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Si è parlato spesso di «leggenda del filo d’oro», tanto è avventurosa e sconcertante la storia della seta, materia di lusso, simbolo di bellezza e di potere, che unisce e, al tempo stesso divide Asia ed Europa, fattore primario di commercio, ma anche di scambi culturali.

La sericoltura: dalle origini al tardo Medioevo

«…Verso quel tempo alcuni monaci vennero dall’India, i quali avendo saputo che Giustiniano imperatore aveva a cuore di fare che i Romani non avessero più a comprare seta dai Persiani, presentatisi all’imperatore gli promisero che circa la seta farebbero in modo che i Romani non avrebbero più a procurarsi questa merce dai loro nemici Persiani né da altra nazione, poiché avendo essi passato lungo tempo nel paese chiamato Serinda aldilà di assai genti indiane, ivi aveano ben appreso con quale mezzo sarebbe possibile che la seta si producesse sul suolo romano. All’imperatore che insistentemente li interrogava e chiedeva loro se davvero così fosse, risposero i monaci che la seta è prodotta da certi bachi ai quali la natura è maestra e li obbliga costantemente a tal lavoro: che saria bensì impossibile trasportar costà viventi quei bachi, ma facile e spedito trasportare la loro semenza; da ciascun seme nascere uova innumerevoli; le quali uova molto tempo dopo la loro nascita gli uomini ricoprono di stabbio e così riscaldate per tempo bastevole producono animali. Coloro recatisi nuovamente in Serinda portaron poi le uova a Bisanzio e fattele, nel modo che abbiam detto, tramutare in bachi, questi nutrirono con foglie di gelso, e quindi per opera loro cominciò nell’impero romano la produzione della seta…». Procopio di Cesarea. La guerra gotica, lib IV.

Sulla base di questo testo di Procopio di Cesarea è sorta la certezza che l’allevamento del baco da seta domestico (Bombyx mori, quello che si ciba esclusivamente della foglia del gelso) sia stato introdotto a Bisanzio all’epoca di Giustiniano, intorno al 552 e che esso probabilmente vi sia giunto dalla Cina.

La ricerca archeologica ha documentato come l’allevamento domestico del Bombyx mori e l’utilizzo dei suoi bozzoli con la trattura, per poi farne filati e tessuti, fosse praticato in Cina almeno millecinquecento anni prima della nostra era. Nonostante la gelosa custodia da parte dei cinesi dei segreti dell’allevamento del baco e della seta ottenuta per trattura, le pratiche si diffusero gradualmente verso Occidente, specie lungo quella via terrestre che il geografo tedesco F. von Richthofen chiamerà nell’Ottocento con il nome pretenzioso di Via della Seta. Fonti iconografiche e archeologiche paiono infatti confermare il racconto della principessa cinese che andò sposa al re di Khotan (grande oasi nella regione desertica del Takla Makan) intorno al 450 d. C., con sacchettini di uova di baco nascosti trai capelli. Diviene così molto più plausibile l’introduzione nel bacino del Mediterraneo, dopo il VI secolo, di altre razze di Bombyx mori, poiché probabilmente esse erano già presenti in Paesi relativamente più vicini come la Persia e l’India.

Tutti gli storici dell’industria serica italiana del tardo Medioevo attribuiscono l’avvio di quest’arte alla città di Lucca, che si afferma come la maggior produttrice europea di tessuti di seta pregiata. Molteplici le cause di questa fioritura: l’abilità creativa dei suoi artigiani, le loro capacità imprenditoriali, la presenza, nella città, di abili filatori e tessitori ebrei, fuggiti dalla Sicilia al momento della conquista angioina e, da ultimo, la sua ubicazione, che la rende meta costante di pellegrini che dall’Europa raggiungono Roma. Quando però nel 1314 la città è conquistata dalla fazione ghibellina, si assiste ad un vero e proprio esodo dei setaioli ebrei, che diffondono le loro conoscenze e le loro tecniche di produzione (mulini per la filatura e la torcitura) in altre città italiane, come Bologna, Venezia e Firenze, dove fin dal XIII secolo era già nota l’arte della seta.

