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Capolavoro di ingegneria idraulica e monumento-simbolo della civiltร  etrusca, tanto studiata quanto misteriosa: questo รจ il Pozzo etrusco, meraviglia architettonica a perenne testimonianza del popolo che fondรฒ Perugia, nonchรฉ oggi sito museale noto in tutto il mondo.

Pozzo etrusco in piazza Danti, foto di Fondazione Ranieri

Lโ€™ingresso della struttura รจ dato dal n. 18 della centralissima Piazza Danti, situata a pochi passi dalla ben piรน nota Piazza IV Novembre, salotto buono della cittร  nota per la magnifica Fontana Maggiore, sulla quale si affacciano Palazzo dei Priori e la cattedrale di San Lorenzo. Allโ€™arrivo il visitatore รจ accolto in un ambiente di raro fascino, ricavato nei sotterranei di palazzo Sorbello, residenza storica cittadina, nonchรฉ sede della Fondazione Ranieri di Sorbello, ente culturale dedicato alla memoria di Uguccione V Ranieri di Sorbello, intellettuale cosmopolita, eroe di guerra, giornalista e studioso di storia locale. Fu proprio per volontร  di Uguccione che, intorno al 1960, vennero condotti i primi rilievi archeologici su quello che per lui era un bene di famiglia da conoscere e preservare, studi che confermarono una realizzazione di mano etrusca, nozione della quale si era persa memoria malgrado lโ€™uso continuativo da parte della popolazione locale nel corso dei secoli.
Nella sala dโ€™accoglienza, un video introduttivo costituisce il vero biglietto dโ€™accesso alle meraviglie dellโ€™ingegneria idraulica etrusca: il Pozzo etrusco รจ un colosso millenario, risalente alla seconda metร  del III secolo a. C., che pesca nel terreno per ben 37 metri a partire dallโ€™attuale livello stradale. Ancora oggi il pozzo รจ attivo (anche se non piรน utilizzato come fonte di acqua potabile), alimentato dalle stesse tre sorgenti sotterranee da piรน di duemila anni.

 

Passerella interna del pozzo

Il pozzo appartiene una classe di opere di ingegneria diffuse ovunque, con la medesima finalitร , anche se non sempre con le stesse forme che, nel caso specifico di questa struttura, assumono dimensioni ragguardevoli: dai vari rilievi speleologici svolti nel corso degli anni รจ stato appurato avere una dimensione, complessiva di 424 metri cubi arrivando a contenere (a massimo regime) fino a 424.000 litri di acqua.
Lโ€™opera รจ costituita da una canna cilindrica che si allarga a formare una grande cisterna per la raccolta dellโ€™acqua, avente un diametro di 5,60 metri e unโ€™altezza di 12. La parte superiore di questo ambiente รจ sicuramente uno dei punti forti della visita al Pozzo: la cisterna รจ infatti rivestita da grandi blocchi di travertino proveniente dalle cave di Ellera (8 km da Perugia), materiale utilizzato anche nella costruzione delle monumentali mura etrusche di Perugia.

 

pozzo etrusco_perugia

Travature, foto di Fondazione Ranieri

 

Anche la copertura superiore del pozzo, retta da grandi lastre collocate trasversalmente e sorrette da travature in pietra posizionate ad incastro senza uso di malta a formare due capriate del peso di 80 quintali lโ€™una, รจ realizzata in travertino. Questa omogeneitร  di materiali e tecniche costruttive riscontrata tra il pozzo e le mura etrusche di Perugia, ha consentito di ipotizzare che questo sia stato realizzato fin dal principio come opera pubblica.
La presenza di scanalature rilevate sulla superficie dei blocchi di travertino della copertura superiore ha lasciato supporre che per la raccolta dellโ€™acqua dovette essere inizialmente utilizzato un sistema piuttosto semplice come lโ€™impiego di secchi legati a una fune. Un sistema a carrucola centrale sarebbe stato adottato solo in seguito, con la realizzazione della vera che ancora oggi indica il pozzo a livello stradale. Nel 1768, a chiusura dellโ€™imboccatura della vera venne realizzata una graticciata di ferro, sulla quale vennero apposti due stemmi gentilizi, anch’essi in ferro, relativi a due delle famiglie nobili proprietarie di Palazzo Sorbello: i conti Eugeni e i marchesi Bourbon di Sorbello.

 

Sala Carlo III – Casa Museo di Palazzo Sorbello

 

La Fondazione Ranieri di Sorbello, che gestisce il Pozzo etrusco dal luglio 2016, ha nel tempo portato avanti una serie di operazioni volte a migliorare lโ€™esperienza del visitatore mediante progetti mirati di restauro e miglioria, volti a potenziare tanto la narrazione quanto la fruizione della struttura; a questo si affianca una fruttuosa collaborazione con altre strutture museali cittadine dedicate allโ€™archeologia etrusca, come il Museo del Capitolo di Perugia, punto di partenza del percorso alla scoperta della Perugia Sotterranea: viaggio allโ€™interno delle stratificazioni architettoniche dellโ€™acropoli dellโ€™antica Perusna (nome etrusco di Perugia).
La storia a Perugia affonda le sue radici in profonditร , proprio come il Pozzo etrusco: un monumento che, con la sua peculiaritร  costruttiva, ci parla di unโ€™epoca lontana permettendo ancora oggi di coglierne lโ€™atmosfera.

 


Per informazioni su giorni e orari dโ€™apertura consultare il sito: www.pozzoetrusco.it
รˆ stata aggiornata la voce Wikipedia relativa al Pozzo etrusco, consultabile allโ€™indirizzo: https://it.wikipedia.org/wiki/Pozzo_etrusco

Ho sempre amato i film d’avventura. Quei film dove il protagonista trova una mappa del tesoro e parte alla scoperta di cittร  fantastiche nascoste tra foreste o montagne.

Sono stato sempre attratto dalla voglia di scoprire e mi buttavo a capofitto nella visione di film come All’inseguimento della pietra verde o I
predatori dell’arca perduta. Ci metto di mezzo anche i videogiochi, e come non innamorarsi di Lara Croft che risolveva misteri tra le antiche rovine in Tomb Raider?
รˆ un po’ cosรฌ che mi sono sentito quando mi sono ritrovato per la prima volta in questo gigantesco complesso industriale di inizio Novecento, stretto e abbandonato tra le montagne dell’Appennino umbro. Ero Michael Douglas che si muoveva tra le piante della giungla e allo stesso tempo ero Harrison Ford che evitava una trappola con il suo fedele cappello. Mi ero immerso completamente nella parte perchรฉ, complice il mio divagare con la mente e l’atmosfera che si respirava appena entrati, la sensazione era proprio quella.

