Si è parlato spesso di «leggenda del filo d’oro», tanto è avventurosa e sconcertante la storia della seta, materia di lusso, simbolo di bellezza e di potere, che unisce e, al tempo stesso divide Asia ed Europa, fattore primario di commercio, ma anche di scambi culturali.
La sericoltura: dalle origini al tardo Medioevo
«…Verso quel tempo alcuni monaci vennero dall’India, i quali avendo saputo che Giustiniano imperatore aveva a cuore di fare che i Romani non avessero più a comprare seta dai Persiani, presentatisi all’imperatore gli promisero che circa la seta farebbero in modo che i Romani non avrebbero più a procurarsi questa merce dai loro nemici Persiani né da altra nazione, poiché avendo essi passato lungo tempo nel paese chiamato Serinda aldilà di assai genti indiane, ivi aveano ben appreso con quale mezzo sarebbe possibile che la seta si producesse sul suolo romano. All’imperatore che insistentemente li interrogava e chiedeva loro se davvero così fosse, risposero i monaci che la seta è prodotta da certi bachi ai quali la natura è maestra e li obbliga costantemente a tal lavoro: che saria bensì impossibile trasportar costà viventi quei bachi, ma facile e spedito trasportare la loro semenza; da ciascun seme nascere uova innumerevoli; le quali uova molto tempo dopo la loro nascita gli uomini ricoprono di stabbio e così riscaldate per tempo bastevole producono animali. Coloro recatisi nuovamente in Serinda portaron poi le uova a Bisanzio e fattele, nel modo che abbiam detto, tramutare in bachi, questi nutrirono con foglie di gelso, e quindi per opera loro cominciò nell’impero romano la produzione della seta…». Procopio di Cesarea. La guerra gotica, lib IV.
Sulla base di questo testo di Procopio di Cesarea è sorta la certezza che l’allevamento del baco da seta domestico (Bombyx mori, quello che si ciba esclusivamente della foglia del gelso) sia stato introdotto a Bisanzio all’epoca di Giustiniano, intorno al 552 e che esso probabilmente vi sia giunto dalla Cina.
La ricerca archeologica ha documentato come l’allevamento domestico del Bombyx mori e l’utilizzo dei suoi bozzoli con la trattura, per poi farne filati e tessuti, fosse praticato in Cina almeno millecinquecento anni prima della nostra era. Nonostante la gelosa custodia da parte dei cinesi dei segreti dell’allevamento del baco e della seta ottenuta per trattura, le pratiche si diffusero gradualmente verso Occidente, specie lungo quella via terrestre che il geografo tedesco F. von Richthofen chiamerà nell’Ottocento con il nome pretenzioso di Via della Seta. Fonti iconografiche e archeologiche paiono infatti confermare il racconto della principessa cinese che andò sposa al re di Khotan (grande oasi nella regione desertica del Takla Makan) intorno al 450 d. C., con sacchettini di uova di baco nascosti trai capelli. Diviene così molto più plausibile l’introduzione nel bacino del Mediterraneo, dopo il VI secolo, di altre razze di Bombyx mori, poiché probabilmente esse erano già presenti in Paesi relativamente più vicini come la Persia e l’India.
Tutti gli storici dell’industria serica italiana del tardo Medioevo attribuiscono l’avvio di quest’arte alla città di Lucca, che si afferma come la maggior produttrice europea di tessuti di seta pregiata. Molteplici le cause di questa fioritura: l’abilità creativa dei suoi artigiani, le loro capacità imprenditoriali, la presenza, nella città, di abili filatori e tessitori ebrei, fuggiti dalla Sicilia al momento della conquista angioina e, da ultimo, la sua ubicazione, che la rende meta costante di pellegrini che dall’Europa raggiungono Roma. Quando però nel 1314 la città è conquistata dalla fazione ghibellina, si assiste ad un vero e proprio esodo dei setaioli ebrei, che diffondono le loro conoscenze e le loro tecniche di produzione (mulini per la filatura e la torcitura) in altre città italiane, come Bologna, Venezia e Firenze, dove fin dal XIII secolo era già nota l’arte della seta.