 

Il ciclo produttivo della seta secondo le antiche tecniche medievali

Nell’ambito della manifestazione del Mercato delle Gaite, la Gaita Santa Maria si è sempre distinta nella rappresentazione delle fasi di lavorazioni dei filati poveri pover o cascami pesanti, ricreando strumenti e utilizzando tecniche riproduttive d’epoca, nel rispetto della tradizione umbra, dal Medioevo all’età contemporanea. Sin dall’inizio, la Gaita si è dedicata alla riproduzione delle fasi di lavorazione dell’arte della seta, dall’allevamento del baco alla trattura del suo prezioso filo, nella consapevolezza dell’importanza che tale arte assunse nell’Italia del Medioevo, che, dal XII secolo divenne la principale regione dell’industria serica in Europa.

Il ciclo di produzione della seta si compone essenzialmente di cinque fasi: gelsobachicoltura, trattura, torcitura, tintura e tessitura. La seta è il filamento del bozzolo di molte specie di farfalle, la più importante delle quali è la Bombyx mori, il cui bruco o baco da seta si alleva sulle foglie di gelso bianco, Morus alba. La meravigliosa storia della seta, dal baco al suo prezioso filo, dura circa un mese. Una costante cura deve essere riservata alle uova che, per schiudersi, hanno bisogno di una temperatura di circa 22-24 gradi. In tempi remoti erano le donne a farle schiudere con il calore del loro seno. I piccoli bachi, appena nati, sono alimentati con foglie di gelso finemente triturate. L’accrescimento è rapido, dopo qualche giorno essi cadono in letargo, che dura ventiquattro ore circa, mutando la pelle, gli intestini e la trachea. Allorché si risvegliano (inizio della seconda età), vengono trasportati su graticci ben areati e alimentati con foglie di gelso. Il baco si ciba infatti unicamente di foglia fresca di gelso, che consuma in grandissima quantità aumentando, nell’arco di un mese, di decine di volte la sua lunghezza. In questo periodo il baco subisce cinque mute e solo quando cessa di nutrirsi, perché è giunto al termine del suo ciclo vitale, viene posto in un bosco di ramaglie, dove trova il punto più adatto per costruire in tre giorni la sua ultima dimora, il bozzolo, nel quale si racchiude. Trascorsi cinque – sei giorni, da quando gli ultimi bachi sono saliti al bosco, si esegue la sbozzolatura e cioè la raccolta dei bozzoli. I bozzoli raccolti sono posti a essiccare al sole per ottenere la morte della crisalide ed evitare, quindi, che la crisalide diventi farfalla, la quale, fuoriuscendo dal bozzolo, lo buca e ne spezza il filo. Dopo essere stati selezionati e privati della spelaia, i bozzoli destinati alla trattura vengono quindi immersi in acqua molto calda, affinché la sostanza gommosa (sericina), che tiene saldati tra loro i filamenti, si ammorbidisca. Le donne con una apposita scopetta liberano allora il capofilo e dipanano il bozzolo, essendo costituito da un filamento unico che, nelle razze selezionate può raggiungere anche i duemila metri di lunghezza. In questa operazione le filatrici possono unire insieme da un minimo di dieci filamenti (bave) a un massimo di trentacinque, provenienti da altrettanti bozzoli, al fine di ottenere un filo resistente, che va ad avvolgersi su di un aspo rotante. Dal numero delle bave unite al momento della trattura deriva lo spessore del filo espresso in denari o titoli. Il filo che si avvolge sull’aspo, anche se formato da filamenti di più bozzoli, appare come un filo unico, perché la sericina che ricopre la bavella di seta diventa gelatinosa in acqua calda e incolla, una volta asciugati e raffreddati, i vari filamenti, dando origine a quel filo unico che si vede dopo la trattura. La diversità dei filati è già decisa in sede di trattura: la galletta migliore diventa filo, successivamente torto per ottenere l’ordito dei tessuti, mentre quella di qualità inferiore diventa filo per trama. Le matasse di seta greggia tolte dall’aspo vengono quindi sottoposte all’incannatura: il filo passa dalla matassa al rocchetto per essere trasferito al torcitoio, al fine di ottenere una maggiore resistenza accanto ad altre caratteristiche qualitative. Il torcitoio è infatti lo strumento che ha lo scopo di attorcigliare su sé stessi centinaia di fili; esso pur avendo un concetto funzionale molto semplice, risulta assai complesso per la sua struttura fortemente ripetitiva. Le matasse di filo di seta ritorto sono così pronte per essere lavate e tinte. Esse vengono dunque collocate in sacchetti a trama larga e fatte bollire in acqua saponata per eliminare la gomma naturale, vengono poi sciacquate in acqua pura e messe ad asciugare. quelle di colore perlaceo vengono successivamente sbiancate con vapori di zolfo e quindi sottoposte ai cosiddetti «bagni di colore». Si giunge così all’operazione conclusiva della tessitura, che consiste nell’intrecciare i fili che costituiscono l’ordito con un’altra serie di fili orizzontali, chiamata trama. Qualsiasi dispositivo in grado di tenere teso l’ordito durante la tessitura, si chiama telaio. La sua invenzione nelle forme più semplici, risale almeno a quattromila anni fa, anche se in Europa, come strumento perfetto a struttura orizzontale, appare solo nel XIII secolo. Nel telaio, l’ordito è avvolto su di un rullo, il subbio di ordito, ciascun filo che lo costituisce viene fatto passare nelle maglie dei licci in modo ordinato, con una sequenza preparata in precedenza, a seconda del disegno da ottenere. Alzando i licci, alcuni fili si alzano mentre altri si abbassano e nello spazio che ne risulta viene fatta passare la navetta con la spoletta di trama all’interno. Il filo che essa lascia, durante il tragitto, viene compattato dal pettine. Pazientemente, filo dopo filo, il tessuto cresce. Con la tessitura si esaurisce il ciclo di produzione della seta.