 

Papigno

Foto di Giulio Rosi

 

Quello che si mostrรฒ davanti a me e ai miei amici era un alternarsi di piante ed edifici di inizio secolo che, scendendo, ci portavano nel cuore di quello che era il fulcro di tutta la centrale. Con quei vecchi ganci con le date in risalto – 1907 – funi d’acciaio e ponti, vasche e pozzi, edera e pietre, il complesso si allargava e mostrava tutti gli stabilimenti costruiti successivamente. Grandi, imponenti, abbandonati a se stessi. Ogni volta che entro in un posto cosรฌ ho sempre la stessa sensazione: mi sembra che il tempo si sia fermato improvvisamente e che tutto ciรฒ che c’era intorno sia fuggito all’improvviso. รˆ per il fatto che sedie, tavoli, fogli di carta con date, numeri, nomi, sono lasciati lรฌ come se un giorno io mi alzassi dalla mia scrivania e me ne andassi per sempre.

 

Foto di Giulio Rosi

Ed era cosรฌ anche lรฌ, con la potenza visiva che la stanza delle turbine riuscรฌ a trasmettermi con la sua struttura a V, i macchinari spolpati dai ladri di metalli, i suoi inquietanti graffiti che perfettamente si incastonavano, rendendo il tutto una sorta di tempio decaduto della modernitร .

 

Foto dell’autore

Papigno

Foto dell’autore

 

Ma lo stupore piรน grande, quello capace di disorientarmi completamente e di scuotermi, fu quando entrammo nei capannoni centrali. Questi, dei padiglioni giganteschi sicuramente piรน recenti rispetto al resto della centrale, ospitano da decenni diversi set cinematografici, tra
cui spiccano su tutti quelli della Vita รจ bella e Pinocchio. Per un appassionato di cinema come me trovare un intero paese dei balocchi, con le sue giostre, le sue case appariscenti, i volti dipinti di donne e uomini in vestiti sontuosi, le chiese vuote di legno e le case popolari dipinte a mano, รจ stato un immenso stupore. Un meccanismo svelato di quello che รจ il cinema, di quel cinema costruito a mano a cui normalmente non pensiamo. Le scenografie immense, come la stazione dei treni che arrivava fino in cima al capannone, alta oltre dieci metri e piena di polvere.

 

Foto dell’autore

Foto dell’autore

 

Girando lรฌ e scattando le mie foto in un religioso silenzio, ho pensato alla storia di quel posto. Sapevo dell’esistenza di un progetto voluto da piรน parti che voleva un prestigioso studio cinematografico qua in Umbria. Ci si รจ provato per piรน anni: prima Benigni, poi la stessa Cinecittร , che ha investito per costruire gli Umbria Studios, ma ora avevamo tutto ciรฒ di fronte a noi, tra polvere e incuria.
La sede degli studios รจ composta da palazzi nuovissimi, costruiti sempre all’interno del complesso. Entrando lรฌ non si respirava la stessa aria decadente di prima, non c’erano macerie sparse o vetri rotti, solo mobili vuoti e fogli sparsi ovunque. Non รจ stato difficile imbattersi in sceneggiature lasciate lรฌ, vestiti di scena o schede di gente che voleva fare l’attore. I loro visi, le loro esperienze pregresse, le loro speranze racchiuse in fogli gettati a terra all’interno di quel posto dimenticato.
Prima di andarmene chiesi agli altri di ripassare un attimo all’interno del paese dei balocchi. Ho ripensato di nuovo al sogno di creare qualcosa d’importante e poi ho visto l’edera che filtrava dalle fessure sul cemento.
Me ne sono andato cosรฌ. Tornandomene a casa ho ripensato poi – sempre rimanendo in campo cinematografico – ai film d’avventura che tanto mi piacciono. Ho riflettuto sul fatto che anche loro, i grandi esploratori, ogni volta alla fine del film se ne tornano a casa con nulla.
Trovano la cittร  fantastica e poi, una volta lรฌ, devono fuggire e abbandonarla senza avere la possibilitร  di farla conoscere al mondo.
Un senso d’incompiuta meraviglia: era questo che, facendo le dovute proporzioni (mi manca il cappello di Indiana Jones), provavo anche io nella mia auto mentre me ne tornavo a casa.

 

Foto dell’autore

La passione e l’attenzione dei poeti e degli scrittori stranieri per il nostro paese รจ immutabile nel tempo. Basti pensare a Cechov, Gogol, Keats che hanno condiviso i loro successiย  letterari con le maggiori cittร  italiane.

Augustus Hare

I romantici inglesi preferirono la Toscana: spesso venivano apostrofati come gli anglobeceri per quel loro buffo accento inglese nel parlare il fiorentino. Anche l’Umbria รจ stata meta e soggiorno di illustri personaggi forestieri. Nel 1786 J.W. Von Goethe arrivรฒ in Umbria da Firenze e ne rimase incantato. Lord Byron nel 1817 soggiornรฒ a Foligno e a Campello sul Clitunno, di cui rimane entusiasta come per il lago Trasimeno e le cascate delle Marmore.

Ma c’รจ da dire che anche quelli considerati minori hanno avuto un feeling particolare con il nostro Paese. L’irascibile poeta W.S. Landor visitรฒ Firenze e la Montagna pistoiese, il filologo tedesco Rudolf Borchardt, Lucca. Sua figlia Corona Borchardt coniugata Abbondanz,a tra l’altro รจ vissuta ed รจ morta a Perugia nel 1999.ย  Il filosofo francese Ernest Renan affermรฒ che ยซl’Umbria รจ troppo trascurata nei viaggi e nella storiaยป. Arriviamo cosรฌ al semisconosciuto Augustus John Cuthbert Hare (1834-1903), scrittore e narratore inglese, considerato l’ultimo vittoriano. Autore nella seconda metร  dell’Ottocento del libro Cities of Northern and Central Italy, fa una dettagliata descrizione di Spello che espongo in alcuni dei passi piรน significativi con traduzione non letterale.

