Andiamo alla riscoperta della narnese Caterina Franceschi Ferrucci: scrittrice, patriota, educatrice e prima donna a essere nominata membro dell’Accademia della Crusca.
Caterina Franceschi nacque a Narni, il 26 gennaio 1803. La sua giovinezza fu in parte condizionata, anche da un punto di vista caratteriale, da un incidente di gioco che le fece perdere l’uso di un occhio. Ebbe un’educazione umanistica, fu scrittrice, poetessa e patriota. Dedicò gran parte dei suoi scritti all’educazione delle donne.
Nel 1827 sposò a Macerata il latinista Michele Ferrucci, insegnante di liceo e successivamente docente all’Università di Bologna. Nel 1836 la famiglia Franceschi Ferrucci si trasferì a Ginevra, in Svizzera, dove Michele aveva ottenuto la cattedra di letteratura latina e Caterina insegnava liberi corsi sulla letteratura italiana.
Nel 1857 morì sua figlia Rosa, poco più che ventenne, e da quel momento seguì un lungo silenzio durato fino al 1871, quando stese il discorso, a seguito della nomina a membro corrispondente dell’Accademia della Crusca, Della necessità di conservare alla nostra lingua e alla nostra letteratura l’indole schiettamente italiana.
Nel 1875 ebbe un ictus e nel 1881 con la morte di suo marito Michele decise di isolarsi completamente andando a vivere in una villa di proprietà del nipote a Firenze. Caterina Franceschi Ferrucci morì il 28 febbraio 1887 in completa solitudine.
«Lasciatemi studiare o non se ne fa di niente»
Caterina, nel periodo in cui visse a Macerata, (siamo intorno al 1823/1824) conobbe il marchese Giacomo Ricci con il quale intrecciò una relazione sentimentale. La relazione si tramutò presto in un’ardente passione, ma la famiglia di lui non approvava. Nonostante Caterina sia stata spesso descritta come donna rigida, chiusa al dialogo e tutta d‘un pezzo, si racconta che con il marchese avesse inaspettate doti di passionalità. Quando il marchese si trasferì a Roma per frequentare l’Accademia ecclesiastica i loro rapporti, già da tempo osteggiati, si fecero sempre più radi finché non si spensero definitivamente. Qualche tempo dopo Caterina conobbe e si fidanzò con il latinista Michele Ferrucci. Quando furono organizzate le nozze Caterina, accantonando la passione che l’aveva pervasa nella precedente relazione, fece riemergere le sue peculiarità di carattere intransigente ponendo quindi un ordine perentorio, un‘imposizione tassativa, praticamente un diktat al futuro marito: «Lasciatemi studiare o non se ne fa di niente». Si sposarono nel settembre del 1827.
Visione non paritaria, ma nemmeno sottomessa
Caterina non era una femminista, non sviluppava teorie di eguaglianza tra uomo e donna. La sua visione non era dunque paritaria, al contrario credeva che il ruolo della donna dovesse rimanere quello di moglie e madre, non però sottomessa, ma libera di muoversi nei suoi spazi culturali. Detestava chi era solito affermare che l’anima della donna era di minor pregio rispetto a quella di un uomo. Il suo pensiero era fondamentalmente incentrato sull’educazione femminile come processo di futuro migliore della collettività. Le donne dovevano essere istruite adeguatamente e non certo badare solamente a rassettare la casa o cimentarsi con l’uncinetto. Il futuro della società italiana dipendeva dunque, secondo la sua prospettiva, dalla formazione delle donne che non dovevano essere affidate esclusivamente all’istinto materno.
L’ambito era sì quello domestico e matrimoniale, ma non doveva essere più uno spazio dove la donna si ritrovava oppressa e soggiogata, ma sostanzialmente emancipata. Nel 1850, quando Caterina ricevette l’incarico di dirigere il nuovo Istituto di educazione femminile di Genova, promosse un programma basato sull‘insegnamento della religione, della morale cattolica, dei lavori domestici e di alcune discipline artistiche come musica, disegno, danza. L’esperimento non ebbe successo, troppo innovativa per i clericali e troppo poco democratica per i laici.
Della educazione morale della donna italiana
Nel 1847 dette alle stampe: Della educazione morale della donna italiana, scritto nel 1844. Riporto di seguito alcuni passaggi di facile lettura che espongono in maniera determinata e distinta il suo pensiero riguardo alle donne e alla loro educazione.
“Niuno vorrà tacciarmi d‘orgoglio, né di arroganza, o di astiosa malignità. Io non presumo di farmi ad altri maestra; solo intendo di esporre quello che io penso; né altro mi propongo di fare, se non di ritrarre, il meglio che io possa, su queste carte l‘immagine della donna italiana, quale io la vagheggio nel secreto della mia mente”. “Mi parea vedere, leggendo nell’avvenire, che a noi donne destini il cielo il glorioso ufficio di rimettere i traviati sul buon sentiero e d’ispirare nelle crescenti generazioni l’amore delle virtù, che fanno le famiglie concordi e felici. Chi tenesse per audace o per falsa questa speranza, guardi al potere che la donna ha ricevuto dalla natura, e poi, se può, mi convinca di esagerazione o di errore”.
