Dai testi di geografia ai sussidiari scolastici, passando per le fiere internazionali sul turismo, l’Umbria viene identificata da una definizione straordinariamente calzante: cuore verde d’Italia.
Secondo la simbologia tradizionale, il verde, espressione cromatica nella quale i buddisti individuano l’origine della vita, celebra l’elevazione dello spirito e del corpo che, per chi percorre l’Umbria, assume i contorni di un’esperienza ascetica in cui convergono identità e tradizioni, cultura e memoria storica, in cui la contemplazione del creato genera armoniche vibrazioni della mente. Se ci venisse chiesto di illustrare la frequenza cardiaca del cuore verde d’Italia, la matita traccerebbe linee sottili dall’incedere incredibilmente geometrico che, chi conosce l’Umbria, non tarderebbe a identificare nella profilo della piccola Preci, borgo immerso nel verde della Valnerina.
Il Piantamaggio
Avamposto medioevale sorto in prossimità di un oratorio benedettino – come testimoniato dall’etimologia del toponimo della città (preces, cioè preghiera) – Preci segna l’impercettibile transizione fra la Valle del Nera, risalendo da Cerreto di Spoleto, e il Parco Nazionale dei Monti Sibillini, mosaico di storia e tradizioni secolari, pentagramma in cui nubi di paesaggi e borghi seguono il ritmo sempiterno della natura. Ed è proprio dalla natura che qui alloggia che trae origine il rito del Piantamaggio, cerimoniale di pagana memoria le cui origini risalgono alle feste di primavera, successivamente trasformate in Baccanali, che si svolgevano in onore del dio Bacco o Dioniso e avevano lo scopo di introdurre i giovani nel mondo degli adulti, spesso sfociando, a causa delle prolungate libagioni, in pratiche iniziatiche e orgiastiche. Tale versione è avvalorata dall’utilizzo, nell’uso popolare, della perifrasi piantar maggio, espressione dal forte allusivo significato, che è quello di consumare l’atto sessuale.
La sera tra il 30 aprile e il 1 maggio, un albero di faggio o di pioppo, simbolo di fertilità, preso, anzi rubato, nelle campagne circostanti dai giovani del paese, viene tagliato e portato nella pubblica piazza. Dopo essere stato spogliato e ripulito dalle fronde e dalla corteccia, viene integrato nella parte alta con un ramo di ciliegio fiorito, a simboleggiare il matrimonio tra gli alberi e l’unione carnale con cui i fanciulli vengono iniziati alla vita adulta. Successivamente viene anche legata, nella parte più alta dell’albero, una bandiera nazionale, forse un antico ricordo degli alberi della libertà, che tra la fine del Settecento e l’inizio del secolo successivo venivano innalzati in ogni luogo dove arrivavano i venti e gli entusiasmi della Rivoluzione francese. La larga diffusione della celebrazione è testimoniata, inoltre, da una toponomastica estremamente ricca: il Monte Maggio, che domina la splendida Cascia, e il Monte Galenne – situato tra Meggiano, Cerreto di Spoleto e Sellano, il cui toponimo rimanda verosimilmente alle Calende di Maggio – ci raccontano di un territorio che cambia nell’aspetto, ma che conserva il suo più intimo fondamento ontologico.
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