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AboutUmbria continua il percorso intrapreso per la valorizzazione delle eccellenze umbre e lo fa aggiungendo un nuovo tassello all’articolato puzzle che abbiamo iniziato a comporre due anni fa, con l’apertura dello spazio promozionale all’interno dell’Aeroporto di Perugia.

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Da allora, il progetto è cresciuto e ha visto nella giornata dell’11 aprile scorso il raggiungimento di un secondo importante obiettivo, l’uscita di AboutUmbria Magazine, la rivista online che racconta l’Umbria e le sue Eccellenze.
Avevamo in mente però un altro traguardo per dare completezza e concretezza a un progetto ambizioso ma che riteniamo, oggi più che mai, fondamentale per il rilancio della nostra regione, che ha bisogno di essere conosciuta al di fuori dei nostri confini, che necessita di strumenti che siano in grado di raccontarla non solo esaltandone le peculiarità già note e che rappresentano i punti cardine su cui si basa il registro comunicativo comunemente adottato per parlare di Umbria, ma anche sdoganando i luoghi comuni, andando oltre al già detto e al già sentito, presentando realtà e potenzialità molto più vaste e molti altri scenari possibili. Siamo partiti da qui e abbiamo fissato alcuni punti. L’Umbria è verde. Questo è innegabile. Come non esaltarne la bellezza dell’ambiente, la dolcezza delle sue colline, il verde che rimane dentro, che a volte sembra capace di riconciliarci con l’universo? Però è molto di più e molto altro, e forse proprio attraverso il colore, anzi attraverso i colori, potremmo essere in grado di raccontarlo ricorrendo ad associazioni cromatiche inconsuete o, perché no, audaci. Abbiamo quindi pensato di raccontare l’Umbria tramite un colore, analizzarla, studiarla e quindi presentarla attraverso una lente ogni volta di una tinta diversa, perché nessun aspetto resti indietro, perché nessuna anima rimanga inespressa.
Ma come parlare d’Umbria? Su questo non abbiamo avuto dubbi, lasciando che fosse lei a parlare. Quindi grande spazio alle immagini, perché è inutile parlare se non riusciamo a far vedere.
E poi nessun annuncio roboante, niente spot o slogan da merce in vetrina. Solo grande cura nella ricerca, amore per la veridicità delle informazioni, attenzione ai dettagli. Abbiamo cercato di presentare l’anima della regione che è stupenda nella sua concretezza, magnifica nella sua essenzialità. Pensando all’Umbria a noi viene in mente una donna bellissima che non ama però rossetto e fard. Una bellezza senza mistificazioni, la bellezza del tufo e del travertino, della pietra Assisi e dell’arenaria, una bellezza autentica, segnata dal tempo, eppure senza tempo. Per questo non abbiamo aggiunto nessuna patina, ma abbiamo cercato di arrivare all’essenza; con questo intento abbiamo scelto gli argomenti, selezionato le fotografie, pensato al formato della rivista e anche alla carta da usare. Insomma abbiamo cercato di andare dritti al cuore, quel cuore verde che saprà tingersi di molte altre tinte. Di BLUE per esempio.

Per acquistare on line la rivista, vai alla pagina

Assolutamente da vedere. Non solo perché è «la più grande e completa mostra di Hermann Nitsch finora allestita in Italia» come scrive Italo Tomassoni, ma perché Hermann Nitsch O.M.T Orgien Mysterien Theater (Teatro delle Orge e dei Misteri)– Colore dal Rito, allestita al CIAC – Centro Italiano Arte Contemporanea di Foligno a cura di Italo Tomassoni e Giuseppe Morra e ancora visitabile fino al 13 agosto, emoziona davvero.

La mostra raccoglie circa 40 opere, divise in nove diversicicli di lavori, realizzati tra il 1984 e il 2010,  provenienti dal Museo Hermann Nitsch di Napoli, fondato nel 2008 da Giuseppe Morra, dal 1974 storico gallerista e editore dei suoi scritti.

Disgusto

Ci vuole disgustare, offendere, perché l’azionismo viennese, di cui Nitsch è ancora uno dei più importanti esponenti, fin dalla sua formazione negli anni Sessanta ha sempre colpito per le sue performance, caratterizzate da immagini e tematiche ispirate da un diffuso atteggiamento dissacrante, quasi profanatorio, nei confronti dei simboli religiosi, delle funzioni del corpo e delle pratiche sessuali. Possiamo gridare allo scandalo, ma ciò non farà altro che accreditare l’intenzione degli stessi artisti azionisti che si proponevano, come scrive l’artista, di «provocare nello spettatore un’istintiva sensuale eccitazione». Per le sue azioni Nitsch verrà arrestato più volte.

Una delle opere dissacranti dell’artista, in mostra al CIAC di Foligno

Il mago delle favole nordiche

La mostra in realtà è lirica e coinvolgete, allestita come fosse un’unica grande opera aperta; ci fa vedere Nitsch come «un mago delle favole nordiche», scrive ancora Tomassoni, «un orfismo estetico ispirato al mistero della creazione e alle illimitate opportunità visionarie dell’arte».
Gli artisti del Wiener Aktionismus, eredi di quella secessione viennese e di Egon Schiele, vedevano nell’intensità espressiva, nell’introspezione psicologica dell’azione performativa, l’unico modo per comunicare il loro disagio interiore e tutta l’angoscia e la complessità dell’esistenza umana. Ma credo determinante, come negli anni la critica ha sottolineato, è il profondo senso di colpa derivato dall’essere stati coinvolti nella Seconda Guerra Mondiale, che provoca un senso di rifiuto e la necessità di liberarsi con ogni mezzo dal peso di se stessi.
Tra le numerose celebri installazioni presenti in mostra, citiamo 18b.malaktion, 1986, Napoli, Casa Morra. Si tratta di grandi tele dove domina il colore rosso versato o schizzato, composte come una croce, una pittura d’azione che è gesto e drammaticità pura.

