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Tra cornici di roccia e corone di pioppi che trafiggono il cuore più selvaggio della Valnerina, la convivenza col lupo, guardiano silvestre consacrato alla cosmogonia pagana della foresta, appartiene alla quotidianità di quella civiltà rurale che dipinse, tra i petali di un’Umbria millenaria, acquerelli di idilli bucolici custoditi oggi nello sguardo severo di un’antica abitante di Gavelli che affida, alla voce flebile della memoria, il ricordo del baluginare sinistro dei lupi che tra le ombre della notte intonavano alla luna strazianti ululati.

Dalle pievi longobarde ai casseri medioevali posti a dominio delle potenti abbazie e degli eremi fioriti lungo l’argine del fiume Nera, si racconta che il lupo abbia timore dalla musica. Non a caso l’apparato dei miti e delle leggende dischiuse dal passato arcaico della Valnerina ha conservato le vicende di un suonatore di organetto dal volto ignoto che, tornando verso Rocchetta, avamposto medievale sorto a difesa di un antico tracciato pedemontano, incrociò lo sguardo sinistro dalla bestia, che lo attaccò. Colto di sorpresa, l’uomo cadde e, nella caduta, l’organetto che portava a tracolla emise la caratteristica timbrica cristallina che salvò la vita del suonatore mettendo in fuga la bestia e dissolvendo l’oscurità che la creatura evoca con le sue orme.

 

Il lupo, re indiscusso del Parco Nazionale dei Monti Sibillini

Leggende popolari

Tra i rovi della memoria popolare, consegnata all’eternità del pensiero religioso e magico della Valnerina e custodita dall’elsa dell’antropologia, sopravvive l’antica credenza secondo la quale il bambino che succhiava il latte da una madre che aveva mangiato la carne di una bestia azzannata dal lupo, non riusciva a saziare l’appetito, tant’è che nel Casciano si esprime meraviglia e stupore verso chi non riesce a saziarsi attraverso la perifrasi dialettale «E che te si magnatu la carne de lu lupu?». Una creatura totemica per antonomasia che da un lato raffigura il lato primordiale della selva, allegoria del passaggio dalla caducità del corpo all’eternità dello spirito, e dall’altro evoca le suggestive rivelazioni epifaniche delle primitive tradizioni nordiche.

 

Un luparo mostra orgoglioso la sua preda in una fredda giornata invernale

Il luparo

La Valnerina, una terra ricca di Tempo, le cui campane scandiscono il ritmo della storia intorno a focolari che rischiarano le tenebre di quelle lunghe notti d’inverno e che tramandano biografie e ritratti di uomini e cacciatori di lupi, pionieri dell’ultima frontiera i cui fantasmi  appaiono e scompaiono tra  le torri di fumo della memoria e del mito. Il luparo, cavaliere della civiltà contadina a cui il pastore affida una missione salvifica, l’uccisione della bestia e la salvaguardia degli armenti, era un eroe che riceveva gli onori della battaglia esibendo nella piazza del villaggio il corpo esanime dell’animale e celebrando il dominio dell’uomo e dell’audacia sulla ferocia della bestia.

Dai testi di geografia ai sussidiari scolastici, passando per le fiere internazionali sul turismo, l’Umbria viene identificata da una definizione straordinariamente calzante: cuore verde d’Italia.

Secondo la simbologia tradizionale, il verde, espressione cromatica nella quale i buddisti individuano l’origine della vita, celebra l’elevazione dello spirito e del corpo che, per chi percorre l’Umbria, assume i contorni di un’esperienza ascetica in cui convergono identità e tradizioni, cultura e memoria storica, in cui la contemplazione del creato genera armoniche vibrazioni della mente. Se ci venisse chiesto di illustrare la frequenza cardiaca del cuore verde d’Italia, la matita traccerebbe linee sottili dall’incedere incredibilmente geometrico che, chi conosce l’Umbria, non tarderebbe a identificare nella profilo della piccola Preci, borgo immerso nel verde della Valnerina.