Capitolo LXIV

ยซSpello may be made an excursion from Assisi or Perugia, or may be taken on the way to Folignoยป.
(Spello puรฒ essere un’escursione proveniendo da Assisi o Perugia, o come sosta sulla via per Foligno).

ยซThere are 4 trains daily in 20 minยป.
(Ci sono 4 treni giornalieri e in 20 minuti arrivi a Foligno).

ยซWe find this town in inscrptions bearing the titles of Colonia Julia Hispelli and Colonia Urbana Flaviaยป.
(In questa cittร  abbiamo trovato due scritte: Colonia Julia Hispelli e Colonia Urbana Flavia).

ยซThere are remains of a Roman Amphitheatre in the plain below the town and one of the Roman gatesยป.
(Ci sono resti di un Anfiteatro romano nella piana sottostante la cittร  e una porta romana).

Veduta di Spello

ยซThe chief interest of Spello arises from its connection with the history of art. In 1501 Pinturicchio was employed here on noble frescoes witch still remainยป.
(L’interesse principale di Spello รจ connesso con la storia dell’arte. Qui lavorรฒ Pinturicchio nel 1501 su affreschi tuttora presenti).

ยซThe collegiate Church of S. Maria Maggiore contains noblest work of the masterยป.
(La chiesa collegiale di Santa Maria Maggiore contiene tra i piรน nobili lavori del maestro).

ยซThe Franciscan Church of St. Andrea contains a noble picture of Pinturicchio 1508ยป.
(La chiesa francescana di Sant’Andrea ospita un nobile dipinto di Pinturicchio del 1508).

ยซSteep and tortuose streets lead up to the hill top, whence there is a beautiful viewยป.
(Strade ripide e tortuose conducono in cima alla collina dove c’รจ una bellissima vista).

ยซSpello was the seat of a bishopric till the 6th century, when it was removed to Folignoยป.
(Spello รจ stata sede di vescovado fino al VI secolo).

 

A parte la descrizione delle strade ripide che conducono a una bellissima vista dove sembra che Augustus Hare si lasci andare a una sensazione di benessere, quello che emerge รจ una descrizione forse un po’ troppo fotografata del viaggiatore. La descrizione oggettiva del luogo non dร  sufficientemente spazio a quella soggettiva fatta di riflessioni, sentimenti e stati d’animo.
Maggiori emozioni le avrร  avute durante la visita di Assisi o nella successiva di Foligno che inizia a descrivere come The town is walled now… ma questa รจ un’altra storia.

ยซIn forma dunque di candida rosa che si mostrava la milizia santa (โ€ฆ) nel gran fiore discendeva che sโ€™addorna di tante foglie, e quindi risaliva lร  dove โ€˜l suo amor sempre aggiornaยป. (Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, Canto XXXI, vv. 1- 2 e 10-12)

I rosoni, veri ricami di pietra posti sulle facciate delle chiese, attraverso i loro decori filtrano la luce divina, trasformandosi in fasci colorati che illuminano le navate.
Il rosone รจ una ruota a raggi che simboleggia, secondo la tradizione cristiana, il dominio di Cristo sulla terra. รˆ presente sull’asse dellaย navata principale, talvolta anche di quelle secondarie o in corrispondenza diย cappelle o bracci trasversali. La forma circolare e la gamma cromatica hanno permesso aiย maestri vetraiย di creare opere d’arte sacra raffigurando, sotto forma diย icona, i passi piรน significativi delย Vangelo. Il rosone rappresenta la ruota della Fortuna: Dante stesso la definisce come un’Intelligenza angelica che ha sede nell’Empireo e che opera fra gli uomini attraverso un progetto divino. Il rosone ยซesplicita chiaramente la ciclicitร  della fortuna umana e confina il tempo degli uomini nell’incommensurabilitร  del tempo di Dioยป.[1]

 

Basilica di San Benedetto, Norcia, prima del terremoto.

 

Il suo nome, in uso dal XVII secolo, รจ un accrescitivo del termine di derivazione latinaย rosa, che ne suggerisce la somiglianza con la struttura del fiore. La rosa, la cui freschezza e bellezza suggerisce un simbolo etereo, richiama inoltre il calice di Cristo.[2]
Nella Divina Commedia, nel XXXI canto del Paradiso, Dante evoca la rosa celeste che raccoglie in paradiso la cerchia dei beati ammessi a contemplare Dio. Il rosone รจ in stretta relazione con il cerchio, simbolo di perfezione e quindi di Dio, ma allo stesso tempo รจ anche il simbolo del labirinto, il quale รจ creato dai tanti motivi vegetali presenti al suo interno. Il labirinto richiama la ricerca interiore e il viaggio iniziatico. Esso cosรฌ rappresenta un anello di congiunzione tra il mondo umano e quello divino.

Chiesa di San Francesco. Norcia

Un percorso attraverso la Valnerina

L’Umbria, terra di profondo misticismo e spiritualitร , cela nel suo territorio le orme dei santi che hanno cambiato il volto del Cristianesimo. Fu infatti, sulle verdi colline e altopiani di Norcia che trovรฒ la fede San Benedetto. Nel centro storico della cittร  sorge la Basilica di San Benedetto, costruita presso la casa natale del santo e poi ampliata nel XIII secolo. La facciata, con un profilo a capanna, presenta nella parte inferiore un portale strombato ed รจ arricchita nella parte superiore da un rosone, decorato con foglie di acanto e accompagnato dai simboli dei quattro evangelisti. Purtroppo la basilica รจ stata profondamente danneggiata durante il terremoto del 2016, ma facilmente si puรฒ intuire il suo antico splendore.
Di notevole interesse artistico e architettonico รจ la chiesa di San Francesco a Norcia, edificata interamente in pietra bianca e portata a termine dai francescani conventuali. Pregevole รจ il grande rosone che domina la facciata: una cornice realizzata con rosette e archi a tutto sesto, come un vero ricamo, trafora la dura pietra, rivelando il suo profondo significato attraverso il vuoto della materia ma pieno invece della luce divina.
A pochi chilometri dalla patria di San Benedetto, a Preci, si erge lโ€™Eremo di Sant’Eutizio.