18b.malaktion, 1986, Napoli, Casa Morra.

Con gli scarti, i relitti delle sue performance, costruisce installazioni come 130.aktion installazione di relitti, 2010 Museo Nitsch Napoli, grandi teli bianchi e camici macchiati di sangue, barelle servite per trasportare corpi che divengono tavoli o altari, attrezzi chirurgici come bisturi o divaricatori, provette e alambicchi che rimandano al corpo e ai suoi umori, zollette di zucchero e fazzolettini di carta messi in file perfettamente regolari, che suggeriscono sensazioni di freschezza e purezza. Frutta in decomposizione, testimonianza di un evento sacrificale assente, segni rituali e formali di fatti fisici e carnali.

Un’altra delle opere in mostra al CIAC di Foligno

Il castello di Prinzendorf

Al piano inferiore, come in una sorta di cripta, è proiettato il lungo video della azione di Prinzendorf del 1984, ripresentata in teatro negli anni Duemila.
Il castello di Prinzendorf, paese vicino Vienna, acquistato dall’artista nel 1971, diviene sede del suo das Orgien Mysterien Theater, le cui azioni si susseguono a partire dalla domenica di Pentecoste del 1973. Nel luglio del 1984 la sua 80.ma azione dura tre giorni e tre notti intere. La tragicità della sofferenza passiva sulla croce, il simbolico cospargere e imbrattare il Cristo crocifisso, viene effettuato in modo «spiritualizzato», «astratto, ma nonostante ciò in modo non meno reale» come la descrive Nitsch. Ed ancora: «Il mio teatro delle orge e dei misteri concentra l’esperienza intensa, il rituale nel senso della forma, creando un festival dell’esistenza, un’esperienza concentrata, consapevole e sensuale, del nostro esser(ci)».
Oggi continua a portare avanti, intensificandola e caricandola di sempre più forti implicazioni, la sua idea dell’Orgien Mysterien Theater, in vista di un suo    che coinvolga tutti i sensi e ogni azione umana. Nei suoi Statuti evidenzia il senso profondo della sua arte: «L’impegno dell’arte è essere sacerdozio di una nuova concezione esistenziale[…]: liberare l’umanità dai suoi istinti bestiali».

Apertura e orari mostra: Venerdì 16.00-19.00, Sabato e Domenica 10.30-12.30 – 16.00-19.00
Biglietto: € 5,00; ridotto € 3,00. Ingresso gratuito per: ragazzi fino a 14 anni,  scolaresche e portatori di handicap

Per saperne di più su Foligno

Nei suoi quindici anni di vita, il Club de I Borghi più belli d’Italia ha saputo preservare, valorizzare e recuperare tutte quelle realtà che rischiavano di finire tra le pieghe della marginalità geografica e degli interessi economici: vale a dire i borghi, perle architettoniche d’italica bellezza e custodi di memorie legate ad un passato calcato sui cicli della terra e sulla semplicità di una vita frugale.

Se i nostri nonni li avevano abbandonati, attirati com’erano dalle possibilità economiche offerte dalle grandi città, i borghi si pongono ormai come luoghi in cui riscoprire una vita di segno diametralmente opposto rispetto alla frenesia e alla dispersione dei maggiori centri urbani. Non per questo, però, bisogna pensarli come realtà inamovibili: le iniziative organizzate dal Club de I Borghi più Belli d’Italia http://borghipiubelliditalia.it/, a cui ormai fanno seguito anche quelle organizzate da MIBACT, ENIT e ICE, testimoniano una loro indiscutibile dinamicità nel reinventarsi e nel saper venire incontro alle nuove esigenze degli abitanti, della comunità.

È proprio quest’ultima che, riconoscendosi negli stilemi di un luogo, lo caratterizza; al tempo stesso però, è il borgo a conferirle un’identità, che non è più quella di personaggio secondario, discosto dai grandi flussi culturali che animano le città, ma è quella di un vero e proprio leader nella creazione di un nuovo storytelling.

L'organizzazione

Nato dalle costole dell’ANCI, il Club è formato da comparti complementari preposti allo sviluppo di ambiti diversi. C’è la vera e propria Associazione, riconosciuta a livello nazionale, che annovera i migliori 250 borghi turistici italiani più i 21 appartenenti all’UNESCO. C’è poi il Consorzio Ecce Italia, che riunisce le migliori aziende di prodotti tipici agroalimentari e artigianali, situate, naturalmente, nel territorio del borgo; un tour operator – Borghi Italia Tour Networkpromotore di itinerari per la commercializzazione internazionale, e l’azienda Borghi Servizi & Ambiente, tesa a realizzare opere e servizi necessari per migliorare appunto l’ambiente, l’organizzazione dell’ente e le risorse del territorio.
Il Club è ormai un’entità riconosciuta, non solo come res tipica della Penisola, ma anche come componente fondamentale de Les plus beaux villages de la Terre, organismo transnazionale che annovera borghi in Giappone, Russia, Germania, Francia, Belgio, Romania, Corea e Canada.

