Eulalia Torricelli da Forlì aveva tre castelli: uno per mangiare, uno per dormire e uno per amare De Rossi Giosuè. Bei tempi, quando i castelli servivano a dame e cavalieri per divertirsi e godere dei piaceri della vita.
Invece proprio nel centro dell’Umbria i castelli sono stati la linea di frontiera tra due mondi: Longobardi e Romani. Quando da Todi si guarda la collina che si ha di fronte, si nota subito la grande macchia del castello di Grutti, imponente e minaccioso. Poi, osservando meglio, si vede che la salita è costellata da torri di vedetta, da castelli, da borghi fortificati, da resti di monasteri e tracce dell’assistenza ospedaliera ai pellegrini.
Tra il XII e XIII secolo Todi era potente, voleva espandersi e contemporaneamente doveva difendersi, e fu necessario creare una solida barriera protettiva, che è ancora in piedi.
La linea di difesa andava in larghezza da Todi a Marcellano e in lunghezza da Massa Martana a Gualdo Cattaneo. I castelli sono sparsi con abbondanza, come il parmigiano. Sono circa trenta luoghi fortificati. Così tanti in così poco spazio servivano a rendere impenetrabile la linea di confine tra Todi e il resto del mondo.
Montagne di pietre messe lì a difendere contendenti irriducibili, che sono state date alle fiamme e ricostruite, rase al suolo e ricostruite, demolite e lasciate lì e gli abitanti trucidati e le donne violentate. È mancata la no man’s land: non c’erano zone franche, uccidere e godere nell’uccidere erano la regola.
Mentre san Francesco predicava agli uccelli e ammansiva i lupi e un secolo dopo Jacopone da Todi scriveva lo struggente lamento di Maria «figlio, figlio amoroso giglio… figlio bianco e vermiglio» e i pellegrini attraversavano quella zona per scendere a pregare a Roma e a Gerusalemme, lassù sul confine accadeva di tutto e il peggio di tutto.
Le zolle dell’altopiano di San Terenziano sono impregnate del sangue dei combattenti e dei paesani e in più anche del sangue dei primi martiri cristiani. Le strade che salgono da Ponte Rio seguono antichi percorsi fiancheggiati da chiesette di martiri e da imponenti manufatti in posizione dominante e altri nascosti per sorprendere armati e viandanti.
Foreign fighters o, per dirla all’italiana, mercenari, bande armate al soldo di chiunque, Braccio Fortebracci, Cesare Borgia, imperiali, conti, duchi e principi e il papa, ogni essere umano assetato di potere è passato di là per lasciare delle impronte sanguinolente.
Tutti sono stati sotto il dominio di Todi, prima della famiglia Atti e poi dell’arcivescovado, che li ha segnati per sempre apponendo il suo stemma: un’aquila con l’occhio grifagno e le cosce da tacchino.
I castelli dell’altopiano hanno resistito al tempo e ai terremoti, molti sono ancora abitati altri sono restaurati e altri sono stati trasformati in residenze. Scovarli è una caccia al tesoro che regala la scoperta di borghi attraversati da una o al massimo due strade, con pochissime macchine, dove domina il silenzio della natura. Si può trascorrere una giornata alla ricerca di questi castelli piccoli, scoprendo angoli emozionanti di un Medioevo ormai lontano ma ancora visibile.
I castelli nascosti
Uno dei castelli nascosti tra colline e boschetti è quello di Viepri. Si sale fino a Castelvecchio e poi si scende nel vallone del castello. Il borgo ha una sola porta, sovrastata dallo stemma con l’aquila di Todi, e una sola strada. Tutto qua. Eppure quella stradina è una delizia che mostra l’antico e il suo rifacimento. Nel castello c’è una piccola chiesa, dedicata a San Giovanni, inserita nello spessore delle mura. Per visitarla si cerca la signora Cristina che ha le chiavi e che racconta volentieri la vita al borgo qualche anno fa.
Assignano non si fa trovare facilmente. Salendo da Pantalla si trova l’indicazione e si arriva in un luogo così isolato e silenzioso che t’invita a camminare in punta di piedi. Le mura sono un po’ malmesse, a causa dell’azione del tempo e a causa della grande battaglia che nel 1408 ha messo di fronte le truppe perugine e i foreign fighters di Braccio da Montone. Perugia fu sconfitta. Ma non era finita lì. Qualche anno dopo, il nipote di Braccio, Niccolò, assalì il castello e lo devastò. Passando dall’unica porta d’accesso, con tanto di aquila, si entra in un borgo piacevole e ben restaurato.
Cambiando strada e passando da Collesecco, dopo un bel tragitto in mezzo agli olivi, si arriva a Pozzo. Un nome un programma: olio. Sembra che l’attività molitoria di Pozzo si perda nella notte dei tempi e che il pozzo servisse a conservare l’olio. Trovare la porta con l’aquila non è semplicissimo, ma il borgo conserva belle architetture medievali e scorci suggestivi.
CONTINUA…
Ruggero Iorio, Le origini della diocesi di Orvieto e Todi, alla luce delle testimonianze archeologiche (1995)
Emore Paoli, Marcellano indagine su un castello medievale umbro (1986)
Vincenzo Fiocchi Nicolai, Umbria cristiana, dalla diffusione del culto al culto dei santi (2001)
Atti del convegno internazionale e studi sull’alto Medioevo
Paolo Boni, San Terenziano e il suo altopiano
www.isentieridelsilenzio
Maurizio Magnani, Il signore di Collazzone (2010)
Italia – Umbria: Istituto geografico de Agostini (1982)
Alexander Lee, Il Rinascimento cattivo
Renata Covi
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