Presentato il nuovo brand turistico di Città della Pieve, Corciano, Magione, Paciano, Panicale e Piegaro.
Trenta musei, sei Comuni, un unico biglietto. Città della Pieve, Corciano, Magione, Paciano, Panicale e Piegaro fanno rete nel nome del grande Maestro a all’insegna di un turismo “rispettoso dei luoghi e delle comunità”.
E’ stato presentato il nuovo brand Terre del Perugino, attraverso il quale i sei comuni umbri intendono implementare i propri servizi turistici e aumentare la capacità competitiva del territorio. L’operazione, che amplia un’idea progettuale risalente al 2015 dei Comuni di Paciano, Panicale, Piegaro e Città della Pieve, nasce dalla stretta collaborazione tra le sei Amministrazioni Comunali e l’attuale gestore dei servizi turistici e museali (l’RTI composto dalle società Sistema Museo e Vivi Umbria società consortile).
Con Terre del Perugino entrano un’unica rete integrata i Musei e gli Uffici turistici dei territori aderenti, così da proporsi al pubblico come un’area omogenea accomunata da aspetti ambientali, culturali, artistici e gastronomici affini. Fili conduttori di questa nuova offerta sono: i paesaggi di queste terre, con il lago Trasimeno, e Pietro Vannucci, detto il Perugino, il più celebre figlio di Città della Pieve che con la sua arte ha dato lustro e fama a questo lembo d’Umbria, e che insieme appunto compongono il nome del brand.
Gli strumenti messi a disposizione sono il rinnovato portale Terre del Perugino e il biglietto unico integrato che, al prezzo di 12 euro (valido per 90 giorni), consente di visitare le strutture museali e gli spazi espositivi presenti nell’area. In particolar modo a Città della Pieve si potrà accedere all’Oratorio Santa Maria dei Bianchi, al Museo Civico Diocesano e a Palazzo Corgna; a Corciano all’Antiquarium comunale, al Centro espositivo permanente sulla cultura medievale e rinascimentale, al Torrione di Porta Santa Maria e al Museo della Pievania; a Magione al Museo della Pesca e Torre dei Lambardi, a Paciano a TrasiMemo, la Banca della Memoria del Trasimeno; a Panicale alla Chiesa di San Sebastiano, Teatro Cesare Caporali, Museo del Tulle, Museo della Sbarra; a Piegaro al Museo del Vetro.
La valorizzazione di queste strutture, secondo quanto spiegato passerà anche attraverso attività didattiche e laboratoriali, eventi e manifestazioni, attività di incoming turistico, promozione e commercializzazione.
La prima conferenza, fissata per il 25 marzo a Lugnano in Teverina, si aprirà con la forte carica simbolica dell’inaugurazione di una panchina rossa – emblema della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne – e di un parco dedicato a Luisa Spagnoli.
Il ciclo di conferenze Il Borgo è Donna è un progetto dal respiro regionale che vede coinvolti il Centroper le pari opportunità e attuazione delle politiche di genere della Regione Umbria, l’associazione de I Borghi più Belli d’Italia in Umbria e AboutUmbria.
Ugo Mancusi, Caterina Grechi e Alessandro Dimiziani
Gli incontri in calendario sono stati presentati ieri a Perugia e dopo l’introduzione di Ugo Mancusi di AboutUmbria – che ha spiegato come il calibro di questa iniziativa ne faccia un perfetto esempio di quelle eccellenze regionali che l’associazione promuove – l’avvocato Caterina Grechi, presidente del Centro Pari Opportunità, ha affermato che l’intento è quello di sottolineare il retaggio culturale, storico, enogastronomico e sociale di cui le donne sono depositarie e si è scelto di metterlo in relazione ai borghi, dai quali l’Umbria, più di qualsiasi altra regione italiana, è così pregevolmente rappresentata.
In questo modo, le tematiche di valorizzazione, di recupero, di benessere, di qualità della vita e di sostenibilità ambientale e sociale che animano le attività del Centro pari opportunità vanno a incastrarsi con l’azione dell’associazione de I Borghi più belli d’Italia: i 30 borghi iscritti al circuito sono stati infatti raggruppati per sviluppare un ciclo di 6 conferenze incentrate sui temi della cultura, della salute, del lavoro, dei saperi e sapori e della sostenibilità che iniziano il prossimo 25 marzo per terminare nel marzo 2024.
«Anche se l’associazione ha scopi principalmente turistici» ha affermato Alessandro Dimiziani, presidente regionale de I Borghi più belli d’Italia «non possiamo che trarre beneficio da tematiche del genere, legate a una bellezza che non è solo estetica, ma anche amministrativa, sociale e d’intenti. Stiamo parlando del futuro della società».
«Non è un semplice sguardo su un passato di cui siamo eredi e verso il quale ci sentiamo di avere un debito» sottolinea anche l’avvocato Grechi «ma di una visione che guarda al futuro. Ci confronteremo sul ruolo della donna nello sviluppo delle smart cities, nel recupero del divario digitale e nella conversione dei luoghi e delle attività che in essi si svolgono, nel segno della sostenibilità ambientale e sociale».
La prima conferenza, fissata per il prossimo 25 marzo a Lugnano in Teverina, si aprirà con la forte carica simbolica dell’inaugurazione di una panchina rossa – emblema della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne – e di un parco dedicato a Luisa Spagnoli. Proseguirà con una serie di interventi incentrati sul valore, i problemi e le opportunità della donna nei piccoli centri urbani e con dei momenti conviviali. L’artista Monia Romanelli, presente alla presentazione, ha mostrato in anteprima il suo omaggio per le relatrici della conferenza di sabato 25.
Il programma:
Ore 15.30 Località Sant’Antonio – Inaugurazione giardino Luisa Spagnoli
Presentazione della targa e della panchina rossa simbolo della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, in collaborazione con Unitre di Lugnano in Teverina.
Ore 16.45 Teatro Spazio Fabbrica – Convegno sulle pari opportunità
Il borgo è donna: la cultura. Valore, problemi e opportunità della donna nei piccoli centri urbani.
Dopo i saluti del sindaco Gianluca Filiberti, interverranno:
Cristina Caldani, attrice e direttrice Teatro Spazio Fabbrica
Francesca Caproni, direttrice Assogal Umbria
Grazia Cuccia, pittrice
Maria Chiara Giannetta, attrice
Caterina Grechi, presidente del Centro per le pari opportunità e attuazione delle politiche di genere della Regione Umbria
Cristiana Pegoraro, pianista e compositrice
Eleonora Pieroni, attrice e madrina dei Borghi più Belli d’Italia in Umbria
Carla Spagnoli, imprenditrice
Maria Angela Turchetti – funzionaria della Soprintendenza dei Beni Culturali
Lorenza Vitali – giornalista enogastronomica
Coordinano Alessandro Dimiziani, presidente regionale dei Borghi più Belli d’Italia e Lorenza Vitali, giornalista enogastronomica. Al termine della conferenza verrà donato alle relatrici un omaggio realizzato dall’artista Monia Romanelli
Ore 19.30 Sala Terzo Pimpolari Teatro Spazio Fabbrica – Degustazione di prodotti tipici
Ore 21.00 Teatro Spazio Fabbrica – La solidarietà è donna
“RockWOMAN”: concerto di beneficenza per le popolazioni terremotate della Turchia, con Cardyophone e Original CRB Band
Nella storia dell’arte le donne hanno sempre avuto un ruolo di primo piano. Raffigurando armonia e fertilità, grazia e bellezza, femminilità e sensualità, sogno e mistero, l’intero universo femminile è sempre stato rappresentato.
