Lugnano in Teverina sorge su un colle roccioso a forma di luna appartenente al complesso dei Monti Amerini e, dall’alto delle sue mura, si gode di uno splendido panorama che spazia sulla valle del Tevere, il fiume che gli dà il nome bagnandone le terre.
Il territorio collinare è il luogo ideale per coltivazioni cerealicole, per vigneti e oliveti dai quali si estrae un olio extravergine di alta qualità (Lugnano appartiene alla rete delle Città dell’Olio); l’aria sana e il clima sempre mite lo rendono un luogo ameno. Il suo primo nome documentato (nel 1290) è Lugnanum Tyburinae: l’ipotesi è che il borgo sia sorto a opera degli abitanti della sottostante valle del Tevere (Teverina) spostatisi per sfuggire alla malaria intorno al VI sec. d.C.
Il termine Lugnano potrebbe derivare da Lucus Jani, bosco di Giano, il cui corrispondente femminile è la luna, presente sullo stemma comunale.
Veduta di Lugnano in Teverina
Fin dall’epoca romana ha fatto parte del territorio amerino, come testimoniano importanti ritrovamenti archeologici nel sito di Poggio Gramignano. Il suo sviluppo sociale ed economico però avviene nel Medioevo, e culmina nella trasformazione in Comune intorno all’anno 1000. Dal XI al XIV secolo Lugnano è soggetto a vari nobili che si contendono il territorio, incaricati dai Papi della difesa di un’area che apparteneva allo Stato Pontificio. Nel 1449, su ordine di Pio II, vengono restaurate le mura e nel 1508 – in seguito ai soprusi da parte dei signori delle città circostanti – i lugnanesi istituiscono lo Statuto della Terra di Lugnano con il quale regolano ogni aspetto della vita sociale e delle relazioni tra i membri della comunità. Nel 1650 viene costruito Palazzo Pennone, dimora del governatore della Sede Apostolica fino al XVIII secolo e ora sede del Comune: la costruzione ricorda l’immagine suggestiva del pennone di una nave e svetta imponente sul borgo. Lugnano ancora oggi è racchiuso all’interno delle mura difensive, risalenti al IX secolo; tra i suoi torrioni si può ammirare integra la Torre Palombara che, con la sua colomba bianca, ricorda che questo era il borgo dei piccioni viaggiatori.
Entrando da Porta Sant’Antonio si raggiunge il centro e piazza Santa Maria (già Platea S. Maria) dove si affaccia la Chiesa omonima, considerata oggi monumento d’importanza nazionale: un gioiello d’arte romanica che già da solo vale il viaggio a Lugnano. La tradizione vuole che sia stata costruita sopra una precedente chiesa eretta da Desiderio, re dei Longobardi.
Girovagando per il borgo ci si perde in vicoli, archi, scalinate e piazzette, come quella di Campo dei Fiori. Da vedere anche le Chiese di Sant’Andrea e Santa Chiara, i Conventi diSant’Antonio da Padova e di San Francesco e la Chiesetta di Santa Maria del Ramo o di Ramici che, isolata su un poggio, è un luogo mistico costruito agli inizi del Quattrocento.
Alcuni ritrovamente provenienti dalla necropoli di Poggio Grammignano
Infine, da non perdere è l’Antiquarium Comunale, che raccoglie i materiali archeologici rinvenuti negli scavi della villa romana (I sec. a.C.) di Poggio Gramignano: mosaici, vetri, utensili di bronzo, ceramiche e anfore, alcune delle quali usate come sepoltura di bambini, ne sono stati ritrovati ben 47. La villa fu infatti riutilizzata nel V secolo come necropoli.
Un ultimo suggerimento: assaggiate il bocconcello di SanFrancesco, una ciambella al formaggio a cui è dedicata una sagra (a ottobre); nel periodo della vendemmia da provare è invece il tipico pane col mosto, mentre nel corso dell’Estate Lugnanese(luglio-agosto) il borgo si anima con manifestazioni culturali e gastronomiche. Alla fine di ottobre non perdete Andar per Frantoi e Mercatini con degustazioni e vendita di olio extravergine prodotto nei frantoi locali.
