Alla scoperta dell’artista toscano e della Pala di Sant’Onofrio conservata nel Museo del Capitolo della Cattedrale di San Lorenzo a Perugia.
Luca d’Egidio di Ventura, noto come Luca Signorelli, nacque nel 1450 a Cortona, piccolo ma ricco centro al confine tra Toscana e Umbria. Gli artisti fiorentini influenzarono la sua formazione fin da giovane, specialmente Piero della Francesca, di cui fu allievo. Da Piero Signorelli apprese le nozioni prospettico-matematiche, ma ben presto elaborò un proprio stile; Giovanni Santi, padre di Raffaello, descrisse l’animo del pittore in un’epigrafe: «el cortonese Luca de ingegno et spirto pelegrino», come sinonimo di eccentrico e ingegnoso.
Decisivo, per la sua maturazione artistica fu il contatto con Andrea del Verrocchio, titolare della bottega presso la quale si erano formati artisti come Leonardo, Botticelli, Ghirlandaio e Perugino. È proprio in questo periodo che il Signorelli instaurò con il Divin pittore uno stretto rapporto, tanto da condividere con lui il cantiere della Cappella Sistina.
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Probabilmente fu proprio il Perugino a introdurlo a Perugia: qui il vescovo Jacopo Vagnucci, anche egli cortonese, gli commissionò la Pala di Sant’Onofrio, conservata nel Museo del Capitolo della Cattedrale di San Lorenzo. L’iconografia è quella della sacra conversazione: la Vergine seduta su un alto trono legge le Sacre Scritture, mentre il Bambino reca in mano un giglio simbolo di verginità e purezza, lo circondano due angeli, uno dei quali accorda un liuto, Sant’Onofrio e San Ercolano, protettori di Perugia.
Lo stile di Signorelli è caratterizzato da una grande attenzione all’anatomia e al movimento; nella sua arte tutto è corporeo, dalla rappresentazione dei personaggi al paesaggio reale. Le sue figure sembrano essere inserite in una rappresentazione teatrale e coreografica, soprattutto nelle raffigurazioni più complesse.
Il pittore ricevette importanti commissioni a Perugia e Firenze, ma si dovette allontanare da quest’ultima dopo la morte di Lorenzo il Magnifico avvenuta nel 1492. Nel 1502, secondo il racconto di Giorgio Vasari, perse suo figlio a causa della peste che infuriava a Cortona; sconvolto dalla perdita, il pittore ritrasse il corpo esanime del figlio: «con grandissima costanza d’animo senza piangere o gettar lacrima, per vedere sempre che volesse, mediante l’opera delle sue mani quella che la natura gli aveva dato e tolto». Secondo alcuni storici il corpo del figlio è stato ripreso per la raffigurazione del Cristo morto di Cortona.
Al pittore vennero riconosciuti importanti investiture nella politica cortonese, grazie alle quali poté instaurare rapporti con celebri e potenti famiglie come i Piccolomini e i Petrucci di Siena e i Vitelli di Città di Castello. Fatale gli fu una caduta da un ponteggio mentre stava lavorando che lo portò alla morte nel 1523.
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Giulia Venturini
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