Sogno e Mistero è proprio in quel femminile tanto evidente quanto celato, in mostra dal 3 al 12 marzo 2023 alla biblioteca comunale di Terni, con INTO HER DREAM –13 ICONS di Simona Chipi. È l’ultima sfida dell’artista costruita attorno ad un numero, il 13, preso a simbolo di un’esclusione. Da Maria Magdala a Eva. Dalla tredicesima apostola, forse dipinta da Leonardo, nascosta, negata, cancellata a Eva, l’incarnazione dell’armonia perduta. Eva e Maria Magdala diventano così ICONS. Di sé stesse, di tutte le donne del mondo, di ogni tempo. Donne che seducono, sguardi liquidi e ipnotici che chiudono gli occhi e sognano luoghi infiniti in cui ritrovare l’equilibrio, la presenza dell’essere, il mistero della vita, per entrare eroiche nel futuro. Quattro immagini, quattro volti femminili realizzati su tele di grandi dimensioni dove dietro ogni sguardo che si socchiude si apre un mondo che svela, che accoglie, che perdona, come a restituirci quel numero escluso per secoli perché segno della fine e della rinascita. L’ultimo diaframma. Esposte alla biblioteca comunale di Terni anche alcune opere NFT (Non-Fungible Token) pubblicate su Open Sea, piattaforma internazionale di critpto arte.
L’inaugurazione della mostra si terrà venerdì 3 marzo alle ore 18.00.
Simona Chipi è tornata a vivere in Umbria dopo anni di attività giornalistica in Italia e all’estero, professione che ha sempre influenzato l’impegno artistico. Nei suoi lavori l’urgenza di narrare la contemporaneità si mescola ad una poetica immaginifica che resta separata dal reale, in un universo ideale abitato solo dalle donne.
Negli ultimi anni attratta dalle suggestioni del digitale, ha trasferito il suo lavoro in questa nuova dimensione dove tele e collage diventano le “matrici” di un’azione che si sviluppa con gli NFT, sotto forma di video clip, e la stampa digitale su materiali industriali e inserti luminosi.
Sabato e domenica il gioiello – che secondo la leggenda apparteneva a Maria – sarà esposto al pubblico, con un evento eccezionale per sancire il legame con l’opera del Perugino.
Una calata straordinaria del Sant’Anello per omaggiare il ritorno a Perugia dello Sposalizio della Vergine. L’opera – portata via dai francesi nel 1797 – era stata dipinta dal Perugino agli inizi del ‘500 proprio per la cappella del Sant’Anello del Duomo di Perugia. Questo ritorno tanto atteso è il pezzo forte della mostra Il meglio maestro d’Italia. Perugino nel suo tempo che sarà inaugurata sabato 4 marzo, presso la Galleria Nazionale dell’Umbria.
Il Santo Anello
E proprio lo stesso giorno, alle ore 10.30, avverrà all’interno della Cattedrale una calata straordinaria dell’anello (tramite un meccanismo a forma di nuvola) che, secondo una leggenda, è il dono che Giuseppe fece a Maria per le loro nozze.
«L’anello e il reliquiario rimarranno esposti per tutta la giornata di sabato. In via del tutto eccezionale, il solo reliquiario, sarà poi esposto nelle sale del Museo del Capitolo» spiega l’architetto Alessandro Polidori, direttore dell’Ufficio diocesano per i Beni culturali ecclesiastici.
Si tratta – come detto – di un’esposizione straordinaria: infatti l’anello viene mostrato al pubblico solo in due occasioni ufficiali: il 29\30 luglio, data del suo trasferimento dal comune alla cattedrale (1488) e il 12 settembre per la festa del SS.mo nome di Maria.
«Sempre dal 4 marzo fino all’8 gennaio 2024, all’interno del Museo del Capitolo della Cattedrale di San Lorenzo, nella sala del Dottorato, avverrà la proiezione di un filmato di otto minuti realizzato in collaborazione con il giornalista Roberto Fontolan e con la voce narrante di Alessandro Haber. Il documentario racconta la vicenda e la storia del Sant’Anello: il suo arrivo a Perugia, la committenza dello Sposalizio della Vergine a Perugino e tanto altro» prosegue Polidori.
Lo Sposalizio della Vergine, olio su tavola, Perugino
Tra storia e leggenda
Quattordici chiavi servono per aprire le casseforti che contengono il Sant’Anello, che si trova all’interno della Cattedrale di San Lorenzo di Perugia. Un tempo erano conservate da istituzioni civili e religiose: il Comune, il Collegio della Mercanzia, il Collegio del Cambio; i maggiori conventi della città: San Francesco al Prato, San Domenico, Santa Maria Nuova, Sant’Agostino; il Vescovo e i Canonici della Cattedrale. Oggi sono nelle mani del Comune (8), della Mercanzia (1), del Cambio (1) e del Capitolo della Cattedrale (4) e l’apertura si svolge alla presenza di un rappresentante del Comune e del Capitolo, redigendo un verbale.
Il potere temporale e quello spirituale che si uniscono per un rituale condiviso e celebrare una tradizione più che una reliquia. L’anello di pietra rara – l’analisi gemmologica del 2004 l’ha determinata come calcedonio, varietà microcristallina del quarzo – viene attribuito, senza reale fondamento, all’anello di nozze tra Maria e Giuseppe. Le ragioni che ne hanno fatto il simbolo del matrimonio, sono oscure. Questo lo rende ugualmente un monile pieno di fascino, anche se la sua storia inizia con un furto e la sua datazione risale probabilmente, al primo secolo d. C.
Di certo si sa che l’anello, fino alla seconda metà del 1400, era custodito nella chiesa dei francescani di Chiusi, dalla quale fu prelevato da un certo frate Vinterio da Magonza, portato a Perugia nel 1473 e donato al Magistrato della città, Francesco Montesperelli, che lo fece conservare nella Cappella dei Decemviri al Palazzo dei Priori. L’intervento di Papa Sisto IV stabilì la sede a Perugia e mise fine ai litigi tra le due città. Nel 1488 il Sant’Anello venne poi trasferito nella Cattedrale di San Lorenzo e riposto in due grandi casseforti: la prima protezione è una maglia di ferro realizzata dai fabbri di Montemelino, la seconda è un massiccio baule in legno. Per aprire entrambi servono appunto le 14 chiavi.