Organizzazione produttiva della manodopera serica nel Medioevo

Circa il sistema organizzativo delle città italiane del XIII- XIV secolo, esperte nella manifattura di filati di seta, si può già evidenziare la presenza di quello che, in epoca moderna, è definito un distretto industriale e cioè un sistema economico-sociale caratterizzato dalla presenza di imprese medie, piccole, o piccolissime, impegnate in diversi stadi e in modi diversi nella produzione di un prodotto omogeneo, grazie ad una cooperazione verticale e orizzontale. Quest’ultima si sviluppa con l’organizzazione dell’opificio decentrato e si concretizza con la nascita di tutta una serie di attività che sono d’ausilio alla produzione stessa: attività mercantili, bancarie, di trasporto, di produzione degli strumenti di lavoro, di scelte relative alla tipologia del prodotto, in base alle quali si definiscono anche rapporti professionali con i rappresentanti di altri arti come quella dell’oreficeria per la manifattura di tessuti preziosi, auroserici. L’organizzazione produttiva, secondo il modello dell’opificio decentrato, che nel XIV secolo, da Lucca si diffonde nell’Italia centro-settentrionale, vede dunque il ruolo determinante del mercante-imprenditore o setaiolo, che collega e coordina l’attività dei numerosi artigiani che spesso svolgono le varie fasi di lavorazione nelle proprie botteghe o abitazioni, con i propri strumenti di lavoro, oppure, come njel caso del filatore prestano opera nella bottega del seaterius. Grazie al setaiolo le varie tappe del processo produttivo della lavorazione della seta acquistano omogeneità e indipendenza organizzativa; spetta infatti al mercante-imprenditore l’acquisto della materia prima, bozzolo o seta greggia, che poi egli distribuisce ai singoli produttori, secondo il susseguirsi del processo di lavorazione: filatura, incannatura, torcitura, tintura, orditura e tessitura. La maggior parte delle corporazioni o arti della seta, presenti nelle varie città della penisola, raggruppano sia i mercanti, sia i singoli gruppi specialistici e talora gli stessi fabbricanti di strumenti, insieme ai tecnici della lavorazione di filati d’oro. Il modello organizzativo rimane omogeneo, fin dal ‘300, a Lucca come a Bologna, Firenze e Perugia, come pure rimane costante il conflitto fra i setaioli (mercanti-imprenditori) e gli altri gruppi di mestiere. Un’organizzazione manifatturiera dunque solida e ben strutturata, in cui il fattore economico assume un’importanza preponderante e regole inderogabili fissano lo svolgimento della produzione in tutte le sue fasi.