La parte piรน antica dell’abbazia risale al IX secolo e nel 1190 fu completata per volere dell’abate Tendini I. L’abbazia ammalia lo spettatore poichรฉ รจ interamente edificata su un terrazzamento tra la scogliera e la vallata sottostante. Il rosone, vero gioiello della scultura, prevale sulla struttura della chiesa. รˆ un grande cerchio contornato dai simboli degli evangelisti, tipico dellโ€™architettura romanica, ma in se reca anche frammenti scultorei altomedievali.[3]

Abbazia Sant’Eutizio. Preci

Non molto distante da Norcia un altro eccelso rosone, piรน minuto dei precedenti, sovrasta e domina la facciata della chiesa di Santa Maria Assunta a Vallo di Nera. La chiesa risale al 1176 e presenta una facciata con pietre conce tipicamente romaniche. A contraddistinguerla รจ un portale gotico a ogiva ornato da capitelli e fregi e nella parte superiore un rosone scandito da dodici colonnine perfettamente in linea, il quale sembra essere riassorbito nel paramento murario.

Cittร  profondamente legata alla spiritualitร , ma anche al simbolo del rosone e quindi alla rosa รจ sicuramente la cittร  di Cascia, centro religioso legato alla figura di Santa Rita. Si erge in questo borgo la chiesa di San Francesco, presso la quale nel 1270 fu sepolto il Beato Pace francescano. Elemento di spicco della facciata, opera di maestri comacini, รจ il raffinato rosone, molto particolare poichรฉ รจ dato dall’ingranaggio delle due ruote contrapposte che creano un effetto dinamico di rotazione. รˆ composto da diciotto colonne con capitelli e diciotto archetti trilobati, i quali convergono verso il centro nel quale รจ presente la Madonna con il Bambino. Tutto intorno foglie d’acanto richiamo motivi classici. La delicatezza

Chiesa di San Francesco, Cascia

dell’intarsio rende questo rosone un vero capolavoro dell’arte scultoree regionale.

L’Appennino umbro รจ il custode silenzioso delle tracce di santi e pellegrini fondatori di eremi e cenobi ispirati alle regole della povertร , solitudine e semplicitร . A Sant’Anatolia di Narco la leggenda narra che passarono san Mauro, suo figlio Felice e la loro nutrice. Visto la loro condotta di vita, la popolazione gli chiese aiuto per essere liberati da un drago che infestava quei luoghi. San Mauro, grazie all’aiuto divino, affrontรฒ e uccise il drago. L’episodio della liberazione รจ raffigurato nel fregio della facciata. In essa รจ presente anche il rosone, tra i piรน interessanti esempi di scultura romanica umbra, a due ordini di colonne, iscritto in un quadrato con i simboli apocalittici. Il quadrato รจ delimitato da una fascia a mosaico a stelle. La simbologia della facciata รจ esemplare: il rosone rappresenta Cristo che porta luce nel mondo, identificata con la Chiesa, attraverso la voce dei quattro evangelisti che ne hanno permesso la conoscenza.[4]

Infine, un rosone molto particolare รจ sicuramente quello della chiesa di San Salvatore di Campi di Norcia, una delle testimonianze piรน importanti del territorio della Valnerina. I tragici eventi sismici del 2016 hanno portato al crollo di gran parte dell’edificio e alla distruzione del campanile risalente al XVI secolo. Le pareti rimaste sono state consolidate per rimettere in sicurezza le porzioni di affreschi che verranno reintegrate nelle parti recuperate. La chiesa, immersa nelle colline umbre, รจ un raro esempio a due navate, con due porte di accesso e due rosoni, oltretutto non allineati rispetto alla linea del tetto. Particolarmente interessante รจ la grande ghiera esterna del rosone, scolpita con tralci d’acanto disposti secondo un sinuoso movimento rotatorio a spirale.

 

Chiesa San Salvatore. Campi

Basiliche, abbazie e piccole chiese, immerse in vallate verdeggianti tipicamente umbre, luoghi magici e mistici allo stesso tempo, ma anche guide essenziali che aiutano il visitatore, spettatore o eremita a cogliere la parte piรน pura e profonda dell’Umbria. Questi e tanti altri luoghi restituiscono gioielli preziosi di un tempo passato.
Purtroppo molti di essi sono stati profondamente colpiti dal sisma di alcuni anni fa, ma molto spesso l’arte e la bellezza vincono il silenzio che scende sulle macerie, riportando questi luoghi alla loro antica bellezza.

 


[1] Claudio Lanzi,ย Sedes Sapientiae: l’universo simbolico delle cattedrali, Simmetria edizioni, Roma, 2009, pag. 162.โ‡‘
[2] M. Feuillet, Lessico dei simboli cristiani, Edizioni Arkeios, Roma, 2006, p. 97-98.โ‡‘
[3] L. Zazzerini, Umbria Eremitica. Ubi silentium sit Deus, Edizioni LuoghInteriori, Cittร  di Castello, 2019, pp. 124-131.โ‡‘
[4] L. Zazzerini, Umbria Eremitica. Ubi silentium sit Deus, Edizioni LuoghInteriori, Cittร  di Castello, 2019, p. 109.โ‡‘

Prima del Coronavirus venne la peste. Veniva da est, era arrivata seguendo la via della Seta e giunse in tempo per essere raccontata da Boccaccio nel 1348. Poi si ripresentรฒ nel 1630 per dare a Manzoni lโ€™occasione di scrivere molte belle pagine.

Tra le due pesti letterarie ce ne fu unโ€™altra nel 1527 che non ebbe cantori, ma che fece strage egualmente. Questa arrivรฒ da nord, da quella zona che sarebbe diventata la Germania. Attraversรฒ le Alpi con i lanzichenecchi, mercenari al seguito dellโ€™imperatore Carlo V, che li aveva arruolati ma non sempre li pagava. Erano luterani, erano violenti e carichi dโ€™odio verso i cattolici papisti e soprattutto verso Roma, dove cโ€™era il Papa e, con il Papa, la corruzione della Chiesa. Poi – per inciso – era piena di ricchezze e di opere dโ€™arte di valore. Entrati in cittร  si abbandonarono a violenze e stupri, devastarono case e palazzi, rubarono tutto quello che riuscirono a rubare. Fu una strage.
Alla fiine se ne andarono. Erano entrati il 6 maggio 1527 quando Roma contava circa 100.000 abitanti. Se ne andarono a febbraio 1528 lasciando 30.00 morti. Non era finita lรฌ.

