«Fin da ragazzo ho capito che la pallavolo poteva rappresentare qualcosa d’importante, anche se non mi aspettavo questi risultati. Guardavo la “Generazione dei fenomeni” e volevo essere come loro.»
Quando intervisti l’allenatore italiano più vincente della pallavolo, fresco di Supercoppa con la Imoco Volley di Conegliano e del titolo europeo con la nazionale femminile turca, tutto ti aspetti meno che finire a parlare di calcio. Con Daniele Santarelli, nato a Foligno 42 anni fa e cresciuto sportivamente in diverse parti d’Italia, è andata così. Ma prima del Milan (la squadra che entrambi tifiamo) abbiamo chiacchierato anche di molto altro: delle sue vittorie (tante), dell’Umbria (che porta sempre con sé), delle donne che allena e persino di Carlo Ancelotti. «È il mio idolo, ho letto tre libri su di lui. Magari fossi come Ancelotti, mi manca però qualche Champions.» Daniele è ancora giovane e il tempo per vincerle ce l’ha.
Santarelli, con la sua bacheca ricchissima di trofei, è l’allenatore più vincente della pallavolo italiana: un Mondiale con la nazionale femminile della Serbia, cinque scudetti, quattro Coppe Italia, due Mondiali per club, una Champions League e sei Supercoppe italiane, l’ultima conquistata pochi giorni fa. Nello stesso anno (2022) ha vinto due medaglie d’oro: la prima sulla panchina della Serbia, la seconda pochi mesi dopo guidando la Imoco Volley. Con la Turchia nel 2023 ha portato a casa una medaglia d’oro alla Volleyball Nations League e un Campionato Europeo.

Daniele, qual è il suo rapporto con l’Umbria?
L’Umbria è casa mia. Ogni volta che torno respiro un’aria familiare. È il luogo in cui sono nato e cresciuto, dove abitano i miei parenti e i miei amici. Mi manca sempre.
Da quanto tempo vive fuori regione?
Da 15 anni.
Che ricordi ha dei suoi inizi a Foligno?
Ho dei ricordi meravigliosi. La pallavolo da professionista era solo un sogno; giocavamo alle Commerciali, eravamo quattro gatti. Il volley non era uno sport molto diffuso all’epoca, né a Foligno né in Umbria. Da subito però ho capito che poteva rappresentare qualcosa d’importante, anche se non mi aspettavo questi risultati. All’inizio era solo un gioco, una passione, un sogno: guardavo la famosa Generazione di fenomeni – l’Italia di Julio Velasco che in quegli anni vinceva tutto – e volevo essere come loro. Tutto ciò che aveva a che fare con questo sport era qualcosa di magico.
È proprio di queste ore la nomina di Velasco come nuovo ct della nazionale femminile di volley. Chissà se saprà ricreare una squadra all’altezza di quella maschile degli anni ‘90?
Me lo auguro, ma non è nemmeno confrontabile.
Torniamo a lei. La sua strada sportiva com’è proseguita?
Ho girato molto. Sono stato a giocare a Vicenza per due anni, per poi trasferirmi a Terracina. Da allenatore ho iniziato a Pesaro, poi sono andato a Urbino e a Casalmaggiore. Da 9 anni sono a Conegliano (Treviso).
Ha dichiarato: “Conegliano è casa mia, e ormai lo è da tanto tempo”: tornerà, magari a fine carriera, a vivere in Umbria?
Non ci voglio pensare alla fine della mia carriera, mi mette tristezza. (ride)
È fresco della vittoria del Campionato Europeo con la Turchia: se lo aspettava questo risultato?
C’era qualcosa che mi portava verso la Turchia. Sapevo di fare un cambiamento strano, quasi pazzo, perché lasciavo la Serbia, una squadra che aveva vinto gli ultimi due Mondiali, un bronzo olimpico e un argento europeo, però qualcosa mi diceva che questa nuova scommessa era per me una sfida da accettare. Ero convinto che avremmo fatto bene, nessuno però si aspettava un’estate come quella trascorsa: la vittoria della Volleyball Nations League, il Campionato Europeo e la qualificazione alla World Cup. Tutto questo mi inorgoglisce tantissimo e sono molto felice, anche se ora sono salite le aspettative.
Questo la spaventa?
No. Le pressioni fanno parte del mio lavoro, sin da quando ho iniziato. Sono io stesso, a volte, a mettermele addosso ma non mi preoccupo, perché in realtà ho ben chiaro quello che voglio.
Parliamo della partita giocata all’Europeo contro l’Italia: il suo cuore era diviso a metà?
L’Italia è il mio Paese, è ovvio che cantare l’inno e conoscere tutti dall’altra parte della rete fa un certo effetto, però è il mio lavoro e, a prescindere dalla nazionale o dal club che alleno, io voglio vincere. Ho sempre pensato questo, anche quando giocavo a bassi livelli: se gioco a carte con mia mamma faccio di tutto per vincere e sto malissimo se perdo! (scherza). Quando giocavo al campetto coi miei amici non accettavo la sconfitta: la competizione sportiva fa parte di me.
È considerato l’allenatore più vincente nella storia della pallavolo italiana. Vista la sua risposta precedente: quanto ne è orgoglioso?
Molto, però non ci penso. Non voglio guardare quello che è stato, ma quello che sarà. Finora ho fatto un bel cammino, ma il mio viaggio è ancora lungo e me lo voglio godere appieno. Forse lo farò – come diceva lei prima – quando tornerò in Umbria e sarò in pensione, ora non è il momento di fermarmi a pensare.
Il suo prossimo obiettivo?
Le Olimpiadi del 2024.

