., Venanzoni R., Carletti S., Funghini E., Montioni F., Petruzzi E., Spilinga C. (2019) Guida ai siti Natura 2000. La biodiversità. Una rete per conservarla.