Declinazioni regionali

Con ventisei borghi certificati sui duecentosettanta nazionali, l’Umbria si conferma però la regione con la più alta percentuale di comuni associati, annoverandone uno su quattro.
Non sorprende, vista la conformazione propria della regione, in cui i borghi si sono posti come centri di produzioni agroalimentari di alta qualità e dell’artigianato artistico specializzato. Essi si stanno inoltre attrezzando per ospitare anche le aziende del settore terziario, qualora esse volessero produrre immerse in un luogo tranquillo e armonico.
Proprio per valorizzare queste caratteristiche uniche, nel febbraio 2016 si è costituita a Spello l’Associazione che porta il nome di I Borghi più belli d’Italia in Umbria, declinazione territoriale del club nazionale. L’obiettivo, come conferma il Presidente Antonio Luna, è quello di farsi Centro di Progettazione Turistica per promuovere la capacità attrattiva e i servizi di accoglienza dei borghi umbri, integrando il comparto agroalimentare, quello dell’innovazione e quello del turismo.
Tutto ciò con il benestare dell’ANCI Umbria, che ne ospita la sede, le Province di Perugia e Terni, che forniscono l’Ufficio Stampa, il TGR Rai 3 dell’Umbria, che ha presentato uno per uno i ventisei borghi associati, l’UNIPLI regionale, partner nell’organizzazione degli eventi storici, e il Dipartimento di Economia dell’Università di Perugia, sottoscrittore di un protocollo d’intesa per la ricerca e lo sviluppo dei borghi stessi.
La parola d’ordine è un acronimo, che non poteva essere altro che UMBRIA: Unicità, Misticismo, Borghi, Relazioni, Identità, Ambiente, proprio a rimarcarne gli elementi identificativi.

Conquiste e obiettivi


All’orizzonte, poi, si stagliano obiettivi dai nomi evocativi: un progetto di economia del paesaggio, uno di economia dei borghi nel terziario avanzato, un’opera di catalogazione delle cento feste identitarie dei borghi umbri e una presenza preminente al Salone del Turismo Rurale, organizzato a Bastia Umbra dal 6 all’8 ottobre 2017.
Certe iniziative vengono da sé, se si pensa ai risultati ottenuti. Dal 2015, sono stati elaborati nuovi pacchetti turistici regionali, commercializzati dal tour operator Borghi Italia Tour Network, tesi a far conoscere l’Umbria mistica di San Francesco, quella romantica di San Valentino, le terre degli Etruschi e la Media e Alta Valle del Tevere. Si tratta di itinerari che si snodano non solo tra i borghi associati, ma anche tra quelli patrimonio dell’UNESCO, tra i siti archeologici e religiosi, così come tra luoghi significativi per la bellezza del paesaggio e per la ricchezza storico-artistica. I medesimi itinerari sono stati poi promossi presso EXPO 2015, attraverso i tredici rappresentanti presenti.
Non sono mancati i convegni, utili per scoprire non solo il lavoro dell’Associazione, ma anche le caratteristiche dei borghi stessi, di volta in volta determinanti nella definizione del paesaggio. Significativa è stata la gestione dell’evento Borghi, viaggio italiano – Giornata dedicata all’Umbria, tenutosi il 10 maggio 2017 alle Terme di Diocleziano, nell’ambito dell’iniziativa promossa da diciotto regioni, capeggiate dall’Emilia Romagna, e dal MIBACT per festeggiare il 2017, riconosciuto dal Ministro Franceschini come «anno dei borghi».
In ultimo, l’associazione ha dato il via all’appuntamento, pronto a rinnovarsi, de La notte romantica dei borghi italiani, un evento di portata nazionale che vede l’Umbria in prima posizione, grazie ai suoi ventitré comuni aderenti. La notte romantica sarà un’occasione per ammirare i borghi ammantati da un’atmosfera unica, animata da eventi culturali e d’intrattenimento.

Sellano appartiene al Club de
I Borghi Più Belli d’Italia

 


Un salto nel passato di quasi due secoli, per scoprire una delle ultime voci bianche della Musica Sacra. Dalle umili origini, alla direzione della Cappella Sistina Vaticana: è il 16 aprile del 1829 quando a Sterpara, nel comune di Sellano, nasce Domenico Mustafà, il cantore evirato distintosi nel tempo per un eccellente virtuosismo vocale, oltre che per essere un geniale compositore.

Non tutti – per fortuna – dimenticano i personaggi del passato e si possono rintracciare omaggi al Verdi della Musica Sacra, come definito da alcuni nel tempo, nei luoghi dove vive e si forma divenendo cantore, direttore e compositore.

Il percorso a ritroso parte dal sapore della sua terra, laddove è cresciuto, attraverso i luoghi di nascita e crescita che lo celebrano. È il caso della Sala Domenico Mustafà, situata nel Castello di Postignano, a Sellano, che dedica al celebre Maestro uno spazio all’interno delle sue mura, luogo che spesso ospita eventi musicali.

L’estro geniale e la caratteristica voce bianca, frutto di un’evirazione, consentono a Mustafà di avviarsi verso una carriera importante. Non si ha certezza in merito alla causa della sua castrazione, ma la più accreditata sembrerebbe essere per volontà di suo padre. Si tratta di una scelta attuata al tempo da molte famiglie povere che, volendo assicurare un futuro migliore ai propri figli, decidono di sottoporli a questa pratica, sperando che li aiuti ad avviarsi alla carriera di cantori.
Da giovanissimo arriva a Roma, ma è necessario attendere il 1848 perché il futuro Maestro sia ammesso come Soprano alla Cappella Sistina, dove tenta – senza ottenere risultati – di attuare delle riforme. Non riuscendoci, decide di ritirarsi dall’incarico nel 1870 e tornare in Umbria per stabilirsi a Montefalco. Tuttavia, le pressioni dei colleghi e dei personaggi del tempo, lo convincono ad accettare la direzione artistica della Società Musicale Romana dal 1874 fino al 1884, ottenendo anche la nomina di Direttore Perpetuo della Sistina nel 1878; ne abbandona però l’incarico nel 1887 per tornare a Montefalco, presso la sua dimora chiamata “Villa Cavolata” e attuale B&B Villa Mustafà, per celebrare i suoi ultimi anni di vita accanto ad una donna.
La città umbra lo omaggia dedicandogli Piazzetta Mustafà.

