Nell’ambito di un festival d’eccezione, come quello de Il Viaggialibro di Gubbio dedicato al libro di viaggio, ha preso vita una mostra fotografica che ha fatto del reportage il mezzo privilegiato per l’esplorazione di diverse modalità espressive.
Curata da Officine Creative Italiane, la mostra – dal suggestivo titolo di Corrispondenze – raccoglie diversi contributi e progetti fotografici, storie di popoli dentro e fuori l’Italia. Come a dire che si può fare un viaggio anche restando nella propria città, basta solo guardare con occhi diversi.
I progetti
È il caso del progetto Fasika, di Claudia Ioan e di Massimiliano Tuveri, un frammento di Etiopia impiantato nel cuore della Capitale. A fare da cornice, le celebrazioni della Pasqua copta – la Fasika, nelle tre lingue etiopi – animate da preghiere, letture della Bibbia, canti, tamburi e danze a lume di candela da parte di tutti quei fedeli che ritrovano a Roma, il cuore pulsante del Cristianesimo, un luogo in cui celebrare il proprio culto ortodosso, manifestando un’autentica volontà di integrazione e donando alla Città Eterna la magia delle notti africane.
Corripondenze testimonia anche la volontà di documentare aspetti della piatta quotidianità che spesso passano inosservati, ma che in realtà accomunano tutti gli uomini: tale è la volontà di Leonardo Brogioni e del suo progetto MetroMoebius, testimone del senso di straniamento che assale i viaggiatori della metropolitana. A predisporre verso l’introspezione, l’assenza di luce naturale, la mancanza di un paesaggio oltre il finestrino, la serialità delle fermate e la condivisione spazio-temporale tra sconosciuti.
Con Habana Vieja di Giulio Brega sbarchiamo invece oltreoceano, nel cuore storica de L’Avana, zona dichiarata dall’UNESCO patrimonio dell’Umanità, ma che sta ora cadendo a pezzi. La povertà fa continuamente capolino dalle porte cadenti e dalle finestre senza vetri e diventa simbolo di un paese in ginocchio. In una dimensione sospesa fra passato e presente, si fa il proprio ingresso in spazi immobili, affascinanti sebbene vestiti di un velo di malinconia.
Giuseppe di Piazza, con il suo stile impressionistico e grafico, ci conduce dal canto suo a Singapore, la città del leone, repubblica fondata nel non lontano 1965 da Lee Kuan Yew, politico visionario che riuscì a trasformarla da piccolo villaggio malese a quarto centro finanziario del mondo. Oggi Singapore è una città ultramoderna immersa in un subcontinente in forte evoluzione, ma con forti contraddizioni, prima fra tutte la scarsa libertà dei propri cittadini, soprattutto se comparata a quella concessa alle imprese.
In ultimo, Ghosts from the Past di Karl Mancini, da quattro anni impegnato a risolvere il problema delle mine antiuomo sparse in suolo cambogiano . Dopo la fine della Rivoluzione guidata da Pol Pot, l’uso smodato delle mine non diminuì affatto, anzi, molte altre ne vennero disseminate dai vietnamiti e dal governo cambogiano. Nonostante dal 1997 la Convenzione di Ottawa abbia vietato la produzione, l’immagazzinamento, l’uso e la vendita delle mine antiuomo, ancora oggi, ogni mese, circa venti persone sono vittime di questa piaga, soprattutto a seguito del periodo delle piogge, quando il terreno ammorbidito dall’acqua libera il suo carico di ordigni inesplosi.
Iniziative collaterali
Ad accompagnare la mostra, visitabile fino al 16 luglio, due iniziative dal sapore social: un contest Instagram, dal titolo di Una storia in uno scatto, e un Instameet, per diventare corrispondenti per un giorno. L’intento è chiaro: ogni storia è degna di essere raccontata.
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Orari: 10:00-13:30|14:30-18:00
Eleonora Cesaretti
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