Il ciclo produttivo della seta secondo le antiche tecniche medievali
Nell’ambito della manifestazione del Mercato delle Gaite, la Gaita Santa Maria si è sempre distinta nella rappresentazione delle fasi di lavorazioni dei filati poveri pover o cascami pesanti, ricreando strumenti e utilizzando tecniche riproduttive d’epoca, nel rispetto della tradizione umbra, dal Medioevo all’età contemporanea. Sin dall’inizio, la Gaita si è dedicata alla riproduzione delle fasi di lavorazione dell’arte della seta, dall’allevamento del baco alla trattura del suo prezioso filo, nella consapevolezza dell’importanza che tale arte assunse nell’Italia del Medioevo, che, dal XII secolo divenne la principale regione dell’industria serica in Europa.
Il ciclo di produzione della seta si compone essenzialmente di cinque fasi: gelsobachicoltura, trattura, torcitura, tintura e tessitura. La seta è il filamento del bozzolo di molte specie di farfalle, la più importante delle quali è la Bombyx mori, il cui bruco o baco da seta si alleva sulle foglie di gelso bianco, Morus alba. La meravigliosa storia della seta, dal baco al suo prezioso filo, dura circa un mese. Una costante cura deve essere riservata alle uova che, per schiudersi, hanno bisogno di una temperatura di circa 22-24 gradi. In tempi remoti erano le donne a farle schiudere con il calore del loro seno. I piccoli bachi, appena nati, sono alimentati con foglie di gelso finemente triturate. L’accrescimento è rapido, dopo qualche giorno essi cadono in letargo, che dura ventiquattro ore circa, mutando la pelle, gli intestini e la trachea. Allorché si risvegliano (inizio della seconda età), vengono trasportati su graticci ben areati e alimentati con foglie di gelso. Il baco si ciba infatti unicamente di foglia fresca di gelso, che consuma in grandissima quantità aumentando, nell’arco di un mese, di decine di volte la sua lunghezza. In questo periodo il baco subisce cinque mute e solo quando cessa di nutrirsi, perché è giunto al termine del suo ciclo vitale, viene posto in un bosco di ramaglie, dove trova il punto più adatto per costruire in tre giorni la sua ultima dimora, il bozzolo, nel quale si racchiude. Trascorsi cinque – sei giorni, da quando gli ultimi bachi sono saliti al bosco, si esegue la sbozzolatura e cioè la raccolta dei bozzoli. I bozzoli raccolti sono posti a essiccare al sole per ottenere la morte della crisalide ed evitare, quindi, che la crisalide diventi farfalla, la quale, fuoriuscendo dal bozzolo, lo buca e ne spezza il filo. Dopo essere stati selezionati e privati della spelaia, i bozzoli destinati alla trattura vengono quindi immersi in acqua molto calda, affinché la sostanza gommosa (sericina), che tiene saldati tra loro i filamenti, si ammorbidisca. Le donne con una apposita scopetta liberano allora il capofilo e dipanano il bozzolo, essendo costituito da un filamento unico che, nelle razze selezionate può raggiungere anche i duemila metri di lunghezza. In questa operazione le filatrici possono unire insieme da un minimo di dieci filamenti (bave) a un massimo di trentacinque, provenienti da altrettanti bozzoli, al fine di ottenere un filo resistente, che va ad avvolgersi su di un aspo rotante. Dal numero delle bave unite al momento della trattura deriva lo spessore del filo espresso in denari o titoli. Il filo che si avvolge sull’aspo, anche se formato da filamenti di più bozzoli, appare come un filo unico, perché la sericina che ricopre la bavella di seta diventa gelatinosa in acqua calda e incolla, una volta asciugati e raffreddati, i vari filamenti, dando origine a quel filo unico che si vede dopo la trattura. La diversità dei filati è già decisa in sede di trattura: la galletta migliore diventa filo, successivamente torto per ottenere l’ordito dei tessuti, mentre quella di qualità inferiore diventa filo per trama. Le matasse di seta greggia tolte dall’aspo vengono quindi sottoposte all’incannatura: il filo passa dalla matassa al rocchetto per essere trasferito al torcitoio, al fine di ottenere una maggiore resistenza accanto ad altre caratteristiche qualitative. Il torcitoio è infatti lo strumento che ha lo scopo di attorcigliare su sé stessi centinaia di fili; esso pur avendo un concetto funzionale molto semplice, risulta assai complesso per la sua struttura fortemente ripetitiva. Le matasse di filo di seta ritorto sono così pronte per essere lavate e tinte. Esse vengono dunque collocate in sacchetti a trama larga e fatte bollire in acqua saponata per eliminare la gomma naturale, vengono poi sciacquate in acqua pura e messe ad asciugare. quelle di colore perlaceo vengono successivamente sbiancate con vapori di zolfo e quindi sottoposte ai cosiddetti «bagni di colore». Si giunge così all’operazione conclusiva della tessitura, che consiste nell’intrecciare i fili che costituiscono l’ordito con un’altra serie di fili orizzontali, chiamata trama. Qualsiasi dispositivo in grado di tenere teso l’ordito durante la tessitura, si chiama telaio. La sua invenzione nelle forme più semplici, risale almeno a quattromila anni fa, anche se in Europa, come strumento perfetto a struttura orizzontale, appare solo nel XIII secolo. Nel telaio, l’ordito è avvolto su di un rullo, il subbio di ordito, ciascun filo che lo costituisce viene fatto passare nelle maglie dei licci in modo ordinato, con una sequenza preparata in precedenza, a seconda del disegno da ottenere. Alzando i licci, alcuni fili si alzano mentre altri si abbassano e nello spazio che ne risulta viene fatta passare la navetta con la spoletta di trama all’interno. Il filo che essa lascia, durante il tragitto, viene compattato dal pettine. Pazientemente, filo dopo filo, il tessuto cresce. Con la tessitura si esaurisce il ciclo di produzione della seta.