Piazzetta Domenico Mustafà 

Targa dedicata a Domenico Mustafà nella piazza a lui dedicata

Il Maestro si cimenta molto presto nella composizione sia nello stile organico quanto nel genere a voci sole, molte delle quali esclusivamente composte per la Cappella Sistina. Tra le opere più famose si cita Tu es Petrus, eseguita nel 1867 per celebrare il centenario di San Pietro, nella Basilica Vaticana; un evento mai tentato prima, che suscita invidia, stima ed entusiasmo al tempo.

È indubbia la sua fisicità e il carattere irrompente e nel 1894 Mustafà decide di celebrare il terzo centenario dalla morte di Giovanni Pierluigi da Palestrina con un grande concerto chiedendo ai maestri del tempo le loro composizioni a sole voci e per eseguirlo con sicurezza di intonazione, richiede l’ausilio di un armonium. A questa decisione si oppone il Maestro Giuseppe Verdi, scatenando una lite tra i due, un dissenso che raggiunge la pace solo dopo due anni, quando si incontrano a Montecatini e Verdi ammette l’errore.

Articolo dell’epoca che riporta la notizia della pace fra Domenico Mustafà e Giuseppe verdi

Nel 1877 compone musiche anche per la celebrazione del Patrono San Feliciano, nella Cattedrale di Foligno, dove il successivo anno dirige Musica, solenne a piena orchestra, da lui composta.

Come si può immaginare, il Maestro essendo evirato non ha figli, ma alcuni suoi discendenti ne conservano la storia e le virtù, come la famiglia Postelli. Nell’incontro con il pronipote Massimo si percepisce la passione che si tramanda da padre in figlio e racconta che: «Domenico Mustafà ha due sorelle e un fratello, quest’ultimo ha dei figli, tra cui Ottavio, mio bisnonno che purtroppo nasce quando suo padre è in carcere, per avere rubato delle pecore, e non può essere da lui riconosciuto all’anagrafe. Per non marchiarlo a vita, si decise di cambiare il suo cognome da Mustafà a Postelli. Tuttavia, sembrerebbe che l’origine del cognome Mustafà si debba alla migrazione di fedeli mussulmani dalla Turchia al territorio sellanese. In ragione del loro credo, non essendo consumatori di carne di maiale, sono utilizzati al tempo dalla popolazione locale per la guardia a questi animali».

Monumento funebre in onore di Domenco Mustafà, nel cimitero cittadino di Montefalco

Una lunga vita per Domenico Mustafà che si spegne a Montefalco all’età di ottantatré anni, nel 1912, nella città scelta da lui anni prima, lasciando un patrimonio importante nella storia della Musica Sacra. È seppellito nel Cimitero cittadino, dove gli rende omaggio un monumento marmoreo che lo raffigura insieme ad altri interpreti della Cappella Sistina.

 

 

 


Fonti

Informazioni tratte dall’intervista con il pronipote del Cantore, Massimo Postelli, e dal libro da lui stesso fornito dal titolo: “Mustafà, cantore, direttore, compositore, il Verdi della Musica Sacra. Hanno detto di lui”, a cura di Lanfranco Cesari, Giornalista.

Chissà cosa avrebbe scritto Giorgio Vasari riguardo all’arte del pittore marchigiano Giovan Battista Salvi (1609 – 1685).
La domanda sorge visitando la mostra presso la Galleria Tesori d’Arte, nel medievale complesso di San Pietro a Perugia: Sassoferrato. Dal Louvre a San Pietro. La collezione riunita, ora in corso fino al 1° ottobre 2017.

Un percorso conoscitivo alla scoperta della formazione e dello stile dell’artista, che non tralascia di riportare le aggettivazioni e gli epiteti attribuitigli dalla critica nei secoli.
Chissà se il grande biografo avrebbe lanciato sferzanti giudizi sulla poca inventiva del Salvi, o se lo avrebbe classificato come un buon accademico padrone dell’arte pittorica.
Di certo quest’anno è significativo per la rivalutazione in toto del pittore: il 17 giugno sarà inaugurata un’altra mostra presso il Palazzo degli Scalzi di Sassoferrato, il comune natio dell’artista, dove se ne riscoprirà l’importanza nell’ambito dell’esercizio grafico.
Frutto di una collaborazione tra enti pubblici e collezionisti privati, l’esposizione perugina si avvale di prestiti italiani e internazionali, come sottolinea del resto il titolo, che ossequia il grande museo francese per la concessione temporanea dell’Immacolata Concezione, opera un tempo appartenente al complesso benedettino di Perugia.

Sassoferrato, Sant’Apollonia

Grandi nomi si alternano alle opere del Sassoferrato, e i dipinti si susseguono in costante confronto gli uni con gli altri nel lungo corridoio espositivo. I maestri dei secoli precedenti sono alla base delle soluzioni compositive e tematiche del Salvi, «Sassoferrato non crede alla evoluzione dell’arte» : parole di Vittorio Sgarbi, curatore della mostra insieme a Cristina Galassi.[1]
Il percorso vi guida tra pareti divisorie e deviazioni angolari, tutto avvolto dal rosso intenso, purpureo, dei pannelli: i dipinti sono sotto i riflettori, esaltati da un’atmosfera solenne, austera e celebrativa.
La copia dai modelli noti è per il pittore alla base della propria definizione stilistica.
Reazionario, conservatore, Sassoferrato si identifica nella purezza formale del Perugino, ne assorbe la lezione sviluppando un carattere piano, una pacatezza devozionale. Le figure di santi esposte sono avvolte da un tono di contemplazione e staticità: giovani donne dagli ovali del viso perfetti impersonano sante deferenti, dalle forme morbide, arrotondate, semplici e accademici i tratti, gli sguardi immobili, l’espressività quasi assente.
Ecco Santa Apollonia, presente in due esemplari: in entrambi la santa reca la tenaglia in mano, nella posizione copiata dal precedente cinquecentesco di Timoteo Viti: la martire mostra l’arnese di tortura e il dente estratto con un’espressione muta, quasi a simulare la triste sorte che le è spettata.
In prestito dai Musei Capitolini c’è la meravigliosa Maddalena penitente di Domenico Robusti, figlio di Jacopo Robusti detto Tintoretto.

