L’attore e regista Gianluca Foresi ci ha regalato la sua personale descrizione di Orvieto, un girovagare per la città tra monumenti, storia, odori e sapori. Un’Orvieto come non l’avete mai vista!
Chiamatemi orvietano. Non vi paia questo un altezzoso esercizio narcisistico o un supponente timbro identitario, che vuole la stirpe urbevetana essere superiore in censo e nobile per nascita. È solo un umile omaggio a un viaggiatore, Ismaele, che quando l’animo gli si volge alla melanconia, non ha altro rimedio e panacea che mettersi per viaggio e andar per mare. E quando anch’io non per diporto o ferie drizzo la prua della mia automobile verso terre lontane, ché lo faccio invece per mestiere, e volgo lo sguardo alla Rupe che tutto sovrasta e domina, già pochi chilometri trascorsi, sento nascere dentro di me la nostalgia e l’amore per questo luogo ingombrante.
Non si angoscino i miei concittadini: non ingombrante, perché pesante e fastidioso. Ingombrante per la sua storia, ché nonostante il suo essere poco più di un borgo, ma non della Mancha, sul proprio suolo ha visto alternarsi eretici, architetti, pittori, filosofi, papi e financo imbonitori. I catari, a Orvieto conosciuti come patari (da qui la Strada Patarina), che qui hanno innalzato un baluardo contro la Santa Madre Chiesa; Lorenzo Maitani, che ha dato slancio ai marmi di una cattedrale a sostegno dell’emo-miracolo; Luca l’affrescatore, di cui non mi sovviene il cognome – … sarà un lapsus, vero Sigmund? – colpito anche tu dalla stessa dimenticanza, dopo averne ammirato il ciclo pittorico nella cappella del Duomo, ne hai magistralmente raccontato in Psicopatologia della vita quotidiana; e immagino gli appunti sul comodino della tua camera d’albergo in Corso Cavour.
Orvieto crocevia di esperienze e di speranze, come quella di Gerolamo Ferrante detto l’Orvietano, che nel 1603 ottenne dal comune la licenza a vendere un elisir, che famoso lo rese fino alla corte del Re Sole e onorato nelle lettere da Manzoni, Balzac, Molière e Walter Scott; un elisir che se fosse venduto ai nostri giorni al mercato di Piazza del Popolo, ne sentiremmo gridare insieme a “Signo’, guardate che pommidori”, “C’emo l’impermiabbili pe’ la pioggia e le elastiche pe’ le mutande” e al cacio che “farebbe resuscita’ anche le morte”. È un coro polifonico á la Dostoevskji il mercato di Orvieto, in cui le voci rimbalzano da un banco all’altro come arringhe in un tribunale a difesa della propria merce e svilimento dell’altrui. Opimo di profumi, di sapori e il popolo vi pascola, chi indolente, chi schizofrenico, fra primizie che poi planeranno sulle tavole e sui banchetti di questi Etruschi 2.0.
È un formicolare il mercato, che poi si irradia per i vicoli, le strade e i boulevard (perdonami, Haussmann…), Corso Cavour e Via del Duomo, dove si impastano sguardi indagatori e voraci, perché sull’Urbe il pettegolezzo è un’arte, filosofia di vita degli altri, è la chiacchiera heideggeriana che dà la misura all’Essere e la dimensione e giustificazione al Tempo. Ma trattasi non di semplice intrusione nella vita altrui, piuttosto di una cura, un omaggio, un’attenzione che si pone a chi il proprio destino ha intrecciato al nostro, e come si intrecciano i destini degli uomini, così fanno quelli delle strade. Perciò tu, appassionato lettore, seguimi: vieni a gustare cornetti e cappelletti, insaccati e pasta fresca, odori di vigneti e fragranze di tozzetti. Lo so, c’hai preso gusto, e come te anche Orvieto, tanto che proprio qui nel lontano 1992 è nata la condotta Slow Food e da quel momento sulla Rupe, ma anche sotto, tutto è slow, tutto è lento, un tripudio di lentezza: ospedali, teatri, cattedrali, sembra di ritornare al ritmo della fabriceria, quando in quella che oggi è Piazza del Duomo, il lento incedere del tempo veniva scandito dal Maurizio, un automa che dettava le ore e i quarti agli operai e diceva loro: Adesso lavora, adesso riposa, adesso riposa, adesso lavora. Don, don, don. Lo stesso automa che anche oggi batte metallicamente il maglio sulla campana e detta al turista il suo tempo: adesso dormi, adesso destati.
Quel turista che giunge sulla Rupe dall’Oriente lungo la via della Carbonara o dal nuovo mondo a scoprire i Fettucciniii con tartuffffi e il panini al prisgiutto di cinghiale. Ma non di solo pane vive l’uomo, ché un altro impasto prezioso nasce in questa terra, una tradizione fatta d’argilla e forgiata negli antichi forni al tempo dei Lucumoni e poi dei podestà. Buccheri con atleti, teste di madonne e di messeri su smalti gialli, cervi in volo su sfondi verdi immortalano un’iconografia che ancora ci illuse e oggi ci illude. E guardandoli fissi ci si perde nel vortice dei dettagli ed è quasi una vertigine, come quella che prende chi per la prima volta s’affaccia ai finestroni umidi del Pozzo di San Patrizio: proverbiale è la sua profondità e il numero delle scale che si intrecciano e si sovrappongono per farci guadagnare la discesa e faticare la salita. Il desiderio più gettonato che gli olimpionici turisti sembrano richiedere è quello di un lieve riaffiorare in superficie. E guardando e rimirando l’orrifica struttura che si evince dai disegni, ovvero una doppia scala elicoidale, due volgari scale a chiocciola sovrapposte, immagino, con l’alta fantasia a cui non manca possa, che un giorno a tavola sorseggiando del vino, già rinomato e voluto dal Signorelli – Danke, Doktor Freud – a emolumento parziale dei suoi servigi e della sua arte, il giovane Sangallo sia rimasto folgorato da un torcolo di farina, olio, prosciutto e pecorino arrotolato su se stesso, una lumachella. Eureka!, avrebbe potuto esclamare, per poi chinarsi a trasporre tutto sulla carta. E infine in pietra.
Potrà sembrarvi tutto questo un elogio della follia, ma non vi paia poi così improbabile nel luogo dove gran parte dell’economia, della prosperità, della fortuna e del futuro ha avuto origine da un lontano evento, ché nonostante il Miracolo Eucaristico sia avvenuto a Bolsena, è solo grazie al Social Media Manager ante-litteram con sede in Orvieto, papa Urbano IV, se è diventato una ricorrenza festeggiata da tutta la cristianità: Il Corpus Domini.
Per scoprire il dialetto orvietano
Gianluca Foresi
Ultimi post di Gianluca Foresi (vedi tutti)
- Chiamatemi orvietano - Febbraio 27, 2024