Tanti gli eventi: restauro dal vivo della Pala Martinelli, da San Sepolcro si trasferisce a Perugia l’Ascensione di Vannucci e “Lo Sposalizio della Vergine” sarà riprodotto da un’azienda di Città di Castello.
La Pala di Sant’Onofrio di Luca Signorelli ha lasciato la sua casa presso il Museo del Capitolo della Cattedrale di San Lorenzo a Perugia per traslocare all’interno della Galleria Nazionale dell’Umbria. Resterà lì fino all’11 giugno in occasione della mostra Il meglio maestro d’Italia. Perugino nel suo tempo, che verrà inaugurata sabato 4 marzo. Il trasferimento di Sant’Onofrio rientra nelle celebrazioni dei 500 anni dalla morte di Perugino e Signorelli, che giorno dopo giorno entrano sempre più nel vivo.
«L’operazione è frutto della collaborazione tra Isola San Lorenzo e Galleria Nazionale dell’Umbria: la Pala del pittore toscano è stata infatti concessa in prestito per la grande mostra e al Museo del Capitolo è arrivata la Pala Martinelli – Martirio di San Sebastiano, opera del Perugino, che realizzò per la Chiesa di San Francesco al Prato e che fino a oggi si trovava nel deposito della Galleria. Qui si terrà anche il suo restauro dal vivo, realizzato dall’impresa CBC – Conservazione Beni Culturali e saranno organizzate delle visite guidate a contatto con l’opera e con chi esegue la riqualificazione.
Inoltre, dal Duomo di San Sepolcro si sposta a Perugia l’Ascensione di Cristo sempre del Perugino e potrà essere ammirata al museo da giugno a settembre. Infine, da metà settembre fino all’8 dicembre, ricreeremo una bottega rinascimentale e l’azienda di Città di Castello Bottega tifernate realizzerà una riproduzione in scala 1:1 dello Sposalizio della Vergine con la tecnica della pictografia. La riproduzione resterà in esposizione in Cattedrale, per poi diventare un pezzo della collezione del Museo. Ma di tutti questi eventi ne riparleremo in modo più approfondito» spiega l’architetto Alessandro Polidori, direttore dell’Ufficio diocesano per i Beni culturali ecclesiastici. Tutto questo rientra nel progetto della Diocesi di Perugia – Città della Pieve, curato da Genesi (che si occupa del Complesso monumentale della Cattedrale Isola di San Lorenzo), Perugino nel segno del tempo, classificato terzo al bando del Comitato Nazionale.
«Il progetto prevede inoltre dei percorsi che, partendo dall’Isola di San Lorenzo andranno a toccare tutti i luoghi dove sono presenti le opere di Vannucci. Sarà pubblicata anche una guida su questi itinerari, edita da Electa. Ma anche di questo avremo modo di parlare in seguito» prosegue l’architetto Polidori.
La Pala di Sant’Onofrio di Luca Signorelli
Il dipinto, datato 1484, si trova nella cappella intitolata a Sant’Onofrio nella Cattedrale di Perugia, sulla quale aveva il patronato la famiglia cortonese dei Vagnucci.
Pala di Sant’Onofri, olio su tavola di Luca Signorelli, 1484
Uno dei membri della famiglia, Iacopo, fu vescovo della città umbra dal 1449 e fu l’artefice del cambiamento in chiave rinascimentale del Duomo. Nel transetto destro trovò posto la cappella in cui Iacopo Vagnucci venne sepolto e che recava sull’altare la Pala di Luca Signorelli. L’opera è molto importante, perché costituisce un punto fermo nel percorso dell’artista toscano, mostra infatti l’acquisizione dei temi centrali della pittura del suo tempo e regala al pubblico un dipinto di grande compiutezza stilistica.
Sulla tavola è dipinta la Vergine che siede al centro su un alto trono, intenta a leggere un volumetto rosso; il Gesù le siede in grembo anch’esso assorto. Quattro santi li affiancano: a destra San Lorenzo e Sant’Ercolano con le fattezze del vescovo Vagnucci, entrambi vestono sontuosi paramenti liturgici che rappresentano mirabile esempio di pitture nella pittura. A sinistra si trovano invece Giovanni Battista e Onofrio. Un angelo suona il liuto seduto ai piedi di Maria, omaggio alle composizioni in voga in area veneta.
La composizione e la disposizione delle figure – immerse in un paesaggio aperto – sono costruite con grande equilibrio e la luce, assieme al colore, definisce con nitidezza corpi e volumi. La natura morta del vaso di vetro in primo piano, rimanda all’arte fiamminga e in particolare al Trittico Portinari di Hugo van der Goes.
Il nuovo allestimento del Museo della Cattedrale
Il Museo del Capitolo della Cattedrale – Isola di San Lorenzo di Perugia ha riaperto al pubblico mostrando una nuova veste e un nuovo allestimento. Il progetto coincide coi cento anni dalla sua apertura (1923-2023) e col quinto centenario della morte del Perugino e del Signorelli (1523-2023). L’allestimento, realizzato grazie al sostegno della Fondazione Perugia, segue un criterio tematico e non più cronologico: si tratta di un nuovo percorso in cui le opere selezionate raccontano la propria storia anche come espressione di un messaggio autentico in grado di arrivare al cuore del visitatore. Un fil rouge tra pittura, scultura, oreficeria, miniatura e tessile, che documenta il lungo dialogo che unisce e accomuna le diverse espressioni artistiche, testimonianza diretta di una committenza che ha trovato nella ricerca del bello uno strumento per incontrare Dio.
Il nuovo allestimento
«Si tratta di un percorso non più cronologico, ma di carattere scientifico-tematico a cui si può accedere non solo con visite guidate, ma anche in autonomia, grazie a moderni pannelli esplicativi. Ogni sala è intitolata a personalità e a opere significative caratterizzanti epoche della storia di Perugia e non solo. Basti pensare alle sale: Leone XIII, il Papa della Rerum Novarum e vescovo di Perugia dal 1846 al 1880; Perugia dei Papi; Sant’Anello che la cattedrale custodisce; Parato Armellini; Luca Signorelli dove si trova la Pala di Sant’Onofrio; Speranza e affidamento che vede esposte le opere con carattere devozionale che i perugini hanno fatto realizzare in momenti di difficoltà come la peste; Agostino Di Duccio con all’altare che lui fa nel 1473 all’interno della Cattedrale; Diocesi-Cattedrale-Museo, dedicata alla storia del museo» illustra l’architetto Alessandro Polidori, curatore del nuovo progetto.
Si svolgerà sabato 25 febbraio, alle ore 17 presso l’Auditorium Gioacchino Messina di Palazzo Coelli, sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto, la presentazione pubblica della Guida di Repubblica Perugino e Signorelli – I 500 anni di due maestri dell’arte italiana.
La Guida, realizzata in collaborazione con Assogal Umbria e Regione Umbria, sarà disponibile in edicola (12 euro più il prezzo del quotidiano) e online allo store ilmioabbonamento.gedi.it/iniziative/guide dal 27 febbraio. Sarà presto anche in libreria, su Amazon e su Ibs.
