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«La prima volta che ho preso un fucile in mano avevo dieci anni. Dopo il primo sparo ho provato una sensazione bellissima e una grande soddisfazione; ho capito che volevo dedicarmi a questo sport».

Jessica Tosti, 22 anni, sa bene come prendere la mira. Campionessa di Tiro a volo da quando ha 14 anni ed esperta cacciatrice, punta diritta verso i suoi obiettivi e sogna di qualificarsi alle Olimpiadi 2024. «Per ora mi concentro sui Campionati italiani e mi impegno al massimo negli allenamenti». Da quando ha iniziato, ha collezionato medaglie e coppe, sia nella Fossa olimpica che nel Compak Sporting, entrambe discipline del tiro a volo. Giovane, determinata e attaccata alla sua terra.

 

Jessica Tosti

Jessica, qual è il suo legame con l’Umbria?

Per me le radici sono molto importanti ed è fondamentale sentire vicini sia la mia famiglia sia il posto in cui vivo. A Colombella – dove abito – molte persone mi seguono e fanno il tifo per me; questo mi fa molto piacere.

Ho letto che ha iniziato da piccola a imbracciare un fucile: ci racconti la sua prima esperienza.

La prima volta che ho preso un fucile in mano avevo 10 anni: ero talmente piccola che mio padre mi ha aiutato a tenerlo. Dopo il primo sparo ho provato una sensazione bellissima e una grande soddisfazione; quindi quando sono stata in grado di tenere l’arma da sola, ho iniziato seriamente ad allenarmi con un allenatore. Avevo 14 anni. Le prime lezioni erano solo tecniche e teoriche, poi ho partecipato alla mia prima gara a Napoli, dove mi sono portata a casa la prima medaglia d’oro. Da qui è iniziata la mia avventura.

Da dov’è nata questa sua passione per il tiro a volo?

È nata dalla mia famiglia: bisnonno, nonno e papà erano e sono cacciatori. La prima passione è stata quella per la caccia, andando con loro, amando i cani e la natura. In questo modo mi sono avvicinata alle armi, poi ho iniziato ad andare con mio padre al campo di tiro al piattello, ho provato a sparare perché mi incuriosiva e mi è piaciuto da subito. Qui in Italia, quello del tiro a volo, è un ambiente molto maschile e quindi ho preso questo sport come una bella sfida.

Diana Bacosi, Fiammetta Rossi e te: tutte donne umbre vincenti che praticano questo sport. C’è un’ottima dinastia femminile?

In Umbria siamo poche donne, ma vincenti. Tutte abbiamo ottenuto dei risultati, ma questo non è certo un caso: qui ci sono i migliori impianti dove ci si può allenare e i migliori allenatori come Daniele Lucidi, che è allenatore della nazionale B e della nazionale universitaria. Si è molto avvantaggiati nel praticare in Umbria questo sport.

È uno sport che dà soddisfazione?

Le donne che lo praticano a certi livelli, ottengono sempre dei risultati. Ammiro molto, ad esempio, Diana Bacosi, perché riesce a essere un’atleta e una madre e ha partecipato a delle gare quando era incinta, nonostante le critiche ricevute.

La sua prima vittoria quando è avvenuta?

La prima è stata a Napoli al Gran Premio FITAV, avevo 14 anni. Dopo questo risultato sono sempre salita sul podio, prima nella categoria esordienti e poi negli allievi, nella disciplina della Fossa olimpica. Poi ho cambiato disciplina e sono passata al Compak Sporting che è molto più divertente e dove ho avuto per sei anni tante soddisfazioni, gareggiando agli Europei e ai Mondiali. Però da due anni sono tornata a praticare la Fossa olimpica: in questo mondo posso provare a partecipare alle Olimpiadi.

L’obiettivo è l’Olimpiade di Tokyo?

A Tokyo non riuscirò ad andare, ma spero di qualificarmi per quelle del 2024.

Ha un mantra, un rito scaramantico per quando disputa una gara?

Non sono scaramantica, ma ho dei gesti che faccio sempre e mi servono per richiamare la concentrazione. Prima di un piattello mi sistemo il cappello e gli occhiali, per me è fondamentale, serve a concentrarmi. La concentrazione in questo sport è importante e per ottenerla occorre crearsi una campana di vetro in cui non deve penetrare nulla, occorre solo pensare al piattello. Questo ti porta a vincere, ma per arrivare a questo totale isolamento serve un percorso di training autogeno e psicologico molto importante.

Dove tiene i trofei che ha vinto?

Tutti in camera. È importante che stiano in bella vista, perché nello sport ci sono sempre alti e bassi, e quando le cose non vanno, è bene ricordare quello che si è fatto e gli obiettivi raggiunti.

 

Ho letto che per allenarsi rinuncia a feste e uscite serali: le è mai pesato? Ha mai pensato: «Ma chi me lo fa fare? Mollo tutto»?

Ho iniziato, come detto, da ragazzina a praticare questo spot e ho rinunciato spesso a feste e divertimento: tutti gli amici andavano in giro e io mi allenavo e nei weekend avevo le gare e – lo  ammetto – qualche volta ho pensato «Ma chi me lo fa fare?». Però crescendo ho capito che per me era più importante continuare ad allenarmi che andare a una festa. Quando mi devo preparare per una gara evito di fare tardi e di mangiar male.

Lei è ancora molto giovane, ma cosa direbbe a un ragazzo che vuole iniziare a praticare il tiro a volo?