Quest’ultima frase ricorda molto quella di Shakespeare sull’amore quando scrive: “Amore non muta in poche ore o settimane, Ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio; Se questo è un errore e mi sarà provato, Io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato”.
Continua poi Caterina nel suo scritto educativo: “A lei il fanciullo dischiude il primo sorriso e con le male articolate parole a lei spiega i suoi primi affetti. In essa si affisa la mente del giovane innamorato. Anima e vita della famiglia la donna vi fa regnare la pace, vi mantiene l’ordine e l’abbondanza”. “Dopo essere stata la protettrice dell’infanzia dell’uomo, il desiderio della sua giovinezza, la compagna e il consiglio della sua matura virilità, è ancora il conforto e l’aiuto suo nel tempo della vecchiaia”. “Onde noi donne per mantenere la dignità nostra nel conveniente grado di onore porremmo ogni cura a bene educare i nostri figliuoli”. In questo passaggio sostanzialmente voleva far capire che non è certo che le buone madri faranno buoni i figli e che le famiglie saranno buone se governate da buone donne, ma porre ogni cura in questo ambito produrrà buoni risultati.
Passa poi a criticare alcuni principi dell’epoca seguiti nell’educare. “Alcuni stabiliscono per fondamento all’educazione l’autorità. Vi sono molti che, senza troppo badare alla qualità dei modi, guardano solo al conseguimento del loro fine: onde coloro che pensano non altro essere la donna che una buona massaia e una savia reggitrice della famiglia; vogliono che l’educazione questo solo le insegni, né di altro si danno cura. […] Il principio dell’autorità diventa reo quando eccede. Chè allora infiacchisce la volontà, rende torpida la ragione e non permette alla conoscenza d’ingagliardire le forze sue”. “Siccome alcuni abusano dell’autorità, così altri cadono nell’eccesso contrario. Poco insegnano, solo di rado fanno uso di divieti ed hanno per fermo dovere l’educazione essere negativa, cioè star contenta a impedire il male che il fanciullo da sé non può prevedere o fuggire. Non si danno pensiero con gli amorevoli ammonimenti. Il principio dell’educazione negativa è sempre dannoso, come dannosi sono tutti i principi i quali tendono a combattere il male senza promuovere il bene”.
Per Caterina le donne non dovrebbero essere educate in modo che la passione domini sulla ragione, rendendole succubi dell’uomo, e così scrive: “Guai a quella donna in cui l’affetto non si concorda colla ragione, e prende a scherno gli insegnamenti e i consigli dell’esperienza! L’animo suo sarà sempre in tempesta e non avrà mai posa né bene”.
Critica poi in maniera netta coloro che nell’educare la donna altro non cercano che renderla utile alla famiglia. “L’utilità di che qui si parla è pressoché in tutto cosa meccanica e materiale, e perciò indegna di essere proposta. Secondo l’opinione comune la donna provvede all’utile e al bene della famiglia quando è buona massaia […], ma nelle case in cui si misura solo da questo l’utilità della donna, nulla quasi viene insegnato alle giovinette, salvo che il trattar l’ago e il fuso: di rado avviene che queste sappiano alquanto di lettere e poco intendono alle arti gentili. […] la mente lasciata nell’ignoranza intristisce e di vani pensieri e di false idee si riempe”.
Quindi cosa fare? Caterina Franceschi Ferrucci lo scrive così: “La coltura dell’intelletto non solo nobilita la donna ma le torna di sommo conforto e di gran profitto in qualunque condizione si trovi e in ogni tempo della sua vita. Il suono, il canto, la danza, il disegno e qualche lingua straniera devono essere insegnate alle giovinette e reputate come educate sapranno abbigliarsi con eleganza, muoversi e camminare con grazia, parlare con brio e vivezza. Coltivando la mente il conversare è più gradito”.
Caterina conclude questa parte de L’educazione morale della donna italiana con l’incoraggiare l’educazione della mente e del cuore perché poi alla fine lei sostiene una donna a cui: “Piace l’agitarsi dè cavalli e dè carri, l’ondeggiare della folla, il tumulto e lo strepito delle vie. La donna corre dove sente echeggiare il suono dè musicali strumenti e assidua nei teatri fa incontri nelle ampie sale”.
Caterina Franceschi Ferrucci riposa nella cappella privata di una villetta a San Martino alla Palma, presso Firenze.

Domenico Arcangeli

Ultimi post di Domenico Arcangeli (vedi tutti)
- Caterina Franceschi Ferrucci: «Lasciatemi studiare o non se ne fa di niente!» - Maggio 13, 2025
- Il montefalchese Cuppano, condottiero delle Bande Nere - Gennaio 7, 2025
- Petrone da Vallo: feroce rivoltoso o vivace portavoce di diritti? - Ottobre 22, 2024