“Perugino e Signorelli li classificherei come due emblemi assoluti, uno dell’arte religiosa cattolica e l’altro dell’arte religiosa cristiana ma non di stretta osservanza, un colossale preludio alla crisi del protestantesimo”. Così Claudio Strinati, storico dell’arte tra i più celebri del nostro Paese, nell’intervento che apre la Guida. In Guida anche i racconti d’autore di Flavio Caroli, storico dell’arte e professore ordinario di Storia dell’arte moderna, e Cristina Galassi, professoressa di Storia della critica d’arte all’Università degli Studi di Perugia e direttore della Scuola di specializzazione in beni storico artistici formata da 13 atenei.
“Una Guida che vi accompagnerà per tutto il 2023 attraverso i luoghi dove è possibile mettere insieme ed ammirare i capolavori di Perugino e Signorelli – afferma nella sua introduzione il direttore delle Guide di Repubblica Giuseppe Cerasa – a cominciare dalla cappella di San Brizio nel duomo di Orvieto per finire al collegio del Cambio nel palazzo dei Priori a Perugia, al martirio di San Sebastiano a Panicale, alla galleria nazionale dell’Umbria, sempre a Perugia che è impegnata in una serie di eventi per ricordare questo anniversario assieme ai Comuni di Cortona, di Città della Pieve, di Todi, Marsciano, Panicale, Trevi, Città di Castello, Montefalco, Foligno (solo per citarne alcuni) col supporto dei Gal radicati in questi territori. Ne è venuto fuori un calendario ricco e raffinato. Noi vogliamo accompagnarvi in questo viaggio”.
La FAP (Fundación Antonio Pérez) di Cuenca e la Collezione Privata di Roberto Polo espongono 43 opere di Rossella Vasta sino al prossimo 19 marzo, in Spagna.
La Fundación Antonio Pérez, uno dei musei di arte moderna e contemporanea di Cuenca, la cittadina spagnola nota per la sua importante offerta culturale, ospita 43 lavori su carta realizzati dall’artista italiana Rossella Vastadi proprietà della collezione privata Roberto Polo, che con questa mostra inaugura le iniziative culturali che commemorano l’attività della Fondazione nel suo venticinquesimo anno. La mostra si è aperta alla presenza del Vicepresidente della Regione di Castilla-La Mancha, José-Luis Martínez Guijarro, il Presidente della provincia di Cuenca, Alvaro Martínez Chana, del collezionista e storico d’arte, Roberto Polo, la Vicepresidente della FAP, Fátima García, e il direttore della Fondazione Jesús Carrascosa. Nelle parole di Roberto Polo “la straordinaria serie di opere su carta dell’artista Rossella Vasta, intitolata Entanglements, concilia simultaneamente i concetti abitualmente presunti come irriconciliabili, di rappresentazione figurativa e non figurativa; astrazione biomorfica; geometrica e volumetrica; visione pittorica e lineare; tutto in uno spazio cosmico e infinito che, con l’intreccio delle trame compositive, rivela un mondo embrionale nel processo di divenire..”. Il tema dell’Entanglements quantico è la fonte d’ispirazione dei lavori di Vasta nel tentativo di rendere visibile l’invisibile, a corredo della mostra il preziosissimo catalogo con testi del critico Italo Tomassoni e del matematico e collezionista Kirill Petrin, dedicato alla nota storica dell’arte statunitense Barbara Rose recentemente scomparsa.
«Il 2023 sarà tutto dedicato al Perugino con esposizioni e tante iniziative. Negli ultimi 20 anni del ‘400 è stato il numero uno in tutta Italia».
Nel cuore di Perugia c’è uno scrigno che raccoglie opere d’arte, storia della città e collezioni che portano il visitatore a fare un viaggio dal XIII al XIX secolo. Un luogo che però guarda al futuro, che dialoga con l’utente e mette al centro la conservazione dei suoi tesori. La Galleria Nazionaledell’Umbria ha cambiato pelle, grazie al restyling durato un anno e portato a termine nel luglio 2022.
Un allestimento rinnovato e moderno, tante novità e un sistema di conservazione unico al mondo. Il direttore Marco Pierini ci racconta tutto questo, ma soprattutto ci parla delle celebrazioni dei 500 anni dalla morte del figlio di Perugia: Perugino.
Marco Pierini, direttore della Galleria Nazionale dell’Umbria. Credits Marco Giugliarelli
Dopo il rinnovamento dello scorso anno, la Galleria Nazionale dell’Umbria è diventata un luogo moderno e all’avanguardia…
Speriamo, noi ci crediamo! Nuovi allestimenti e moltissime novità nel percorso, tra cui nuove opere, sale monografiche e un efficace sistema d’illuminazione con luci fredde – abbiamo messo anche delle pellicole alle finestre così da filtrare i raggi ultravioletti e infrarossi. Ma, cosa più importante, un nuovo metodo di conservazione all’avanguardia, perché il nostro primissimo compito è quello di proteggere le opere. Per questo abbiamo realizzato delle basi inedite – non ce l’hanno in nessun museo al mondo – che consentono di distanziare di un metro l’opera della parete con un sistema di cartografi e di ruote, in questo modo il restauratore può girarci attorno per ispezionarla e intervenire se necessario. È un’operazione che si fa in 5 minuti, da soli: prima occorrevano diverse ore per smontarla, 3-4 persone e la chiusura della sala; adesso basta estrarla dal muro con queste basi semoventi per poter intervenire. Come dicevo, la conservazione è fondamentale: le opere le raccontiamo, le esponiamo ma in primis le conserviamo.
In un’intervista parlava di voler realizzare un museo non solo accessibile, ma anche accogliente: è riuscito nel suo intento?
Lo spero, me lo dovete dire voi (ride). L’intento è di dare la possibilità a tutti di godere della nostra esposizione con molta serenità; con opere che siano ben distanziate e non troppo fitte; spiegate in modo chiaro e con un linguaggio semplice; ben illuminate e con delle sedute molto comode e diffuse lungo il percorso. Inoltre, dare la possibilità di ricaricare il cellulare, di avere informazioni supplementari, insomma, abbiamo provato a rendere il museo – che è un museo storico – un luogo contemporaneo. Questo si unisce a tutta una serie di attività proposte questi anni: concerti, presentazioni e spettacoli. L’obiettivo è diventare un centro di produzione di arti contemporanee, invece di un semplice luogo che espone il suo patrimonio e alle 19 chiude il portone.
Sala 1, L’arte del Duecento in Umbria. Credits Marco Giugliarelli
I visitatori hanno apprezzato il nuovo allestimento?
È molto apprezzato dal pubblico che ce lo dice e lo scrive nei commenti, ma anche dalla critica: ne hanno parlato tutti in maniera molto lusinghiera. Per tre riviste importanti come ArtsLife, Artribune e Il Giornale dell’Arte siamo stati dichiarati Museo dell’anno 2022, mentre Apollo Magazine di Londra ci ha inserito nella short list dei 5 musei del 2022. È una bella soddisfazione.