La prima cosa che voglio dire, è che uno sport che consiglierei a tutti: sia a chi è agitato, in questo modo può calmarsi, sia a chi è più calmo così da poter tirar fuori la grinta che ha dentro. È uno sport sano e particolare che aiuta molto a conoscersi. Le armi hanno solo uno scopo positivo e sportivo e saperle usare correttamente evita situazioni pericolose.

Non spari solo ai piattelli, ma vai anche a caccia: in questi ultimi anni in cui l’essere ecologisti è un sentimento diffuso, come spieghi questa tua passione?

Non ho mai dato giustificazioni per la mia passione, perché non ho nulla da giustificare. Prima cosa, c’è molta differenza tra la caccia e il bracconaggio e quella che pratico io è una caccia di contenimento. Proprio i cacciatori come me sono i migliori ecologisti: noi stiamo a contatto con la natura, controlliamo le specie, facciamo il contenimento delle specie nocive e mi capita spesso di ripulire il territorio dai rifiuti lasciati da altri. La mia è una caccia che tutela la natura; per me è una grande passione e un’arte antica che cercherò anche in futuro di mantenere, impegnandomi sia a livello sociale sia politico.

I suoi obiettivi futuri?

A settembre ho il Campionato Italiano, poi il prossimo anno proverò con la Coppa del Mondo.

Come descriverebbe l’Umbria in tre parole?

Offre tanto sia dal punto di vista sportivo che ambientale, cibo, casa.

La prima cosa che le viene in mente pensando a questa regione…

Essendo al centro dell’Italia è il punto d’incontro di tutte le culture italiane.

«L’emozione di vincere un’Olimpiade può essere superata solo dalla maternità»

Diana Bacosi ha iniziato a vincere medaglie nello skeet (specialità del tiro a volo) nel 2004 con il primo argento agli Europei e da lì non si è più fermata. Un successo dopo l’altro, fino ad arrivare alla medaglia d’oro alle Olimpiadi di Rio de Janeiro nel 2016. Diana Bacosi è una donna, una mamma e una campionessa olimpica, che ha imbracciato il fucile per la prima volta quando aveva quattordici anni. «Ora mi aspetta Tokyo 2020. Dopotutto questo è uno sport che non ha grandi limiti d’età».

medaglia d'oro

Diana Bacosi

Diana, qual è il suo legame con l’Umbria?

Sono nata in Umbria a Città della Pieve e ho sempre vissuto a Cetona in Toscana, al confine tra le due regioni. Ora sono dieci anni che vivo a Roma, ma mi alleno in Umbria e spesso ci torno per rilassarmi.

È cresciuta in provincia di Siena, si sente più umbra o toscana?

Quando mi fanno questa domanda rispondo sempre: mi sento italiana.

Ho letto che ha preso in mano il primo fucile a quattordici anni: cosa spinge una ragazzina a iniziare questo sport?

Papà andava spesso al campo da tiro e io per stare con lui lo seguivo. Le prime volte stavo seduta da una parte e segnavo i punti, poi un giorno mi ha detto: «Diana vuoi provare?» E da quel momento non ho più smesso di sparare. Mi è subito piaciuto ed è diventata la mia passione.

Crede che avrà degli eredi umbri?

C’è un ragazzo di Spello, Emanuele Fuso, che sta emergendo e nei prossimi mesi vedremo dove potrà arrivare.

È stato più emozionate vincere la sua prima gara in assoluto o la medaglia olimpica?

Il vincere una medaglia olimpica è un’emozione unica a mondo. Anche perché ci arrivi dopo una lunga preparazione.

Più emozionate che diventare mamma?

No, quello è sopra tutto e tutti. Ma l’oro viene subito dopo.

Come ci si prepara per affrontare un’Olimpiade?

È un percorso che dura oltre un anno. Passo dopo passo, gara dopo gara si arriva all’Olimpiade. C’è una preparazione fisica e mentale con esercizi di respirazione, controlli cardiaci e tecniche per controllare l’ansia che può presentarsi durante la gara. Poi c’è una pianificazione delle gare per l’intera stagione che precede l’Olimpiade: se ne fanno poche, sempre con la stessa arma e le stesse cartucce. Insomma, tutto è finalizzato a preparare la gara olimpica. Ad esempio, per prepararmi a Rio de Janeiro, nel mio campo di allenamento ho ricreato gli stessi colori che avrei trovato lì: il colore della pista, di ciò che ci sarebbe stato intorno. In questo modo ho abituato gli occhi a quei colori.

Cercate di prevedere tutto, ma i fattori atmosferici sono imprevedibili. Come li affrontate?

Quelli non si possono prevedere, ma cerchiamo di essere preparati, allenandoci anche in pessime condizioni e sperimentando tutti i fattori climatici. Io ad esempio, preferisco una bufera di vento alla pioggia. Una mia compagna invece adora sparare con la pioggia.

C’è una situazione ideale?

Sì, non troppo sole, il cielo azzurro e uno sfondo pulito senza rilievi – montagne o colline – di nessun genere.

Una piccola curiosità: dove la tieni la medaglia?

In una cassetta di sicurezza in banca.

Come descriverebbe l’Umbria in tre parole?

Serenità, bellezza e ospitalità. La gente umbra mi è sempre stata tanto vicina.

La prima cosa che le viene in mente pensando a questa regione…

I boschi e il verde.