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Prima del Coronavirus venne la peste. Veniva da est, era arrivata seguendo la via della Seta e giunse in tempo per essere raccontata da Boccaccio nel 1348. Poi si ripresentò nel 1630 per dare a Manzoni l’occasione di scrivere molte belle pagine.

Tra le due pesti letterarie ce ne fu un’altra nel 1527 che non ebbe cantori, ma che fece strage egualmente. Questa arrivò da nord, da quella zona che sarebbe diventata la Germania. Attraversò le Alpi con i lanzichenecchi, mercenari al seguito dell’imperatore Carlo V, che li aveva arruolati ma non sempre li pagava. Erano luterani, erano violenti e carichi d’odio verso i cattolici papisti e soprattutto verso Roma, dove c’era il Papa e, con il Papa, la corruzione della Chiesa. Poi – per inciso – era piena di ricchezze e di opere d’arte di valore. Entrati in città si abbandonarono a violenze e stupri, devastarono case e palazzi, rubarono tutto quello che riuscirono a rubare. Fu una strage.
Alla fiine se ne andarono. Erano entrati il 6 maggio 1527 quando Roma contava circa 100.000 abitanti. Se ne andarono a febbraio 1528 lasciando 30.00 morti. Non era finita lì.

 

strade romane

La via Amerina

L’epidemia passa per l’Umbria

Se ne andarono, ma a Roma lasciarono la peste, che si portò via altre 20.000 persone. Se ne andarono per tornare in Germania seguendo il percorso della via Amerina, che li avrebbe portati fino in Umbria. Loro risalivano e la peste li seguiva. Le persone morivano a migliaia e anche i lanzichenecchi si ammalavano e morivano, ma non abbastanza. Quelli rimasti hanno continuato a infierire e devastare. Le soldataglie germaniche sul loro percorso incontrarono Nepi ed entrarono da Porta Nica marciando sul basolato romano della via Amerina. Ai Nepesini fu riservato lo stesso trattamento che già aveva sperimentato Roma, peste inclusa.
Poi continuarono a risalire, attraversarono il Tevere; alcuni deviarono verso Narni e ne fecero scempio. Altri andarono verso Viterbo, ma poi tutti ripresero il percorso della via Amerina. La strada collegava Amelia, Todi e Perugia e sul suo percorso si affacciavano borghi e castelli di proprietà di due famiglie rivali: gli Atti guelfi, filoimperiali, e i Chiaravalle, ghibellini e sostenitori del papato. Collicello fu il primo. Le mura rimasero in piedi e ancora sfoggiano otto torri. Poi continuarono per Avigliano, che godeva di una posizione strategica a metà strada tra Todi e Amelia. Dopo toccò a Montecastrilli, che era sotto la diretta protezione del Papa. Ultima fu Casalina, di proprietà del monastero di San Pietro a Perugia.

 

Lanzichenecchi, mercenari al seguito dell’imperatore Carlo V

 

I lanzichenecchi infierirono sulla popolazione e portarono via tutto quello che li poteva sfamare e tutto quello che era di valore. Se ne andarono e fu la fame per i sopravvissuti. Poi cominciò la peste, che non si diffuse in maniera drammatica come a Roma. Il merito era dovuto all’involontario distanziamento sociale. Quei piccoli borghi erano lontani l’uno dall’altro, arroccati su colline e dossi che si guardavano a vista, per sicurezza e soprattutto per le rivalità politiche tra le due grandi famiglie. Gli abitanti erano pochi e, dopo il passaggio dei soldati, ne rimasero ancora meno. La peste ne portò via pochi: si può dire che fu più benevola dei lanzichenecchi.
Per i piccoli borghi non era ancora finita. Dopo i lanzichenecchi, dopo la fame e dopo la peste, li attendeva un’altra una terribile prova: la carestia. Se le pietre potessero parlare, quei borghi avrebbero storie terribili da raccontare. Adesso sono ancora lì con i loro castelli e le loro mura, immersi nel silenzio della vecchia via Amerina. Immersi nel verde dell’Umbria.

«La cercan qui, la cercan là. Dove si trovi, nessun lo sa».