E in termini di numeri come sta andando?
L’anno migliore che abbiamo avuto negli ultimi 15 anni è stato il 2019, anche perché avevamo in esposizione la Madonna Benois di Leonardo. Oggi, confrontandoci con quell’anno, abbiamo un aumento del 7%-8%, quindi vuol dire che rispetto alla media siamo oltre il 25%. Devo dire che sta andando molto bene!
Qual è l’opera di maggior attrazione, anche se non è la più famosa?
Sicuramente Piero della Francesca e la grande croce di 5 metri dipinta del Maestro di San Francesco che accoglie i visitatori nella Sala 1, che ha un forte impatto. Ma anche il giovane Perugino è molto apprezzato.
Sala 13, Polittico di Sant’Antonio di Piero della Francesca. Credits Marco Giugliarelli
Non possiamo non parlare del Perugino: quest’anno ricorrono i 500 anni dalla sua morte e in Galleria sono presenti oltre 20 opere. Si tratta sicuramente il luogo più adatto per celebrarlo.
Esatto. Abbiamo la collezione più vasta al mondo delle sue opere, oltre al fatto che è nato a Città della Pieve e che ha lavorato per più di vent’anni nella sua bottega a Perugia. Si faceva chiamare lui stesso Perugino, quindi non poteva che essere qui la mostra celebrativa.
Da marzo infatti è prevista un’esposizione curata da lei e da Veruska Picchiarelli dal titolo: Il meglio maestro d’Italia. Perugino nel suo tempo in occasione della quale torna a Perugia lo Sposalizio della Vergine. Ci racconti questo evento.
Dal 4 marzo all’11 giugno 2023 la Galleria celebra, con una grande mostra, Pietro Vannucci, il più importante pittore attivo negli ultimi due decenni del Quattrocento. Il progetto espositivo, composto da oltre settantacinque opere, ha scelto d’individuare solo dipinti del Vannucci antecedenti al 1504, anno nel quale lavorava a tre commissioni che segnano il punto più alto della sua carriera: la Crocifissione della Cappella Chigi in Sant’Agostino a Siena, la Lotta fra Amore e Castità già a Mantova, ora al Louvre di Parigi, e soprattutto lo Sposalizio della Vergine per la cappella del Santo Anello del Duomo di Perugia, oggi nel Musée des Beaux-Arts di Caen (Francia). L’opera è stata requisita dai francesi nel 1797 e non è più tornata a Perugia; è stata esposta in Italia solo una volta alla Pinacoteca di Brera nel 2015. Torna nella città d’origine dopo due secoli. Saranno presenti anche altri artisti suoi contemporanei come Raffaello, Botticelli e Ghirlandaio. Ma l’obiettivo dell’esposizione è quello di far vedere il Perugino migliore: nei suoi cinquant’anni di carriera, gli ultimi 20 non sono di livello, quindi ci soffermiamo sui primi anni. Ci piaceva l’idea di rivalutare l’artista, non perché è stato un ottimo allievo di Verrocchio o il maestro di Raffaello, ma per quello che lui stesso ha realizzato. Negli ultimi 20 anni del ‘400 era molto richiesto: ha affrescato la Cappella Sistina, ha lavorato in Piemonte, in Lombardia, a Venezia, in Romagna, a Napoli, a Roma, a Siena, a Firenze e a Perugia, creando un vero linguaggio nazionale. L’esposizione rifletterà sul ruolo che ha effettivamente svolto nel panorama artistico contemporaneo e sul rapporto che lo ha legato ai protagonisti di quell’epoca, seguendo geograficamente gli spostamenti del pittore o delle sue opere attraverso l’Italia.
Mi piace molto il titolo: Il meglio maestro d’Italia. Perché questa scelta?
Il meglio maestro è una frase che il banchiere Agostino Chigi scrive il 7 novembre 1500 a suo padre Mariano quando viene a sapere che vuole commissionare un’opera al Perugino. Nella lettera indirizzata al padre dice: «Quando vuol far di sua mano è il meglio maestro d’Italia». Da un lato è un gran complimento, dall’altro lo accusa di far lavorare molto la bottega e di fare poco lui. Noi abbiamo eliminato la prima parte e lasciato il meglio maestro d’Italia perché – come le dicevo – per un certo periodo, dal Piemonte alla Calabria, tutti dipingevano come il Perugino. Negli ultimi vent’anni del ‘400 e non ce n’era per nessuno. Era il numero uno.
Pietro di Cristofori Vannucci detto il Perugino, Adorazione dei Magi, 1475. Credits Haltadefinizione®
Ci saranno altre iniziative organizzate della Galleria sempre per celebrare Vannucci?
È previsto un docufilm, che uscirà nelle sale cinematografiche ad aprile, prodotto dalla Ballandi e diretto da Giovanni Piscaglia, con Marco Bocci come protagonista, che anche noi abbiamo contribuito a produrre. Poi facciamo un podcast con Chora Media, uno speciale su IlGiornale dell’Arte e tante altre iniziative per promuovere quest’anno speciale. A settembre sono previste altre due esposizioni più piccole. Diciamo che il 2023 sarà un anno tutto dedicato a Pietro Vannucci!
Se pensi al Perugino pensi a Perugia e all’Umbria, ma nei suoi quadri si riscontrano realmente questi luoghi?
Di norma si dice che i suoi paesaggi sono paesaggi del Trasimeno, ma è vero fino a un certo punto. Sono soprattutto d’invenzione, con degli specchi d’acqua che possono richiamare anche il lago. Anche le architetture sono molto di fantasia, però chiaramente un po’ di Umbria c’è senz’altro. Soprattutto c’è la cultura del suo tempo e del suo territorio e i costumi dell’epoca.
Sala 20, Ductus. Roberto Paci Dalò. Credits Marco Giugliarelli
Il museo ha altri progetti in programma?
Faremo, insieme a Umbria Jazz, la mostra per il cinquantenario della manifestazione e i soliti due concerti al giorno con loro; poi c’è la stagione con l’Umbria che spacca e ovviamente la nostra programmazione musicale ad agosto. Quest’anno però vogliamo concentrarci in particolare sulle attività espositive visto il grande lavoro di restyling che abbiamo realizzato.
La “platea comunis” di Bevagna: le tre chiese, il palazzo, il pozzo, la fontana. I racconti.