Tintoretto, Maddalena penitente

Risalente al 1598, la giovane dai riccioli ambrati incanta e brilla di riflessi e bagliori per lo stupendo trattamento della luce, affascinante è il contrasto tra il notturno in lontananza e il raggio celeste che illumina la sensualissima redenta. Nella sua variazione sul soggetto il Sassoferrato riprende la composizione di Domenico Tintoretto, ma si allontana completamente dal tono languido e morbido del maestro veneto, per mantenere incorruttibilmente il suo stile devozionale e apparentemente morbido.

In alto: Sassoferrato, La Speranza con due angeli. Sotto: Sassoferrato, La Fede con due angeli

Nel lungo corridoio rosso tre grandi tele, tutte copie della Deposizione Borghese raffaellesca, si succedono in maniera digradante, da ultima quella del Salvi. La stessa scena si ripete, come in fotografie a diversa distanza, la replica della replica, l’arte che ricorda se stessa.

L’impatto visivo a tinte forti è poi smorzato dai due quadrettini raffiguranti la Speranza e la Fede attorniate da angioletti, dalle forme morbide e i visetti espressivi: l’esercizio di copiatura da Raffaello è completo.
Altro tris in sequenza: le versioni della Madonna del Giglio. Queste e molte altre opere denotano l’accademismo e la compostezza in linea con una rinascenza quattrocentesca.
Sassoferrato sprigiona una dolcezza intima nelle zuccherate vergini, talvolta fermate in una misuratissima estasi, o nella preghiera silenziosa. Tratti aggraziati, distanti, immobili nel tempo e nella contemplazione.
L’apice di tali caratteri si trova nell’estatica rappresentazione dell’Immacolata Concezione del Louvre, che vi aspetta in gloria tra testine di angioletti sorridenti e sospesa in una nuvola a chiudere la mostra.

Sassoferrato, Immacolata Concezione

Il plauso alla Fondazione Agraria e ai curatori è d’obbligo: l’esposizione riscatta il Sassoferrato, coglie in pieno il suo stile, senza tacerne la formazione e i maestri, riunendone parte delle opere in un continuum di confronti esplicativi.
Per chi vuole calarsi in un clima di silenzio e riflessione, alla scoperta dei Tesori d’Arte nella Galleria. Il miglior tributo al pittore sarà proprio quello di raccogliersi nella contemplazione delle sue opere con lo stesso atteggiamento dei suoi personaggi: silenzio, immobilità, formalità.

Orari: 16.00-20.00 | Chiuso il lunedì

Per saperne di più su Perugia

[1] http://www.ilgiornale.it/news/sassoferrato-ovvero-larte-essere-noioso-e-sublime-1379228.html

Titolo: Mario Angeloni. Profilo biografico, documenti, testimonianze

Autore: Renato Traquandi

Editore: Volumnia

Anno di pubblicazione: 2016

152 p., f.to cm. 17 x 24, brossura illustrata

ISBN: 9788889024836

Prezzo: € 12.00

 

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In occasione delle celebrazioni dei 120 dalla nascita e 80 dalla morte di Mario Angeloni, ricorrenza che si è tenuta nel 2016, si è costituito a Perugia un comitato per commemorarne l’anniversario. Il comitato, nato su iniziativa della Società di Mutuo Soccorso tra gli Artisti e gli Operai di Perugia, ha visto l’adesione di numerose istituzioni e associazioni. Oltre alla commemorazione del 24 giugno tenutasi alla Sala dei Notari e al convegno all’Università per Stranieri del 2 dicembre scorso, è stata pubblicata per i tipi della Volumnia questa importante testimonianza curata da Renato Traquandi.

Il libro

Il volume, corredato da testimonianze e documenti, si divide in tre parti: La storia e l’ambiente. Perugia città natale di Mario; L’espatrio e la vita politica in Europa; La guerra civile spagnola. Atto di nascita della resistenza europea. Inoltre include i discorsi tenuti da Mauro Volpi (professore di Diritto pubblico comparato all’Università di Perugia) e da Urbano Barelli (avvocato e vicesindaco di Perugia) in occasione della cerimonia del 24 giugno, una prefazione della di Maria Cristina Laurenti (docente di Storia del pensiero politico contemporaneo all’Università La Sapienza di Roma) e si conclude con la postfazione del politico Valdo Spini.

L'uomo

Il libro ha il pregio di riscoprire e valorizzare la persona di Mario Angeloni, figura di spicco, sicuramente molto nota ma poco conosciuta, soprattutto dalle nuove generazioni.

«Un uomo – ha ricordato Volpi – che ha onorato la sua città non solo con la forza delle sue idee, democratiche, repubblicane, antifasciste e internazionaliste, ma anche con l’esempio concreto giunto fino al sacrificio della propria vita».

Nato e vissuto a Perugia, avvocato e fervente repubblicano, ha partecipato come volontario alla Prima Guerra Mondiale. Si è opposto strenuamente al regime fascista, subendo persecuzioni, aggressioni, l’incarcerazione e infine l’esilio, prima in Francia e poi in Spagna, dove nel 1936 si arruola come volontario a sostegno della Repubblica Spagnola. Ed è in un ospedale di Sarinera in Aragona che il 28 agosto del 1936 muore dopo essere stato colpito durante la battaglia del Monte Pelato.

 

 

  Montone appartiene al Club de I borghi più Belli d’Italia


«Correva l’anno 800 e sulle colline che dividono Città di Castello da Umbertide vivevano i cosiddetti popoli Arienatiche secondo quanto sarebbe stato riferito dallo storico Lucantonio Canizi in un’opera da lui scritta nel 1626, in quell’epoca abitavano nell’Alta Valle del Tevere, divisi in sei castelli.»