Organizzazione produttiva della manodopera serica nel Medioevo
Circa il sistema organizzativo delle città italiane del XIII- XIV secolo, esperte nella manifattura di filati di seta, si può già evidenziare la presenza di quello che, in epoca moderna, è definito un distretto industriale e cioè un sistema economico-sociale caratterizzato dalla presenza di imprese medie, piccole, o piccolissime, impegnate in diversi stadi e in modi diversi nella produzione di un prodotto omogeneo, grazie ad una cooperazione verticale e orizzontale. Quest’ultima si sviluppa con l’organizzazione dell’opificio decentrato e si concretizza con la nascita di tutta una serie di attività che sono d’ausilio alla produzione stessa: attività mercantili, bancarie, di trasporto, di produzione degli strumenti di lavoro, di scelte relative alla tipologia del prodotto, in base alle quali si definiscono anche rapporti professionali con i rappresentanti di altri arti come quella dell’oreficeria per la manifattura di tessuti preziosi, auroserici. L’organizzazione produttiva, secondo il modello dell’opificio decentrato, che nel XIV secolo, da Lucca si diffonde nell’Italia centro-settentrionale, vede dunque il ruolo determinante del mercante-imprenditore o setaiolo, che collega e coordina l’attività dei numerosi artigiani che spesso svolgono le varie fasi di lavorazione nelle proprie botteghe o abitazioni, con i propri strumenti di lavoro, oppure, come njel caso del filatore prestano opera nella bottega del seaterius. Grazie al setaiolo le varie tappe del processo produttivo della lavorazione della seta acquistano omogeneità e indipendenza organizzativa; spetta infatti al mercante-imprenditore l’acquisto della materia prima, bozzolo o seta greggia, che poi egli distribuisce ai singoli produttori, secondo il susseguirsi del processo di lavorazione: filatura, incannatura, torcitura, tintura, orditura e tessitura. La maggior parte delle corporazioni o arti della seta, presenti nelle varie città della penisola, raggruppano sia i mercanti, sia i singoli gruppi specialistici e talora gli stessi fabbricanti di strumenti, insieme ai tecnici della lavorazione di filati d’oro. Il modello organizzativo rimane omogeneo, fin dal ‘300, a Lucca come a Bologna, Firenze e Perugia, come pure rimane costante il conflitto fra i setaioli (mercanti-imprenditori) e gli altri gruppi di mestiere. Un’organizzazione manifatturiera dunque solida e ben strutturata, in cui il fattore economico assume un’importanza preponderante e regole inderogabili fissano lo svolgimento della produzione in tutte le sue fasi.
DALMATICA DEL PARATO DI BENEDETTO XI. PERUGIA, CHIESA DI SAN DOMENICO. Tessuto principale: manifattura dell’Iran ilkhanide o dell’Asia centrale, seconda metà del XIII secolo.
CALZARE IN DIASPRO DEL PARATO DI BENEDETTO XI. PERUGIA, CHIESA DI SAN DOMENICO. Manifattura lucchese, fine del XIII inizio del XIV secolo.

Alfredo Properzi

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