A colloquio con il presidente dei Borghi più Belli d’Italiain Umbria, tra futuro e soluzione per evitare lo spopolamento di questi territori.
In questi ultimi anni, i borghi e le piccole realtà stanno vivendo una nuova giovinezza. Sono tornati – soprattutto a livello turistico – molto di moda. La riscoperta del loro territorio, dell’enogastronomia e della vita slow attraggono turisti,ma anche persone che decidono di abbandonare la città e trasferirsi in questi luoghi di pace e tranquillità. Tanti i vip – italiani e stranieri – che hanno scelto l’Umbria come rifugio dal caos cittadino. Ralph Fiennes, Daniele Bossari e la moglie Filippa Lagerback, Colin Firth, Ed Sheeran, Paolo Genovese, Susanna Tamaro, Mario Draghi, Luca Argentero… e tanti altri. Di queste realtà abbiamo parlato con Alessandro Dimiziani, vicesindaco di Lugnano in Teverina e, dal 2020, presidente del Borghi più belli d’Italia in Umbria. L’associazione – nata nel 2001- ha come obiettivo quello di proteggere, promuovere e sviluppare i comuni riconosciuti con tale denominazione; l’Umbria è la regione italiana che ne ha di più, ben 30, e rappresentano un vanto e un’attrattiva turistica anche dall’estero. Un patrimonio da salvare e promuovere.
Alessandro Dimiziani
Presidente come prima cosa: quali sono i requisiti per entrare nell’associazione dei Borghi più belli d’Italia?
La popolazione nel centro storico o nella frazione non deve superare i 2.000 abitanti, mentre nell’intero comune non si può andare oltre i 15.000 abitanti. Il borgo inoltre deve avere una presenza di almeno il 70% di edifici storici anteriore al 1939 e offrire qualità urbanistica, architettonica e promozione del territorio. Va detto che sono gli stessi borghi che fanno la richiesta e poi un comitato scientifico valuta gli oltre 90 parametri e delibera l’entrata del paese nell’associazione.
Con Stroncone – entrato da poco – nella regione si contano 30 borghi. Un record italiano che fa superare le Marche, ferme a 29…
Proprio alcuni giorni fa c’è stata l’ufficializzazione di Stroncone con la consegna della bandiera dell’associazione. Se consideriamo la grandezza del nostro territorio e il numero dei comuni inferiore rispetto alle Marche, la percentuale di borghi più belli è molto alta. Oltre a Stroncone gli ultimi entrati sono Monteleone d’Orvieto nel 2019 e Nocera Umbra nel 2020.
La rivista americana “The Travel” ha pubblicato da poco la classifica dei dieci borghi italiani preferiti dai turisti internazionali: al 9° posto c’è Monteleone d’Orvieto (unico umbro). Serve più marketing internazionale per l’Umbria?
Sicuramente, anche se non siamo messi male. I nostri social sono tra i primi in Europa per visualizzazione. Da poco abbiamo anche realizzato un video promozionale che presenteremo il 7 dicembre a Citerna, in cui sono riuniti e illustrati tutti i borghi: questo verrà utilizzato durante le presentazioni fuori regione.
Monteleone d’Orvieto. Foto by Enrico Mezzasoma
Quanto è importante il turismo di ritorno?
È importantissimo e da poco abbiamo creato un tavolo di lavoro per capire tutte le tappe da seguire e i vari passaggi da mettere in pratica.
Concretamente, come si svolge?
Abbiamo iniziato a lavorare sui registri comunali, chiedendo a ogni Comune di inviare i nomi dei concittadini residenti all’estero: si è visto che la maggior parte si trovano negli Stati Uniti, in Brasile, in Belgio e in Lussemburgo, sono circa 2000 persone. Con un protocollo, l’intervento del Ministero del Turismo e dell’associazione Italiani nel Mondo cercheremo di contattarli. A gennaio poi verrà organizzato un evento ad hoc a New York in cui sarà presente la nostra associazione e quella degli Italiani nel Mondo. È il primo passo per iniziare a capire come muoversi.
Il turismo nei borghi, in questi anni, è tanto di moda: come se lo spiega?