 

DALMATICA DEL PARATO DI BENEDETTO XI. PERUGIA, CHIESA DI SAN DOMENICO. Tessuto principale: manifattura dell’Iran ilkhanide o dell’Asia centrale, seconda metà del XIII secolo.

CALZARE IN DIASPRO DEL PARATO DI BENEDETTO XI. PERUGIA, CHIESA DI SAN DOMENICO. Manifattura lucchese, fine del XIII inizio del XIV secolo.

L’arte della torcitura ha attraversato secoli e continenti. Oggi è visibile durante il Mercato delle Gaite di Bevagna.

Perché torcere la seta?

In natura esistono migliaia di filamenti vegetali e animali più o meno lunghi e resistenti. In genere, i filamenti di origine naturale hanno una lunghezza inferiore al metro: da qui la necessità di costruire un filo continuo partendo da elementi più corti. La filatura, intesa come creazione del filo, nasce dall’unione per torcitura delle fibre. La tessitura, con tutte le fasi di preparatorie dei filati che essa richiede, era già una tecnologia consolidata quando in Oriente si scoprì che esistevano fili naturali di centinaia di metri. Erano i fili di seta dei bozzoli di alcuni insetti. Tra gli insetti vi sono centinaia di specie serigene, tuttavia una in particolare fu oggetto di interesse, per diverse ragioni: facile dipanabilità del filo, filo molto lungo e sottile, possibilità di allevamento domestico. La pratica allevatoria del Bombyx mori, del baco da seta, continua da oltre quattromila anni. Dall’Oriente, molto lentamente, essa arrivò in Europa assieme alla tecnica della trattura, cioè all’arte di togliere la bava dei bozzoli per farne un filo utilizzabile. Durante la trattura, la sericina viene sciolta immergendo i bozzoli in acqua calda; individuati poi i capofilo con una spazzola, se ne fa un mazzetto proveniente da più bozzoli (la rosa di trattura) e si inizia a tirare (da cui trattura), avendo cura di tener ben unito il mazzetto delle bave e di mantenere l’acqua calda. Il filo così ottenuto, reso compatto dal reindurimento della sericina, viene avvolto su di un aspo, dove va a formare le matasse di seta greggia.
Per millenni la seta greggia ottenuta dalla filatura è passata direttamente al telaio per essere tessuta. Se si analizzano i rari frammenti di tessuti antichi, ritrovati per lo più in tombe cinesi, oppure di provenienza sassanide e bizantina, si osserva come i fili di ordito e di trama siano in genere privi di torsione o ne abbiano una debolissima (pochi giri per metro).
Tuttavia, dal X secolo d.C. in poi, compaiono tessuti con fili decisamente torti, decine o centinaia di spire per metro. L’esigenza di produrre tessuti sempre più fini e con disegni sempre più complessi, uniti alla necessità della tintura in filo, fu quasi sicuramente la causa determinante dell’introduzione della torcitura della seta. Ove e come ciò avvenne per la prima volta non è noto. Da semplice esigenza operativa, la torcitura divenne col tempo un settore molto importante nel processo di lavorazione, con imponenti edifici, macchinari, maestranze, normative e capitali dedicati allo scopo.