Negli anni, nei secoli, la platea comunis ha cambiato tante volte il suo aspetto, conservando sempre il suo fascino. Di essa, nel corso di tutti questi anni hanno scritto storici (locali e non), medievisti e giornalisti (locali e non) celebrandone l’architettura e raccontandone la storia. Di essa, nel corso di tutti questi anni, abilissimi fotografi hanno raccontato e documentato con immagini bellissime le differenti facce. Il testo vuole essere una raccolta, seppur incompleta, di tutto ciò. Il Palazzo dei Consoli conserva quasi del tutto il suo aspetto duecentesco, notevole sia per i due ordini di belle bifore ancora quasi romaniche, che si stagliano nella massa dei solidi muri di travertino, sia per l’ampia scalinata, sia per il robusto loggiato del piano terreno, che è a due navate su grossi pilastri e volte a costoloni. La costruzione è probabilmente dovuta allo stesso Maestro Prode che si suppone autore del Palazzo Pubblico di Spello. L’interno, già ormai privo di ogni valore d’arte, nel 1886 fu ridotto a teatro, e così si conserva tuttora. Come a Spello, anche qui è ben visibile l’antico ingresso alla sala delle adunanze, al piano sopraelevato, e non è irragionevole supporre che la scala originale avesse un orientamento perpendicolare a quello attuale, e presentasse cioè il fianco alla piazza, anziché la fronte. L’arco a volta che potrebbe averla sostenuta, poteva così dare l’impressione di un prolungamento del portico. L’edificio è stato recentemente restaurato ed è stato, così, felicemente privato della torre campanaria, che ne alterava il carattere originario.
Palazzo dei Consoli
Maria Caterina Faina, I palazzi comunali umbri. Arnoldo Mondadori Editore, 1957
Ed eccoci in Piazza Umberto I, eccoci a quello che potrebbe chiamarsi il centro artistico di Bevagna, formato da alcuni monumenti degni della massima considerazione. Cominceremo per ordine dalla chiesa e dal convento dei SS. Domenico e Giacomo, dove sorgeva la chiesa di S. Giorgio, che nel 1291 fu ceduta dal Comune al b. Giacomo Bianconi pel suo convento domenicano, e circa un secolo dopo la sua morte gli s’intitolò, incorporandola all’attuale, rimodernata nel 1736. A pochi passi sorge il Palazzo dei Consoli, che all’esterno si mantiene ancora quasi in atto nella solida e uniforme massa dei suoi muri costrutti a piccoli conci di travertino e coi due piani regolarmente accusati da piccole bifore quasi ancora romaniche, e in basso una loggia ad archi acuti e volte a crociera con pesantissime nervature. L’interno, che aveva già perduto quasi ogni valore artistico, nel 1886 fu ridotto a teatro, intitolato dal Torti, che ha dato anche argomento al sipario in cui Domenico Bruschi di Perugia, cercando di superare come meglio poteva le difficoltà di un tema arido e sfatato dalla critica, ha rappresentato Properzio che addita a esso Torti, come sua patria, Bevagna figurata nei suoi antichi monumenti. Ma affrettiamoci a visitare il più insigne monumento d’arte che oggi possegga Bevagna; cioè la tanto notevole sebbene forse non abbastanza nota Basilica di S. Silvestro, fortunatamente sfuggita al pericolo che verso il 1870 la minacciava per un malinteso disegno di allargamento della piazza. Essa, quantunque lasciata da troppo tempo in cattivissime condizioni, è una delle poche chiese del sec. XII che si conservino nella originaria integrità, non avendo subito che qualche modificazione di nessun conto, e ci offre perciò, come nessun’altra, il tipo semplice e severo della basilica romanica umbra, derivante, specie nella disposizione interna, della basilica paleocristiana. E l’autore di questa opera? Si guardi nello stipite della porta, a destra, e si leggerà un’importante iscrizione dalla quale possiamo ricavare la data 1195, regnante Enrico Imperatore; i committenti, cioè il priore Diotisalvi e i suoi frati, e l’autore maestro Binello. Di rimpetto a questa chiesa sorge l’altra, pure interessantissima e quasi gemella, di S. Michele Arcangelo, dovuta, come si legge nello stipite di sinistra, allo stesso Binello, questa volta insieme con un Rodolfo, tutt’e due certamente della scuola classica di marmorari umbri, se no forse anche della stessa Bevagna, poiché non si conoscono altre fabbriche o sculture da essi firmate. Questa facciata di S. Michele è volta a oriente, e si mantiene, come in antico, di forma semplice e severa, da farla sembrare, come l’altra, piuttosto una fortezza che una chiesa; ma è guasta da un orrendo finestrone del sec. XVIII. L’alto campanile fu rifatto posteriormente.
Bevagna è riuscita a conservare di sé quella parte che è sufficiente a fare di essa una delle città minime fra le più suggestive e caratterizzate di tutta l’Umbria. La sua piazza centrale – piazza della Libertà – ha conservato quasi intatto il suo aspetto medioevale. La sua stramba asimmetria da movimento ai severi e massicci edifici monumentali che la costituiscono. Due magnifiche chiese romaniche del XII secolo, S. Michele, con il suo alto e massiccio campanile a cuspide, S. Silvestro, bassa e primitiva, d’una primitività che fa pensare a certi arcaici suggelli di lontana nobiltà, specchiano l’una sull’altra la pietrosità delle loro severe facciate. Fra l’una e l’altra, viene a porsi di sghembo il gotico Palazzo dei Consoli, con la sua scala esterna ampia e solenne, e il suo loggiato poggiante su grossi pilastri, che reggono i costoloni delle volte.
Averardo Montesperelli, Viaggio in Umbria, Natale Simonelli Editore, II Edizione 1978
Il centro rappresentativo della città è comunque in piazza Silvestri. Si tratta di una delle più belle piazze dell’Umbria minore, tanto che viene spontaneo chiedersi perché minore abbia ad essere, se non per la superficialità con la quale vengono diretti, e più ancor guidati, i flussi turistici. Sulla piazza si affacciano due chiese romaniche e il palazzo dei Consoli. Di lato, una fontana ottagonale ricostruita nell’Ottocento sull’esempio di quella perugina di Fonte Maggiore, rappresenta l’unico, e in fondo inutile, falso di tutta Bevagna. Il palazzo dei Consoli fu la storica sede del Comune, e tale sarebbe rimasto se un terremoto agli inizi del secolo scorso non avesse consigliato il trasferimento alla sede attuale. Così, con scelta obbligata ma in fondo felice, il palazzo prese a ospitare il teatro, composto da quattro serie di graziosissimi palchi ottocenteschi, e i soffitti affrescati dal solito Piervittori. La singolarità del palazzo, che nella sua struttura di base risale al 1270, consiste nell’essere obliquo rispetto ai fronti delle chiese. Di fianco all’edificio dei Consoli è la basilica romanica di San Silvestro, che risale, come da iscrizione sulla facciata, al 1195. La chiesa rischiò, nel 1870, in un clima di folle euforia anticlericale, di essere sacrificata all’ampliamento della piazza. Il suo aspetto attuale è dovuto ai restauri fatti nel 1953 dalla Soprintendenza dell’Umbria, e l’impatto complessivo è di altissima emotività. Di fronte, dall’altra parte della piazza, è invece la chiesa collegiata di San Michele Arcangelo. In origine, annesso all’edificio, era un convento, e nel secolo XVIII l’edificio tutto fu trasformato secondo il gusto barocco, tanto che sulla facciata fu aperta una finestra lobata, ribassando il rosone preesistente. All’interno e nella cripta, le colonne e le strutture vennero ricoperte di stucchi. Con gli opportuni restauri del 1953 le strutture barocche sono state rimosse e ancor oggi, soprattutto sulla facciata, è possibile cogliere l’entità dell’intervento.