Lasciando la Valle del Nera, per risalire la Valle Campiano verso il paese di Preci si entra nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini

Il Piantamaggio

Avamposto medioevale sorto in prossimità di un oratorio benedettino – come testimoniato dall’etimologia del toponimo della città (preces, cioè preghiera) – Preci segna l’impercettibile transizione fra la Valle del Nera, risalendo da Cerreto di Spoleto, e il Parco Nazionale dei Monti Sibillini, mosaico di storia e tradizioni secolari, pentagramma in cui nubi di paesaggi e borghi seguono il ritmo sempiterno della natura. Ed è proprio dalla natura che qui alloggia che trae origine il rito del Piantamaggio, cerimoniale di pagana memoria le cui origini risalgono alle feste di primavera, successivamente trasformate in Baccanali, che si svolgevano in onore del dio Bacco Dioniso e avevano lo scopo di introdurre i giovani nel mondo degli adulti, spesso sfociando, a causa delle prolungate libagioni, in pratiche iniziatiche e orgiastiche. Tale versione è avvalorata dall’utilizzo, nell’uso popolare, della perifrasi piantar maggio, espressione dal forte allusivo significato, che è quello di consumare l’atto sessuale.

 

L’aspetto cinquecentesco del castello di Preci, immortalato in una foto storica conservata nell’archivio

 

La sera tra il 30 aprile e il 1 maggio, un albero di faggio o di pioppo, simbolo di fertilità, preso, anzi rubato, nelle campagne circostanti dai giovani del paese, viene tagliato e portato nella pubblica piazza. Dopo essere stato spogliato e ripulito dalle fronde e dalla corteccia, viene integrato nella parte alta con un ramo di ciliegio fiorito, a simboleggiare il matrimonio tra gli alberi e l’unione carnale con cui i fanciulli vengono iniziati alla vita adulta. Successivamente viene anche legata, nella parte più alta dell’albero, una bandiera nazionale, forse un antico ricordo degli alberi della libertà, che tra la fine del Settecento e l’inizio del secolo successivo venivano innalzati in ogni luogo dove arrivavano i venti e gli entusiasmi della Rivoluzione francese. La larga diffusione della celebrazione è testimoniata, inoltre, da una toponomastica estremamente ricca: il Monte Maggio, che domina la splendida Cascia, e il Monte Galenne – situato tra Meggiano, Cerreto di Spoleto e Sellano, il cui toponimo rimanda verosimilmente alle Calende di Maggio – ci raccontano di un territorio che cambia nell’aspetto, ma che conserva il suo più intimo fondamento ontologico.

 

Le Cascate de lu Cugnuntu, una stretta forra di circa 20 metri situati presso i Casali di S.Lazzaro al Valloncello.

«Vi assicuro che non bisogna che tiri vento perché si sarebbe in grandissimo pericolo. Anche senza vento si prova grande orrore a vedere la vallata da tutti i lati e in modo particolare a man destra; perché essa è così tanto orrida per il precipizio e l’altezza che ben difficile da credere (…) perché se per disgrazia il piede manca, non c’è altra forza se non quella di Dio che potrebbe salvarlo». (Antoine de la Sale, Il Paradiso della Regina Sibilla)

Il vento è senza dubbio una delle caratteristiche predominanti dei Monti Sibillini, con quel soffio insistente e prepotente che sembra trasportare nell’aria una voce arcana, dal sapore talvolta sinistro, lassù, in quel massiccio che svetta imponente fra l’Umbria e le Marche, in una zona duramente colpita dal recente sisma, ma che serba, immutate, bellezza e meraviglia.

 

Sibilla Appenninica di Adolfo de Carolis

L’intelligibile oracolo

Proprio lassù, fra il Monte della Sibilla, le gole dell’Infernaccio e il Lago di Pilato, aleggiano storie e leggende antiche, che si tramandano, si intrecciano e si trasformano di generazione in generazione e mantengono ancora oggi un fascino magico e ammaliatore. Già dall’antichità il Monte Sibilla suscitò interesse e attenzione da parte dei popoli di tutta Europa perché si pensava che, in prossimità della sua cima, si aprisse una grotta, dimora di un antico oracolo, la Sibilla appunto.
Sappiamo come il culto della Sibilla sia infatti molto antico, risalente all’epoca classica, durante la quale le Sibille erano profetesse che fornivano predizioni dal significato ambiguo, affidandole alle foglie sparpagliate dal vento.
Fra le dieci Sibille classiche non compare però la Sibilla appenninica, quella che ha dato il nome ai nostri monti. Che il suo mito abbia avuto origine, come sostengono alcuni studiosi, dalla divinità frigia Cibele, la Grande Madre, la dea della natura e della fecondità che possedeva il dono della profezia?
O forse è posteriore, risalente al Medioevo, quando le divinità pagane si trasformano in profetesse cristiane? Che sia proprio lei, la “nostra” Sibilla, quella che la leggenda vuole abbia predetto la nascita di Cristo e che poi, offesa perché Dio scelse Maria come madre del Redentore, si ribellò a lui che la confinò per punizione in quella grotta sperduta?