 

strade romane

La via Amerina

L’epidemia passa per l’Umbria

Se ne andarono, ma a Roma lasciarono la peste, che si portรฒ via altre 20.000 persone. Se ne andarono per tornare in Germania seguendo il percorso della via Amerina, che li avrebbe portati fino in Umbria. Loro risalivano e la peste li seguiva. Le persone morivano a migliaia e anche i lanzichenecchi si ammalavano e morivano, ma non abbastanza. Quelli rimasti hanno continuato a infierire e devastare. Le soldataglie germaniche sul loro percorso incontrarono Nepi ed entrarono da Porta Nica marciando sul basolato romano della via Amerina. Ai Nepesini fu riservato lo stesso trattamento che giร  aveva sperimentato Roma, peste inclusa.
Poi continuarono a risalire, attraversarono il Tevere; alcuni deviarono verso Narni e ne fecero scempio. Altri andarono verso Viterbo, ma poi tutti ripresero il percorso della via Amerina. La strada collegava Amelia, Todi e Perugia e sul suo percorso si affacciavano borghi e castelli di proprietร  di due famiglie rivali: gli Atti guelfi, filoimperiali, e i Chiaravalle, ghibellini e sostenitori del papato. Collicello fu il primo. Le mura rimasero in piedi e ancora sfoggiano otto torri. Poi continuarono per Avigliano, che godeva di una posizione strategica a metร  strada tra Todi e Amelia. Dopo toccรฒ a Montecastrilli, che era sotto la diretta protezione del Papa. Ultima fu Casalina, di proprietร  del monastero di San Pietro a Perugia.

 

Lanzichenecchi, mercenari al seguito dellโ€™imperatore Carlo V

 

I lanzichenecchi infierirono sulla popolazione e portarono via tutto quello che li poteva sfamare e tutto quello che era di valore. Se ne andarono e fu la fame per i sopravvissuti. Poi cominciรฒ la peste, che non si diffuse in maniera drammatica come a Roma. Il merito era dovuto allโ€™involontario distanziamento sociale. Quei piccoli borghi erano lontani lโ€™uno dallโ€™altro, arroccati su colline e dossi che si guardavano a vista, per sicurezza e soprattutto per le rivalitร  politiche tra le due grandi famiglie. Gli abitanti erano pochi e, dopo il passaggio dei soldati, ne rimasero ancora meno. La peste ne portรฒ via pochi: si puรฒ dire che fu piรน benevola dei lanzichenecchi.
Per i piccoli borghi non era ancora finita. Dopo i lanzichenecchi, dopo la fame e dopo la peste, li attendeva unโ€™altra una terribile prova: la carestia. Se le pietre potessero parlare, quei borghi avrebbero storie terribili da raccontare. Adesso sono ancora lรฌ con i loro castelli e le loro mura, immersi nel silenzio della vecchia via Amerina. Immersi nel verde dellโ€™Umbria.

Beccati Questo e Beccati Quest’altro!

Sembra di ascoltare una canzonatura tra ragazzi che si prendono in giro durante le fasi di un loro gioco, in realtร  sono i nomi un po’ bizzarri di due torri medievali di avvistamento che si trovano in Val di Chiana, nei pressi del confine umbro-toscano, tra il lago Trasimeno e quello di Chiusi.
La Torre di Beccati Questo, ottagonale, รจ stata costruita nel 1279 nel territorio del Comune di Chiusi (SI) in adiacenza al confine con il territorio umbro, a testimonianza di una forte presenza dei senesi in Val di Chiana.
Qualche anno dopo, i perugini costruirono la Torre di Beccati Quest’Altro o Quello a pianta quadrata, nel territorio del Comune di Castiglione del Lago (PG), contrapposta a quella dei rivali toscani.

 

torre_toscana

La Torre di Beccati Questo

 

I singolari nomi alle due roccaforti sono stati assegnati in memoria dei due drappelli militari delle opposte fazioni che le presiedevano e che, ogni giorno, si canzonavano dalle due torri dirimpettaie.
I due fortilizi non hanno mai partecipato direttamente a scontri militari, ma sono stati utilizzati soprattutto come stazioni di gabella per lo scambio di merci e il passaggio di persone.
Questo fatto mi riporta alla mente la scena del film Non ci resta che piangere, con i magnifici Roberto Benigni e Massimo Troisi che interpretano la celeberrima scena: ยซChi siete? … Cosa portate? Si ma quanti siete?… Un fiorino!ยป. Memorabile!

 

torre_umbria

Torre di Beccati Quest’Altro o Quello

Torri sommerse

Papa Sisto V nel XVI secolo fece deviare i torrenti Rio Maggiore e Tresa dal Trasimeno alla Val di Chiana, per cercare di attenuare le piene spondali del Lago e riversare le loro portate verso la Chiana, rendendola maggiormente paludosa e costituendo cosรฌ un ulteriore baluardo difensivo contro le mire espansionistiche toscane.
Quindi il terreno dove fu eretta quella senese, fu soggetto nel tempo a impaludamento: ai giorni nostri, la torre emerge per meno di due terzi della sua altezza, perchรฉ una buona parte รจ rimasta sepolta dalle colmate per la bonifica chianina, iniziata verso la fine del 1700.
Le due Torri non sono visitabili internamente, ma nel loro complesso ambientale sono molto suggestive: aiutano a immaginare cosa succedeva lรฌ qualche secolo fa e forse potremmo ancora sentire, con un po’ di fantasia, qualcuno che ci dirร  ยซChi siete? … Cosa portate? Si ma quanti siete?… Un fiorino!ยป

Il colle sul quale sorge Vallo di Nera, dominante sulla fertile valle irrigata dal Nera e protetto da monti boscosi, fu abitato sin da tempi remoti.