Maurizio Naldini, Bevagna, in Umbria minore, Silvana Editoriale 1990
Bevagna fu tra le prime città dell’Umbria a far sorgere, entro le proprie mura, due magnifiche chiese di stile romanico. L’erezione di San Silvestro nel 1195 e, subito dopo, quella di Sant’Angelo – detta in seguito San Michele – non sono solo manifestazione di fervore religioso, ma espressione di benessere cittadino e indice sicuro di quella piena maturità intellettuale e morale che spinge la città, concorde almeno in ciò, in tutti i suoi ceti e in tutte le sue frazioni, verso manifestazioni non dubbie di arte e bellezza. Che le due insigni opere di Binello e di Rodolfo fossero poi integrate da espressioni complementari di arte decorativa, in tutto degne del fasto architettonico del monumento al quale aderivano, non è fatto sul quale possa sorgere il dubbio. Qualche traccia che rimane e qualche frammentaria indicazione, riapparsa dalle deformanti soprastrutture seicentesche, lasciano logicamente presumere che anche a Bevagna giungesse, a gradi, l’opera meravigliosa di quei pittori e di quei marmorar, che sembrarono prescegliere questa vecchia Umbria quale culla delle più squisite manifestazioni dell’arte.
Giulio Spetia, Studio su Bevagna, Roma 1972
Si risale alla piazza Filippo Silvestri; a s. è il Palazzo dei Consoli. Bevagna era amministrata da quattro consoli; il primo scelto dal ceto nobile, il secondo era scelto dal ceto civile o mercantile, il terzo dagli artigiani e il quarto dal contado. I consoli, che sono ricordati fino dal 1187, venivano estratti a sorte ogni due mesi. Il palazzo era la sede della magistratura; al 1° piano era l’abitazione del Governatore, l’altro era invece destinato ai consoli; nel palazzo erano ospitati anche l’archivio pubblico e le carceri. La facciata che prospetta la chiesa dei SS. Domenico e Giacomo è caratterizzata da un grande scalone che dà accesso al primo piano per mezzo di una porta con arco terminale a sesto acuto; sulla destra è un arco di travertino ora richiuso che era evidente un accesso più antico del palazzo, il che comportava un diverso orientamento della scala. L’architettura del palazzo è forse da attribuire allo stesso maestro Prode che nel 1270 costruì quello di Spello. L’interno ospita dal 1886 il Teatro Torti. Tra il palazzo dei Consoli e la chiesa di S. Silvestro è un voltone costruito nel 1560 ripristinato nel 1936, per consentire ai Consoli di trasferirsi nella chiesa ad ascoltare la Messa. L’atto di nascita della chiesa di S. Silvestro è nell’iscrizione che si legge a lato della porta: «Nell’anno del Signore 1195, regnando l’imperatore Arrigo VI; il priore Diotisalvi e i suoi frati e il maestro Binello vivano in Cristo. Così sia». La chiesa aveva annesso un convento; Binello ne è il costruttore; il suo nome riappare con quello di Rodolfo nella facciata di S. Michele. La chiesa di S. Michela Arcangelo è la chiesa principale della città. Fu costruita nel sec. XII o nei primi anni del successivo; era detta nel ‘300 S. Angelo e aveva annesso un monastero; nel 1620 divenne collegiata con un priore, un proposto, 12 canonici,4 prebendati e due cappellani. Nel 166 fu restaurata; nuovi restauri subì nel 1741 e nel 1834 dopo il terremoto del 1832. Fu ripristinata tra il 1951 e il 1957 dalla Soprintendenza ai Monumenti di Perugia eliminando le sovrastrutture del sec. XVIII.
Carlo Pietrangeli, Guida di Bevagna, Terza Edizione 1983
Ecco la piazza, centro della città medievale. Prima di dilatarsi nella suggestione della grande apertura urbana, il corso conduce il visitatore verso la bellezza del complesso architettonico della chiesa dei Santi Domenico e Giacomo. Essa sorge sul precedente oratorio di San Giorgio, concesso nel 1291 a titolo gratuito dal Comune, al beato Giacomo Bianconi (1220-1301). Intitolata dapprima a San Giorgio, ha ricevuto nel 1387 il nome attuale. Di là, si è sotto il duecentesco Palazzo dei Consoli, maestoso e in disarmonia affascinante con gli altri edifici della piazza bellissima. In questo palazzo quattro consoli amministravano la città, e nello stesso edificio avevano sede le carceri, l’archivio e il Consiglio di Credenza, composto da sessanta cittadini. Un voltone del 1560 unisce il Palazzo dei Consoli alla chiesa di S. Silvestro, gemma del romanico in Umbria. Lo scenario è quello imperiale del Ducato di Spoleto e i costruttori sono probabilmente gli stessi che edificarono altre chiese di analogo aspetto nel territorio spoletino. A destra, era come a San Giuliano di Spoleto, un campanile, in corrispondenza del quale si segnala, all’interno, un grosso pilastro invece della colonna, mentre la parte superiore della facciata, in travertino e pietra bianca e rosa del Subasio, è incompiuta.