È inutile negarlo, la pandemia ha dato una grossa mano. Nel 2020 c’è stata un’invasione, ovviamente positiva, che ha premiato il lavoro di valorizzazione fatto negli anni precedenti. Oltre all’Italia turistica e famosa che tutti conoscono, c’è un’Italia da scoprire e da vivere, tra sentieri, prodotti tipici e cucina. Questo attira molto il turista, anche straniero; tra l’altro l’Umbria è l’unica destinazione italiana entrata nella lista Best in travel 2023 stilata dalla Lonely Planet. Per il nostro Paese il turismo è una risorsa importantissima sulla quale si deve puntare al massimo.
Se avesse a disposizione un tesoretto, quali sono le prime cose che farebbe?
I primi interventi sarebbero rivolti al miglioramento dei servizi: sociali, sanitari, alle infrastrutture, ma anche alla connessione internet per lo smart working. Un borgo non può essere escluso da questo; il turista, ma soprattutto chi decide di restare, chiede navette o bus di collegamento con la stazione più vicina. Molto di questo ancora manca. A Lungano in Teverina, ad esempio, molti americani e danesi si sono innamorati del luogo, dei paesaggi e, grazie a uno statuto comunale, hanno avuto in dotazione degli uliveti e quest’anno per la prima volta hanno raccolto l’oliva. Tutto questo è sicuramente un incentivo per restare nel territorio, ma i servizi devono essere presenti.
Ciò serve ad arginare lo spopolamento…
Combattere lo spopolamento – che è una vera piaga – è tra gli obiettivi dell’associazione. Per noi è come una lenta morte, dovuta al decremento demografico e alla mancanza di lavoro che porta i giovani a lasciare il borgo per trasferirsi in città o all’estero. È per questo che cerchiamo di bilanciare con il turismo di ritorno o con i nuovi residenti. Riallacciandomi alla domanda precedente, gli investimenti sarebbero fondamentali anche per la creazione di lavoro, in modo da incentivare i giovani a restare.
Potremmo raccontare l’Umbria attraverso i borghi: ce n’è uno che la rappresenta di più?
Tutti i borghi rappresentano l’Umbria, poi ci sono quelli che attirano più come Trevi e Spello, ma ultimamente anche quelli meno conosciuti si stanno facendo notare. L’Italia, ripeto, deve puntare su queste piccole realtà che sono un patrimonio fondamentale per il turismo, da nord a sud. In questo modo può primeggiare nel mondo.
Spello. Foto Enrico Mezzasoma
Ci sono in cantiere dei nuovi progetti?
Nel 2023 uscirà la nuova brochure con tutte le informazioni sui borghi – edita da Corebook – anche in lingua cinese. Stiamo lavorando anche con le comunità energetiche per installare le colonnine di ricarica per auto e biciclette. Si punta a promuovere e portare avanti interventi a 360° con attività, eventi e festival, cercando di coinvolgere tutti.
Facciamo un gioco: per ogni borgo mi dica un aggettivo e una caratteristicache lo contraddistingue.
Acquasparta (Rinascimento umbro), Allerona (la porta del sole), Arrone (Valnerina), Bettona (etrusco-romana), Bevagna (le Gaite), Castiglion del Lago (il Trasimeno), Citerna (Borgo dei Borghi. Nel 2023 parteciperà al programma di Rai3), Corciano (la costola di Perugia), Deruta (ceramica), Lugnano in Teverina (archeologia e biodiversità), Massa Martana (riscatto architettonico), Monte Castello di Vibio (il teatro più piccolo del mondo), Montecchio (olio e archeologia), Montefalco (Sagrantino), Monteleone d’Orvieto (balcone su tre regioni: Umbria, Toscana e Lazio), Monteleone di Spoleto (altezza e bellezza), Montone (storia e architettura), Nocera Umbra (la rinascita della bellezza), Norcia (norcineria e tartufo), Paciano (vista sul lago Trasimeno), Panicale (arte e bellezza), Passignano sul Trasimeno (oasi di bellezza), Preci (scuola chirurgica), Sangemini (il bello sopra l’industria), Sellano (le acque della Valnerina), Spello (colori), Stroncone (olio e architettura), Torgiano (vino), Trevi (fascia olivata), Vallo di Nera (enogastronomia ad alta quota).