Chiesa di Santa Maria Assunta, foto di Enrico Mezzasoma

 

Agli inizi del III secolo avanti Cristo, dopo la conquista romana del territorio, lโ€™ukar, lโ€™antica arce umbra, divenne un uicus fortificato a guardia dellโ€™importante via di comunicazione che segue il corso del fiume Nahar, lโ€™attuale Nera: ne รจ la riprova il toponimo vallum, termine che letteralmente indica il fossato difensivo tipico delle antiche fortificazioni. Agli inizi del Duecento lโ€™assetto urbanistico del borgo, chiuso nella cinta turrita, assunse la fisionomia che ancora oggi, in buon parte, conserva e che ha elevato Vallo di Nera al rango di borgo bandiera Arancione.
Tra le imponenti torri medioevali, nei silenzi arcani del colle Flenzano su cui sorge il castello, si cela uno dei santuari piรน suggestivi della Valnerina: la Chiesa di Santa Maria Assunta, di epoca imperiale. La facciata del tempio, sulla quale campeggia un rosone scandito da 12 colonnine, nasconde lโ€™interno articolato in unโ€™unica navata, originariamente coperto con volte a crociera. Sebbene il tempo e gli interventi succedutisi nel corso dei secoli ne abbiano, in parte, mutato la fisionomia, un recente restauro ha restituito agli affreschi il loro antico splendore. I committenti, i cui nomi accompagnano le pitture, sovrapponevano nuovi dipinti ai precedenti documentando lโ€™intensitร  e la persistenza dโ€™una devozione iniziata con le prime communitates cristiane insediatesi sul territorio. Preghiere plasmate in figure, invocazioni solidificate nelle terre delle tempere che chiedono a Dio, mediante i santi intercessori, la salute per il corpo โ€“ a fulgore et tempestate, a peste fame et bello, libera nos Domine โ€“ e implorano la salvezza per lโ€™anima โ€“ e salutare tuum da nobis.

 

dipinto_chiesa Valnerina

Martirio di Santa Lucia

Un tour all’interno

Lโ€™interno della chiesa, partendo dalla parete sinistra della navata, ospita il Martirio di Santa Lucia, attribuito aย Cola di Pietro daย Camerino: la vergine รจ avvinta a due pariglie di buoi per essere trascinata in un postribolo, ma le bestie non riescono a smuoverla. Due aguzzini la tengono ferma per le spalle mentre il carnefice le affonda nella gola una daga. Dietro il magistrato Paschasius, una gamba sullโ€™altra e in contrasto coi corrucciati personaggi che lo circondano, assiste divertito alla scena. A destra dallโ€™altare – risalente agli inizi del Seicento – nel registro inferiore, da un affresco cinquecentesco che raffigura una Madonna del Latte tra San Gregorio Magno e un porporato, sโ€™affacciano due Vergini col Bambino, una delle quali intenta ad allattare. A essa si rivolgevano le madri per implorare lโ€™abbondanza del prezioso nutrimento.

 

Dormitio della Vergine

 

Indugiando ancora sulla destra dellโ€™altare, campeggiano le figure di due martiri: Barbara, protettrice del fuoco celeste, e Caterina dโ€™Alessandria. In prossimitร  del grande arco, nel registro inferiore, una piccola Madonna di scuola riminese sorregge il Figlio teneramente proteso a baciarle il volto. Sullโ€™abside tuonano le figure austere dei Santi Antonio Abate e Cristoforo. Nellโ€™abside, sulla parete di sinistra, in alto, la Dormitio della Vergine, attorniata dai 12 apostoli. Cinque angeli ne cantano le lodi, mentre altri quattro lโ€™elevano al cielo circonfusa di luce. Particolare menzione merita la scena raffigurante la Fuga in Egitto: due angeli guidano Giuseppe che reca in spalla un bastone a cui sono appesi un otre e due pani, Maria cavalca unโ€™asinella e un garzone sprona la bestia. Sullo sfondo, la pianta carica di frutti che, nella leggenda apocrifa volgarizzata da Jacopo da Voragine, abbassรฒ i rami per rifocillare la Vergine.

 

Fuga in Egitto

 

Tornando alla navata, sulla parete di destra, sono affrescati undici santi, tra i quali San Giuliano in vesti militari e Santโ€™Antonio Abate: San Giuliano forte, liberaci da mala morte, da foco ardente e da acqua corrente, cosรฌ recitano ancora nelle campagne i piรน vecchi. Sotto, la lunga processione dei Bianchi, movimento di penitenti sorto nel 1399 allo scopo di proclamare la pace universale e ottenere il perdono dei peccati: qui Mastro Cola di Pietro, nel 1401, li ritrae durante il loro passaggio alla volta di Roma, con i lunghi sai rossocrociati, intenti a scambiarsi il bacio della Pace, a cantare le lodi della Vergine o a implorare misericordia davanti al Crocifisso. Poco distante Santโ€™Antonio, protettore degli animali, con la campana il cui suono scacciava il demonio, il bordone e il lungo mantello segnato dal tau protettore; Gregorio Magno, coronato col triregnum, mostra un dipinto con i Santi Pietro e Paolo. Proseguendo, unโ€™austera Madonna in trono, della metร  del Quattrocento, porta sulle ginocchia il Bambino con un passerotto, allusivo al racconto apocrifo che narra come il piccolo Gesรน si divertisse a plasmare con la creta uccellini e a vederli volar via dopo aver infuso in essi la vita.

 

Processione dei Bianchi

 

A fianco, le immagini di S. Chiara e S. Maria Egiziaca, coperta dai prolissi capelli: specchio di purezza, la prima; meretrice, poi eremita nel deserto, la seconda. Col capo nimbato da unโ€™aureola, identica a quella di Chiara, lโ€™ex prostituta testimonia la potenza catartica del pentimento e la vastitร  della misericordia divina. Nel registro piรน basso, la Trinitร  reca un libro su cui รจ scritto: Pater e Filius et Spiritus Sanctus et tres unum sunt. Due modi per enunciare il dogma trinitario dei quali il primo, dedicato a quelli che non sapevano leggere, nella sua rustica formulazione risulta non meno efficace.

 

Santa Chiara e Santa Maria Egiziaca

ยซLa cercan qui, la cercan lร . Dove si trovi, nessun lo saยป.

Sono i versi famosi della Primula Rossa, lโ€™eroe a doppia personalitร  come Superman, che ha sottratto tanti nobili al lavoro della ghigliottina durante la Rivoluzione Francese, dando filo da torcere a Robespierre e soci. Anche le strade possono dare filo da torcere se sono molto antiche e un poโ€™ abbandonate.
La nostra Primula Rossa รจ una via a nord di Roma che ha piรน di 2.200 anni e che collegava la cittร  di Faleri, capitale dell’antica popolazione laziale dei Falisci, con Amelia, poi Todi e Perugia, per finire a Chiusi. Attraversava la Tuscia andando verso Nord e scendeva a sud senza arrivare a Roma. Ci penseranno i Romani a farla arrivare in cittร . I Falisci avevano sottovalutato i rissosi vicini emergenti che, nel 214 a.C., uscirono da Roma e li spazzarono via. Del mondo Falisco non resta molto. Quello che i Romani non hanno distrutto รจ stato modificato nel tempo.