Sono i versi famosi della Primula Rossa, l’eroe a doppia personalità come Superman, che ha sottratto tanti nobili al lavoro della ghigliottina durante la Rivoluzione Francese, dando filo da torcere a Robespierre e soci. Anche le strade possono dare filo da torcere se sono molto antiche e un po’ abbandonate.
La nostra Primula Rossa è una via a nord di Roma che ha più di 2.200 anni e che collegava la città di Faleri, capitale dell’antica popolazione laziale dei Falisci, con Amelia, poi Todi e Perugia, per finire a Chiusi. Attraversava la Tuscia andando verso Nord e scendeva a sud senza arrivare a Roma. Ci penseranno i Romani a farla arrivare in città. I Falisci avevano sottovalutato i rissosi vicini emergenti che, nel 214 a.C., uscirono da Roma e li spazzarono via. Del mondo Falisco non resta molto. Quello che i Romani non hanno distrutto è stato modificato nel tempo.

 

Via Amerina

Via Amerina

Che cos’è una strada?

La strada è una striscia di terra che collega due luoghi per motivi sociali e commerciali fin da quando Lucy ha lasciato l’Africa. Le strade sono state costruite anche per far muovere meglio gli eserciti, in particolare quello romano, tanto da creare una rete viaria che attraversava tutto l’impero. Doveva essere impressionante vedere l’esercito romano avanzare, compatto, ordinato, costruendo strade, ponti e trascinandosi dietro le macchine da guerra. Solo la pozione magica di Asterix è stata in grado di fermarlo.
La rete stradale romana è ancora percorribile, un po’ mutata ma non poi tanto, e ce lo confermano le mappe stradali di allora confrontate a quelle di oggi. I percorsi toccano le stesse città e i nomi delle vie consolari non sono cambiati: SS1 Aurelia, SS2 Cassia, SS3 Flaminia, SS7 Appia. Anche la nostra Primula Rossa ha un nome: via Amerina. È l’antico nome di Amelia, che si chiamava Ameria, ed è caduta in disuso un paio di secoli fa, ma adesso sta riemergendo dalle nebbie della storia per la volontà di un gruppo di ciclisti, storici, archeologi e passeggiatori. Ottima strada commerciale per i Falisci, ottima strada per i Romani che andavano a Nord, ottima strada per lo Stato della Chiesa che si collegava a Ravenna.
Qua e là lungo la strada sono sparse delle mansio che, per dirlo con parola moderna, sono Autogrill, posti di ristoro dove si mangiava, dove si trovava biada per i cavalli e, come si vede a Ostia Antica, c’era anche il lavaggio carri. In quei luoghi non mancavano mai le prostitute per sollevare i viandanti dalle fatiche del viaggio.

Luogo di tante lotte

La strada andava dritta fino al Tevere: lì si fermava per riprendere di là del fiume. Niente ponti, ma traghetti. Infatti, all’altezza di Orte, sono stati ritrovati i resti del porto di Seripola che accoglieva viaggiatori e merci. Passato il fiume, la via Amerina proseguiva in quella che oggi è la regione Umbria. Se guardate una carta stradale dell’Umbria, il percorso più evidente è quello della superstrada E45 che percorre tutta la valle del Tevere.
Nei tempi andati, una strada seria mai sarebbe passata a fondo valle. Troppo rischioso. Le strade passavano in alto o a mezza costa o, come in questo caso, sull’altopiano. Nel VII secolo d.C. fu chiaro che la zona era in pericolo e che andava difesa. Castelli fortificati e borghi spuntarono come funghi. Su ogni cocuzzolo è sorto un castello posizionato in modo da avvistare amici e nemici. Tutti si tenevano d’occhio. Alto Medioevo e Rinascimento hanno una storia cupa, violenta e cruenta. Le lotte tra Bizantini e Longobardi, tra Papato e Impero, tra Guelfi e Ghibellini, tra signorotti locali e principi romani sono state di una violenza inaudita e, è il caso di dire, la via Amerina ne ha viste di tutti i colori. Quello che è successo piacerebbe a Quentin Tarantino.
Anche il mite San Francesco, uomo di pace, che parlava agli uccelli e ai lupi e sperava di farsi ascoltare da chi praticava solo guerra e violenza, si è avventurato su questa strada. Le storie sono tante e cominceremo a svelarle piano piano, scoprendo assieme, tratto per tratto, la nostra nuova strada dal nome antico la Via Amerina.