La Collezione Mondiale degli Olivi OLEA MUNDI di Lugnano in Teverina, sarà protagonista di due giornate che si svolgeranno tra il 26 novembre e il 3 dicembre 2022.
Dalla sua messa a dimora avvenuta nel 2014, finalmente quest’anno si potrà realizzare la prima raccolta delle olive di tutto il mondo. Il Comune di Lugnano in Teverina insieme a tutti partner del progetto (CNR PERUGIA, PARCO TECNOLOGICO AGROALIMENTARE DELL’UMBRIA 3-A E COOPERATIVA LUNIANO, OLEA MUNDI ASSISI) intende condividere tale importante evento insieme: ai cittadini e associazioni di Lugnano in Teverina, agli appassionati di questo progetto internazionale sulla salvaguardia della Biodiversità, alle scuole dell’Istituto Comprensoriale Attigliano- Guardea e dell’istituto Omnicomprensivo di Amelia con l’Istituto Tecnico Tecnologico di Amelia e l’Istituto Tecnico Economico, giornalisti e ai tanti personaggi che hanno adottato o hanno ricevuto l’adozione onoraria di questi olivi. Dopo la raccolta le olive verranno portate in un frantoio del territorio per ottenere l’olio OLEA MUNDI. L’olio OLEA MUNDI sarà presentato all’interno della manifestazione OLEA MUNDI DAY che si terrà a Lugnano in Teverina il prossimo 3 dicembre 2022. In questi due eventi interverrà come ospite d’eccezione la Magnifica Rettrice della Università La Sapienza di Roma prof.ssa Antonella Polimeni che ha sposato questo interessante progetto di valorizzazione territoriale.
Programma 26 Novembre 2022
Ore 9:00 – Presso la Collezione Olea Mundi, Loc. Felceti – Lugnano in Teverina (TR): La prima raccolta delle olive da tutto il mondo olivicolo.
Esperti del Consiglio Nazionale delle Ricerche, del Parco Tecnologico Agroalimentare dell’Umbria 3-A e di Slow food Umbria accolgono gli studenti e le famiglie delle scuole del territorio di ogni ordine e grado e i rappresentanti delle amministrazioni comunali del Comprensorio Amerino e non solo, ritrovandosi nel museo a cielo aperto OLEA MUNDI, che racchiude oltre 300 varietà di olivo provenienti da più di 20 Paesi internazionali per raccogliere i primi frutti di questa grande risorsa vivente.
Sono previsti momenti didattici con breve descrizione del patrimonio inestimabile presente nell’oliveto, con illustrazione delle diverse varietà di olivo presenti, la storia, i frutti e la loro potenzialità legata ai cambiamenti climatici e ad avversità biotiche come funghi, batteri e virus.
Sotto la guida dei ricercatori, come gesto di grande valore simbolico, sarà possibile raccogliere le olive che poi successivamente verranno mandate in macinazione.
Ore 11:00 – AMERINOLIO
Presso il Chiostro Boccarini sala congressi, AMELIA (TR): Diversità, qualità e salute, saperi e sapori dell’olio extravergine di oliva.
Conferenza su diversi temi, come la diversità olivicola mondiale, la qualità dell’olio con particolare riferimento alla cultivar locale Rajo, l’olio per la salute e il benessere. Apertura dei lavori da parte della Magnifica Rettrice dell’Università de La Sapienza di Roma, Professoressa Antonella Polimeni, interverranno esperti del CNR, studenti dell’Istituto Omnicomprensivo di Amelia, produttori locali dell’olio monovarietale di Rajo. In questo prossimo weekend del 26 e 27 novembre si svolgeranno tanti appuntamenti per la promozione e la valorizzazione del nostro oro verde in tutto il comprensorio con visite e degustazioni ai frantoi ed altre attività di svago. In particolare il 27 novembre ci sarà un grande evento competitivo sportivo per gli appassionati del trail. Con ritrovo a Ponte Alvario ad Amelia si svolgerà la 4.a edizione di AMERIA TRAIL un Trail di Km 25 (D+1000), Km 11 (D+350m) e camminata ecologica. Un percorso che si snoderà tra i sentieri amerini e le terre dei Borghi Verdi e giungerà a Lugnano in Teverina passando per i nostri monti e gli atleti passeranno anche per le vie del centro storico.