Storia

Con queste parole prende l’avvio la storia di Montone in un vecchio articolo;[1] mentre Mario Tabarrini scrive che «il primitivo Montone sarebbe poi stato distrutto dai Goti e solo intorno al 1000 esso fu riedificato»[2]. Di certo il primo documento che cita Montone definendolo castrum con un castaldo – diviso in due borghi e con una pieve già dotata di possedimenti terrieri posti tra le tenute dei marchesi del Colle (poi di Monte S. Maria) e del monastero benedettino di Camporeggiano – risale al 1121.

Andrea Fortebraccio, noto come Braccio da Montone (Perugia, 1 luglio 1368 – L’Aquila, 5 giugno 1424), foto Wikipedia

Nel gennaio dell’anno 1200 i due fratelli, Fortebraccio e Oddone, figli di Leonardo, chiedono a Perugia la cittadinanza, cedendo al comune ogni loro possedimento e venendo annoverati nella nobiltà cittadina con dimora nel rione di Porta S. Angelo. Anche Montone viene assegnato al contado di Porta S. Angelo e i consoli della città, firmando l’atto, scatenano la sollevazione, appoggiata da Città di Castello, della parte capeggiata dalla famiglia degli Olivi, avversa ai Fortebracci. La sconfitta dei tifernati che ne consegue, obbliga i montonesi, come tutti gli altri castelli sottomessi, a portare il palio a Sant’Ercolano. La sottomissione viene ribadita nel 1216 «con promissione di correr sempre et nella guerra et nella pace l’istessa fortuna del popolo perugino».[3]
Da questo momento e per due secoli a seguire Montone resta legata a Perugia, sebbene sempre contesa da Città di Castello, fino a che nel 1250 anch’essa finisce per sottomettersi a Perugia.
Il 1368 è un anno importante per Montone, infatti il 1° luglio nasce (alcuni storici sostengono proprio a Montone, altri invece a Perugia) Andrea Braccio da Montone, il più grande condottiero di ventura umbro. Nel 1392 lo troviamo schierato dalla parte dei nobili perugini in lotta contro i Raspanti, i quali però hanno la meglio e mandano in esilio tutti gli avversari sconfitti; compreso Braccio, che si rifugia a Montone. Da qui nel 1394 tenta di occupare la Fratta (l’odierno Umbertide) per impedire che finisca nelle mani dei Raspanti perugini, ma un agguato lo rende prigioniero. Interviene Biordo Michelotti a liberarlo, che era a capo dei Raspanti perugini, ma pretende che gli venga ceduto Montone, pertanto «l’avventura della Fratta costò a Braccio l’onore e alla famiglia il feudo»[4].
Successivamente Braccio lascia Montone e passa al servizio di Firenze. Alla morte di Biordo Michelotti i fuoriusciti tentano di rientrare a Perugia così Braccio, alleatosi con Bartolomeo degli Oddi detto il Miccia, insieme ad un piccolo drappello di uomini cerca di impossessarsi di Perugia, ma questa per difendersi si sottomette al Duca di Milano. Braccio passa poi al servizio di Alberico da Barbiano che si trovava in guerra con i bolognesi e poi di Ladislao, re di Napoli. Il 28 agosto 1414 l’antipapa Giovanni XXIII concede a Braccio e ai suoi discendenti la signoria perpetua di Montone. Nel 1416 Braccio attacca Perugia e ottiene a Sant’Egidio, dopo una cruenta battaglia, una schiacciante vittoria sui suoi nemici, così il 19 luglio può entrare trionfalmente a Perugia dove viene acclamato signore. Seguono le conquiste di Todi, Terni, Narni e Orvieto e ancora Montefeltro e Urbino.
Braccio Fortebracci muore a causa delle ferite riportate in battaglia a L’Aquila nel 1424. Con la sua scomparsa il Pontefice riprende possesso dei territori conquistati da Braccio e Montone nel 1478 diviene parte integrante dello Stato della Chiesa: le sue mura vengono distrutte così come la dimora della famiglia Fortebracci «che era delle più belle e magnifiche d’Italia»[5]. «Alla morte del grande Braccio […] il paese cessa di essere uno dei principali protagonisti nella storia dell’Italia medioevale e il suo nome ricorre con sempre minore frequenza nelle cronache del tempo»[6]. Ma la storia di Montone continua e dal 1518 al 1640 assistiamo alla presenza nella contea (elevata a marchesato nel 1607) della famiglia tifernate dei Vitelli a cui papa Leone X l’aveva data come compenso per l’aiuto prestato nella conquista del ducato di Urbino. Ultimo marchese è Chiappino Vitelli, alla cui morte Montone passa al governo diretto della Chiesa. Dopo Napoleone si mantiene libero comune e con il regno d’Italia entra a far parte del mandamento di Umbertide.

Chiesa di San Francesco


Foto di Enrico Mezzasoma

L’edificazione della Chiesa di San Francesco viene fatta risalire al primo decennio del Trecento, ma recenti ricerche d’archivio compiute da Maria Rita Silvestrelli hanno prodotto nuovi risultati per la ricostruzione della storia dell’insediamento francescano documentandolo già dal 1268[7]. Essa sorge all’interno delle mura cittadine, sul luogo denominato Castelvecchio, uno dei sei castelli situati all’imbocco della valle del Carpina e del Tevere. «Così, mentre sul colle, detto il Monte, dominavano le magioni dei Fortebracci e degli Olivi simbolo di guerra e di potenza, sull’altro colle, dove esisteva ab antiquo un oratorio dedicato a S. Ubaldo, i Minori Conventuali costruirono la loro chiesa, come simbolo di pace e di carità»[8]. La chiesa, di cui non si conosce l’architetto, presenta la struttura tipica degli edifici religiosi degli Ordini mendicanti: forme semplici e lineari, unica navata con abside poligonale, copertura a capriate.

