L’areale sottendente il lago Trasimeno e le adiacenti Chiane, è ricco di eccellenze enogastronomiche e rappresenta un serbatoio prezioso per una serie di prodotti agroalimentari tipici e unici, che caratterizzano e fanno conoscere questi luoghi a molte latitudini del mondo e sono amati da chi ha avuto la possibilità di apprezzarli. Mi riferisco a tutti quei prodotti che tipicizzano questo meraviglioso territorio, quali il pesce lacustre, i vini, gli oli, le carni, i cereali, i legumi, gli ortaggi che hanno dato vita a piatti tipici, riconoscibili, caratterizzanti e ambasciatori mondiali indiscutibili di bontà e gusto.
Partendo da questi presupposti, con Livia Polegri, l’agronoma del Parco 3A-PTA della Regione Umbria, abbiamo voluto raccontare su queste pagine la ricchezza genetica agroalimentare del comprensorio lacustre che parte dai tempi lontani, in luoghi già antropizzati fin dal Paleolitico, per poi transitare dagli Etruschi e antichi Romani.
Il Trasimeno e la Valdichiana hanno rappresentato un serbatoio alimentare prezioso, variegato e ambito, che nei secoli hanno visto queste terre di confine sotto le costanti mire di possesso e gestione dei poteri politici, amministrativi e militari, anche con lotte e scontri per la supremazia territoriale. Prodotti alimentari dimenticati, sottovalutati e poi ritrovati ce ne sono una miriade e il lavoro di ricerca e di valorizzazione è partito qualche tempo fa.
I semi conservati dentro vecchi barattoli, abitudini mantenute da generazioni e la semina nella terra natia hanno contrastato la coltivazione di alcune specie ormai abbandonate anche a seguito dell’esodo dalle campagne del secolo scorso. In seguito, queste ricchezze genetiche sono state di nuovo individuate, recuperate e poste a disposizione della comunità . I presupposti sono corretti, ma la conoscenza della disponibilità di alcune di queste varietà non è nota ai più; quindi vorremmo approfittare di queste pagine affinché i semi tipici restino in zona, disponibili sul territorio per la sua gente.
Comunque in modo spontaneo e quasi inconsapevole, sono state conservate dagli orticoltori del Trasimeno molte varietà autoctone di fagioli, pomodori, meloni, cocomeri, zucche, cetrioli, cipolle, aglione, sorgo, cavoli, broccoli, broccoletti, rapi, olivo, vite, oltre a specie ittiche come il luccio del Trasimeno, da poco iscritto al Registro regionale delle Risorse Genetiche Autoctone. Alcune di queste varietà hanno rischiato di andare perdute per sempre.
La Fagiolina del Trasimeno
Iniziamo questa carrellata con la Fagiolina del Trasimeno, un legume antichissimo conosciuto dagli antichi Greci, citato da Plinio il Vecchio e poi da Alberto Magno, che lo descrive con semi dai molti colori e con il caratteristico occhio. La prima testimonianza scritta della coltivazione della Fagiolina del Trasimeno risale al 1876, sul Giornale Agrario Italiano.
Riviste specializzate, nel secolo scorso, hanno scritto che la Fagiolina del lago, composta da piccoli fagioli biancastri con occhio bruno, è di facile cottura e molto saporita. Si tratta di una specie diversa da quella del fagiolo, introdotto in Europa dal Nuovo Mondo nel ‘500, e che tra l’altro le ha rubato il suo antico nome phaseolus. La fagiolina viene dall’Africa, ed è giunta in Italia probabilmente grazie agli scambi commerciali che si svolgevano nel Mediterraneo in tempi antichi, sicuramente in epoca preromana.
È noto che la Fagiolina del Trasimeno è stata da sempre prevalentemente destinata all’autoconsumo, ma nel secolo scorso ha rischiato l’estinzione perché, a causa della maturazione scalare, doveva esser raccolta manualmente e quindi occorreva, per la raccolta, un’intensa e costante presenza in campo.
La dottoressa Polegri, a proposito della situazione attuale della Fagiolina del Trasimeno, ha dichiarato: «Ora si coltivano sostanzialmente due tipi, quella tutta bianca e quella di colorazioni miste, mentre prima della riscoperta ogni agricoltore aveva la sua, quindi ci sono accessioni dai semi tutti rossi, o tutti color crema con occhio rosso, o crema con occhio nero, ecc., oppure di due tipi di colorazione (crema con occhio nero e con occhio marrone, oppure grigi con occhio nero e crema con occhio nero, ecc.). La forma bianca senza occhio, rarissima e pressoché assente altrove in Italia, era preferita da alcuni orticoltori, e per il suo aspetto veniva talvolta chiamata risina, ad esempio sul mercato della vicina Perugia. Ma il fortissimo legame che la fagiolina aveva con la cultura locale era indipendente dalla colorazione del seme, ogni famiglia aveva il suo tipo preferito, tanto che a mia conoscenza in Italia non esiste una tale variabilità di una stessa specie, per di più negletta, in un territorio così limitato. Poche altre varietà locali di questa specie sono conosciute in Italia, sopravvissute in maniera spesso puntiforme e con una o poche colorazioni. Al Trasimeno sono invece state censite dall’Università di Perugia e dal Parco Tecnologico una ventina di accessioni con semi di 12 colorazioni diverse, conservate da anziani orticoltori su tutte le sponde del lago. Questo è avvenuto perché era parte importante della cultura rurale, i mezzadri la coltivavano dopo il grano, per avere un doppio raccolto che sfuggiva al padrone, talvolta arrampicata al mais, di cui ha lo stesso ciclo colturale. Della stessa specie fa parte il fagiolo dal metro, che veniva coltivato per i baccelli lunghissimi, di cui sono state trovate al lago un paio di accessioni. Tradizionalmente si mangiavano anche i baccelli freschi, ma questo è un uso che non è stato più riproposto, forse perché conviene produrre seme, più particolare e più facile da commercializzare, però i ristoranti potrebbero riprenderne l’uso, anche perché esiste anche una certa diversità nei baccelli. Ricordo che le accessioni bianche hanno il baccello tutto verde, mentre quelle con semi scuri avevano (oltre al fiore, viola anziché bianco) anche il baccello leggermente macchiato di rosso. L’obiettivo è quello di coltivare le biodiversità presso la Casa dei Semi del Trasimeno e rendere disponibili le varietà a chi ne facesse richiesta».
I semi vengono utilizzati come i fagioli comuni, lessati o per zuppe e grazie alle loro piccole dimensioni, e non è necessario l’ammollo prima della cottura.
In gastronomia la Fagiolina del Trasimeno viene lessata e poi condita con olio EVO oppure, qualche chef in cerca di nuove proposte culinarie, ne accompagna piatti a base di carne o pesce di lago sia come condimento sia come ripieno alle paste. Il modo classico per degustare la Fagiolina prevede, dopo averla lessata in acqua salata per 45 minuti, di servirla come una zuppa insieme a fette bruschettate di pane tipico umbro, con olio EVO e pepe. In alcuni casi si può accompagnare anche con il pesce di lago in umido, come i filetti di persico reale.

Marco Pareti

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