«Nel vedere i vetri molati (e ve n’ha di ricchi, a due strati, di diverso colore) esposti da Geremia Misciattelli […], io mi consolai non poco, non sapendo che simili lavori si eseguissero in Italia». Carlo Cerato

Il vetro e Piegaro costituiscono un binomio indissolubile. La fabbricazione del vetro in questo piccolo borgo dall’aspetto tipicamente medievale risale probabilmente alla fine del XIII secolo, dopo che nel 1292 un editto del Maggior Consiglio di Venezia costrinse i produttori di vetro a spostare le fornaci nell’isola di Murano. Tale spostamento provocò l’esodo di alcune maestranze che, giunte a Piegaro, vi istituirono l’arte del vetro. La scelta della località deve ricondursi sia alle prospere condizioni politico-economiche della comunità piegarese, sia soprattutto alla grande facilità con la quale ci si poteva procurare il materiale da combustione necessario alle fornaci, essendo quello un territorio in gran parte coperto di boschi cedui.
MAESTRANZE E MATERIALI PIEGARESI IN UMBRIA E A MURANO
La prima attestazione documentaria certa risale al 1321 quando Lorenzo Maitani, allora direttore dell’Opera del Duomo di Orvieto, non ritenendo sufficienti i materiali provenienti dalla fornace di Monteleone di Orvieto incarica il maestro di vetri, Consiglio Dardolini, di recarsi a Piegaro per assoldare maestranze in grado di lavorare vetri colorati. Tale notazione fa pensare che i maestri vetrai di Piegaro fossero in una posizione di preminenza, grazie alla tradizione e alle competenze che consentivano loro di distinguersi rispetto ai vetrai dell’altra fornace. Di grande interesse è anche il documento con il quale nel 1360 sempre Lorenzo Maitani, per riattivare la fornace di Orvieto, manda ad acquistare a Piegaro mattoni, «marzacotti pro faciendum vetrum», «manganese pro colorandum vetrum pro musaicho» e un materiale «vocatur zaffara», una mistura a base di cobalto atta a colorare il vetro di azzurro. Da notare come a Murano troviamo per la prima volta citato questo colorante soltanto nel 1446.

Dai numerosi documenti che lo attestano possiamo osservare pertanto come l’importanza delle fornaci del vetro di Piegaro fosse legata non soltanto alla qualità dei prodotti e all’abilità degli operai, ma anche alla fornitura dei materiali. Interessante constatare, inoltre, come alcuni lavoranti di Piegaro fossero impiegati anche a Murano, patria della lavorazione del vetro[v]. Nel 1480 era così alta la fama dei prodotti delle vetrerie di Piegaro che il duca Federico II convocò a Gubbio un «maestro vetraio piegarese» per fabbricare arredi da tavola, in particolare bicchieri e stoviglie. Nel 1580 è invece il duca Ascanio II della Corgna a ringraziare la contessa e i priori di Piegaro «del dono dei bellissimi vetri che né compiaciuto mandare».
LA CONCORRENZA E L’ESODO
Il successo dei prodotti delle fornaci di Piegaro prosegue, salvo brevissimi periodi, senza subire rallentamenti e nel Seicento «i maestri vetrai, adattandosi ai gusti del tempo, creano coppe, tazze, grandi bicchieri e vasellame vario, dalle strane forme e con riproduzioni di stemmi, figurazioni e iscrizioni dedicatorie», ma con la metà del Settecento la spietata concorrenza straniera, specialmente quella boema, determina il declino delle vetrerie piegaresi. La crisi che ne consegue provoca inesorabilmente l’esodo delle maestranze.

GEREMIA MISCIATTELLI, LA NUOVA ERA
Con il matrimonio avvenuto nel 1820 tra il marchese Geremia Misciattelli e l’ultima discendente della famiglia Cocchi, proprietaria della vetreria, si apre una nuova era per la produzione vetraria a Piegaro. Con la gestione Misciattelli e con quella dei suoi eredi la lavorazione del vetro comincia di nuovo a svilupparsi, principalmente per quanto riguarda la lavorazione del cristallo, che raggiunse in questa fase il suo massimo splendore. Egli impiegò maestri vetrai locali in grado di forgiare la massa vetrosa in vere opere d’arte che valsero prestigiosi riconoscimenti e premi, tanto all’Esposizione italiana di Firenze del 1861 quanto all’Esposizione universale di Vienna del 1873 (dopo la morte di Geremia, sotto la direzione di Cesare Pesciarelli). Venne premiata la ditta nel suo insieme «per eleganza e solidità delle forme, per la buona esecuzione ed anche per le buone dorature e decorazioni a corrosione che si osservano in molti oggetti di cristallo per uso di tavola, di camera ec.» e parimenti alcuni lavoranti individualmente, quali Emilio Forniti, Ferdinando Moretti, Adolfo Wensel (arrotatore e incisore) e Giovanni Knaute (pittore e doratore).

IL DECLINO E L’APERTURA DEL MUSEO
Nel 1895 l’ing. Giuseppe Zannini assunse la direzione delle fornaci che, sotto la sua guida, raggiunsero il massimo della produzione, come attestato dal catalogo che presentava ben 243 varietà di articoli di vetro e di cristallo. Purtroppo l’ing. Zannini non si rese conto con sufficiente anticipo che il processo di industrializzazione – che implicava l’utilizzo di macchinari – stava determinando una marcata trasformazione della lavorazione e dei processi produttivi del vetro e che quindi sarebbe stato necessario prendere gli opportuni provvedimenti diminuendo e specializzando la fabbricazione. Fu così che nel 1898 l’ing. Zannini si vide costretto a chiudere la fabbrica ormai gravata da pesanti debiti.
Da questo momento in poi la produzione non ripartì mai veramente malgrado i numerosi tentativi di riattivazione e a nulla valsero i brevi periodi di ripresa, come ad esempio quelli che si registrarono nel primo Dopoguerra. Oggi l’edificio della vecchia vetreria del Piegaio, definitivamente chiusa nel 1968, dopo un attento lavoro di restauro da parte dell’amministrazione comunale ospita il Museo del Vetro, che è stato inaugurato nel 2009. Il museo racconta, attraverso molteplici tipologie di manufatti usciti dalle fornaci piegaresi, la storia del vetro a Piegaro; una storia che merita di essere raccontata e ricordata perché testimonianza di un’eccellenza del territorio per oltre nove secoli.

Laura Zazzerini

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