Interno chiesa San Francesco, foto gentilmente concessa dal comune di Montone

I resti degli affreschi più antichi, databili alla seconda metà del Trecento, fanno ritenere che fin dalla sua costruzione la chiesa sia stata oggetto di un ampio intervento decorativo, tuttavia è nel secolo successivo che la sua decorazione consegue gli esiti più alti, quando divenne la chiesa di famiglia dei Fortebracci che la arricchirono di altari, suppellettili e dipinti. Al pittore di Braccio, al ferrarese Antonio Alberti tra il 1423 e il 1424 si devono le scene della Vita di S. Francesco e del Giudizio universale. Si deve invece al figlio di Braccio, Carlo Fortebracci, l’erezione di altare a metà della parete di sinistra della chiesa come ex voto per la nascita del figlio Bernardino. Il figlio Bernardino, come visibile sull’iscrizione posta nella targa in basso, commissionò al perugino Bartolomeo Caporali un affresco a completamento dell’altare voluto dal padre. Si deve invece a Margherita Malatesta, moglie di Carlo, la commissione del gonfalone a Bartolomeo Caporali. Nei primi anni del Cinquecento la chiesa si arricchisce delle belle porte lignee intagliate di Bencivenni da Mercatello. Durante l’occupazione francese il complesso subì gravi danni e a causa di un incendio andò perduto il ricchissimo archivio della chiesa-convento e con esso la gran parte dei documenti conservati oltre alla mobilia e agli affreschi con i quali era interamente decorata.
Oggi la chiesa è parte integrante del complesso museale, costituito oltre che dalla chiesa di S. Francesco, dalla Pinacoteca comunale e dal Museo etnografico. Tra le opere di maggior pregio conservate nella Pinacoteca vanno menzionati il gruppo ligneo della Deposizione proveniente dall’antica pieve di San Gregorio Magno fuori le mura, la Madonna della Misericordia dipinta da Bartolomeo Caporali, gli alberi genealogici della famiglia Fortebracci e l’Annunciazione della Scuola del Signorelli. Il museo etnografico Il Tamburo parlante nasce allo scopo di raccogliere ed esporre in modo sistematico la collezione di oggetti africani raccolti nei numerosi viaggi dall’antropologo Enrico Castelli.

La Santa Spina


La Santa Spina, foto gentilmente concessa dal Comune di Montone

 

Racchiusa in un prezioso reliquiario d’argento un tempo era conservata nella chiesa di San Francesco, mentre ora si trova nella collegiata di Santa Maria Assunta. Molti testi ne parlano, ma il più dettagliato è senza dubbio la Lettera istorico-genealogica della famiglia Fortebracci da Montone scritta da Giovanni Vincenzo Giobbi Fortebracci, il quale racconta come «vivente il conte Carlo, siccome portava grand’affetto alla sua patria, così non volle mancare di riconoscerla con farle un preziosissimo regalo, mentre l’anno 1473 mandò con molto onore a Montone, una delle spine con le quali fu coronato il Signore N. Giesù Cristo, e la fè collocare nella Chiesa di San Francesco dè Minori Conventuali, dove si conserva anche al presente con somma venerazione e riguardo. Si può pienamente e certamente credere che sia quella, la quale più d’ogni altra penetrasse adentro nel cervello di Cristo del che si vedono chiarissimi argomenti; poiché nell’essere da capo a piedi aspersa del suo preziosissimo Sangue, vi restano due capelli sottilissimi, quali appaiono intrecciati insieme, misti col sangue, e nella sommità della Spina sopravanzano assai; sì come a piedi di quella si vede la radichetta di essi. Ma quello che è sopramodo stupendo e terribile, ogni anno nel Venerdì santo nell’ora della passione, la Spina si rinverde, il Sangue si rinfresca, e dall’una e dall’altro insieme si vedono apparire piccoli fiori aurei bianchi, azurri e verdi con alcuni splendoretti, che appariscono e spariscono; quasi ribollisse quel pretioso sangue, e la Spina non fosse arida da migliaia d’anni, ma colta in questo giorno, e ora, da uno spineto vivo e verdeggiante. Questa meravigliosa Reliquia il conte Carlo l’ebbe, essendo Generale de’ Venetiani, da un arciprete della villa di Tugnano, contado di Verona, e insieme con essa mandò a Montone l’autentica, che conservandosi in pergamena nell’armadio della Sacrestia de’ Minori Conventuali, l’ho più di una volta veduta…»[9]. Angelo Ascani due secoli più tardi attesta che la pergamena «è ora introvabile, anche se questo nulla toglie alla veridicità della traslazione a Montone d’una così preziosa reliquia» e aggiunge «lasciamo stare le fioriture leggendarie circa i prodigi verificatisi al suo arrivo a Montone […] parto della fantasia popolare degna del Seicento o giù di lì»[10]. Egli si rifà poi agli Annali di Montone che riferiscono delle feste in occasione dell’ostensione della reliquia iniziate nel 1597, mentre risale al 1635, come documentato da un manoscritto parrocchiale, la collocazione della Santa Spina in un reliquiario d’argento finemente cesellato e da quell’anno fu stabilito di spostare la festa dal venerdì santo al lunedì di Pasqua[11]. Nell’aprile del 1703 giunge una lettera da Roma indirizzata al Vice-Governatore di Montone: «la festa solita celebratasi costì nel secondo giorno di Pasqua per l’Ostensione della Santissima Spina è cagione di tantissimo concorso. Per evitare dunque i disordini, che potessero nascere, dovrà Ella ordinare al Capitano deputato secondo il solito d’assistere alla Porta con li venticinque huomini, che a tutti quelli che vogliono entrare facci lasciare le armi di ogni sorte». La Rievocazione storica della Donazione della Santa Spina è nata con la Pro Loco Montonese nel 1961. Nei primi anni era legata quasi esclusivamente all’evento religioso dell’ostensione della Santa Spina, con l’arrivo nella piazza del Conte Carlo Fortebracci che portava in dono la reliquia al popolo montonese e che negli anni successivi si è sviluppato arricchendosi nella parte del corteo storico. Anche i tre Rioni di Montone, Porta del Borgo, Porta del Monte e Porta del Verziere iniziano a prendere parte al corteo con i propri stendardi e le coppie di nobili. È invece degli anni Settanta del Novecento l’introduzione del Palio dei Rioni che si assegna con una sfida tra gli arcieri di Montone.