Il doppio volto della Regina

Il primo a parlare della Sibilla Appenninica, nel 1430, fu Andrea da Barberino, con il suo romanzo Guerrin Meschino, un cavaliere che si recò al cospetto della Sibilla nel tentativo di farsi svelare l’identità dei suoi genitori, mai conosciuti. Da questo momento in poi la Sibilla iniziò ad assumere le sembianze della regina crudele e ammaliatrice, la seduttrice in grado di portare un uomo alla rovina, allontanandolo da Dio e dai suoi precetti. E se Guerrin Meschino riuscì a resistere alle sue lusinghe e, dopo un anno, a fuggire dall’insidioso regno e a ottenere il perdono da parte del Papa, non successe altrettanto al cavaliere germanico narrato pochi anni dopo da Antoine de La Sale nella sua opera Il Paradiso della Regina Sibilla. Il cavaliere giunse nella grotta della Sibilla per spirito d’avventura, ma rimase irretito dalle sue arti ammaliatrici tanto che solo con grande fatica, riuscì a fuggire. Recatosi anch’egli dal Papa per chiedere il perdono per i suoi peccati, restò sconvolto dall’esitazione da parte del pontefice nel concedergli la sua indulgenza e, disperato, tornò nel regno della Sibilla senza farne mai più ritorno.
La leggenda popolare vuole comunque la Sibilla come una fata buona circondata dalle sue ancelle, le Fate Sibilline, che escono dalla grotta prevalentemente di notte nei paesi di FoceMontemonacoMontegallo, tra il Pian Grande, il Pian Piccolo e il Pian Perduto di Castelluccio di Norcia e Pretare, con l’obbligo di dover far ritorno prima del sorgere del sole. Pare che una volta durante un ballo abbiano perso la cognizione del tempo e, precipitatesi ormai troppo tardi sulla strada del ritorno, correndo disperatamente con i lori piedi caprini, abbiano formato la Strada delle Fate, una faglia a 2000 metri sul monte Vettore.

 

sibilla

Disegno di Antoine de La Sale

Un luogo consacrato al diavolo

Miti e leggende, nati probabilmente per la necessità di comprendere e, per certi versi, giustificare la conformazione impervia e imponente di un territorio che nei secoli ha affascinato e al contempo spaventato gli abitanti e i forestieri che si sono trovati ad affrontarne la complessità.
E così il lago di Pilato, bellissimo quanto impervio è il cammino per raggiungerlo, diventò il terribile luogo dove fu condotto Ponzio Pilato che, legato a un carro di buoi per volere dell’imperatore Vespasiano, fu trascinato dagli animali impazziti proprio in fondo al piccolo lago “occhialuto”, dove annegò. Molti scrittori e poeti parlano del lago di Pilato come di un luogo consacrato al diavolo, meta prediletta di maghi e negromanti e Giovan Battista Lalli nel Seicento lo descrive così: «L’un l’altro lago tenebroso e nero/ Ove di spiriti immondi acqua spumante/ Accoglie un nembo abbominoso e fiero».
Per fortuna il grazioso laghetto alpino, l’unico degli Appennini, è ancora lì, e contrariamente a quanto sembrava dopo il terremoto del 2016, seppur con qualche contraccolpo, gli occhiali più originali del mondo continuano a osservarci dalla cima del monte Vettore.
Chi ama le escursioni e la maestosità della natura, perché no, dal sapore un po’ magico e un po’ fiabesco, non perda l’occasione di addentrarsi in questi luoghi unici, magari partendo da Castelluccio di Norcia che, a proposito di leggenda, pare fosse la meta prediletta delle Fate della Sibilla durante le loro movimentate fughe notturne.

 


Andrea da Barberino, Guerrin Meschino

Antoine de la Sale, Il Paradiso della Regina Sibilla)

http://www.sibilliniweb.it/citta/la-sibilla-appenninica/

http://www.lifemarche.net/grotta-sibilla-linterpretazione-leggenda.html

http://ilcastellodelsole.blogspot.it/p/la-sibilla-appenninica.html

http://www.coninfacciaunpodisole.it/index.php/sibillinisegreti-il-blog-tour/189-sulle-tracce-della-sibilla-appenninica

Monti Sibillini, le più belle escursioni – Alberico Alesi e Maurizio Calibani (Società Editrice Ricerche)

 

Per saperne di più su Norcia