Torcitoio circolare da seta

La torcitura antica e il torcitoio tondo a energia umana

La produzione di seta torta a mano era lenta e dispendiosa; il filo torto dava luogo a evidenti irregolarità della pezza finita, attribuibili alla disuniforme distribuzione della torsione lungo il filo. La ruota a filare semplice permise di risolvere in parte i limiti produttivi dei filati per tessitura. Di probabile provenienza orientale, essa compare in Europa dopo il 1000; la prima raffigurazione è visibile in una delle vetrate della cattedrale di Chartres e risale al 1150 circa. Nel corso del XIII secolo compare in quel di Lucca anche il torcitoio tondo, mosso dall’uomo. La loro origine finora è ignota, forse arrivavano dal Medio Oriente, all’epoca delle prime quattro crociate, dal 1098 al 1204.
Hanno forma cilindrica e torcono contemporaneamente la seta di circa 80 rocchetti completandoli in 6-10 ore con soli due addetti. Se si pensa che a mano una persona torce un rocchetto in 30-40 ore, si ha un salto quantitativo di produzione di circa 300 volte, con una qualità di filato migliore e a un costo inferiore. La fonte di energia erano le braccia dell’uomo. Una persona allenata poteva muovere fino a 150 rocchetti per 8-10 ore con qualche sosta. A causa di guerre civili in Lucca, già nel Trecento la conoscenza del torcitoio si diffonde a Firenze, Bologna, Venezia, nel sud della Francia. Nella seconda metà del Quattrocento il giovane Leonardo da Vinci, a Firenze dove era a bottega del Verrocchio, conosce il torcitoio circolare da seta ormai consolidato da più di due secoli di attività. Ne rimane affascinato, lo studia nei dettagli, vi scrive sopra persino degli indovinelli e lo migliora: inventa il distributore automatico del filo; inventa le rocchelle per avvolgere la seta lavorata e le bacchette per inserirle, in sostituzione dei più ingombranti aspi; inventa un nuovo tipo di movimentazione dei fusi, allo scopo utilizza una ruota suddivisa in settori (strofinacci) per migliorare l’aderenza. Tutte invenzioni che accrescono di molto la qualità dei filati di seta e la produttività della macchina.
A partire dal Trecento, inoltre, esigenze produttive avevano obbligato a ricorrere all’energia idraulica per muovere i torcitoi da seta, diventati ormai grandi macchinari alti 5-6 metri. I nuovi dispositivi leonardiani che li migliorano si diffondono presto. La città di Bologna, con centinaia di torcitoi impiantati, ne è il centro più imponente fino al XVII secolo. Ma la stessa macchina è ormai diffusa in Italia, Francia, Spagna, Olanda Belgio, Austria, Ungheria.

 

Il torcitoio circolare da seta a energia umana e la sua storia nel Mercato delle Gaite