Antonio Carlo Ponti, Bevagna, Fabrizio Fabbri Editore 2011
Si leva il sipario su una delle piazze più suggestive dell’Umbria. Sorda ai biasimi del nostro tempo, questa piazza è e rimane la copula genitrice della città medievale, il punto nevralgico di due contrapposte entità, laica da un lato e religiosa dall’altro. Più che essere vista, questa piazza deve essere sentita lungo il pulsare di emozioni che ricompongono l’essenza. Epica, onirica, metafisica più di tutte le metafisiche piazze dechirichiane e ciò nonostante vera, concreta, quasi tangibile. Il suo spazio soggiace a una nuova armonia, dove il presente non è che un eco sfuggente e il tempo si ferma, avvolto su sé stesso, tra i fastigi di un paesaggio la cui irripetibilità sta nell’ordine imprevisto e anarcoide delle architetture. In quest’ordine-disordine due icone si fronteggiano e si contendono il primato in austerità e bellezza: sono le chiese di Sant’Angelo, poi detta di San Michele, e San Silvestro. La scenografia della piazza, infine, è resa assoluta dalla Fontana, con la quale nel 1889 si preferì sostituire una cisterna ottagonale. Volgendo le spalle a corso Matteotti, il duomo si erge alla nostradestra, diritto e maestoso al pari di un mastio, costruito sopra l’oratorio della Madonna della Confessione da due sapienti edificatori: Rodolfo e Binello. Nel Trecento alla prima fabbrica si addossa un monastero, mentre nel 1465 il priore, poi cardinale, Bernardo Eroli rifece a sue spese il soffitto, definitivamente compromesso nella concezione originaria dagli interventi settecenteschi. Con il suo richiamo all’essenzialità, San Silvestro è una delle visioni più carismatiche ed evocative del romanico umbro e, nonostante la sua posizione di sghembo, senza più Oriente né Occidente, lo svolgimento del significato escatologico resta illeso, tutto contenuto nella purezza della forma architettonica. Il 1195 è l’anno della consacrazione, murato alla destra del portale insieme ai nomi del committente Diotisalvi e del maestro Binello, la cui dottrina e severità d’intenti si attua sulla superficie piana della facciata, sbocconcellata in alto a causa della sua incompiutezza. Questo capolavoro è ancor più degno d’ammirazione se pensiamo ai fiumi di parole, scritte per mano dell’incompetenza, che avrebbero dovuto deliberare la sepoltura della fabbrica. La vera minaccia arriva nel 1860 dal sindaco Agostino Mattoli, che in una missiva al soprintendente di Belle Arti di Perugia argomenta così le ragioni della demolizione: «rifabbricare la Chiesa sarebbe opera troppo costosa e inutile nella considerazione che sulla Pubblica Piazza a pochi metri di distanza ve ne sono altre due; con ciò si otterrebbe di allargare la Piazza, ch’è piccola». Ma la risoluzione tarda a venire e nonostante in un documento del 1871 si trova scritto che la chiesa è destinata «per uso deposito foraggi e combustibili», di lì a poco, possiamo esser certi del suo definitivo riscatto per ordine del ministero della Pubblica istruzione. Il Palazzo dei Consoli concede ben poco alle leziosaggini dell’invenzione, preferendo una costituzione robusta, di pianta press’a poco quadrata e disposta di sguincio, in modo tale da offrire un duplice prospetto: l’uno verso San Domenico, l’altro verso San Silvestro. L’edificio ha qualcosa di aggressivo e qualcosa di titanico, in particolare nella grande scala che, nonostante in origine avesse proporzioni e orientamento diversi, a vederla oggi suggerisce una tensione superomistica e, come una caduta verso l’alto, si inerpica fino ad un portale a sesto acuto. L’eloquio teologico, cominciato in San Michele e San Silvestro, continua a un secolo di distanza nella chiesa di San Domenico. L’impresa ebbe inizio nel 1291, quando Giacomo bianconi ottenne dal Comune questo naufrago lembo di città e, con un’energia che non gli fece mai difetto, trasformò il piccolo oratorio di San Giorgio in un’oasi del monachesimo domenicano.
A circa 10 chilometri dalla città di Spoleto, sorge il piccolo borgo di Campello sul Clitunno. Il comune comprende tredici piccole frazioni, anche se con il toponimo Campello sul Clitunno si identificano soltanto due di esse, Campello Alto e Campello Basso.
Il nome deriverebbe dal barone di Borgogna, Rovero di Champeaux che, attorno al X secolo, governò il feudo e fece erigere un castello, attorno al quale si sviluppa il borgo fortificato oggi denominato Campello Alto e abitato da poco più di cinquanta persone. Dell’antico castello rimangono le mura esterne e la porta d’ingresso, di fronte alla quale è situata la Chiesa di San Donato. Originaria del XVI secolo, venne ristrutturata più volte nel corso dei secoli e attualmente ospita un bell’altare ligneo di epoca barocca. Il campanile della chiesa è stato ricavato da una torre medievale dell’antico castello. All’interno di Campello Alto sono anche presenti il Palazzo Comunale e il complesso monastico dei Barnabiti, nel quale è custodito anche un affresco giottesco che raffigura la Crocifissione e i Santi.
Foto di Enrico Mezzasoma
La parte bassa di Campello, nella quale ha sede l’amministrazione comunale, è denominata La Bianca a causa della presenza di un’edicola votiva rappresentante una Madonna col Bambino, talmente chiara e bionda da essere soprannominata appunto la bianca. Il luogo più importante della frazione è il Santuario della Madonna della Bianca. Il progetto di costruzione venne avviato nel 1516 e aveva lo scopo di ospitare l’omonima edicola. La chiesa a croce latina, affiancata nel 1638 da una torre campanaria, presenta una facciata a spioventi divisa da quattro lesene verticali al cui centro sorge un semplice portale sormontato da una finestra circolare. L’interno, a una sola navata con copertura a cupola, è decorato con importanti affreschi e tele di artisti cinquecenteschi.
Nei dintorni vi è il Castello di Pissignano, che sorge nell’omonima frazione comunale. Il nome, che deriva dal latino Pissinianium ovvero piscina di Giano, testimonia l’antico dominio romano sulla zona. A causa della particolare morfologia del territorio, il castello si presenta con mura perimetrali a forma triangolare e con case disposte a terrazzamento. Tra le numerose torri medievali, una, a forma pentagonale, è stata trasformata nel campanile della chiesa di San Benedetto. Attualmente sconsacrata e di proprietà privata, era originariamente parte di un complesso architettonico benedettino. L’interno è decorato con numerosi affreschi, alcuni attribuiti a Fabio Angelucci da Mevale.
Tempietto sul Clitunno
Da non perdere assolutamente le Fonti del fiume Clitunno. Le sorgenti sono senza dubbio il luogo più suggestivo e rinomato di Campello sul Clitunno, alle quali numerosi poeti, come Virgilio e Giosuè Carducci, hanno dedicato delle magnifiche composizioni. Dalle fonti, create da sorgenti sotterranee che fuoriescono dalle rocce, si è formato uno splendido laghetto con limpide acque di colore smeraldo, nel quale sono presenti numerose specie e piante acquatiche. La struttura del parco oggi visibile, risale al XIX secolo, e venne costruita in seguito alla volontà di Paolo Campello della Spina di ridonare alla fonte l’antico splendore. Attualmente il parco si presenta come un luogo perfetto per gli amanti della natura che possono immergersi in sentieri tra salici piangenti e pioppi cipressini che donano all’area una sensazione di pace e tranquillità. Nei pressi delle fonti vi è il Tempietto sul Clitunno. Edificato nel V secolo sopra un preesistente santuario dedicato alla divinità fluviale Clitunno, è, in realtà, una piccola chiesa a forma di tempietto dedicata al culto di San Salvatore. La struttura rimanda allo stile classico di un tempio prostilo, tetrastilo, in antis, costruito su di un basamento e con colonne corinzie tutte diverse l’una dall’altra. All’interno vi è la cella, coperta da una volta a botte, che culmina con un’abside affrescata. Gli affreschi, risalenti al VII secolo, raffigurano San Salvatore, benedicente a mezzo busto con un libro gemmato, e, ai lati, i Santi Pietro e Paolo. Dal 2011 il Tempietto sul Clitunno fa parte del sito seriale inserito nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’Unesco I Longobardi in Italia: i luoghi del potere (568-744 d.C.) che comprende sette località in cui sono custoditi beni artistico-monumentali di epoca longobarda.
Curiosità: Campello sul Clitunno fa parte dell’Associazione Nazionale Città dell’olio ed è tra i migliori comuni italiani per la qualità della produzione di olio extravergine d’oliva.