Per maggiori informazioni sulla rievocazione storica si veda qui

Per saperne di più su Montone

 


[1] Una finestra sull’Umbria. Montone, Spoleto, Panetto & Petrelli, 1968, p. 3.

[2] M. TABARRINI, Montone, in M. TABARRINI, L’Umbria si racconta, v. E-O, p. 418.

[3] P. PELLINI, Dell’historia di Perugia, Venezia, Giovanni Giacomo Hertz, 1664, v. 1, p. 238.

[4] A. ASCANI, Montone. La patria di Braccio Fortebracci, Città di Castello, GESP, 1992, p. 56.
[5] P. PELLINI, Dell’historia di Perugia, Venezia, Giovanni Giacomo Hertz, 1664, v. 2, p. 769.
[6] P. PELLINI, Una finestra sull’Umbria. Montone, Spoleto, Panetto & Petrelli, 1968, p. 8.
[7] P. PELLINI, M. R. SILVESTRELLI, Appunti sulla storia e larchitettura della chiesa di San Francesco, in G. SAPORI, Museo comunale di San Francesco a Montone, Perugia, Electa, 1997, p. 23.
[8] A. ASCANI, Montone. La patria di Braccio Fortebracci, Città di Castello, GESP, 1992, p. 250.
[9] G.V. GIOBBI FORTEBRACCI, Lettera istorico-genealogica della famiglia Fortebracci da Montone, Bologna, Giacomo Monti, 1689, pp. 84-85.
[10] A. ASCANI, Montone. La patria di Braccio Fortebracci, Città di Castello, GESP, 1992, p. 263.
[11] Notizia riferita da A. ASCANI, cit., p. 264.

Il termine barbecue ha origini controverse: secondo alcuni deriverebbe dai graticci (i barbacoa) utilizzati dalle tribù dell’America Centrale per cuocere la carne. Infatti pare che quando gli esploratori spagnoli raggiunsero queste terre, scoprirono la particolare tecnica di cottura adottata dagli indigeni che garantiva alla carne una più lunga conservazione.
Altri fanno derivare il termine dal francese, ricordando quando alcuni esploratori, di nazionalità francese appunto, raggiunte anche loro le Americhe, si mangiarono una capra cotta alla griglia de la barbe à la queue, cioè dalla barba alla coda, insomma non lasciandone nemmeno un pezzettino.

eventi 2017 a perugia

Qualunque sia l’origine della parola, non c’è dubbio che la cottura alla griglia sia in grado di rendere i cibi particolarmente gustosi e succulenti, tanto che, pur nella sua semplicità che la rende rudimentale rispetto a una cucina più ricercata, sembra essere una pratica intramontabile che puntualmente torna alla ribalta con l’arrivo della bella stagione.

Una cittadella del gusto


eventi perugia giugno 2017Forse è per questo che l’evento Piacere Barbecue, giunto ormai alla sua sesta edizione, riscuote ogni volta maggiore successo, richiamando gente da ogni dove grazie a una risonanza, ormai, a livello nazionale. Sarà per quell’aria di convivialità e amicizia che si instaura immediatamente intorno a una grigliata, sarà per quel profumo inconfondibile della cottura alla brace che sa di estate e di relax, sarà perché improvvisamente la grande area del percorso verde del capoluogo umbro si trasforma nel nostro giardino di casa, più grande certo, capace di accogliere molti più amici, ma ugualmente accogliente, familiare, per certi versi intimo.
Accedendo infatti all’area verde di Pian di Massiano, ci ritroviamo improvvisamente in una cittadella del gusto, con chioschi pronti a elargire le loro diverse e ghiotte specialità e tavoli accoglienti per assaporare in compagnia le varie pietanze.

Ghiotte novità


Nell’area ristoranti Mi faccia il braciere! firmata dal Grill Master più famoso d’Italia, Gianfranco Lo Cascio, quest’anno ci aspettano cinque nuovi menu, ci dicono, davvero buonissimi.


Per chi volesse invece improvvisarsi Grill Chef, niente di più semplice: nell’area Il braciere è tutto mio! prodotti freschi da cucinare al momento e tanti bracieri a disposizione per i nostalgici del fai da te.
Utile e divertente potremmo dire, con i laboratori Il Massimo in Cucina, a cura del Consorzio di tutela del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale, i corsi di Barbecue della Weber Grill Academy, gli originali e divertenti Cooking e Eating Contest.
Non mancano gli appuntamenti riservati a famiglie con bambini, come la Junior Griller, il Family Contest firmato da Weber, giunto alla sua terza edizione.
Debutto invece per Master Griller, la competizione per adulti che metterà alla prova appassionati di cucina alla griglia sulla preparazione di piatti a base di Chianina IGP.
Parafrasando il simpatico e azzeccato slogan della manifestazione, sembra che questa sesta edizione del festival Piacere Barbecue, sarà davvero un ritorno di fiamma.


Insomma, un evento d’eccellenza per originalità, organizzazione e capacità di attrazione, di cui AboutUmbria Magazine, rivista delle Eccellenze, è media partner per questa edizione 2017.
Appuntamento quindi dal 16 al 25 giugno a Pian di Massiano. Per il programma completo http://www.piacerebarbecue.it/