Il torcitoio da seta è la prima macchina operativa complessa che l’uomo abbia mai ricostruito: è tale perché è densa e ripetitiva. Ha circa due metri di diametro ed è alta poco di più. I suoi elementi operativi sono ripetuti parecchie decine di volte, consentendo di torcere in modo regolare 80-150 fili contemporaneamente. Un uomo-motore collocato all’interno la muove, mentre un operatore all’esterno provvede alle varie esigenze della torcitura. Si tratta di una delle macchine più interessanti del Medioevo, certamente quella più produttiva. Un torcitoio da 100 fusi richiede due operai contro i cento di prima, e il tempo per torcere un rocchetto è cento volte minore di quello che si impiegherebbe per torcere a mano. Complessivamente, quindi, l’invenzione accorcia di 10.000 volte il tempo di torcitura per una produzione media artigianale. Raramente nella storia della tecnica ci si imbatte in simili risultati. Questa invenzione svolge in un giorno il lavoro prima compiuto da due-tre mila persone: si può sicuramente affermare che la civiltà industriale nasce con i torcitoi da seta.
La prima documentazione iconografica che si conosca si trova negli Statuti dell’Arte della Seta di Firenze del 1487, copia di un manoscritto del secolo precedente e conservato alla Biblioteca Laurenziana di Firenze. Nel disegno appare un ordine di fusi, disposti lungo una circonferenza (valico), raggruppati tre a tre, per un totale di 24 fusi e 8 aspi per valico. Una descrizione degli elementi costitutivi la si trova nell’Archivio di Stato di Lucca, Archivio notari, n.117, notaio Bartolomeo Buonmese, 1335.
Il documento lucchese indica che la macchina consta di due incastellature di legno concentriche di 3 metri di diametro per poco più di due metri di altezza e porta due serie di dodici aspi con dieci alberini per ogni aspo. La struttura interna ruota intorno a un asse verticale, un cilindro ruotante, azionato da una persona che lo spinge con il proprio corpo, a ritroso; contemporaneamente la struttura esterna sfrega sugli alberini e i meccanismi di trattura per farli ruotare. Su ogni alberino è fissata rigidamente la bobina, sopra la quale gira rapidamente su un coperchio a calotta (coronelle) un filo a S. Il filo di seta non ritorto passa dalla bobina sull’aspo sovrastante attraverso due fori. Quando l’alberino gira e con esso la bobina, il filo viene ritorto man mano che viene tirato dall’aspo. Durante questo processo, la seta si torce, acquistando caratteristiche fisiche diverse dal filo di partenza e più adatte a conferire al tessuto finito l’aspetto che gli è più peculiare.
Sulla base del Trattato e con le conoscenze storiche acquisite nel settore, la Gaita Santa Maria ha ricostruito il torcitoio circolare a energia umana facendone l’unico esemplare funzionante al mondo.
Esso consta di due ordini di 12 aspi ciascuno, cui corrispondono due ordini di tre bobine per ogni aspo, disposte lungo la circonferenza (valico) per un totale di 72 bobine. Sulla parte mobile del torcitoio trovano sistemazione, sia i dispositivi che fanno ruotare i fusi (strofinacci) sia gli elementi inclinati (principi) di un’ampia vite senza fine, tradizionalmente chiamati serpi. Gli aspi che raccolgono il filo torto in matasse sono mossi dai serpi, grazie a una ruota a raggi, la bozzoniera.
Durante la manifestazione, il torcitoio è certamente, fra gli strumenti d’epoca presenti, il più prestigioso per il suo valore storico e culturale e inoltre, nell’ambito di una riproduzione il più fedele possibile di mestieri medievali, è sicuramente la macchina riprodotta nel modo più corretto per quanto riguarda le fonti di energia, immune dalla contaminazione con le tecnologie moderne (corrente elettrica, metano): utilizza solo la forza delle braccia.
La progettazione e la sua realizzazione hanno richiesto tempo e fatica, ma il risultato ottenuto ripaga delle difficoltà incontrate. E allora come non ricordare chi, negli anni 1996 e 1997, ha desiderato e voluto ricostruire la macchina: Anacleto, Alfredo, Anna, Pia, Attilio, Gianluigi, Marco M (il costruttore), Gianpaolo (il disegnatore), Marco T.M, Francesca, Luigi, Natale; e chi negli anni successivi vi ha dedicato il suo tempo: Mario, Rita, Gianmarco. E come non ricordare i luoghi visitati: Firenze (L’antico setificio toscano), Gorizia (Il museo della Seta), Garlate (Civico Museo della Seta Abegg), Abbadia Lariana (Civico Museo Setificio Monti), Como (Museo Didattico della Seta), San Leucio e il suo setificio (Caserta).
Un ringraziamento particolare a Flavio Crippa, esperto di archeotecnologia industriale, che ci ha fornito disegni e informazioni indispensabili. E infine, come non ricordare che il torcitoio è stato esposto a Strasburgo, nell’ambito di una mostra su Leonardo da Vinci e le sue macchine.

