L’amore per un mestiere che si trasforma in arte: questa è la storia di come ragazzo ha salvato il sapere di un tempo. A guidarlo, l’anziana nonna.
Siamo attesi presso il Retificio Mancinelli, a San Feliciano (Magione). A incorniciare il giardino ci sono i cerchi di plastica delle reti più grandi, affastellati da una parte a indicare l’industriosità di quella apparentemente tranquilla villetta di lago.
Andrea Mancinelli e sua nonna ci accolgono nella stanza da lavoro, grande e luminosa, che il sole mattutino taglia obliquamente come un diamante perfetto. Da un lato, le sedie di legno impilate si innalzano faccia a faccia con un appendiabiti particolare, che invece dei vestiti mette in mostra le reti.
Una stanza smarrita tra le pieghe del tempo
Sì, perché è in questa stanza tutta finestre che Andrea e sua nonna cuciono le reti. Il Retificio Mancinelli potrebbe infatti ridursi a questa luminosa scatola, dove il ragazzo impara il mestiere dei vecchi e gli dona nuova vita, coadiuvato da quella che è una vera e propria istituzione da queste parti. Non sembra poi così fuori luogo quel tavolo, pericolosamente simile alla cattedra di una scuola, stretto tra scatoloni ripieni di reti e ricoperto di piombini, galleggianti e aghi.
Una stanza che sembra smarrita nel tempo, con i modellini in cotone delle reti e la foto del defunto patriarca a tenere sotto controllo ogni colpo di ago e gioco di mano, elementi coreografici, sebbene pratici, di un lavoro artigianale che affonda le sue radici nella vita quotidiana dei pescatori del Trasimeno.
A completare la scena, una sorta di sgabello di legno posto sopra un armadietto – che poi scoprirò essere un sostegno per le grosse nasse di nylon – e alcune carrucole che pendono dal soffitto e alle quali Andrea appende subito un tofo.
Mentre i fotografi si scatenano, osservo la perfezione tecnica di tale creazione, con i suoi inganni dal nome emblematico che intrappolano l’ingenuo pesce. Andrea, nel frattempo, ci dà una dimostrazione pratica di come la rete viene attaccata ai cerchi, contando i punti uno per uno: ogni quattro punti si ferma e fa un nodo, lasciando presagire un lavoro piuttosto ripetitivo, ma che chiede in cambio un’estrema attenzione. Quello che lui chiama ago, è in realtà l’achecella, una sorta di pettine a due soli denti che Andrea muove in maniera fluida e sapiente, come se stesse pettinando la chioma dell’amata.
Dal 1955
E pensare che, secondo sua nonna, ha ancora molto da imparare. Cerco di capire se è fiera di suo nipote, di come ha ripreso il mestiere sul quale ha ruotato la sua vita. Invece di rispondermi, inizia a parlare di sé.
È dal lontano 1955 che fa questo lavoro certosino, ma da un anno a questa parte ha dovuto smettere per via della salute che comincia a vacillare. Ha lavorato tanto e con passione, ma ora sente di essersi invecchiata e le si spezza il cuore. La paura per la sua salute, così come l’impossibilità di rassegnarsi all’inevitabilità di una situazione, le incrinano la voce – ma non c’è bisogno che sia io a dirle che è una guerriera e che tutti vorremmo avere una nonna come lei.
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Dalla breve dimostrazione di Andrea capiamo che questo tipo di lavoro è estremamente complicato: richiede precisione e esperienza, così come una soglia d’attenzione estremamente elevata. A dimostrazione di tale tesi, Andrea dispiega un tramaglio stendendolo tra l’appendiabiti e la finestra a est: il nylon, inizialmente di un azzurro chiarissimo, sembra quasi scomparire, sospeso tra il pulviscolo e il sole di tarda mattina. Adesso capisco perché la stanza è così luminosa.
Non deve essere facile, inoltre, ricordarsi gli innumerevoli schemi delle altrettanto innumerevoli tipologie di reti. Spuntano allora degli appunti consunti, conservati nei cassetti della cattedra-scrivania: schemi, numerazioni, aggiornamenti. Tutto quello che serve per costruire una rete perfetta è scritto lì, su fogli contabili e quaderni scollati, un patrimonio dall’aspetto umile che vale più di un raro tesoro.
È il sapere che permette di costruire i complicati tramagli e le similari reti per la caccia alla lepre, o quelle per il mare, per lo sport, per le vetrine, per i ristoranti e per i giochi dei bambini. Quelle reti che generazioni e generazioni di pescatori hanno steso sul lago Trasimeno, il cui verde pastello si staglia discreto in fondo alla strada.
Eleonora Cesaretti
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