Leggendo il suo palmarès mi è venuto in mente Carlo Ancelotti, l’allenatore di calcio italiano tra i più vincenti. Si arrabbia se faccio questo parallelismo?
No, assolutamente. È il mio idolo, ho letto tre libri su di lui. Magari fossi come Ancelotti, mi manca però qualche Champions (ride). Mi piace tanto per la personalità, per il carisma, la simpatia, la pacatezza e il modo di fare. È davvero un personaggio, forse il migliore. Antonio Conte e José Mourinho per me sono degli esempi e mi affascinano, però mi avvicino molto più ad Ancelotti, anche per il rapporto che ha con i giocatori, con la stampa e per il suo modo di festeggiare.
Ha fumato anche lei il sigaro per festeggiare?
Qualche volta sì. (ride)
Qual è il segreto per creare un gruppo vincente?
Senza il talento delle giocatrici non si va da nessuna parte. È ovvio però che ci vuole qualcosa in più: lo spirito, le motivazioni, l’ambiente, l’atmosfera e anche una buona dose di fortuna. Tutto si deve incastrare. Quando ho scelto di allenare la Turchia sapevo che era una nazionale con del potenziale; ho fatto subito capire alle giocatrici quali fossero le mie idee e le mie motivazioni e ho cercato di farle stare bene. Non è facile creare una squadra vincente: ci vuole tempo e si deve lavorare giorno dopo giorno, non è un interruttore che si accende e si spegne. Ma soprattutto si deve essere sinceri con chi si allena.
Ha qualche rito prima di una gara?
Non sono scaramantico per niente. Intorno ho persone scaramantiche che cercano di contagiarmi, ma non ci riescono.
Ha allenato sempre squadre femminili?
No. Ho iniziato allenando gli uomini partendo dalle categorie più basse poi si è aperta la possibilità di lavorare con le donne, per le squadre femminili c’è maggiore richiesta.
C’è molta differenza?
Assolutamente sì. La pallavolo femminile è molto più adatta a me. Sono predisposto a gestire la loro complessità e la loro mente: le donne hanno bisogno di attenzioni, di essere ascoltate, capite e danno molto più degli uomini. Hanno degli apici incredibili, sia in positivo sia in negativo: quando l’apice è positivo arrivano ad altissimi livelli.
Una curiosità su Daniele che in pochi conoscono…
Ora su due piedi non mi viene in mente. Posso dire che sono fissato con l’alimentazione e cerco di mantenermi in forma, non sgarro mai. Sono anche molto quadrato e precisino, a volte divento fastidioso. Non sopporto il disordine, la confusione e la disorganizzazione. Questo si manifesta sia nella vita lavorativa sia in quella privata.

Segue altri sport?
Sono molto appassionato di calcio.
Per quale squadra tifa? L’avverto che la sua risposta decreterà l’esito dall’intervista (scherzo).
Sono un milanista sfegatato. Lo seguo sempre e leggo tutto.
Ottima risposta…
Ah, è andata bene!
È sposato con Monica De Gennaro, che gioca nella Imoco Volley e che lei allena: il pallone resta fuori o anche in casa si parla di volley?
Spesso resta fuori anche se, essendo il nostro lavoro, è normale che a volte se ne parli.
Per concludere, la prima cosa che le viene in mente pensando all’Umbria?
Sicuramente il palazzo grigio a Sportella Marini, il quartiere di Foligno dove sono cresciuto. Lì vive ancora mia mamma e lì ho passato la mia infanzia: ho dei ricordi sia belli sia brutti. I giochi, il terremoto del ’97, tutto è riconducibile a quel palazzo, per me è un qualcosa di incredibile.
Come descriverebbe l’Umbria in tre parole?
È una terra magica, naturale e molto semplice: me ne sono accorto quando sono andato via, è solo a quel punto che ho capito dov’ero cresciuto. È anche un luogo fuori dal mondo – sia in positivo sia in negativo. Quando la criticano la difendo a spada tratta come se fosse la mia famiglia. L’Italia è bella, ma l’Umbria ha qualcosa di unico.

Agnese Priorelli

Ultimi post di Agnese Priorelli (vedi tutti)
- La cipolla di Cannara: povera nella terra, prestigiosa sulla tavola - Aprile 29, 2025
- Paolo Braconi: «Il pane sciapo non è legato alla Guerra del Sale. In Umbria si mangiava già prima» - Aprile 3, 2025
- Gipsy Fiorucci, la cantautrice dell’anima che dialoga con l’universo e promuove l’unicità - Marzo 13, 2025