Ore 8,45 Ritrovo dei partecipanti al Parco del Monticello presso il Convento di San Francesco nel luogo dove San Francesco nel 1212 operò un miracolo
Ore 9,00 Partenza per la Camminata tra gli Olivi a piedi, a cavallo e in bici. Il percorso attraversa la campagna lugnanese con i suoi meravigliosi colori autunnali.
Ore 10,15 Arrivo alla Collezione Mondiale degli Ulivi OLEA MUNDI
LECTIO OLEA MUNDI
Illustrazione della Capitale della Biodiversità Olivicola, passeggiando tra gli olivi provenienti da tutto il mondo, in un habitat naturale immerso nel verde descritto dai ricercatori custodi della biodiversità e impegnati nello studio per il miglioramento dell’Olivicoltura.
FLASH MOB #Abbracciaunolivo
Un abbraccio condiviso e collettivo che servirà a manifestare con un atto dal grande valore simbolico l’amore verso la pianta che più di ogni altra protegge l’ambiente e l’impegno dell’intera comunità nella conservazione del paesaggio olivicolo e nel recupero dei terreni agricoli abbandonati.
Ore 12.30 Ritorno e visita all’Oleificio Cooperativo Intercomunale di Lugnano.
Degustazione nel locale del frantoio La genuinità dei sapori
Ore 13,30 L’Olio in Tavola. Pranzo nei ristoranti locali
Ore 16,00 Sala Consiliare.
Presentazione del Libro Olio e salute A cura del dott. Francesco Poti
Tornano le giornate dedicate alle famiglie e ai musei della Valle Incantata il progetto che mette in rete tutti gli attrattori culturali del territorio ternano. Questo esperimento del coinvolgimento delle famiglie, sta riscuotendo un buon successo soprattutto perché, oltre al valore culturale che racchiude, si crea quella opportunità di trascorrere una giornata insieme a scoprire le bellezze locali che magari ancora non conosciamo.
Il terzo appuntamento a Lugnano in Teverina (domenica alle ore 10.30), dopo quello dedicato al Museo Civico, ci porta a scoprire il mondo della biodiversità con la collezione mondiale degli olivi Olea Mundi. Un tempio naturalistico dove ci sono ben 1200 olivi di 400 varietà diverse con piante che provengono da ben 21 paesi del mondo. E qui che il CNR di Perugia e il Parco Tecnologico Agroalimentare dell’Umbria 3-A, studiano il comportamento di queste piante e tutto il loro mondo.
Il tartufo e i salumi di Norcia, i formaggi di Vallo di Nera, i vini di Montefalco, Torgiano e Corciano, così come l’olio di Castiglione del Lago, di Lugnano in Teverina eTrevi: l’Umbria da gustare.
Nulla rappresenta l’Umbria come la varietà e la genuinità dei prodotti enogastronomici: legumi e cereali, ma soprattutto il frutto delle trasformazioni operate dall’uomo – formaggi, salumi, prodotti panificati, olio, vino. Una rosa di alimenti che, soli, rappresentano una regione estremamente legata alla terra, perfetta espressione del paesaggio che la caratterizza.
Una convinzione diffusa vuole che i cosiddetti piatti tipici siano anche antichi, frutto di una lunga tradizione locale e rurale. In realtà, i cibi giunti fino a noi dal passato sono benpochi: sicuramente non figurano tutti quegli ingredienti provenienti dal Nuovo Mondo – patate, pomodori, mais, fagioli, cioccolato – che in Europa trovarono larga diffusione solo dal 1800 e che pure costruiscono l’elemento principale di piatti definiti locali o rurali. Anzi, molti di questi prodotti erano appannaggio delle classi più abbienti, che però erano solite gustarsi pietanze molto ricche e speziate, frutto di cotture multiple, in cui venivano occultati non solo il sapore e l’aspetto naturale, ma anche la tipicità e la logica della stagioni. Così, quella che oggi viene romanticamente considerata tradizione enogastronomica, il realtà non è che il retaggio degli ultimi due secoli, specie del periodo tra le due guerre.