 

Via Amerina

Via Amerina

Che cosโ€™รจ una strada?

La strada รจ una striscia di terra che collega due luoghi per motivi sociali e commerciali fin da quando Lucy ha lasciato lโ€™Africa. Le strade sono state costruite anche per far muovere meglio gli eserciti, in particolare quello romano, tanto da creare una rete viaria che attraversava tutto lโ€™impero. Doveva essere impressionante vedere lโ€™esercito romano avanzare, compatto, ordinato, costruendo strade, ponti e trascinandosi dietro le macchine da guerra. Solo la pozione magica di Asterix รจ stata in grado di fermarlo.
La rete stradale romana รจ ancora percorribile, un poโ€™ mutata ma non poi tanto, e ce lo confermano le mappe stradali di allora confrontate a quelle di oggi. I percorsi toccano le stesse cittร  e i nomi delle vie consolari non sono cambiati: SS1 Aurelia, SS2 Cassia, SS3 Flaminia, SS7 Appia. Anche la nostra Primula Rossa ha un nome: via Amerina. รˆ lโ€™antico nome di Amelia, che si chiamava Ameria, ed รจ caduta in disuso un paio di secoli fa, ma adesso sta riemergendo dalle nebbie della storia per la volontร  di un gruppo di ciclisti, storici, archeologi e passeggiatori. Ottima strada commerciale per i Falisci, ottima strada per i Romani che andavano a Nord, ottima strada per lo Stato della Chiesa che si collegava a Ravenna.
Qua e lร  lungo la strada sono sparse delle mansio che, per dirlo con parola moderna, sono Autogrill, posti di ristoro dove si mangiava, dove si trovava biada per i cavalli e, come si vede a Ostia Antica, cโ€™era anche il lavaggio carri. In quei luoghi non mancavano mai le prostitute per sollevare i viandanti dalle fatiche del viaggio.

Luogo di tante lotte

La strada andava dritta fino al Tevere: lรฌ si fermava per riprendere di lร  del fiume. Niente ponti, ma traghetti. Infatti, allโ€™altezza di Orte, sono stati ritrovati i resti del porto di Seripola che accoglieva viaggiatori e merci. Passato il fiume, la via Amerina proseguiva in quella che oggi รจ la regione Umbria. Se guardate una carta stradale dellโ€™Umbria, il percorso piรน evidente รจ quello della superstrada E45 che percorre tutta la valle del Tevere.
Nei tempi andati, una strada seria mai sarebbe passata a fondo valle. Troppo rischioso. Le strade passavano in alto o a mezza costa o, come in questo caso, sullโ€™altopiano. Nel VII secolo d.C. fu chiaro che la zona era in pericolo e che andava difesa. Castelli fortificati e borghi spuntarono come funghi. Su ogni cocuzzolo รจ sorto un castello posizionato in modo da avvistare amici e nemici. Tutti si tenevano dโ€™occhio. Alto Medioevo e Rinascimento hanno una storia cupa, violenta e cruenta. Le lotte tra Bizantini e Longobardi, tra Papato e Impero, tra Guelfi e Ghibellini, tra signorotti locali e principi romani sono state di una violenza inaudita e, รจ il caso di dire, la via Amerina ne ha viste di tutti i colori. Quello che รจ successo piacerebbe a Quentin Tarantino.
Anche il mite San Francesco, uomo di pace, che parlava agli uccelli e ai lupi e sperava di farsi ascoltare da chi praticava solo guerra e violenza, si รจ avventurato su questa strada. Le storie sono tante e cominceremo a svelarle piano piano, scoprendo assieme, tratto per tratto, la nostra nuova strada dal nome antico la Via Amerina.

In un contesto assurdo, quasi metafisico, dove paura significa ignoranza, ossia non conoscenza del prossimo futuro, proviamo a elaborare qualche riflessione sul significato dietrologico di questo momento.

Assisi-santa chiara

Assisi, foto by Enrico Mezzasoma

 

Il tempo sembra essersi fermato, in bilico tra passato e futuro, in unโ€™immagine di un orologio spezzato che riporta la gerarchia delle lancette totalmente capovolta. E se รจ vero che ogni evento straordinario รจ unโ€™opportunitร , almeno per il fatto che indica nella sua straordinarietร  un cambiamento rispetto a tutto ciรฒ che รจ ordinario, ossia scontato, previsto e prevedibile, la certezza che tutto o almeno una parte non sarร  piรน come prima diventa quasi un motto, lโ€™idea di una via di uscita, lโ€™opportunitร  di utilizzare un evento come speranza di rivalsa ai tanti insuccessi che nel corso del passato abbiamo subito, nella speranza di un cambiamento. E in un contesto cosรฌ assurdo la parola turismo in Umbria potrebbe assumere un significa diverso.

Sicuramente anche il turismo avrร  regole ferree nella cosiddetta fase 2, attraverso sistemi di distanziamento sociale e dispositivi di protezione come guanti e mascherine, ma verosimilmente verrร  privilegiata la ricerca di luoghi solitari e riflessivi dove poter dar sfogo alla nostra necessitร  di collocare il corpo e lโ€™anima allโ€™interno di una palestra di piccole ma serene meditazioni.

Lโ€™Umbria si scoprirebbe cosรฌ a essere una vera oasi di quel benessere la cui necessitร  stiamo riscoprendo in questi giorni. Non quindi spiagge affollate o centri benessere specializzati nella cura esasperata del corpo – e quindi nella ricerca spasmodica dellโ€™apparire – ma piccole e pure sorgenti dโ€™acqua dove appagare la nostra sete di tranquillitร  e di ricchezza di spirito, nella ricerca slow di voler essere.

Lโ€™Umbria scoprirebbe che quelle sue peculiaritร  che fino a ieri appartenevano a un dio-turismo minore, potrebbero diventare come dโ€™incanto il pane azzimo di un nuovo stile di vita. Se ci pensate siamo giร  pronti: pochi interventi nelle nostre strutture ricettive e un nuovo e vincente messaggio di comunicazione. Giร , la comunicazione sarร  fondamentale e non dovrร  commettere gli errori del passato, dove disperatamente si รจ cercato di imitare gli altri.