 

Il torcitoio da seta negli Statuti Comunali Umbri

A Perugia la lavorazione della seta inizia nella prima metà del Quattrocento. Nel 1529 l’arte dei bambacari chiese e ottenne di unirsi con i setaioli. I bambacari e i setaioli costituirono il Collegio della seta e della bambagia (mantenendo tuttavia separati i propri statuti) nel 1529.  In seguito, la necessità di raggiungere un più razionale impiego delle risorse economiche convinse dell’opportunità di riunire le due arti. La nuova istituzione assunta la denominazione di Arte della Seta e della Bambagia, redasse gli statuti nel 1531. Nel 1543 vennero elaborati gli statuti definitivi dell’arte. Redatte in volgare, le le disposizioni sono comprese in sessantadue capitoli, di cui quarantotto riguardano l’arte della seta e quattordici quella della bambagia.

Capitolo 7.  Che niuno filatoiaio o torcetore possa filare ne torcere seta a frostiere né a chi non ha botigha.

Capitolo X.  Che quilli che pigliaranno sete a torcere sieno obligate a torcerle bene a iuditio de li uffitiali.

A Foligno, già negli anni 1471-1472, due mercanti imprenditori forestieri manifestano il desiderio di introdurre l’arte della seta. Ma solo nel 1540 vengono elaborate tre bozze degli statuti dell’arte, due delle quali abbastanza simili e composte da 15 capitoli e 17 capitoli.

Capitolo 8. Item che nessun filatutaro, ne tintore, possano torcere, ne filare, ne tignere in alcuno modo, alcuna generatione de seta ad nessuno foristero, ne ad alcuno altro che non sia matriculato et scritto ad larte sotto pena.

Nell’ASF è presente un documento datato 18.2.1528, in cui Girolamo di Marsilio di Giovanni Taccori e Giovanni Battista di Vincenzo dello stesso Giovanni Taccori vendono a Matteo Gentili e Feliciano di Girolamo Seggi di Foligno unum filatorium ligneum aptum ad filandum et torcendum siricum al prezzo di 26 fiorini. Un documento datato 14 luglio 1556 afferma che a Cicco qm. Giovanni Antonio,  filatoraio di Foligno, Prospero qm. Andrea Merganti affitta unum atterratum cum filatorio apto ad filandum et torcendum sericeum ad duas valcas sito nel rione Ammanniti, per tre anni e per sette fiorini l’anno.
Dal 1559 l’arte subisce una svolta decisiva: viene introdotto a Foligno il filatoio idraulico, uno dei primi dell’Italia centrale, ad opera del nobile Francesco Orfini; viene ubicato nel rione Spada, presso i mulini a grano e a olio della comunità.

Conclusioni

Si è parlato spesso di leggenda del filo d’oro, tanto è avventurosa e sconcertante la storia della seta, materia di lusso, simbolo di bellezza e di potere, che unisce e al tempo stesso divide, Asia ed Europa; fattore primario di commercio, ma anche di scambi culturali.

 La machina

È maraveja, è ordegno celeste. Mille e mille rigagnoli de filo, torce et incanna come cento mani, anzi dugento. Ne lo suo ventre scoperto una femmina spigne et Ella gira e con Ella gira lo mondo universo. Li mille e mille bachi non truovan lo tempo de filare, le femmine de levare la colla e mannellare, chè già tutto ritorto. Indulgenzia me véne dal Segnore perché non v’ha persone che possan prendere suo loco. La machina cum grande fatica s’adopra a vantaggio e satisfatione de tucti, però che cresce il filo, e già tutta Mevania: homini et femine et pulzelle et pargoli involti sono da esso per tignere et per tessere, et panni assai vi sono da tagliare. De jorno e de nocte battono li telari e laqua de l’ Attone pare nun essere bastanzia pe’ lavaggi e tenture de lo panno che co lo filo de lo torcitoio s’appresta.

Da un Anonimo umbro del XX secolo.

 


Bibliografia

F. Crippa, Il torcitoio circolare da seta, estratto da: Quaderni storici 73/a. XXV, n.1° aprile 1990
La Gaita Santa Maria riscopre l’arte della seta, La Tipografica Bevagna, 2007