La vera cucina rurale e regionale nasce nel XVIII in Francia, dove cominciano a essere sperimentate preparazioni più semplici ma, paradossalmente, più dotte, caratterizzate da alimenti freschi, verdure, erbe aromatiche e da una separazione ben nettatra i sapori. Prima che il nostro orgoglio nazionale ne esca ferito, c’è da specificare che i nostri connazionali parteciparono a questa rivoluzione proponendo una cucina ancor più garbata e semplice, ponendosi per la prima volta il problema dell’identità culinaria e delle tradizioni locali. Lentamente nacquero i primi ricettari, dove la nuova gastronomia francese o francesizzante si mescolava alla cucina popolare delle occasioni solenni – feste, riti propiziatori, occasioni di aggregazione legate a particolari momenti dell’anno. Si sa, il cibo da sempre stimola i rapporti umani, al punto che eventi come la vendemmia, la battitura del grano, la raccolta dello olive o l’uccisione del maiale si traducevano in occasioni di convivialità, veri e propri esempi di compenetrazione tra territorio e enogastronomia.
Il maiale e il tartufo
I ricchi, abituati alla cacciagione, consideravano il maiale cibo da poveri. In realtà, le famiglie che potevano permetterselo, si assicuravano nutrimento per un anno: il maiale, insieme ai suoi derivati, era un ottimo ricostituente per i contadini provati dalle fatiche agricole. Norcia, famosa oggi come allora per la presenza dei norcini, è stata da tempo associata ai salumi grazie all’uso attento delle tradizionali tecniche di lavorazione della carne – peraltro mutuate sulle procedure dei chirurghi preciani, veri e propri pionieri nel trattamento dei mali che da sempre affliggono l’uomo. Tra i prodotti più celebri spicca il Prosciutto di Norcia IGP, ma non mancano insaccati e prodotti caseari – si pensi alla grande mostra mercato Fior di Cacio, che anima il borgo di Vallo di Nera con degustazioni, cooking show, laboratori per bambini e con la maxi ricotta presentata dai Cavalieri della Tavola Apparecchiata – spesso arricchiti anche dal tartufo che, proprio a Norcia, veniva un tempo cacciato con le scrofe, attirate dall’androsterone presente nel tartufo come nel feromone dei maschi. I Romani, che ne erano ghiotti, lo chiamavano funus agens, perché provocava indigestioni mortali, mentre, in epoca moderna, si pensava che avesse delle proprietà afrodisiache, forse proprio per quella stessa analogia tra il maiale e l’uomo da cui a Norcia nacque il mestiere del chirurgo.
Il vino
L’Umbria può vantare ben due DOCG in ambito vinicolo: il Sagrantinodi Montefalco e il Torgiano Rosso Riserva. Montefalco si è caratterizzato fin dal passato per la cura del vigneto, geneticamente poco produttivo – negli anni Sessanta era quasi scomparso – e per la produzione di un vino rosso rubino dipinto anche da Benozzo Gozzoli nel ciclo ispirato alla vita di San Francesco, posto proprio nella chiesa di San Fortunato, nel centro cittadino. Il prodotto di questi uvaggi puri o misti, ma al cento percento provenienti da vitigni autoctoni, trova largo impiego non solo negli abbinamenti, ma anche nella preparazione stessa di primi piatti e cacciagione. Dal canto suo, Torgiano Riserva, che per disposizione del disciplinare deve essere sottoposto ad almeno tre anni di invecchiamento – dei quali sei mesi in bottiglia, di vetro tipo bardolese o borgognotta – è perfettamente indicato per pastasciutte, pollame nobile, arrosti e formaggi stagionati. Viene anche diluito e utilizzato per comporre delle opere inedite: ogni anno, gli artisti di Torgiano dipingono infatti i vinarelli, sorta di acquerelli color borgogna venduti per sostenere le attività culturali del borgo.
Tutte queste roccaforti di produzione sono comprese in specifici itinerari, la cui chiave di volta è l’eccellenza: Torgiano è compreso sotto la Strada dei Vini Cantico, mentre l’AssociazioneStrada del Sagrantino abbraccia Montefalco e le sue colline.