 

fioritura_castelluccio

Piana di Castelluccio di Norcia, foto by Enrico Mezzasoma

 

E allora mi abbandono a un sogno dove vedo lโ€™Umbria come modello di turismo sostenibile, dove la terra del Perugino e di Dottori, che ha ispirato Raffaello, diventa meta di gente che ha capito il grande insegnamento epocale che stiamo vivendo. Dove la massima aspirazione di riposo e di tranquillitร  sarร  ammirare un tramonto sulle distese della Valnerina sorseggiando dellโ€™ottimo vino di Montefalco con la persona amata, oppure ritrovarsi a lanciare una canna da pesca nelle acque del Trasimeno ed essere tra quei pochi fortunati che riescono a intravedere la propria anima rispecchiarsi nel lago. In un tempo cosรฌ, dove la paura della crisi economica sta sorpassando quella sanitaria… sognare non ha prezzo.

Uno degli edifici sacri piรน antichi di Bastia Umbra – e anche uno dei piรน cari ai bastioli – รจ la minuscola chiesa di San Rocco, che sorge nel punto dove si incrociano via Veneto e via Roma, due importanti arterie della cittadina.

 

Chiesa di San Rocco

 

La chiesa fu edificata nel XVII secolo per volontร  del popolo bastiolo grato al Santo[1] per aver preservato Bastia dallโ€™epidemia della peste che aveva invece colpito duramente i paesi limitrofi. Fu innalzata probabilmente in vista del Giubileo presso Porta Romana da dove partiva la strada che univa Bastia alla Porziuncola.
Gravemente danneggiata dal terremoto del 1832, fu riaperta al pubblico dopo lunghi lavori di restauro, nel 1856. Nel 1924, in seguito alla demolizione di Porta Romana, la lapide con lโ€™iscrizione commemorativa della sua costruzione venne trasferita sulla facciata della chiesa, dove attualmente si trova: ยซIMMINENTE CONTAGIO ADORNA / TUM PRAESIDIUMQUE ROMANAE / INSULAE PORTAM HANC DIVI / PETRINA VIGILA(m) REGENTE / URBANO Vili P.O.M. / ANGELUS PERLA I UD. P(rae)TOR / PRIORE(sqm) BASTINE CONSTRU / ENDAM CURA VERE A. D. 1633ยป.
Nel 1925 ci fu un altro restauro che arricchรฌ la chiesa di un nuovo apparato decorativo realizzato dal pittore Elpidio Petrignani (1878-1964). Entrata in disuso in seguito alla costruzione della nuova chiesa parrocchiale di S. Michele Arcangelo (1962), rischiรฒ fra gli anni Settanta-Ottanta la demolizione, a cui si oppose un comitato cittadino che si adoperรฒ per un ampio restauro sia strutturale sia pittorico, che portรฒ alla riapertura al pubblico il 15 settembre 1991. La chiesa รจ sede religiosa della Confraternita di San Rocco (istituita nel 1604) e dellโ€™omonimo rione che ha come stemma proprio la sua facciata.

 

Madonna con Gesรน Bambino fra San Sebastiano e San Rocco

Madonna con Gesรน Bambino fra San Sebastiano e San Rocco, foto di Enrico Mezzasoma

Uno scrigno da scoprire

Allโ€™interno รจ conservata una pregevole statua lignea raffigurante il Santo realizzata dal Maestro di Magione[2], uno dei migliori intagliatori dellโ€™Italia Centrale della prima metร  del Cinquecento. Nella scultura San Rocco รจ raffigurato con la fronte sporgente, il naso affilato, capelli ondulati che lasciano cadere boccoli ai lati del volto e restituisce lโ€™immagine di un uomo forte e atletico intento nel suo pellegrinaggio. Nel 2002 la statua fu esposta in una mostra nazionale a Pergola dedicata alla scultura e allโ€™arredo ligneo fra Marche e Umbria, organizzata dalla Soprintendenza ai Beni artistici e storici di Urbino. Nella chiesa รจ conservato anche il gonfalone processionale realizzato da Dono Doni e raffigurante la Madonna con Gesรน Bambino fra San Sebastiano e San Rocco e il gonfalone processionale con la Madonna della Misericordia fra Santโ€™Antinio Abate e Santโ€™Antonio da Padova realizzato da Bernardino di Mariotto.
Ogni anno, il 16 agosto, a Bastia si svolge la festa dedicata al Santo che vede lโ€™esposizione della statua lignea allโ€™interno della chiesa parrocchiale e la processione che riaccompagna la statua nella chiesetta. In occasione della festa di San Rocco, durante le celebrazioni religiose di tutta la parrocchia, viene distribuito il pane di San Rocco[3], il pane salvifico simbolo di guarigione e speranza.
Speriamo che questa storia sia di buon auspicio, e invitiamo tutti, dopo che questo difficile periodo sarร  finito, a fare una visita alla piccola Chiesa di San Rocco: per i credenti sarร  una nuova occasione per ringraziare il Santo, per gli altri lโ€™opportunitร  per visitare una cittadina umbra che avrร  bisogno, come le altre, di tutto il nostro sostegno.

 


[1] San Rocco, medico nato a Montpellier nel 1295, aiutรฒ gli appestati che incontrรฒ nel suo cammino durante un pellegrinaggio a Roma. La tradizione vuole che in punto di morte chiese a Dio il potere di guarire dalla peste tutti coloro che colpiti dal terribile morbo, lo avessero invocato. Dio esaudรฌ la sua richiesta e fu cosรฌ che san Rocco divenne il protettore degli appestati, oltre che di emarginati, ammalati, viandanti e pellegrini, operatori sanitari, farmacistiโ€ฆ โ‡‘
[2] Romano Alberti, detto Nero Alberti da Sansepolcro, conosciuto precedentemente come Maestro di Magione (Sansepolcro, 1502 โ€“ 1568), รจ stato un intagliatore italiano attivo nell’Italia centrale. โ‡‘
[3] La leggenda narra che anche San Rocco si ammalรฒ di peste e rifugiatosi in un capanno, riuscรฌ a sopravvivere grazie allโ€™aiuto di un cane che gli portรฒ ogni giorno un tozzo di pane. Per questo il santo รจ anche il patrono dei cani. โ‡‘


Bibliografia:

http://www.luoghidelsilenzio.it
https://www.lavoce.it
http://www.valcenoweb.it

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