Ma i percorsi non finiscono qui: la Strada del Vino Colli del Trasimeno comprende, ad esempio, i borghi di Corciano – definita anche città del pane per la sua lunga tradizione produttiva ma, prima di tutto, animata dall’annuale Castello diVino, ricco di concorsi a tema e degustazioni – e Castiglione del Lago, famosa anche per la regina in porchetta, la carpa del lago aromatizzata al prosciutto.
Non possiamo certo dimenticarci del vin santo, produzione che risente della vicina Toscana, ma che a Citerna trova, nella sua variante affumicata, la denominazione di Presidio Slow Food. Essendo questa una zona da lungo tempo votata alla coltivazione del tabacco, per ottimizzare gli spazi sia le foglie sia i grappoli venivano appesi alle travi, in modo che entrambi potessero seccarsi grazie ai camini o alle stufe. Il fumo che, inevitabilmente, si sprigionava, finiva per donare alle uve quel tipico retrogusto di affumicatura che ancora oggi caratterizza la produzione citernese.
L'olio
L’Umbria e il suo cuore verde sono stati declinati in modi innumerevoli: dalle foreste all’ombra che esse generano, il nome stesso della regione parla di vegetazione, rigogliosa e fresca. Ma come non pensare al verde-argenteo degli olivi che presidiano i pendii?
Per Trevi passa la fascia olivata, una zona, posta a trecento metri di altitudine e lunga 35 km, iscritta nel catalogo dei Paesaggi Rurali Storici per il modo in cui ha cambiato non solo il paesaggio, rendendolo caratteristico, ma anche le vite degli uomini che da tempo se ne prendono cura. La conseguente produzione di olio la annovera, a buon diritto, tra le Città dell’Olio, tra le quali spicca anche il borgo di Lugnano in Teverina: luoghi in cui la tradizione olivicola fa rima con ambiente, con territorio e con un patrimonio umano da tutelare.
Ma che fa il paio, soprattutto, con un’attività antichissima, testimoniata dagli ultimi baluardi di un tempo che fu: olivi millenari, come quello a Villastrada, nel borgo di Castiglione del Lago, o quello a Bovara di Trevi, vecchio 17 secoli, sul quale sembra che fu decapitato nientemeno che il vescovo Emiliano, poi divenuto santo.
Sulle colline attorno a Lugnano in Teverina, sito a pochi chilometri dal confine tra Umbria e Lazio, sorge un luogo dal nome sinistro quanto evocativo: la Necropoli dei Bambini.
Il macabro ritrovamento
I ben quarantasette infanti morti, ritrovati all’interno di cinque stanze dell’antica villa romana lasciata alla decadenza fin dal III secolo, furono sepolti tutti in un breve lasso di tempo: assunto suggerito dalla loro collocazione, stratificata – tanto da rialzare di ben tre metri il pavimento della villa- ma appartenente al medesimo sito archeologico. I corpicini dei più grandi furono incistati all’interno di anfore riconvertite a tale scopo, mentre i neonati e i feti spesso furono adagiati gli uni sugli altri senza particolari accorgimenti o semplicemente sotto frammenti provenienti dalla villa in rovina.
Uno dei bambini incistati ritrovati nella villa romana di Poggio Gramignano e conservato all’Antiquarium comunale di Lugnano, foto via
Prima di considerare i popoli del tardo impero come dei barbari infanticidi, sappiate che l’ecatombe fu dovuta ad una violenta epidemia. Nel 2016, con la ripresa degli scavi – iniziati negli anni Ottanta – gli archeologi hanno scoperto che in quelle contrade si abbatté la forma più letale di malaria, del ceppo Plasmodiumfalciparum, facendo del Poggio Gramignano di Lugnano la più antica testimonianza di penetrazione della malattia in Europa e nel Mediterraneo.
Il sito
La villa, che appariva come la villa perfecta teorizzata da Varrone, fu riconvertita a necropoli fin dal V secolo. Sebbene non abbia ancora restituito i corpi degli adulti, offre lo stesso reperti di particolare interesse. Oltre a ossa isolate di individui adulti consumati, fin da vivi, dalla malnutrizione e dalla porosi (necrosi del tessuto nervoso), sono stati trovati anche artigli di corvo, parte dello scheletro di un rospo e diversi pezzi scheletrici di cuccioli di cane. Questi ultimi, privi delle tracce degli eventi atmosferici e sparsi lungo tutti i tre metri di profondità dell’accumulo tombale – fatto di corpi, vasellame, terra e cenere – furono senza dubbio smembrati a scopo rituale. Il sacrificio dei cuccioli di cane (di cinque o sei mesi d’età) era infatti collegato al culto di Ecate, divinità sotterranea che aveva il compito di accompagnare i morti nell’Oltretomba, senza contare che lo stesso tipo di sacrificio serviva per purificare le donne abortenti (si ricordino i ben ventidue feti sepolti nella villa). Di tali usanze parla anche Plinio il Vecchio, che collega il soggetto scelto per il sacrificio a Sirio, la costellazione del Cane, astro che sorge in estate, periodo in cui è assodata – almeno in Italia – la recrudescenza delle febbri malariche.
Incursioni pagane
Che questa ecatombe fosse avvenuta in estate lo testimoniano anche alcuni resti carbonizzati dicaprifoglio, un arbusto della macchia mediterranea che fiorisce proprio in quel periodo. È curioso che, in una zona ufficialmente considerata cristianizzata, si siano manifestati tali riti dal sapore nettamente pagano.
Caprifoglio, pianta spontanea della macchia mediterranea che fiorisce in estate, foto via
D’altronde non sappiamo di che etnia o di quale religione fossero gli abitanti di questo insediamento, e neppure se facessero parte di una comunità piuttosto isolata e di basso profilo tanto da riuscire a mantenere la propria indipendenza culturale di fronte alla mano uniformante del nuovo culto cristiano. Non è neanche da escludere che, di fronte a una pestilenza così violenta, quelle povere anime si fossero appellate a culti pressoché ancestrali pur di sopravvivere al morbo che li stava decimando.
Capitoli da riscrivere
Anche il temibile Attila, il famigerato Flagellum Dei che minacciava di saccheggiare Roma nel 452, sembra che avesse desistito di fronte alla prospettiva di spirare sotto le febbri malariche di quelle zone. Stando a quanto scritto nelle Legesnovellae divi Valentiniani (V secolo), tra i motivi che lo portarono a rinunciare ci fu anche una non meglio precisata pestilenza, che ora però potrebbe aver trovato un nome e una collocazione.
L’aria mefitica di quelle zone colpirà anche Sidonio Apollinare, pochi anni più tardi (467 d.C.):
«Poi attraversai le altre città della via Flaminia – una dopo l’altra – lasciando i Piceni sulla sinistra e gli Umbri alla destra; e qui il mio corpo esausto soccombé allo scirocco calabro o all’aria insalubre delle terre toscane dense di miasmi venefici, con accessi ora di sudore ora di freddo. Sete e febbre devastarono il mio animo fino al midollo; invano assicurai alla loro avidità sorsi da piacevoli fontane, da nascoste sorgenti e da ogni corso d’acqua che incontravo, fossero le trasparenze vitree del Velino, le acque gelide del Clitumno, quelle cerulee dell’Aniene, le sulfuree del Nera, le limpide acque del Farfa o quelle flave del Tevere.»(Epistulae, I.5, 8-9)
Non è quindi così strano che Attila, accampato presso l’AgerAmbulejus (l’odierna Governolo, Mantova) avesse deciso di risparmiare Roma – e ciò che restava delle sue stesse truppe. Senza dubbio è un’ipotesi più plausibile rispetto al crocifisso benedetto di Leone I che, secondo la leggenda, spinse il re degli Unni lontano da Roma.
È certo che, in questa storia, superstizione e scienza si intrecciano in maniera piuttosto intrigante, a dimostrazione di quanti e quali demoni una pestilenza possa far sorgere nella mente degli uomini. A onor del vero, c’è da dire che diverse storie dal sapore esoterico sono circolate anche sul conto di Attila. Seppur spregiudicato e impietoso in battaglia, sembra infatti che fosse un uomo semplice e superstizioso –almeno secondo lo storico Prisco di Panion: sembra che, convintosi che la morte di Alarico, re dei Visigoti, fosse strettamente collegata al saccheggio compiuto a Roma nel 410, avesse deciso di girare al largo dalla città per paura di fare la stessa fine.